"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

sabato 11 luglio 2020

René Guénon, Studi sull'Induismo - VII - Tantrismo e magia

René Guénon
Studi sull'Induismo

VII - Tantrismo e magia[1]

In Occidente si ha l’abitudine di attribuire al Tantrismo un carattere «magico», o per lo meno di credere che la magia abbia nel Tantrismo una parte predominante; questo, per quel che riguarda il Tantrismo, è un errore di interpretazione, ma forse è anche un errore di interpretazione per quel che riguarda la magia, nei confronti della quale i nostri contemporanei in genere non hanno che idee estremamente vaghe e confuse, come abbiamo fatto notare in un nostro articolo recente. Su quest’ultimo punto qui non torneremo; quel che faremo, assumendo la magia in senso rigorosamente proprio e dando per scontato che essa venga interpretata in tal modo, sarà invece soltanto di domandarci cos’è che nel Tantrismo può dar pretesto a questa falsa interpretazione, giacché è sempre più interessante spiegare un errore che non fermarsi alla sua pura e semplice constatazione.
Per incominciare ricorderemo che la magia, per quanto basso sia il suo rango proprio, è tuttavia una scienza tradizionale autentica; in quanto tale, essa può avere un posto legittimo fra le applicazioni di una dottrina ortodossa, purché si tratti soltanto del posto subordinato e assai secondario che si attaglia al suo carattere essenzialmente contingente. D’altro canto, se si tiene conto del fatto che lo sviluppo effettivo delle scienze tradizionali particolari è determinato dalle condizioni che sono proprie di questa o di quell’epoca, è naturale, e in qualche modo normale, che le più contingenti fra di esse si sviluppino nel periodo in cui l’umanità è più lontana dall’intellettualità pura, vale a dire nel Kali-Yuga, e che in tal modo esse vi acquistino, pur restando entro i limiti che sono loro assegnati dalla loro natura stessa, un’importanza che non avevano mai potuto avere in periodi anteriori. Le scienze tradizionali, però, quali che esse siano, possono sempre servire come «supporti» per elevarsi a una conoscenza di ordine superiore, ed è questo, più di ciò che esse sono di per se stesse, che conferisce loro un valore propriamente dottrinale; sennonché, come dicevamo in altre sedi, i «supporti» di tal genere devono, in linea generale, diventare via via più contingenti a mano a mano che si consuma la «discesa» ciclica, allo scopo di mantenersi adeguati alle possibilità umane di ciascuna epoca. Lo sviluppo delle scienze tradizionali inferiori altro non è perciò, in definitiva, se non un caso particolare di quella necessaria «materializzazione» dei «supporti» della quale abbiamo parlato; nello stesso tempo è però ovvio che i pericoli di deviazione diventano tanto maggiori quanto più si proceda in tal senso, ed è questa la ragione per cui una scienza come la magia è manifestamente fra quelle che danno più facilmente luogo a ogni sorta di deformazioni e di usi illegittimi; in tutti i casi, la deviazione è in definitiva attribuibile soltanto alle condizioni stesse di quel periodo di «oscuramento» che è il Kali-Yuga.
È facile capire come sia diretto il rapporto che tutte queste considerazioni hanno con il Tantrismo, il quale è una forma dottrinale particolarmente adatta al Kali-Yuga; e se si aggiunge, come abbiamo indicato in altre occasioni, che il Tantrismo insiste in modo speciale sulla «potenza» in quanto mezzo, e addirittura in quanto base possibile di «realizzazione», non potrà apparire sorprendente che esso debba per ciò stesso accordare un’importanza abbastanza notevole, o meglio, si potrebbe dire, la massima importanza compatibile con la loro relatività, alle scienze che in un modo o nell’altro hanno in sé la capacità di contribuire allo sviluppo di tale «potenza» in qualsiasi campo. Poiché la magia fa evidentemente parte delle scienze di questo tipo, non si potrà contestare che essa trovi in una situazione simile il suo posto; sennonché è necessario dire con chiarezza e con decisione che essa non può in alcun modo costituire l’aspetto essenziale del Tantrismo: il coltivare la magia per se stessa, così come del resto l’assumere come fine lo studio o la produzione di «fenomeni» di qualsivoglia genere, significa confinarsi nell’illusione invece di tendere a liberarsene; è questa la deviazione, e di conseguenza non si tratta più del Tantrismo, il quale è un aspetto di una tradizione ortodossa e una «via» destinata a condurre l’essere alla vera «realizzazione».
In genere si riconosce abbastanza volentieri che esista un’iniziazione tantrica, ma quasi sempre senza rendersi conto delle reali implicazioni di un simile riconoscimento; tutto ciò che abbiamo esposto in ripetute occasioni sui fini spirituali di qualsiasi iniziazione regolare, senza eccezioni, ci dispensa dall’insistere su questo punto. La magia in sé, poiché si riferisce per definizione esclusivamente alla sfera «psichica», non ha certo nulla di iniziatico; per cui, se anche accade che un rituale iniziatico ponga in opera determinati elementi apparentemente «magici», bisognerà necessariamente che, tenuto conto dello scopo che gli assegna e del modo in cui li usa in conformità con tale scopo, esso li «trasformi» in qualcosa di ordine del tutto diverso, nel quale lo «psichico» non sarà più che il semplice «supporto» dello spirituale; conseguentemente, in realtà non si tratterà più affatto di magia, così come, ad esempio, non si fa della geometria quando si esegue ritualmente il tracciato di uno yantra; il «supporto» assunto nella sua «materialità», se è permesso esprimersi in questo modo, non deve mai essere confuso con il carattere di ordine superiore che gli viene essenzialmente conferito dalla sua destinazione. Tale confusione può esser fatta solo da osservatori superficiali, incapaci di vedere checchessia di là dalle apparenze formali più esteriori, caso che è in effetti quello di quasi tutti coloro che, nell’Occidente moderno, hanno voluto occuparsi di queste cose, e vi hanno introdotto sempre tutta l’incomprensione inerente alla mentalità profana; è la stessa confusione, del resto, che, notiamolo di sfuggita, è all’origine delle interpretazioni «naturalistiche» che essi hanno avuto la pretesa di dare a ogni simbolismo tradizionale.
A queste poche osservazioni ne aggiungeremo ancora una, ma di tipo un po’ diverso: si sa quale sia l’importanza degli elementi tantrici che hanno penetrato certe forme del Buddhismo, ossia quelle che sono conosciute sotto la denominazione generica di Mahâyâna; sennonché queste forme, lungi dall’essere solo un Buddhismo «corrotto», com’è di moda chiamarlo in Occidente, costituiscono al contrario il risultato di un adattamento rigorosamente tradizionale del Buddhismo. Che in taluni casi sia ormai addirittura difficile trovare i caratteri propri del Buddhismo originario ha poca importanza; o, piuttosto, non fa che mettere in rilievo le dimensioni della trasformazione che è stata in tal modo operata[2]. Allora la domanda che ci si può porre è la seguente: come avrebbe potuto il Tantrismo essere il veicolo di una simile trasformazione, se veramente fosse soltanto magia e nulla più? È questa un’impossibilità di perfetta evidenza per chiunque abbia la minima conoscenza delle realtà tradizionali; e d’altronde, in fondo non si tratta che dell’impossibilità a che l’inferiore produca il superiore o il «più» scaturisca dal «meno»; ma non è forse questa, precisamente, quell’assurdità, implicita in tutto il pensiero «evoluzionistico» degli Occidentali moderni, che contribuisce, a causa della sua stessa natura, a falsare irrimediabilmente tutte le loro concezioni?



[1] Pubblicato in «Études Traditionnelles», agosto-settembre 1937. [N.d.T.]
[2] Questo passo è stato accordato con le modifiche che René Guénon stesso aveva apportato sulla questione del Buddhismo nella 4a edizione dell’Introduction générale à l’étude des doctrines hindoues (trad. it.: Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, 1952). [N.d.T.]

Nessun commento:

Posta un commento