'Abd Al-Qâdir al-Jazâ'irî
Il Reale è l’unico agente dei nostri atti*
*Mawqîf 65
Dio ha detto:
“Il bene che avrà acquisito sarà computato in suo favore e il male, a suo danno”[1].
I teologi, appartenenti alla categoria dei sapienti exoteristi, hanno sviluppato a lungo il discorso relativo alla ricompensa e alla punizione, dato che l’atto del servitore si svolge in funzione del decreto di Dio, della Sua potenza, della Sua volontà e della Sua scienza antecedente; a tal punto che il servitore non dispone di nessun mezzo per cambiare la volontà di Dio.
Dunque, si ha l’illusione che la punizione sia un’ingiustizia, al punto che l’esame di questo problema genera divergenza e divisione tra i musulmani.
In effetti, un gruppo dice che il bene sarebbe l’opera di Dio, mentre il male sarebbe quello del servitore. Un altro afferma che il servitore crea i suoi atti libero e così Dio ha innumerevoli associati. Un terzo gruppo è partigiano dell’acquisizione, ma nessuno comprende esattamente la realtà di questa acquisizione, dato che l’esempio che si propone non è chiaro. È, in realtà, un nome senza contenuto e un’espressione che non ha senso. Un ultimo gruppo predica una parte[2] di libertà, ma ciò ci porta a quel che precede. In effetti, il risultato di un tale proposito porta a dire che si tratta di una considerazione senza fondamento reale, se non nell’intenzione di colui che la fa e per il tempo che dura. Come dunque, secondo essi e la loro teoria, ciò che non ha un’esistenza oggettiva potrebbe essere causa di ciò che esiste oggettivamente? E così di seguito, per quel che riguarda i propositi menzionati nei libri dei sapienti teologi.
Dunque, si ha l’illusione che la punizione sia un’ingiustizia, al punto che l’esame di questo problema genera divergenza e divisione tra i musulmani.
In effetti, un gruppo dice che il bene sarebbe l’opera di Dio, mentre il male sarebbe quello del servitore. Un altro afferma che il servitore crea i suoi atti libero e così Dio ha innumerevoli associati. Un terzo gruppo è partigiano dell’acquisizione, ma nessuno comprende esattamente la realtà di questa acquisizione, dato che l’esempio che si propone non è chiaro. È, in realtà, un nome senza contenuto e un’espressione che non ha senso. Un ultimo gruppo predica una parte[2] di libertà, ma ciò ci porta a quel che precede. In effetti, il risultato di un tale proposito porta a dire che si tratta di una considerazione senza fondamento reale, se non nell’intenzione di colui che la fa e per il tempo che dura. Come dunque, secondo essi e la loro teoria, ciò che non ha un’esistenza oggettiva potrebbe essere causa di ciò che esiste oggettivamente? E così di seguito, per quel che riguarda i propositi menzionati nei libri dei sapienti teologi.
Se Dio levasse il velo dal loro sguardo, essi saprebbero che la ricompensa dipende dal Suo favore e dalla Sua misericordia. Perché la creazione, il sostegno nell’esistenza e la ricompensa sono l’effetto della Sua misericordia. Quanto alla punizione e alla retribuzione dei nostri atti cattivi, noi ne siamo all’origine. In effetti, dato che, secondo noi, noi esistiamo, dopo essere stati inesistenti, immaginiamo di avere una esistenza avventizia, libera e distinta dell’Esistenza reale e abbiamo l’illusione di possedere degli attributi distinti da quelli dell’Esistenza reale, in ciò che concerne la potenza, la volontà, la scienza e il libero arbitrio; abbiamo l’illusione d’agire o di non agire, quando noi vogliamo. Così, il Reale ci tratta in funzione della nostra immaginazione e si rivolge a noi allo stesso modo nella Sua Parola e per mezzo dei Suoi inviati. Di conseguenza, Egli dice: “Agite e astenetevi dall’agire”, allorché Egli sa assai bene che non abbiamo né la capacità di agire né quella di non agire; Lui solo è l’agente. Egli ha dunque disposto la ricompensa e la punizione in funzione di questa illusione che è la nostra; mentre in realtà, la ricompensa è un grazioso dono e un favore che Egli ci accorda e che il male non procede che da noi stessi. La nostra comprensione non che è il risultato della nostra ignoranza.
Dio ha detto: “Proponemmo la responsabilità della fede ai cieli, alla terra e alle montagne. Questi hanno rifiutato di prendersene carico, ne sono stati sgomenti”[3]. Questo versetto significa che Dio ha fatto loro una semplice proposta senza obbligarli; loro hanno rifiutato, perché hanno avuto paura di incaricarsene, perché conoscevano naturalmente Dio, non essendo ancora caduto su loro il velo. Sapevano che il carico del deposito della fede supponeva necessariamente il velo che è la causa della disobbedienza e della pretesa alla libertà dell’esistenza, d’azione e di scelta. E se questo deposito della fede è assunto in modo perfetto e completo, esige da colui che lo assume una nobiltà che nessun altro che lui possa sopportare tra le creature, ecco perché i cieli, la terra e le montagne hanno scelto la tranquillità.
Similmente, si cita:
Essa dice: “Come dunque? Vedo che eviti degli affari il cui commercio sarebbe profittevole”. Le ho risposto: “Perché dovrei ricercare il profitto, quando siamo persone che gioiscono della tranquillità?
L’uomo lo ha assunto, perché egli è costitutivamente ingiusto, dato che dispone le cose fuori dal loro posto[4], a causa della sua pretesa ad un’esistenza che gli sia propria e alle conseguenze che ne derivano come la potenza, la volontà, l’agire e il libero arbitrio… e ciò, perché ignora se stesso, cioè, la realtà che fa di lui ciò che è. Infatti, egli non conosce se stesso, perché se si conoscesse, conoscerebbe il suo Signore.[5] E se conoscesse il suo Signore, senza che il velo fosse caduto su lui, come Lo conoscevano i cieli e la terra, non soffrirebbe alcun male e non proverebbe né tormento né dolore.
Anche se per assurdo, supponiamo che non via sia tra il genere umano che un solo conoscitore della verità e di quella che è la realtà delle cose, l’uomo non sarebbe più né confuso né tormentato e non disobbedirebbe più agli ordini e alle interdizioni. Non si dica che nel genere umano vi sono molti conoscitori della verità perché altrimenti ci si potrebbe domandare come mai le cose siano così come sono. In effetti, il nostro discorso ha una portata e un significato generali che non esaminano e non considerano il caso particolare e raro.
[1] Corano 2, 286. Questo versetto è ugualmente commentato in Mawqîf 121.
[2] In luogo di bi-al-djazâ’, leggere bi-al-djuz’, conformemente a MBA.
[3] Corano 33, 72
[4] Tale è la definizione classica del male presso la maggior parte dei teologi. Si trova commentato, per esempio, ne Sharh usûl al-khamsa di ‘Abd al-Jabbâr.
[5] Allusione alla seguente tradizione: “Chi conosce se stesso, conosce il suo Signore”. Vedere, su questo tema, Mawqîf 48, nota 1.
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