Meister Eckhart
Gesù entrò nel Tempio e cominciò a scacciare quelli che vendevano e compravano[1]
[1.][2] Noi leggiamo nel santo Vangelo che Nostro Signore entrò nel Tempio, scacciò quelli che compravano e vendevano, e disse agli altri che offrivano tortore e altre cose simili: Togliete queste cose, portatele via! [Cfr.. Gv 2,16].
Perché Gesù cacciò quelli che compravano e vendevano, e ordinò a quelli che tenevano delle tortore di portarle via? Non indicava niente altro se non la sua volontà di vedere vuoto il Tempio, proprio come se avesse voluto dire: Io ho un diritto su questo Tempio, voglio starvi da solo e averne la sovranità. Cosa intende con ciò? Questo tempio, in cui Dio vuole regnare da Signore secondo la sua volontà, è l’anima umana che egli ha formata e creata perfettamente simile a se stesso[3]; infatti noi leggiamo che il Signore dice: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza [Gn 1,26]. E così ha fatto. Ha creato l’anima dell’uomo così simile a se stesso che né in cielo né in terra, tra tutte le magnifiche creature che Dio ha tanto mirabilmente create, ve n’è alcuna che gli sia tanto simile quanto l’anima umana. Perciò Dio vuole che questo tempio sia vuoto, perché non vi sia all’interno che lui solo. Perciò questo tempio gli piace tanto, perché è così simile a lui, e tanto che egli si diletta in esso quando vi si trova da solo.
[2.] Notatelo bene, dunque! Chi erano le persone che compravano e vendevano, e che sono ancora? Fate bene attenzione! Non voglio parlare ora altro che delle persone dabbene. Tuttavia voglio stavolta indicare chi erano e sono questi mercanti che compravano e vendevano in tal modo, e ancora lo fanno, e che Nostro Signore cacciò e mise fuori. Egli lo fa ancora con tutti quelli che comprano e vendono in questo tempio: non vuole lasciarvene alcuno[4]. Vedete, sono tutti mercanti quelli che si astengono dai grossolani peccati, che vorrebbero essere gente dabbene e compiono buone opere in onore di Dio, come digiunare, vegliare, pregare e altre cose simili - ogni sorta di opera buona -, ma le compiono perché Nostro Signore dia loro qualcosa in cambio o faccia in cambio qualcosa di piacevole per loro: questi sono tutti mercanti. Bisogna intenderlo in questo senso generale; infatti essi vogliono dare una cosa in cambio di un’altra, e in questo modo commerciare con Nostro Signore. Facendo questo commercio si ingannano. Infatti, anche se donassero tutto quello che hanno e compissero tutto ciò che possono, se dessero per Dio tutto ciò che hanno e compissero tutto assolutamente per Dio, Dio non sarebbe comunque tenuto a dare o fare alcunché per essi, a meno di non volerlo di suo buon grado e gratuitamente. Infatti, ciò che essi sono, lo sono grazie a Dio, e ciò che hanno, lo ottengono da Dio e non da loro stessi. Perciò Dio non deve loro assolutamente nulla in cambio delle loro opere e dei loro doni, a meno di non volerlo fare di suo buon grado, per la sua grazia, non a causa delle loro opere né dei loro doni, giacché esso non danno niente di proprio e non agiscono da se stessi, come Cristo ha detto: Senza di me non potete fare niente [Gv 15,5]. Sono persone del tutto sciocche quelle che vogliono commerciare in questo modo con Nostro Signore; persone che non sanno della verità che poco o nulla. Perciò nostro Signore le cacciò dal tempio e le espulse. La luce e le tenebre non possono dimorare insieme. Dio è la verità e luce in se stesso[5]. Quando dunque Dio entra in questo tempio, ne caccia l’ignoranza, ovvero le tenebre, e si rivela con luce e verità. Quando la verità è riconosciuta, se ne sono andati i mercanti, e la verità non desidera alcun mercanteggiare. Dio non cerca il proprio bene; in tutte le opere è vuoto e libero, e le compie per vero amore. Lo stesso fa l’uomo che è unito a Dio: anch’egli è vuoto e libero in tutte le opere, e le compie soltanto per l’onore di Dio, senza cercare il proprio bene, e Dio le compie in lui.
[3.] Dico ancora di più: finché l’uomo cerca in tutte le sue opere qualcosa di ciò che Dio può o vuole donare, egli è uguale a questi mercanti. Se tuo cuoi essere completamente libero da questo mercanteggiare, perché Dio possa ammetterti nel tempio, devi fare tutto quello di cui sei capace in ogni opera unicamente a lode di Dio, e ne devi esser tanto distaccato quanto lo è il nulla, che non è né qui né là. Non devi desiderare assolutamente nulla in cambio. Quando agisci così, le tue opere sono spirituali e divine, e allora i mercanti sono tutti cacciati dal tempio e Dio vi abita da solo; infatti quest’uomo non ha che Dio in vista. Vedete, così il tempio è liberato da tutti i mercanti. Vedete, l’uomo che non ha in vista né se stesso né alcuna altra cosa, ma solo Dio e l’onore di Dio, è veramente libero e distaccato da ogni mercanteggiare in ogni sua opera e non cerca il proprio bene, nello stesso modo in cui Dio è distaccato in ogni sua opera, e libero, e non cerca il proprio bene.
[4.] Inoltre io ho detto che Nostro Signore disse a quelli che offrivano tortore: Portatele via, toglietele! [Gv 2,16] Egli non respinse le persone, non le rimproverò duramente, ma parlò loro con benevolenza: Portatele via!, come se volesse dire: Ciò non è male, ma tuttavia crea degli ostacoli alla verità pura. Queste persone sono tutte dabbene e compiono le loro opere soltanto per Dio, e non vi cercano il proprio bene, ma tuttavia sono legate al proprio Io[6], al tempo e al numero, al prima e al poi. In queste opere, un ostacolo si oppone loro alla suprema verità: essi dovrebbero essere liberi e distaccati come è libero e distaccato Nostro Signore Gesù Cristo, il quale, in ogni tempo e fuori del tempo, incessantemente e di nuovo, riceve se stesso dal proprio Padre celeste e, in quello stesso istante, incessantemente si genera in modo perfetto, di rimando, con una lode riconoscente nella grandezza paterna, in uguale dignità.
Così dovrebbe essere l’uomo che vuole rendersi accessibile alla verità più alta, e vivervi senza un prima e un poi, senza essere ostacolato da tutte le opere e da tutte le immagini di cui ha avuto conoscenza, libero e distaccato, ricevendo incessantemente di nuovo il dono divino nel presente e, di rimando, generandolo senza ostacolo in questa stessa luce in Nostro Signore Gesù Cristo, con una lode riconoscente. Così se ne andrebbero le tortore, ovvero gli ostacoli e l’attaccamento al proprio Io; in tutte quelle opere, che peraltro sono buone, in quanto l’uomo non vi cerca il proprio bene. Perciò Nostro Signore dice con benevolenza: Toglietele, portatele via! Come se avesse voluto dire: Ciò è bene, ma porta con sé degli ostacoli.
[5.] Quando questo tempio si libera così da tutti gli ostacoli, ovvero dall’attaccamento a se stessi e dall’ignoranza, il suo splendore è così bello, esso brilla con tanta purezza e chiarezza al di sopra di tutto quello che Dio ha creato, che niente può avere altrettanto splendore, se non il solo Dio increato. In tutta verità, nessuno è veramente uguale a questo tempio, se non il solo Dio increato. Tutto ciò che è al di sotto degli angeli non assomiglia assolutamente a questo tempio. Gli angeli più elevati assomigliano fino a un certo grado a questo tempio dell’anima nobile, ma non completamente. È esatto che assomigliano all’anima in qualche modo, per quanto concerne la conoscenza e l’amore. Tuttavia a loro è fissato un segno, ed essi non possono passarlo. Invece l’anima può andare oltre. Se l’anima di un uomo che vive ancora nel tempo fosse alla stessa altezza dell’angelo più elevato, questo uomo potrebbe ancora, grazie alla sua libera possibilità, giungere incomparabilmente più in alto al di sopra dell’angelo, di nuovo, ogni istante, senza numero, ovvero senza modo, al di sopra del modo degli angeli e di ogni intelletto creato[7]. Dio solo è libero e increato, e perciò egli solo è simile all’anima quanto alla libertà, ma non quanto al carattere increato, giacché essa è creata. Quando l’anima giunge alla luce pura, essa penetra nel suo nulla, così lontana in questo nulla dal suo qualcosa creato che essa non può assolutamente tornare con la forza propria nel suo qualcosa creato. E Dio, con il suo essere increato, si pone sotto il nulla dell’anima e la mantiene nel suo qualcosa. L’anima ha osato essere annientata e non può più tornare da sola a se stessa, tanto si è allontanata da se stessa prima che Dio l’abbia sostenuta[8]. Così avviene necessariamente. Infatti, come ho detto prima, Gesù era penetrato nel Tempio e ne aveva espulso quelli che compravano e vendevano, e cominciò a dire agli altri: Togliete ciò! Ora, vedete, io prendo questa piccola parola: Gesù entrò e cominciò a dire: Togliete ciò!, ed essi lo tolsero.
[6.] Vedete, non c’era là altri che Gesù solo, ed egli cominciò a parlare nel Tempio. Vedete, sappiatelo in verità! Se qualcuno diverso da Gesù vuole parlare nel tempio, ovvero nell’anima, Gesù tace, come se non fosse a casa propria, ed egli non è a casa propria nell’anima, giacché essa ha degli ospiti stranieri con i quali parla. Ma se Gesù deve parlare nell’anima, bisogna che essa sia sola e che taccia, se deve sentir parlare Gesù. Allora egli entra e comincia a parlare. Cosa dice il Signore Gesù? Dice cosa egli è. Cosa è dunque? Egli è il Verbo del Padre. In questo stesso Verbo il Padre stesso esprime tutta la natura divina, e tutto ciò che Dio è e tal quale lo conosce; e lo conosce tal quale è. E, come egli è perfetto nella sua conoscenza e nella sua potenza, così è perfetto anche nella sua parola. Esprimendo il Verbo, egli esprime se stesso e tutte le cose in un’altra Persona, le dà la sua stessa natura, ed esprime nello stesso Verbo tutti gli spiriti dotati di intelletto, simili a questo stesso Verbo secondo l’immagine, nella misura in cui questa permane all’interno, non tuttavia simile a queste stesso Verbo, in quanto esso risplende all’esterno[9]. Ogni immagine ha di per sé un proprio particolare essere, ma le immagini hanno ricevuto la possibilità di ottenere per grazia una somiglianza con questo stesso Verbo. E questo stesso Verbo, tal qual è in se stesso, il Padre lo ha completamente espresso: il Verbo, e tutto ciò che è nel Verbo.
[7.] Essendosi il Padre così espresso, cosa dice dunque Gesù nell’anima? Come ho detto: il Padre esprime il Verbo e si esprime nel Verbo, non altrimenti; Gesù invece parla nell’anima. Il modo della sua parola è il rivelare se stesso, come tutto ciò che il Padre ha espresso in lui, secondo il modo con cui lo spirito è recettivo. Egli rileva la sovranità del Padre nello spirito, nella medesima incommensurabile potenza[10]. Quando lo spirito riceve questa potenza nel Figlio e grazie al Figlio, progredisce potentemente, in guisa tale da divenire simile e potente in ogni virtù, e in ogni perfetta purezza, così che né amore né dolore né tutto ciò che Dio ha creato nel tempo è capace di turbare l’uomo, ed egli permane potentemente come una forza divina, nei confronti della quale tutte le cose sono piccole e impotenti.
In secondo luogo Gesù si rivela nell’anima con la Sapienza infinita che egli stesso è; in questa Sapienza il Padre si conosce con tutta la sua paterna sovranità, come questo stesso Verbo che è anche la Sapienza stessa, e tutto ciò che vi è incluso lo conosce come un unico Uno. Quando questa Sapienza si unisce all’anima, ogni dubbio, ogni errore, ogni tenebra le vengono del tutto tolti; essa è trasportata in una luce pura e chiara, che è Dio stesso, così come dice il profeta. Signore, nella tua luce si conoscerà la luce [Sal 35,10]. Allora è con Dio stesso che Dio è conosciuto nell’anima; allora, con questa Sapienza, essa conosce se stessa e tutte le cose, e conosce questa stessa Sapienza con Dio stesso, e con la stessa Sapienza conosce la sovranità paterna nella sua forza generatrice feconda, e l’essere originario nella sua essenza[11], secondo la semplice Unità, senza alcuna distinzione.
[8.] Gesù si rivela anche con una dolcezza e pienezza infinite, che scaturiscono dalla forza dello Spirito santo e traboccano e si effondono, con una pienezza e una dolcezza ricca e sovrabbondante, in ogni cuore ricettivo. Quando Gesù si rivela con questa pienezza e dolcezza e si unisce all’anima, l’anima con questa pienezza e dolcezza fluisce in se stessa e fuori di se stessa e al di sopra di se stessa e di tutte le cose create, per grazia, con forza e senza mediazione[12] tornando nella sua origine primaria. Allora l’uomo esteriore obbedisce all’uomo interiore fino alla sua morte, e allora è sempre in una costante pace, al servizio di Dio12.
Che Dio ci aiuti perché Gesù possa così giungere in noi, respingere e allontanare tutti gli ostacoli, renderci Uno come egli è Uno, un Dio con il Padre e lo Spirito santo, perché diveniamo e permaniamo eternamente Uno con lui. Amen.
Note di Marco Vannini [le chiose in corsivo e tra parentesi-quadre sono nostre]
FONTE: da I Sermoni, a cura di Marco Vannini, ed. Paoline, pp. 91-98
Tratto da: http://arka-traditioperennis.blogspot.it/
[1] Mt 21,12
[2] Il sermone è testimoniato per intero in quattordici manoscritti, frammentariamente in altri due; inoltre nelle Opere di Taulero stampate a Basilea (1521) e a Colonia (1543). È uno dei più celebri e significativi di Eckhart. Il testo di Mt 21,12, che lo introduce, è tratto dal Vangelo letto il martedì dopo la prima domenica di Quaresima. Theisen (Predigt, 121 e 474) lo data all’11 Febbraio 1326, considerandolo il primo di una serie di sermoni quaresimali, insieme ai Serm. 49, 37, 51, 19, 26, 25, 18, 79 e 59.
[3] Che l’anima sia tempio di Dio è concetto classico prima ancora che cristiano (cfr. ad es. Porfirio, Lettera a Marcella 19; si veda comunque 1Cor 3,16-17; 2Cor 6,16. In SL 249 Eckhart ripete che «dimora di Dio è l’essenza stessa dell’anima, in cui entra Dio soltanto»). Ci si riferisce qui al fondamentale concetto di «fondo dell’anima», per cui cfr. Vannini, Fondo.
[4] Sono «mercanti» quelli che agiscono per un «perché», insozzando così l’azione stessa, che perde il suo valore assoluto. Il concetto si trova in Margherita Porete, nello Specchio 57, 63, passa poi nella cosiddetta Teologia tedesca, in Angelus Silesius (cfr. Pellegrino 1,289) per giungere fino a Heidegger. [in realtà, tale dottrina tradizionale dell’«agire senza-agire» non ha nulla a che vedere con alcun pensiero individuale filosofico, moderno o contemporaneo]
[5] La metafora della luce divina accompagna tutta la storia del cristianesimo e, insieme, del neoplatonismo, fino a costituire una vera e propria metafisica della luce. Dionigi Areopagita (Gerarchia celeste 3,2 e 4,2) e Agostino (La Genesi alla lettera 4,23,40 - d’ora in poi ciata Gen. Let.) sono gli antecedenti principali dell’idea che, dopo la luce divina, esista una luce angelica che ha funzione mediatrice tra la prima e la terza luce, quella dell’anima. Tali concetti ricorrono con molta frequenza nei sermoni eckhartiani.
[6] È questo il male radicale da cui dipendono tutti gli altri. È infatti ciò che impedisce il dispiegarsi in noi dell’universale, ovvero della luce divina, che pure ci costituisce essenzialmente. Alla egoità (eigenschaft) fa riferimento tutta la mistica speculativa germanica, da Taulero all’Anonimo Francofortese, a Silesius, fino a giungere, ai nostri giorni, a Robert Musil, nel suo Der Mann ohne Eigenschaften (tradotto in italiano assai poco felicemente con L’uomo senza qualità), a Ingeborg Bachmann (Das dreissigste Jahr, Monaco 1982), ed Erich Fromm, nel suo Avere o essere, Milano 1977. [vedi la nostra precisazione poco sopra]
[7] Contro la fissità dogmatica di Dionigi, Eckhart fa vedere la nobiltà dell’anima umana che, nella libertà, è al di sopra degli angeli. Il pensiero è ripreso da Silesius (Pellegrino 2,21.23,44), che parla di «sovrangelicità».
[8] L’anima che annienta se stessa, che perde la propria volontà e il legame all’io psicologico, non può tornare indietro, alla dipendenza dalle cose. Perciò in essa il sostegno, il fondamento, è ormai Dio soltanto. [al grado spirituale indicato qui da Meister Eckhart - cioè l’uscita dell’essere dal «Cosmo» manifestato nel «Non-Essere» divino» -, siamo ormai e da molto bel lontani da qualsiasi legame possibile con un “io psicologico”, per quanto tale realizzazione iniziatica possa avvenire ancora “in vita” e nella modalità umana corporea; cfr. René Guénon, “Realizzazione ascendente e discendente” in Iniziazione e realizzazione spirituale, ed. Luni]
[9] La conformità al Verbo da parte dell’uomo non concerne l’esteriorità di Cristo uomo, che fu diverso da ciascuno di noi, ma l’interiorità dell’immagine divina: in questo consiste la vera imitazione di Cristo, e non in una impossibile e assurda imitazione di detti e fatti compiuti una volta in Galilea. Lo stesso insegnamento è recepito dall’Anonimo Francofortese nel Libretto della vita perfetta. [pur non conoscendo l’opera dell’Anonimo Francofortese qui citata, ci permettiamo fortemente di dubitare qualora essa sia di impostazione veramente tradizionale che in essa vi siano esposte le considerazioni del tutto individuali e persino anti-tradizionali riportate in questa nota da Marco Vannini. Per quanto ogni verità metafisica sia indipendente da qualsiasi contingenza storica, può trovare essa pure nei fatti storici la sua propria corrispondente manifestazione, per cui la conformità al Verbo da parte dell’uomo concerne, in questo caso, sia l’esteriorità di Cristo uomo nei suoi detti e fatti sia l’interiorità dell’immagine divina. Nella tradizione islamica, questi due aspetti complementari della realizzazione spirituale si rifanno ai due nomi divini Al-Zâhir e Al-Bâtin]
[10] Potenza, sapienza, bontà sono le proprietà rispettivamente del Padre, del Figlio, dello Spirito, in conformità alla teologia scolastica (cfr. Pietro Lombardo, Sentenze 1,34,3 n. 309; Tommaso d’Aquino, S. Th. I. q. 39 a. 8), ma anche con riferimento ad Agostino, La Trinità 12,11,18. Tali proprietà si comunicano anche all’uomo distaccato, ormai privo dell’accidentale egoità e fatto universale.
[11] Ovvero l’unità essenziale di Dio, precedente alla distinzione delle Persone.
[12] Questa frase fu incriminata dai censori di Colonia, che vi videro una sorta di affermazione quietistica, quasi la impeccabilità dell’uomo distaccato. La coppia antinomica uomo esteriore/uomo interiore risale a Paolo (2Cor 4,16), ma è, prima ancora, platonica (Politico 589 a) e plotiniana (Enneadi 5,1,10). [la stessa dottrina si ritrova pure nei testi delle Tradizioni orientali, come ad esempio l’immagine dei due uccelli, uno che mangia e l’altro che solo osserva, posti entrambi su uno stesso Albero e descritti nelle Upanishad indù, etc.]
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