Franco Peregrino
La Massoneria demonizzata
La Massoneria demonizzata
In fin dei conti, la foggia dell’animo umano è tale,
che lo si cattura molto più
con la finzione che con la verità.
Erasmo, Elogio della Follia, 45.
Ancora nel trentennio conclusivo dell’Ottocento, il mondo occidentale si trovò a subire i contraccolpi di un estremo rigurgito del passato: il fantasma della demonizzazione, riesumato al fine di colpire questa volta la Massoneria.
Contro questa forma iniziatica,
l’unica a essere rimasta d’altronde visibilmente operante nell’intero
Occidente, fu sferrato un attacco di vaste proporzioni da parte dei più alti
rappresentanti dell’exoterismo cattolico, nel pio desiderio di contrastare così
l’azione riformatrice che a quei tempi le forze vive della società esercitavano
sul potere temporale di Roma; azione, ai loro occhi, da intendersi come il
risultato di un complotto ordito dall’«avversario», che della suddetta
organizzazione tradizionale si sarebbe servito per metterlo in pratica[1]. Da qui il susseguirsi dei più infami
epiteti scagliati contro di essa – «setta
nefasta», «peste», «lebbra» – attraverso i ben quasi duecento documenti
che Pio IX e Leone XIII gli riservarono, giungendo, nell’enciclica leonina, a
bollarla come «città di Satana»!
Bisogna dire che le motivazioni di ordine
contingente non spiegano, comunque, il perché sia stata scelta proprio
la strada della demonizzazione da parte delle autorità ecclesiastiche; tanto
più che, così facendo, esse si discostavano apertamente dall’indirizzo seguito
fin allora dai loro predecessori, i quali avevano stabilito nel segreto
massonico, invece, l’esplicito movente della loro condanna[2]. La questione resta perciò inesplicabile, a meno di non
pensare che le vere ragioni decisive della primitiva scomunica siano state, più
che tale segreto, quelle sottaciute in maniera sibillina nella formula «per altri motivi, a Noi noti, giusti e legittimi». Una
supposizione tutt’altro che infondata, giacché trova conferma nelle prese di
posizione esternate ancor oggi da autorevoli presuli, i
quali non si peritano di affermare a tutte lettere che, nonostante ogni
tentativo di avvicinamento nei confronti della Chiesa cattolica,
l’inconciliabilità persiste comunque poiché, in realtà, deriva dal carattere
iniziatico della Massoneria, i cui «riti esoterici si pongono in alternativa ai
riti dell’iniziazione cristiana, cioè ai sacramenti»[3].
Quando ci s’imbatte in discorsi del genere svanisce
qualsiasi dubbio, e allora tornano in mente le conclusioni a cui giungeva
Giovanni Ponte nella sua disamina dei fatti relativi alla bolla del 1738
– che, ricordiamolo, nel giro di un anno avrebbe persino potuto
comportare la pena di morte. Ecco le conclusioni di cui parlavamo: «Non sembrerebbe esagerato pensare dunque che, come apparirà
ancor più chiaramente dal successivo svolgersi degli eventi, una potenza di
suggestione si fosse messa in moto per colpire, schiacciare o deformare in
qualsiasi modo un’estrema possibilità iniziatica occidentale rimasta
accessibile nonostante tutto. E non dovrebbe essere difficile scorgere,
nell’alimentarsi della stolida ostilità ecclesiastica contro l’iniziazione
massonica, uno dei capolavori della contro-iniziazione in Occidente»[4].
E non ci si dovrebbe stupire nemmeno, aggiungiamo noi, del fatto che –
fin dal 1739 – iniziassero a circolare delle storie inverosimili, condite
dei dettagli più osceni, su quanto si pretendeva avvenisse nel corso delle
cerimonie libero-muratorie, storie create ad arte sulla base
di deposizioni indotte dall’Inquisizione[5].
Se abbiamo evidenziato quest’ultimo
punto, è perché cose del genere sono il sintomo distintivo di una malattia che,
troppo a lungo, ha ammorbato il pensiero d’Occidente. Per rendere l’idea
basteranno alcuni pochi esempi, scelti fra i tanti ben documentati di cui
malauguratamente la storia abbonda. Il primo caso che citeremo è riportato da
Norman Cohn e risale alla fine del secolo dodicesimo: «Intorno
al 1190 il cronista inglese Walter Map, o Mapes, che visse a lungo in Francia,
descrisse gli incontri di eretici che si supponeva avessero luogo in varie
province francesi, in particolare in Aquitania e in Borgogna. Egli narra che un
enorme gatto nero sarebbe disceso sopra la riunione, usando una fune che
pendeva dal soffitto; contemporaneamente le luci si sarebbero spente e tutti si
sarebbero precipitati ad adorare il gatto – che era, ovviamente, Satana
– baciandolo in modo osceno. Da quel momento, l’idea dell’adorazione
fisica di un Satana personificato doveva divenire parte integrante dello
stereotipo popolare dell’eretico. Nel 1233 lo stesso papa Gregorio IX pubblicò
una bolla che descriveva come, nelle riunioni di eretici in Germania, Satana
sarebbe apparso sotto le spoglie di un gatto nero, o di una rana, o di un
rospo, o di un uomo coperto di pelo; e come la compagnia gli avrebbe dato baci
osceni e poi si sarebbe abbandonata a orge e depravazioni»[6].
Lo stesso genere di turpe accusa ricompare in un tardo manoscritto destinato a
illustrare gli errori imputati ai Catari; Alfonso di Nola riferisce che «in esso il diavolo, nel luogo dell’assemblea, in loco
synagogae, appare talvolta in aspetto di gatto nero, talvolta in aspetto di
uomo. Ancora più esplicita – osserva il di Nola – è la
dichiarazione dell’ispirazione diabolica del catarismo in Alain de Lille […]. [Secondo costui] il cataro adepto, dopo aver giurato fedeltà
al diavolo, rende omaggio al suo nuovo signore baciandolo “in culo vel ano”»[7].
Ai nostri lettori non riuscirà forse troppo sorprendente tale affermazione, se
serbano memoria di ciò che dicevamo, in un precedente articolo, sulla serie di
domande-accusa cui erano stati sottoposti i Templari agli inizi del Trecento:
in una di esse, infatti, il capo d’accusa presupponeva – guarda caso
– che il neofita fosse baciato precisamente sul
«fondoschiena»; non è difficile, perciò, capacitarsi dell’iniquità di una
simile imputazione, appurata la ricorrenza dello stesso genere di idee balorde[8].
Ma non è tutto, anzi, poiché in realtà la grande
ventata di demonizzazione che doveva infuriare sull’Europa per parecchi secoli,
iniziò a soffiare più tardi: fu difatti solo verso il 1335 che l’Inquisizione,
nel solco della lotta senza quartiere contro l’eresia, diede infine il via alla
caccia alle streghe. Allora, sfruttando antiche credenze popolari –
spiega N. Cohn –, gli inquisitori escogitarono «lo
stereotipo della strega come uomo o donna entrati volontariamente al servizio
di Satana, avendo ricevuto in cambio il potere di nuocere alla proprietà, alla
salute o alla vita di altri uomini. Inoltre, diedero vita
all’idea fantastica del sabba delle streghe: ciò che alcuni cronisti avevano
sino a quel momento imputato agli eretici […] fu ora imputato
ufficialmente alle streghe […]. In questo modo gli inquisitori costruirono
l’idea immaginaria di una setta misteriosa, dotata di poteri soprannaturali,
che dietro ordine di Satana muoveva incessantemente guerra ai cristiani e al cristianesimo»[9]
[il corsivo è nostro]. Non c’è di che stupirsi,
dunque, se vediamo ripetersi la solita nefandezza, addossata questa volta alla
figura della «strega», la quale, giunta al sabba, era tenuta a salutare Satana
con il «bacio vergognoso», come sarà poi illustrato
nel Compendium maleficarum di Francesco Guaccio.
A questo punto, forse non sarà inutile
richiamare la testimonianza di uno dei tanti iniziati che si trovarono a dover
fronteggiare di persona quei secoli oscuri. Il personaggio di cui parliamo è
Rabelais, e per esporne il pensiero in proposito ci serviremo di un passo
tratto dall’opera a lui dedicata da Michail Bachtin. Come quest’ultimo rileva,
Rabelais finisce il prologo al terzo libro della sua opera con una serie
d’invettive di estrema vivacità e dinamismo: infatti, egli «fa
qui allusione alle denunce, calunnie e persecuzioni degli agelasti contro la
verità. Usa una invettiva molto curiosa: questi nemici
sono venuti “sculettando ad articolare il mio vino”. La parola articuler significa “criticare”, “accusare”, ma
Rabelais vi sente la parola cul e gli dà un carattere ingiurioso e
abbassante. Al fine di trasformare il verbo articuler in ingiuria, lo
accorda con cul : ed è per questo che inserisce la
parola culletans. Nell’ultimo capitolo del Pantagruele questa
invettiva è sviluppata più dettagliatamente. Parla dei monaci ipocriti, che
passano il tempo a leggere i “libri pantagruelici” […] per calunniarli e
denunciarli, e chiarisce: “Cioè articolando, monorticulando, torticulando,
sculettando, coglionettando e diabolicando, vale a dire calunniando”»[10].
A prescindere dal caso specifico, per un
verso assai odioso ma per l’altro illuminante, cui abbiamo dedicato questa
carrellata[11], bisogna dire che la demonizzazione fu strumentalmente
impiegata per reprimere qualunque diversità presente all’interno del mondo
occidentale, e imporre la propria visione esclusivistica. Infatti, al fine di
sostenere un tale «ideale» alla rovescia, i rappresentanti decaduti del
cristianesimo non esitarono a coinvolgere intere etnie nelle loro accuse: per
cui vediamo, in questi tempi bui, partecipare Zingari ed Ebrei della stessa
sorte riservata prima agli «eretici» poi a «streghe» e «maghi
neri», al punto che la residenza in Europa equivalse per questi ultimi a un
lungo martirio. Affievolitasi[12] verso il Settecento, la burrasca riprese
a imperversare negli anni conclusivi del secolo successivo: fonte della
nuova ondata di antisemitismo fu l’opera di Gougenot des Mosseaux, Le juif,
le judaïsme et la judaïsation des peuples chrétiens, pubblicata nel 1869.
«Des Mosseaux era convinto – dice N. Cohn – che il mondo fosse
nelle mani di un misterioso sodalizio di adoratori di Satana, che egli chiamava “ebrei cabalistici”. Egli immaginò che esistesse
una segreta religione demoniaca, un culto sistematico del male fondato dal
Demonio proprio agli inizi del mondo. I grandi maestri del culto erano gli
ebrei, che Des Mosseaux definiva “rappresentanti in
terra degli spiriti delle tenebre”; tra coloro che li avevano aiutati a
diffondere il regno del Demonio nel mondo vi erano gli eretici medievali, i
Templari e, più recentemente, i Massoni. Il culto s’incentrava
sull’adorazione di Satana, simboleggiato da un serpente o da un fallo; i suoi
riti consistevano in orge erotiche incredibilmente sfrenate, inframmezzate da momenti
in cui gli ebrei uccidevano bambini cristiani per usare il loro sangue a fini
magici.
Il libro pretendeva di smascherare un
complotto ebraico per dominare il mondo intero mediante il controllo delle
banche, della stampa e dei partiti politici: anche questo si supponeva che
fosse fatto in nome di Satana e con il suo aiuto»[13]
[il corsivo è nostro].
Il riferimento ci riporta al punto
iniziale del nostro studio, che possiamo ora riprendere in esame sulla
base dei nuovi elementi apportati: il lettore sarà così in grado di valutare
più ponderatamente la natura e la portata di quella campagna antimassonica a cui accennavamo. Se il piano di demonizzazione congegnato
per colpire a morte la Massoneria fu messo in atto nel 1873, con l’enciclica Humanum
genus di Leone XIII gli sforzi si sarebbero ulteriormente moltiplicati;
infatti, alla sua pubblicazione, nel 1884, fece seguito una massa di libelli,
fatti comparire astutamente in modo graduale, e destinati a sfruttarne i
contenuti antimassonici in tutti i modi possibili. Nello slancio, non ci
sarebbero state esitazioni a ricorrere persino alle prestazioni di un
lestofante come Léo Taxil, reclutato su due piedi una volta accertata la sua «conversione», peraltro necessaria, visti i precedenti
anticlericali fin lì manifestati da questo letteratucolo. Ebbe inizio così, fin
dal 1885, la carriera antimassonica di colui che a
breve scadenza sarebbe diventato la punta di diamante della suddetta campagna,
con l’aiuto delle più spudorate menzogne, accolte allegramente dalle autorità
cattoliche. Successivamente, e per circa dodici
anni, egli avrebbe puntato verso la Libera Muratoria i propri strali,
sfornando a ripetizione pamphlet escogitati espressamente per suscitare
reazioni soprattutto emotive, ben sapendo dell’efficacia di questo mezzo per
agire sulle masse. Noi non possiamo diffonderci qui su questo
affaire, poiché la cosa richiederebbe un articolo a sé stante;
nondimeno, basteranno un paio di particolari per permettere al lettore curioso
di conoscere il vero volto della mistificazione taxiliana. E, sotto
quest’aspetto, tra le tante mistificazioni partorite da Taxil assieme ai suoi
degni soci e ai loro principali imitatori non c’è che
l’imbarazzo della scelta: dal «telefono infernale» con cui si prendono gli
ordini ogni mattina da Lucifero in persona, all’infame mania di svolazzare per
i cieli d’Europa «sulle ali di Satana», giù giù fino alle melodie eseguite
al pianoforte da un… «coccodrillo alato»! Era questo il genere di rivelazioni scottanti che riempivano le pagine del complesso di
pubblicazioni destinate ai credenti, in seguito sconfessate rocambolescamente
dallo stesso Taxil di fronte a una sala gremita di pubblico. Soffocato una volta per tutte il ritorno di fiamma della
demonizzazione, con la teatrale e clamorosa ritrattazione della sua ingrata
primadonna, ai promotori dell’ignobile impresa non rimase altro che tirare i
remi in barca e leccarsi le ferite.
Ora, le conseguenze di siffatta
propaganda – durata complessivamente ventiquattro anni – non
potevano se non farsi sentire in modo deleterio sulla Massoneria, in
particolare su quella «latina». Così, seppur con
quattro anni d’esitazione rispetto all’enciclica di Pio IX, in cui per la prima
volta l’Ordine era attribuito ex cathedra a Satana, il Grand Orient
de France scioglieva i propri membri dall’obbligo di credere nell’Essere
supremo. La riforma avveniva proprio nel momento in cui quest’Obbedienza si
preparava a scendere in lizza sul campo politico: essa preludeva perciò a
quanto doveva succedere poi, a misura che gl’interessi
contingenti incominciarono a prevalere sulla coscienza dello scopo iniziatico.
In effetti, Denys Roman riferisce come, sui primi del Novecento, era già stato
necessario provvedere al caso suscitato da certe «Logge
ultrarazionalistiche […], che semplificavano il rituale o addirittura non se ne
servivano più, ritenendolo ormai superato. Altre avevano abolito l’uso dei
paramenti – grembiuli e sciarpe – sostituendoli con un semplice distintivo»[14].
E le cose non sarebbero andate meglio in Italia, poiché il Gran Maestro del Grande
Oriente d’Italia si vedeva a sua volta costretto a decidere
«l’accelerazione del processo di totale politicizzazione dell’Ordine»[15]
A questo proposito Aldo Mola illustra benissimo quale fosse la situazione:
«Semplificazioni o piuttosto abbreviazioni che inizialmente erano state
circoscritte nei confini di eccezionale concessione ad apparenti “ragioni di
forza maggiore” […], avevano col tempo generato nei confronti del rituale
l’insofferenza, il fastidio e persino il disprezzo che, nelle forme del
sarcasmo, vien riservato a ciò che non si conosce
appieno. Casi come quelli di Errico Malatesta – accolto in loggia previa
dispensa, a richiesta, dalle “ridicole prove dell’iniziazione”, come venne debitamente verbalizzato, a disdoro di quanti vi si
erano e sarebbero sottoposti – andavano facendosi più numerosi sino a
divenire pressoché ordinari, proprio per i recipienti di maggior grido nel
mondo profano, usi a subitanee, intensissime, folgorazioni sulla via dellaVera
Luce; non meno di quanto accadeva, nello stesso periodo, in Francia, Spagna e
molti altri paesi, soprattutto di tradizione “latina”»[16]
[il corsivo è nostro]. Fu pertanto in questa fase
critica, in cui le preoccupazioni di ordine contingente assunsero una importanza considerevole per far fronte alle calunnie,
che si verificò un impoverimento dello spirito iniziatico nelle obbedienze
latine; e se si può parlare d’impoverimento, invece che di vera e propria
perdita – contrariamente a quanto è avvenuto nel caso della Carboneria
–, ciò è dovuto al fatto che, nonostante ogni contrarietà, in esse si è
sempre conservata una certa consapevolezza del loro carattere iniziatico. E non
è senza fondati motivi perciò che René Guénon, allorché
osserva che la vera ragion d’essere del simbolismo si colloca di là dalle concezioni
sociali e politiche, si pone questa eloquente domanda: «Non è stato,
infatti, proprio questo [e cioè il predominio di un simile punto di vista] che
ha fatto perdere alla Massoneria moderna la comprensione di quel che essa
ancora conserva dell’antico simbolismo e delle tradizioni di cui, nonostante
tutte le sue insufficienze, essa sembra essere, bisogna pur dirlo, l’unica
erede nel mondo occidentale attuale?»[17]
. Ecco, dunque, qual è stata la più nociva delle conseguenze scaturite dalla
messa in pratica di un disegno antitradizionale come quello che abbiamo
esaminato. Non bisogna, tuttavia, ritenere che tale ferita non sia in qualche
modo rimarginabile, giacché altrimenti l’intera opera di R. Guénon, quella dei
nostri predecessori e la nostra stessa non avrebbero alcun senso.
Sul versante cattolico, a pagare lo
scotto del cinico colpo di scena taxiliano, furono i numerosi membri del basso
e alto clero che ne avevano avallato le impossibili
rivelazioni: caduti a un tratto nel ridicolo, essi dovettero assumere, di qui
in avanti, un’attitudine per forza di cose assai più circospetta. L’intera
vicenda comportò, tuttavia, conseguenze molto più estese e di un ordine più
profondo. Per un verso, essa contribuì a spingere la maggior parte
dell’opinione pubblica cattolica ad adottare, in pratica e inconsciamente, una
mentalità modernista. In una delle sue prime opere, R. Guénon accenna proprio a
tale questione: «Non si può parlare del diavolo, si sa, senza provocare, da
parte di quanti si fanno un punto d’onore di essere più
o meno “moderni” (e sono la stragrande maggioranza dei nostri contemporanei),
sorrisi sdegnosi o alzate di spalle ancor più sprezzanti. Ci sono inoltre
persone che, pur avendo determinate convinzioni
religiose, non rifuggono dall’assumere questo atteggiamento forse per semplice
timore di figurare “retrograde”, o fors’anche con maggiore sincerità. […] Indubbiamente una certa prudenza è spesso necessaria, ma
prudenza non vuol dire negazione a priori e senza discernimento;
tuttavia occorre affermare, a parziale discolpa di alcuni ambienti cattolici,
che il ricordo di mistificazioni troppo famose, come quella di Léo Taxil, non è
estraneo a una simile negazione; la conseguenza è che da un eccesso ci si è
buttati in quello opposto; se una delle astuzie del diavolo è di farsi negare,
bisogna ammettere che non ci è riuscito troppo male»[18].
Per un altro verso, è incontestabile che
le farneticazioni taxiliane lasciarono il segno nel pubblico cattolico, gran
parte del quale si lasciò soggiogare emotivamente
dalla sensazione rimastagli, per cui iniziò a vedere la Libera Muratoria come
una sorta di «contro-chiesa» di natura infernale. Un tale clima generale di
prevenuta avversione a questa via iniziatica farà sì che, anche chi nutriva una
qualche aspirazione verso una conoscenza che superasse le sole apparenze, pur
possedendo le qualificazioni richieste, non ne avrà di fatto
più l’occasione a causa di un simile condizionamento. E questa è un’altra delle
deplorevoli conseguenze derivate dall’estremo caso di demonizzazione che
registra la storia occidentale. A questo punto non ci rimane che spendere
qualche parola per rimettere in luce l’accezione tradizionale del termine
«demonio», utilizzato in Occidente ormai da tempo alla
stregua di mero spauracchio per preservare i privilegi del proprio ceto. Questa
parola deriva dal greco dáimôn, che in origine aveva una doppia valenza:
una, inferiore o cosmologica, l’altra, superiore o
metafisica, per cui si parlava di Kakos Dáimôn e di Agathos Dáimôn;
si tratta in fondo della distinzione fra l’io e il Sé enunciata
universalmente dalle diverse tradizioni, non essendo tale «io» altro che il
riflesso tenebroso e capovolto del «Sé». E si può capire, perciò, come il
demonio non sia affatto una potenza esteriore
all’uomo, ma s’identifichi al contrario con la sua volontà di esistenza
individuale; fintantoché persista nella sua ribellione, questo nostro io non
troverà pace, poiché il combattimento avrà fine soltanto quando Cristo riuscirà
a sconfiggere l’Anticristo; ristabilito così l’ordine in se stessi, si potrà
annunciare con san Paolo: «Io vivo, eppur non io, ma Cristo in me» (lettera di
san Paolo ai Galati, 2-20). Si tratta, tutto sommato, dello stesso identico
concetto ritrovabile anche nella nota espressione rituale massonica secondo cui
«il Compasso è ora finalmente sovrapposto alla
Squadra». Non bisogna dunque credere che il Demonio sia una persona, munita
magari di corna e di coda, un serpente o un drago[19], ma piuttosto una vera e propria «legione », vale a dire
una moltitudine di personificazioni postulate, ciascuna delle quali può essere
in realtà liberata e rigenerata, come tutte le tradizioni insegnano, e come già
sosteneva Origene; e questo per la semplice ragione che questa figura
rappresenta, secondo sant’Agostino, nient’altro che la «privazione del bene».
Che vi siano degli spiriti timorosi che preferiscano
affidarsi supinamente ai racconti altrui invece di darsi da fare per appurare
come stiano effettivamente le cose, è purtroppo un dato di fatto; ed è proprio
questo che ha reso possibile la suggestione di cui abbiamo trattato. Noi non
pensiamo però che i nostri lettori rientrino in questo caso, e, proprio per
tale motivo abbiamo esposto i fatti in modo schietto – ma succinto,
affinché abbiano la possibilità di approfondire ciascuno da sé l’argomento.
Consapevoli del fatto che ogni cedimento nei confronti della verità, fosse pure
solo per via di omissione, è un tradimento del vero, o meglio equivale al suo
contrario cioè alla menzogna, noi siamo alieni dalle finzioni fabbricate
disinvoltamente da coloro che, veri e propri orbi nello spirito, sono esclusivamente
mossi dal desiderio di avere il sopravvento a qualunque prezzo. E se ci siamo
decisi ad affrontare una questione di questo genere, così lontana dalle tematiche cui preferiamo per lo più occuparci, è perché in
questo modo abbiamo voluto recare il nostro modesto contributo affinché le
generazioni future non debbano mai più subire le violenze indegne da parte
d’individui simili a coloro che, per circa nove secoli, furono capaci di
scatenare contro gl’iniziati in generale e, infine, contro i Liberi Muratori in
particolare, l’assurda accusa di essere dei «servitori di Satana».
Tratto da: «La
Lettera G» N°14 - 2011 - http://www.laletterag.it
[1] «Ciò dimostra che tutto è diretto e disposto da un’unica
mente, che altra non può essere se non quella dell’eterno avversario di Dio, il
Diavolo. Fu egli a porre la prima orditura di questa tela nelle conventicole
dei suoi seguaci, detti Frammassoni, e lì a poco a poco andò intessendola e
svolgendola». Proprio in questi termini si rivolgeva Pio IX al sindaco di
Taubaté, come riferisce A. Mola nella Storia della Massoneria italiana,
Bompiani, Milano 1994, p. 169.
[2] A dire il vero, il movente in questione appare
inconsistente, come fa notare G. Ponte nel suo scritto titolato «L’iniziazione
massonica nel mondo moderno» (cfr. «Rivista di Studi
Tradizionali» n. 32, gennaio-giugno 1970, pp. 113-14). A beneficio del lettore
ne riproduciamo un passaggio: «La stessa bolla di Clemente XII, per
giustificare la condanna, denuncia quasi come un crimine la
disciplina del segreto: tale segreto, invece di far pensare, come sarebbe stato
naturale, alla “disciplina arcani” iniziatica già affermata dai Padri della
Chiesa (…), dà luogo a un giudizio degno del “senso comune” più grossolanamente
profano: “se non facessero niente di male, non avrebbero tanto in odio la
luce”, cioè la profanazione del loro segreto. Che dunque sarebbe successo se
nei primi tempi del Cristianesimo i catecumeni avessero applicato questo bel
ragionamento ai loro sacerdoti?»
[3] Cfr. «Religione e Massoneria», testo presentato da S. E. Mons. E. Corecco, vescovo di Lugano, in occasione del
«Convegno su stato, religione e massoneria» organizzato nel 1994, a Lugano,
dalla Loggia «Signa Hominis N. 60».
[4] G. Ponte, «L’iniziazione massonica
nel mondo moderno », cit., p. 115.
[5] . Mola riporta come uno svanito O.
Minnerbetti avesse confessato agli inquisitori che «le Logge propiziavano
pratiche di vicendevoli masturbazioni e raffinatezze sodomitiche»! (Storia
della Massoneria italiana, cit., p. 85).
[6] N. Cohn, «Il mito di Satana», in La
Stregoneria, a cura di M. Douglas, Einaudi, Torino 1980, pp. 41-42.
[7] Alfonso di Nola, Il Diavolo, Newton Compton, Roma
1991, pp. 256-57.
[8] Si veda a questo proposito il nostro scritto «La fine dei
Templari e le sue conseguenze», in «La Lettera G» n.
5, Equinozio d’Autunno 2006.
[9] N. Cohn, «Il mito di Satana», in La
Stregoneria, cit., p. 44.
[10] M. Bachtin, L’opera di
Rabelais e la cultura popolare, Einaudi, Torino 1995, p. 188.
[11] Sul carattere ripugnante di quanto è stato riportato, i
fatti parlano chiaro. Non ci rimane che proporre all’attenzione dei nostri
lettori quel che, su questo aspetto in particolare,
riferisce R. Guénon: «Se il diavolo è in grado di essere teologo quando gli
pare opportuno, sarà anche in grado, e a fortiori, di essere
moralista, il che richiede anche meno intelligenza». E ancora: «Ma, a questo
proposito, c’è da fare un’altra osservazione: gli ambienti dove si avverte il
bisogno di predicare la morale a ogni piè sospinto sono di
fatto i più immorali; ognuno si spiegherà questo fatto come meglio
potrà, ma si tratta di una realtà; per noi la spiegazione, semplicissima, è che
tutto quello che ha attinenza con questo campo mette inevitabilmente in gioco
ciò che v’è di più basso nella natura umana. Non per nulla, infatti, le nozioni
morali di bene e di male sono inseparabili l’una dall’altra e non possono
sussistere che per reciproca opposizione» (cfr. Errore dello spiritismo,
Luni Editrice, Milano 1998, «La questione del
satanismo», pp. 304-5).
[12] Il momento culminante della caccia alle streghe si verificò
nel bel mezzo della Guerra dei Trent’anni: fu difatti in concomitanza con la
riconquista cattolica che si moltiplicarono notevolmente i processi alle
cosiddette streghe. All’epoca erano i Rosacrociani a essere presi di mira: per
esempio, il gesuita F. Garasse, in un suo libro comparso nel 1623, afferma
che «alcuni Rosa-Croce sono stati recentemente condannati come stregoni
a Malines» ed esprime la sua ferma opinione che «meritano
tutti il supplizio della ruota o la forca. Nonostante un’apparente devozione,
in realtà sono perfidi stregoni, pericolosi per la religione e per lo
Stato» (i corsivi sono nostri) (cfr. F. Yates, L’illuminismo dei Rosa-Croce,
Einaudi, Torino 1976, p. 125).
[13] N. Cohn, «Il mito di Satana»,
in La Stregoneria, cit., p. 47.
[14] D. Roman, Réflexions d’un
chrétien sur la Franc-Maçonnerie, Éditions Traditionnelles, Parigi 1995,
cap. XVI, p. 219.
[15] A. Mola, Storia della
Massoneria italiana, cit., p. 221.
[16] Ibid., p. 269
[17] R. Guénon, Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, Éditions Traditionnelles, Parigi
1971, tomo I, «A propos des Constructeurs du Moyen Âge», p.16.
[18] R. Guénon, Errore dello Spiritismo, cit., pp.
290-91.
[19] A proposito di questa ossessione
tutta occidentale per il drago o per il serpente, vale la pena ricordare ciò
che scrive R. Guénon nel suo articolo dedicato a «Sheth», che attualmente
costituisce il cap. XX della raccolta postuma Simboli della Scienza sacra
(Adelphi, Milano 1975): «Si potrebbe dire che la stregoneria è fatta dalle
vestigia delle civiltà morte; sarà forse per questo che il serpente, nelle
epoche più recenti, ha conservato quasi solo il suo significato malefico, e il
drago, antico simbolo estremo-orientale del Verbo, suscita soltanto idee
“diaboliche” nello spirito degli Occidentali moderni?»
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiElimina