"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

giovedì 2 marzo 2017

Franco Peregrino, La Massoneria demonizzata

Franco Peregrino
La Massoneria demonizzata


In fin dei conti, la foggia dell’animo umano è tale,
che lo si cattura molto più con la finzione che con la verità.
Erasmo, Elogio della Follia, 45.

Ancora nel trentennio conclusivo dell’Ottocento, il mondo occidentale si trovò a subire i contraccolpi di un estremo rigurgito del passato: il fantasma della demonizzazione, riesumato al fine di colpire questa volta la Massoneria.
Contro questa forma iniziatica, l’unica a essere rimasta d’altronde visibilmente operante nell’intero Occidente, fu sferrato un attacco di vaste proporzioni da parte dei più alti rappresentanti dell’exoterismo cattolico, nel pio desiderio di contrastare così l’azione riformatrice che a quei tempi le forze vive della società esercitavano sul potere temporale di Roma; azione, ai loro occhi, da intendersi come il risultato di un complotto ordito dall’«avversario», che della suddetta organizzazione tradizionale si sarebbe servito per metterlo in pratica[1]. Da qui il susseguirsi dei più infami epiteti scagliati contro di essa – «setta nefasta», «peste», «lebbra» – attraverso i ben quasi duecento documenti che Pio IX e Leone XIII gli riservarono, giungendo, nell’enciclica leonina, a bollarla come «città di Satana»!
Bisogna dire che le motivazioni di ordine contingente non spiegano, comunque, il perché sia stata scelta proprio la strada della demonizzazione da parte delle autorità ecclesiastiche; tanto più che, così facendo, esse si discostavano apertamente dall’indirizzo seguito fin allora dai loro predecessori, i quali avevano stabilito nel segreto massonico, invece, l’esplicito movente della loro condanna[2]. La questione resta perciò inesplicabile, a meno di non pensare che le vere ragioni decisive della primitiva scomunica siano state, più che tale segreto, quelle sottaciute in maniera sibillina nella formula «per altri motivi, a Noi noti, giusti e legittimi». Una supposizione tutt’altro che infondata, giacché trova conferma nelle prese di posizione esternate ancor oggi da autorevoli presuli, i quali non si peritano di affermare a tutte lettere che, nonostante ogni tentativo di avvicinamento nei confronti della Chiesa cattolica, l’inconciliabilità persiste comunque poiché, in realtà, deriva dal carattere iniziatico della Massoneria, i cui «riti esoterici si pongono in alternativa ai riti dell’iniziazione cristiana, cioè ai sacramenti»[3]. Quando ci s’imbatte in discorsi del genere svanisce qualsiasi dubbio, e allora tornano in mente le conclusioni a cui giungeva Giovanni Ponte nella sua disamina dei fatti relativi alla bolla del 1738 – che, ricordiamolo, nel giro di un anno avrebbe persino potuto comportare la pena di morte. Ecco le conclusioni di cui parlavamo: «Non sembrerebbe esagerato pensare dunque che, come apparirà ancor più chiaramente dal successivo svolgersi degli eventi, una potenza di suggestione si fosse messa in moto per colpire, schiacciare o deformare in qualsiasi modo un’estrema possibilità iniziatica occidentale rimasta accessibile nonostante tutto. E non dovrebbe essere difficile scorgere, nell’alimentarsi della stolida ostilità ecclesiastica contro l’iniziazione massonica, uno dei capolavori della contro-iniziazione in Occidente»[4]. E non ci si dovrebbe stupire nemmeno, aggiungiamo noi, del fatto che – fin dal 1739 – iniziassero a circolare delle storie inverosimili, condite dei dettagli più osceni, su quanto si pretendeva avvenisse nel corso delle cerimonie libero-muratorie, storie create ad arte sulla base di deposizioni indotte dall’Inquisizione[5].
Se abbiamo evidenziato quest’ultimo punto, è perché cose del genere sono il sintomo distintivo di una malattia che, troppo a lungo, ha ammorbato il pensiero d’Occidente. Per rendere l’idea basteranno alcuni pochi esempi, scelti fra i tanti ben documentati di cui malauguratamente la storia abbonda. Il primo caso che citeremo è riportato da Norman Cohn e risale alla fine del secolo dodicesimo: «Intorno al 1190 il cronista inglese Walter Map, o Mapes, che visse a lungo in Francia, descrisse gli incontri di eretici che si supponeva avessero luogo in varie province francesi, in particolare in Aquitania e in Borgogna. Egli narra che un enorme gatto nero sarebbe disceso sopra la riunione, usando una fune che pendeva dal soffitto; contemporaneamente le luci si sarebbero spente e tutti si sarebbero precipitati ad adorare il gatto – che era, ovviamente, Satana – baciandolo in modo osceno. Da quel momento, l’idea dell’adorazione fisica di un Satana personificato doveva divenire parte integrante dello stereotipo popolare dell’eretico. Nel 1233 lo stesso papa Gregorio IX pubblicò una bolla che descriveva come, nelle riunioni di eretici in Germania, Satana sarebbe apparso sotto le spoglie di un gatto nero, o di una rana, o di un rospo, o di un uomo coperto di pelo; e come la compagnia gli avrebbe dato baci osceni e poi si sarebbe abbandonata a orge e depravazioni»[6]. Lo stesso genere di turpe accusa ricompare in un tardo manoscritto destinato a illustrare gli errori imputati ai Catari; Alfonso di Nola riferisce che «in esso il diavolo, nel luogo dell’assemblea, in loco synagogae, appare talvolta in aspetto di gatto nero, talvolta in aspetto di uomo. Ancora più esplicita – osserva il di Nola – è la dichiarazione dell’ispirazione diabolica del catarismo in Alain de Lille […]. [Secondo costui] il cataro adepto, dopo aver giurato fedeltà al diavolo, rende omaggio al suo nuovo signore baciandolo “in culo vel ano”»[7]. Ai nostri lettori non riuscirà forse troppo sorprendente tale affermazione, se serbano memoria di ciò che dicevamo, in un precedente articolo, sulla serie di domande-accusa cui erano stati sottoposti i Templari agli inizi del Trecento: in una di esse, infatti, il capo d’accusa presupponeva – guarda caso – che il neofita fosse baciato precisamente sul «fondoschiena»; non è difficile, perciò, capacitarsi dell’iniquità di una simile imputazione, appurata la ricorrenza dello stesso genere di idee balorde[8]. Ma non è tutto, anzi, poiché in realtà la grande ventata di demonizzazione che doveva infuriare sull’Europa per parecchi secoli, iniziò a soffiare più tardi: fu difatti solo verso il 1335 che l’Inquisizione, nel solco della lotta senza quartiere contro l’eresia, diede infine il via alla caccia alle streghe. Allora, sfruttando antiche credenze popolari – spiega N. Cohn –, gli inquisitori escogitarono «lo stereotipo della strega come uomo o donna entrati volontariamente al servizio di Satana, avendo ricevuto in cambio il potere di nuocere alla proprietà, alla salute o alla vita di altri uomini. Inoltre, diedero vita all’idea fantastica del sabba delle streghe: ciò che alcuni cronisti avevano sino a quel momento imputato agli eretici […] fu ora imputato ufficialmente alle streghe […]. In questo modo gli inquisitori costruirono l’idea immaginaria di una setta misteriosa, dotata di poteri soprannaturali, che dietro ordine di Satana muoveva incessantemente guerra ai cristiani e al cristianesimo»[9]  [il corsivo è nostro]. Non c’è di che stupirsi, dunque, se vediamo ripetersi la solita nefandezza, addossata questa volta alla figura della «strega», la quale, giunta al sabba, era tenuta a salutare Satana con il «bacio vergognoso», come sarà poi illustrato nel Compendium maleficarum di Francesco Guaccio.
A questo punto, forse non sarà inutile richiamare la testimonianza di uno dei tanti iniziati che si trovarono a dover fronteggiare di persona quei secoli oscuri. Il personaggio di cui parliamo è Rabelais, e per esporne il pensiero in proposito ci serviremo di un passo tratto dall’opera a lui dedicata da Michail Bachtin. Come quest’ultimo rileva, Rabelais finisce il prologo al terzo libro della sua opera con una serie d’invettive di estrema vivacità e dinamismo: infatti, egli «fa qui allusione alle denunce, calunnie e persecuzioni degli agelasti contro la verità. Usa una invettiva molto curiosa: questi nemici sono venuti “sculettando ad articolare il mio vino”. La parola articuler significa “criticare”, “accusare”, ma Rabelais vi sente la parola cul e gli dà un carattere ingiurioso e abbassante. Al fine di trasformare il verbo articuler in ingiuria, lo accorda con cul : ed è per questo che inserisce la parola culletans. Nell’ultimo capitolo del Pantagruele questa invettiva è sviluppata più dettagliatamente. Parla dei monaci ipocriti, che passano il tempo a leggere i “libri pantagruelici” […] per calunniarli e denunciarli, e chiarisce: “Cioè articolando, monorticulando, torticulando, sculettando, coglionettando e diabolicando, vale a dire calunniando”»[10].
A prescindere dal caso specifico, per un verso assai odioso ma per l’altro illuminante, cui abbiamo dedicato questa carrellata[11], bisogna dire che la demonizzazione fu strumentalmente impiegata per reprimere qualunque diversità presente all’interno del mondo occidentale, e imporre la propria visione esclusivistica. Infatti, al fine di sostenere un tale «ideale» alla rovescia, i rappresentanti decaduti del cristianesimo non esitarono a coinvolgere intere etnie nelle loro accuse: per cui vediamo, in questi tempi bui, partecipare Zingari ed Ebrei della stessa sorte riservata prima agli «eretici» poi a «streghe» e «maghi neri», al punto che la residenza in Europa equivalse per questi ultimi a un lungo martirio. Affievolitasi[12] verso il Settecento, la burrasca riprese a imperversare negli anni conclusivi del secolo successivo: fonte della nuova ondata di antisemitismo fu l’opera di Gougenot des Mosseaux, Le juif, le judaïsme et la judaïsation des peuples chrétiens, pubblicata nel 1869. «Des Mosseaux era convinto – dice N. Cohn – che il mondo fosse nelle mani di un misterioso sodalizio di adoratori di Satana, che egli chiamava “ebrei cabalistici”. Egli immaginò che esistesse una segreta religione demoniaca, un culto sistematico del male fondato dal Demonio proprio agli inizi del mondo. I grandi maestri del culto erano gli ebrei, che Des Mosseaux definiva “rappresentanti in terra degli spiriti delle tenebre”; tra coloro che li avevano aiutati a diffondere il regno del Demonio nel mondo vi erano gli eretici medievali, i Templari e, più recentemente, i Massoni. Il culto s’incentrava sull’adorazione di Satana, simboleggiato da un serpente o da un fallo; i suoi riti consistevano in orge erotiche incredibilmente sfrenate, inframmezzate da momenti in cui gli ebrei uccidevano bambini cristiani per usare il loro sangue a fini magici.
Il libro pretendeva di smascherare un complotto ebraico per dominare il mondo intero mediante il controllo delle banche, della stampa e dei partiti politici: anche questo si supponeva che fosse fatto in nome di Satana e con il suo aiuto»[13]  [il corsivo è nostro].
Il riferimento ci riporta al punto iniziale del nostro studio, che possiamo ora riprendere in esame sulla base dei nuovi elementi apportati: il lettore sarà così in grado di valutare più ponderatamente la natura e la portata di quella campagna antimassonica a cui accennavamo. Se il piano di demonizzazione congegnato per colpire a morte la Massoneria fu messo in atto nel 1873, con l’enciclica Humanum genus di Leone XIII gli sforzi si sarebbero ulteriormente moltiplicati; infatti, alla sua pubblicazione, nel 1884, fece seguito una massa di libelli, fatti comparire astutamente in modo graduale, e destinati a sfruttarne i contenuti antimassonici in tutti i modi possibili. Nello slancio, non ci sarebbero state esitazioni a ricorrere persino alle prestazioni di un lestofante come Léo Taxil, reclutato su due piedi una volta accertata la sua «conversione», peraltro necessaria, visti i precedenti anticlericali fin lì manifestati da questo letteratucolo. Ebbe inizio così, fin dal 1885, la carriera antimassonica di colui che a breve scadenza sarebbe diventato la punta di diamante della suddetta campagna, con l’aiuto delle più spudorate menzogne, accolte allegramente dalle autorità cattoliche. Successivamente, e per circa dodici anni, egli avrebbe puntato verso la Libera Muratoria i propri strali, sfornando a ripetizione pamphlet escogitati espressamente per suscitare reazioni soprattutto emotive, ben sapendo dell’efficacia di questo mezzo per agire sulle masse. Noi non possiamo diffonderci qui su questo affaire, poiché la cosa richiederebbe un articolo a sé stante; nondimeno, basteranno un paio di particolari per permettere al lettore curioso di conoscere il vero volto della mistificazione taxiliana. E, sotto quest’aspetto, tra le tante mistificazioni partorite da Taxil assieme ai suoi degni soci e ai loro principali imitatori non c’è che l’imbarazzo della scelta: dal «telefono infernale» con cui si prendono gli ordini ogni mattina da Lucifero in persona, all’infame mania di svolazzare per i cieli d’Europa «sulle ali di Satana», giù giù fino alle melodie eseguite al pianoforte da un… «coccodrillo alato»! Era questo il genere di rivelazioni scottanti che riempivano le pagine del complesso di pubblicazioni destinate ai credenti, in seguito sconfessate rocambolescamente dallo stesso Taxil di fronte a una sala gremita di pubblico. Soffocato una volta per tutte il ritorno di fiamma della demonizzazione, con la teatrale e clamorosa ritrattazione della sua ingrata primadonna, ai promotori dell’ignobile impresa non rimase altro che tirare i remi in barca e leccarsi le ferite.
Ora, le conseguenze di siffatta propaganda – durata complessivamente ventiquattro anni – non potevano se non farsi sentire in modo deleterio sulla Massoneria, in particolare su quella «latina». Così, seppur con quattro anni d’esitazione rispetto all’enciclica di Pio IX, in cui per la prima volta l’Ordine era attribuito ex cathedra a Satana, il Grand Orient de France scioglieva i propri membri dall’obbligo di credere nell’Essere supremo. La riforma avveniva proprio nel momento in cui quest’Obbedienza si preparava a scendere in lizza sul campo politico: essa preludeva perciò a quanto doveva succedere poi, a misura che gl’interessi contingenti incominciarono a prevalere sulla coscienza dello scopo iniziatico. In effetti, Denys Roman riferisce come, sui primi del Novecento, era già stato necessario provvedere al caso suscitato da certe «Logge ultrarazionalistiche […], che semplificavano il rituale o addirittura non se ne servivano più, ritenendolo ormai superato. Altre avevano abolito l’uso dei paramenti – grembiuli e sciarpe – sostituendoli con un semplice distintivo»[14]. E le cose non sarebbero andate meglio in Italia, poiché il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia si vedeva a sua volta costretto a decidere «l’accelerazione del processo di totale politicizzazione dell’Ordine»[15] A questo proposito Aldo Mola illustra benissimo quale fosse la situazione: «Semplificazioni o piuttosto abbreviazioni che inizialmente erano state circoscritte nei confini di eccezionale concessione ad apparenti “ragioni di forza maggiore” […], avevano col tempo generato nei confronti del rituale l’insofferenza, il fastidio e persino il disprezzo che, nelle forme del sarcasmo, vien riservato a ciò che non si conosce appieno. Casi come quelli di Errico Malatesta – accolto in loggia previa dispensa, a richiesta, dalle “ridicole prove dell’iniziazione”, come venne debitamente verbalizzato, a disdoro di quanti vi si erano e sarebbero sottoposti – andavano facendosi più numerosi sino a divenire pressoché ordinari, proprio per i recipienti di maggior grido nel mondo profano, usi a subitanee, intensissime, folgorazioni sulla via dellaVera Luce; non meno di quanto accadeva, nello stesso periodo, in Francia, Spagna e molti altri paesi, soprattutto di tradizione “latina”»[16] [il corsivo è nostro]. Fu pertanto in questa fase critica, in cui le preoccupazioni di ordine contingente assunsero una importanza considerevole per far fronte alle calunnie, che si verificò un impoverimento dello spirito iniziatico nelle obbedienze latine; e se si può parlare d’impoverimento, invece che di vera e propria perdita – contrariamente a quanto è avvenuto nel caso della Carboneria –, ciò è dovuto al fatto che, nonostante ogni contrarietà, in esse si è sempre conservata una certa consapevolezza del loro carattere iniziatico. E non è senza fondati motivi perciò che René Guénon, allorché osserva che la vera ragion d’essere del simbolismo si colloca di là dalle concezioni sociali e politiche, si pone questa eloquente domanda: «Non è stato, infatti, proprio questo [e cioè il predominio di un simile punto di vista] che ha fatto perdere alla Massoneria moderna la comprensione di quel che essa ancora conserva dell’antico simbolismo e delle tradizioni di cui, nonostante tutte le sue insufficienze, essa sembra essere, bisogna pur dirlo, l’unica erede nel mondo occidentale attuale?»[17] . Ecco, dunque, qual è stata la più nociva delle conseguenze scaturite dalla messa in pratica di un disegno antitradizionale come quello che abbiamo esaminato. Non bisogna, tuttavia, ritenere che tale ferita non sia in qualche modo rimarginabile, giacché altrimenti l’intera opera di R. Guénon, quella dei nostri predecessori e la nostra stessa non avrebbero alcun senso.
Sul versante cattolico, a pagare lo scotto del cinico colpo di scena taxiliano, furono i numerosi membri del basso e alto clero che ne avevano avallato le impossibili rivelazioni: caduti a un tratto nel ridicolo, essi dovettero assumere, di qui in avanti, un’attitudine per forza di cose assai più circospetta. L’intera vicenda comportò, tuttavia, conseguenze molto più estese e di un ordine più profondo. Per un verso, essa contribuì a spingere la maggior parte dell’opinione pubblica cattolica ad adottare, in pratica e inconsciamente, una mentalità modernista. In una delle sue prime opere, R. Guénon accenna proprio a tale questione: «Non si può parlare del diavolo, si sa, senza provocare, da parte di quanti si fanno un punto d’onore di essere più o meno “moderni” (e sono la stragrande maggioranza dei nostri contemporanei), sorrisi sdegnosi o alzate di spalle ancor più sprezzanti. Ci sono inoltre persone che, pur avendo determinate convinzioni religiose, non rifuggono dall’assumere questo atteggiamento forse per semplice timore di figurare “retrograde”, o fors’anche con maggiore sincerità. […] Indubbiamente una certa prudenza è spesso necessaria, ma prudenza non vuol dire negazione a priori e senza discernimento; tuttavia occorre affermare, a parziale discolpa di alcuni ambienti cattolici, che il ricordo di mistificazioni troppo famose, come quella di Léo Taxil, non è estraneo a una simile negazione; la conseguenza è che da un eccesso ci si è buttati in quello opposto; se una delle astuzie del diavolo è di farsi negare, bisogna ammettere che non ci è riuscito troppo male»[18].
Per un altro verso, è incontestabile che le farneticazioni taxiliane lasciarono il segno nel pubblico cattolico, gran parte del quale si lasciò soggiogare emotivamente dalla sensazione rimastagli, per cui iniziò a vedere la Libera Muratoria come una sorta di «contro-chiesa» di natura infernale. Un tale clima generale di prevenuta avversione a questa via iniziatica farà sì che, anche chi nutriva una qualche aspirazione verso una conoscenza che superasse le sole apparenze, pur possedendo le qualificazioni richieste, non ne avrà di fatto più l’occasione a causa di un simile condizionamento. E questa è un’altra delle deplorevoli conseguenze derivate dall’estremo caso di demonizzazione che registra la storia occidentale. A questo punto non ci rimane che spendere qualche parola per rimettere in luce l’accezione tradizionale del termine «demonio», utilizzato in Occidente ormai da tempo alla stregua di mero spauracchio per preservare i privilegi del proprio ceto. Questa parola deriva dal greco dáimôn, che in origine aveva una doppia valenza: una, inferiore o cosmologica, l’altra, superiore o metafisica, per cui si parlava di Kakos Dáimôn e di Agathos Dáimôn; si tratta in fondo della distinzione fra l’io e il enunciata universalmente dalle diverse tradizioni, non essendo tale «io» altro che il riflesso tenebroso e capovolto del «Sé». E si può capire, perciò, come il demonio non sia affatto una potenza esteriore all’uomo, ma s’identifichi al contrario con la sua volontà di esistenza individuale; fintantoché persista nella sua ribellione, questo nostro io non troverà pace, poiché il combattimento avrà fine soltanto quando Cristo riuscirà a sconfiggere l’Anticristo; ristabilito così l’ordine in se stessi, si potrà annunciare con san Paolo: «Io vivo, eppur non io, ma Cristo in me» (lettera di san Paolo ai Galati, 2-20). Si tratta, tutto sommato, dello stesso identico concetto ritrovabile anche nella nota espressione rituale massonica secondo cui «il Compasso è ora finalmente sovrapposto alla Squadra». Non bisogna dunque credere che il Demonio sia una persona, munita magari di corna e di coda, un serpente o un drago[19], ma piuttosto una vera e propria «legione », vale a dire una moltitudine di personificazioni postulate, ciascuna delle quali può essere in realtà liberata e rigenerata, come tutte le tradizioni insegnano, e come già sosteneva Origene; e questo per la semplice ragione che questa figura rappresenta, secondo sant’Agostino, nient’altro che la «privazione del bene».
Che vi siano degli spiriti timorosi che preferiscano affidarsi supinamente ai racconti altrui invece di darsi da fare per appurare come stiano effettivamente le cose, è purtroppo un dato di fatto; ed è proprio questo che ha reso possibile la suggestione di cui abbiamo trattato. Noi non pensiamo però che i nostri lettori rientrino in questo caso, e, proprio per tale motivo abbiamo esposto i fatti in modo schietto – ma succinto, affinché abbiano la possibilità di approfondire ciascuno da sé l’argomento. Consapevoli del fatto che ogni cedimento nei confronti della verità, fosse pure solo per via di omissione, è un tradimento del vero, o meglio equivale al suo contrario cioè alla menzogna, noi siamo alieni dalle finzioni fabbricate disinvoltamente da coloro che, veri e propri orbi nello spirito, sono esclusivamente mossi dal desiderio di avere il sopravvento a qualunque prezzo. E se ci siamo decisi ad affrontare una questione di questo genere, così lontana dalle tematiche cui preferiamo per lo più occuparci, è perché in questo modo abbiamo voluto recare il nostro modesto contributo affinché le generazioni future non debbano mai più subire le violenze indegne da parte d’individui simili a coloro che, per circa nove secoli, furono capaci di scatenare contro gl’iniziati in generale e, infine, contro i Liberi Muratori in particolare, l’assurda accusa di essere dei «servitori di Satana».

Tratto da: «La Lettera G» N°14 - 2011 - http://www.laletterag.it




[1] «Ciò dimostra che tutto è diretto e disposto da un’unica mente, che altra non può essere se non quella dell’eterno avversario di Dio, il Diavolo. Fu egli a porre la prima orditura di questa tela nelle conventicole dei suoi seguaci, detti Frammassoni, e lì a poco a poco andò intessendola e svolgendola». Proprio in questi termini si rivolgeva Pio IX al sindaco di Taubaté, come riferisce A. Mola nella Storia della Massoneria italiana, Bompiani, Milano 1994, p. 169.

[2] A dire il vero, il movente in questione appare inconsistente, come fa notare G. Ponte nel suo scritto titolato «L’iniziazione massonica nel mondo moderno» (cfr. «Rivista di Studi Tradizionali» n. 32, gennaio-giugno 1970, pp. 113-14). A beneficio del lettore ne riproduciamo un passaggio: «La stessa bolla di Clemente XII, per giustificare la condanna, denuncia quasi come un crimine la disciplina del segreto: tale segreto, invece di far pensare, come sarebbe stato naturale, alla “disciplina arcani” iniziatica già affermata dai Padri della Chiesa (…), dà luogo a un giudizio degno del “senso comune” più grossolanamente profano: “se non facessero niente di male, non avrebbero tanto in odio la luce”, cioè la profanazione del loro segreto. Che dunque sarebbe successo se nei primi tempi del Cristianesimo i catecumeni avessero applicato questo bel ragionamento ai loro sacerdoti?» 

[3] Cfr. «Religione e Massoneria», testo presentato da S. E. Mons. E. Corecco, vescovo di Lugano, in occasione del «Convegno su stato, religione e massoneria» organizzato nel 1994, a Lugano, dalla Loggia «Signa Hominis N. 60».

[4] G. Ponte, «L’iniziazione massonica nel mondo moderno », cit., p. 115.

[5] . Mola riporta come uno svanito O. Minnerbetti avesse confessato agli inquisitori che «le Logge propiziavano pratiche di vicendevoli masturbazioni e raffinatezze sodomitiche»! (Storia della Massoneria italiana, cit., p. 85).

[6] N. Cohn, «Il mito di Satana», in La Stregoneria, a cura di M. Douglas, Einaudi, Torino 1980, pp. 41-42.

[7] Alfonso di Nola, Il Diavolo, Newton Compton, Roma 1991, pp. 256-57.

[8] Si veda a questo proposito il nostro scritto «La fine dei Templari e le sue conseguenze», in «La Lettera G» n. 5, Equinozio d’Autunno 2006.

[9] N. Cohn, «Il mito di Satana», in La Stregoneria, cit., p. 44.

[10] M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Einaudi, Torino 1995, p. 188.

[11] Sul carattere ripugnante di quanto è stato riportato, i fatti parlano chiaro. Non ci rimane che proporre all’attenzione dei nostri lettori quel che, su questo aspetto in particolare, riferisce R. Guénon: «Se il diavolo è in grado di essere teologo quando gli pare opportuno, sarà anche in grado, e a fortiori, di essere moralista, il che richiede anche meno intelligenza». E ancora: «Ma, a questo proposito, c’è da fare un’altra osservazione: gli ambienti dove si avverte il bisogno di predicare la morale a ogni piè sospinto sono di fatto i più immorali; ognuno si spiegherà questo fatto come meglio potrà, ma si tratta di una realtà; per noi la spiegazione, semplicissima, è che tutto quello che ha attinenza con questo campo mette inevitabilmente in gioco ciò che v’è di più basso nella natura umana. Non per nulla, infatti, le nozioni morali di bene e di male sono inseparabili l’una dall’altra e non possono sussistere che per reciproca opposizione» (cfr. Errore dello spiritismo, Luni Editrice, Milano 1998, «La questione del satanismo», pp. 304-5).

[12] Il momento culminante della caccia alle streghe si verificò nel bel mezzo della Guerra dei Trent’anni: fu difatti in concomitanza con la riconquista cattolica che si moltiplicarono notevolmente i processi alle cosiddette streghe. All’epoca erano i Rosacrociani a essere presi di mira: per esempio, il gesuita F. Garasse, in un suo libro comparso nel 1623, afferma che «alcuni Rosa-Croce sono stati recentemente condannati come stregoni a Malines» ed esprime la sua ferma opinione che «meritano tutti il supplizio della ruota o la forca. Nonostante un’apparente devozione, in realtà sono perfidi stregoni, pericolosi per la religione e per lo Stato» (i corsivi sono nostri) (cfr. F. Yates, L’illuminismo dei Rosa-Croce, Einaudi, Torino 1976, p. 125).

[13] N. Cohn, «Il mito di Satana», in La Stregoneria, cit., p. 47.

[14] D. Roman, Réflexions d’un chrétien sur la Franc-Maçonnerie, Éditions Traditionnelles, Parigi 1995, cap. XVI, p. 219.

[15] A. Mola, Storia della Massoneria italiana, cit., p. 221.

[16] Ibid., p. 269

[17] R. Guénon, Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, Éditions Traditionnelles, Parigi 1971, tomo I, «A propos des Constructeurs du Moyen Âge», p.16.

[18] R. Guénon, Errore dello Spiritismo, cit., pp. 290-91.


[19] A proposito di questa ossessione tutta occidentale per il drago o per il serpente, vale la pena ricordare ciò che scrive R. Guénon nel suo articolo dedicato a «Sheth», che attualmente costituisce il cap. XX della raccolta postuma Simboli della Scienza sacra (Adelphi, Milano 1975): «Si potrebbe dire che la stregoneria è fatta dalle vestigia delle civiltà morte; sarà forse per questo che il serpente, nelle epoche più recenti, ha conservato quasi solo il suo significato malefico, e il drago, antico simbolo estremo-orientale del Verbo, suscita soltanto idee “diaboliche” nello spirito degli Occidentali moderni?»

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