"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

sabato 17 ottobre 2020

Maitreyī (non il prof. Filippi), Masetto recidivo

Maitreyī (non il prof. Filippi)
Masetto recidivo

Nonostante gli incontrovertibili articoli del sig. Enzo Cosma e del prof. Filippi, già apparsi su questo blog e su Ekatos, Masetto insiste a esibire in pubblico la sua ignoranza e incompetenza riproponendo quella che per lui è la “na” sanscrita ().
Scriveva Guénon: “… nell'alfabeto sanscrito, la lettera corrispondente “na”, ricondotta ai suoi elementi geometrici fondamentali, si compone anch'essa di una semicirconferenza e di un punto; ma qui, essendo la convessità volta verso l'alto, è la metà superiore della circonferenza, e non più la sua metà inferiore come nel ‘nûn’ arabo. È dunque la stessa figura rovesciata, o, per essere più esatti, sono due figure rigorosamente complementari l'una dell'altra; infatti, se le si riunisce, i due punti centrali naturalmente si confondono e si ha il cerchio con il punto al centro, figura del ciclo completo. […] D'altra parte, la figura circolare completa è abitualmente pure il simbolo del numero 10, dove 1 è il centro e 9 la circonferenza; ma qui, essendo ottenuta dall'unione di due ‘nûn’ (sic!), essa vale 2 x 50 = 100 = 102, il che indica come il congiungimento debba operarsi nel ‘mondo intermediario’.” (Simboli della Scienza Sacra, Ch. XXIII)
 





Il primo grafico è tratto dall’Archéomètre di Saint-Yves d’Alveydre. Il secondo è un manoscritto sanscrito riprodotto dal Masetto.

Ora sta al lettore riconoscere se la fonte dell’affermazione di Guénon sopra riportata, comprendente la descrizione della forma della “na” e il valore numerico 50 corrispondente, siano da riconoscere nell’Archéomètre dell’autore occultista, oppure accettare obbedientemente la forzata interpretazione proposta dal Masetto sulla forma della ‘na’ sanscrita che lui stesso esibisce. Forma che non corrisponde affatto a quello che pretende. Sono ben consapevole che chi ha subito un’opera di persuasione continua vedrà quella stessa ‘na’ con le lenti deformanti che gli sono state loro imposte. L’unanimità dell’ammucchiata pseudosufica di Scienza Interiore sta a dimostrazione di tale condizionamento. Tuttavia, anche tra gli sventurati che si trovano in simili mani, potrà pur esserci qualcuno che, osservando le due immagini sopra riprodotte, si accorga dell’improponibilità di tale interpretazione. Penso anche che persistere nell’arrogante ignoranza sia segnale di una mente molto impura. Soprattutto quando si accusano di ignoranza altri, che ne sanno assai di più sia tradizionalmente sia accademicamente. Comunque, non è certo Masetto che può dare patenti di tradizionalità ad alcun docente di cui non sa nulla, quando non ha da eccepire sugli insegnamenti indologici che Guénon ricevette dal prof. Sylvain Lévi. Quanto all’incontro tra le due tradizioni, considerato infallibile profezia, è una pura immaginazione che tutti i segni dei tempi smentiscono e che nessun maestro hindū o musulmano ha mai nemmeno lontanamente concepito.

E che questa grottesca farsa torinese finisca.



Su rame sec. XI




Su carta sec. XIV
    





Su pietra sec. XVII



61 commenti:

  1. Mi scusi "Maitreyī non il prof. Filippi": ma avete comprato il blog di Scienza Sacra in saldo?
    GATTO

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    1. La prima gallina che canta è quella che ha fatto l'uovo

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    2. Da osservatore esterno ritengo che i "guenonomani torinesi" non stiano facendo una bella figura...Ad ogni modo : certe polemiche infinite non giovano a nessuno e rivelano assenza di disciplina.

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    3. Umbero C.&Elio, e da osservatori esterni (almeno il secondo), che figura ci farebbero, riguardo il loro alto livello raggiunto col Sanscrito, quelli che scrivono: «La terza inesatezza [sic! E l’italiano? ndr.] è che sanātana, per essere parola compiuta deve, come visto più in alto, avere il tratto orizzontale superiore continuo e non spezzato come nel caso riportato dalla lettera. Scritto in questo modo presenta solo lettere isolate e sillabate: SA-NA-A-TA-NA (स न आ त न o SA-NA-TA-NA स न त न nella forma errata) e non SANĀTANA (सनातन) come deve essere correttamente. IL PROF. FILIPPI, CHE HA L’AUTORITÀ DI CHI HA INSEGNATO PER DECENNI LA LINGUA [e meno male! ndr.], risponde a questa replica nel seguente modo: “Tale ‘prova’ prodotta sta, invece, a dimostrazione che Guénon, nonostante i suoi studi accademici, compiva errori che nemmeno uno studente di primo anno di sanscrito mai farebbe”…», e poi pubblicano dei manoscritti, come qui è dato vedere fare “Maitreyī non il prof. Filippi”, in cui si vede benissimo che ciò non è affatto vero, a meno che non sia stato un testo scritto, nemmeno da uno studente di primo anno di sanscrito, ma da un bambino delle elementari che sta imparando a sillabare? E di quali “titoli accademici” di G. si va cianciando? E che dire poi, sempre da “Maitreyī non il prof. Filippi”, “…in possesso di una laurea specifica e conosco bene il sistema grafico devanāgarī (cit.)”, che ci fa sapere burbanzosamente: “…Anzitutto la ‘na’ non è affatto una lettera, coma la chiama Guénon, ma una sillaba (akṣara)…”, quando lo stesso insigne E. Cosma, suo sodale, sostiene che: “ Nel sistema Akṣharapalli, che usa le singole lettere e l’accoppiamento sillabico, LA LETTERA NA devanāgarī ha valore 2…”, eh, signori osservatori esterni? E questa la serietà filologica e la competenza che si va sbandierando ai quattro venti? Non ripeto quello che ho già sostenuto al riguardo e mi permetto di aggiungere anche un’altra considerazione: ma vogliamo seriamente credere che G. si fosse sbagliato a tal punto da non sapere che la lettera NA (che sapeva benissimo come si scriveva) non corrispondesse in niente alla descrizione che ne ha fatto per accostarla alla NUN? Ci deve essere necessariamente qualcos’altro sotto che sicuramente gli osservatori esterni né i “laureati specifici”, non saranno mai all’altezza di comprendere. Sperando che qualcuno di veramente competente dipani questa “storiella” insignificante, rimando ai mittenti la gallina e le belle figure, convinto come sono che attenersi alla disciplina con certi figuri che si permettono di dire “guenonomani”, non sia affatto vantaggioso per il sottoscritto, punto non abituato a porgere l’altra guancia!
      GATTO

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    4. e. c.: È questa la serietà filologica…
      GATTO

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  2. …..di certo la ...gallina coccodé e “le belle figure” provengono, primariamente, da un Pulpito talmente autorevole che non possiamo altro che chinare il capo reverenti! Vi è, poi, da fare una minima considerazione: gli interventi di Anomino/Gatto, sono stati pressoché i soli che hanno osato contrastare gli interventi della truppa avversaria, e lo ha fatto nel miglior modo possibile. Quanto al volerla finire con “certe polemiche”, sono perfettamente d’accordo, ma la partenza si è avuta da una inconcludenza assurda e non credo proprio che “i torinesi” l’abbiano iniziata per primi!!!

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    1. Sig. Tinelli, questa è la cronistoria, veda un po’ lei:

      Rivista di Studi Tradizionali n° 110 (luglio-dicembre 2018) - Gianni Confienza, Uno strano induismo

      Rivista di Studi Tradizionali n° 112 (luglio-dicembre 2019) - Gianni Confienza, Renaud Fabbri, René Guénon et la tradition hindoue

      Rivista di Studi Tradizionali n° 113 (luglio-dicembre 2020) - Alberto Ventura, Su un’interpretazione del Vedānta e il «ridimensionamento » dell’esoterismo islamico

      Pagina Face Book Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, 4 maggio 2020: P. Carminati, Ekatos edizioni ed i testi dell’emiro ‘abd al qadir: una pubblicazione pretestuosa per ridimensionare la tradizione islamica e la figura del suo profeta.

      Pagina Face Book Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, 16 settembre 2020: «Veda Vyasa Mandala»: un Induismo sui generis e il suo ostracismo per l’Islam”

      Pagina Face Book Scienza interiore, 21 agosto 2020: Sui tre mondi

      Pagina Face Book Scienza interiore, 1 settembre 2020: Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur

      Pagina Face Book Scienza interiore, 2 settembre 2020: Realtà e illusione

      Pagina Face Book Scienza interiore, 3 settembre 2020: Falsi d’autore

      Pagina Face Book Scienza interiore, 9 settembre 2020: Errare humanum est, perseverare autem diabolicum

      Pagina Face Book Scienza interiore, 12 ottobre 2020: Alberto Ventura, Su un’interpretazione del Vedānta e il «ridimensionamento» dell’esoterismo islamico

      Pagina Face Book Scienza interiore, 13 ottobre 2020: Giù la maschera!

      Pagina Face Book Scienza interiore, 16 ottobre 2020: Ancora l’ossessione della lettera «na»

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    2. Questo è quello che è venuto fuori, dalla prima dal 2018 in avanti, ma le esternazioni di un certo personaggio su RG e la sua opera, sono iniziate assai prima di quella data - testimone anche il sottoscritto – ma di questo, ahimè, non si può portare prove scritte come quelle da Lei evidenziate…. A suo tempo – parlo anche di diversi anni fa - era un susseguirsi di incontri e viaggi (come del resto evidenziato!) prendendo contatto con tutto quanto era possibile, e già con l’opera del metafisico “francese” vi erano evidenti differenze con di….. pensiero!

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    3. Enrico F., Prima di arrivare alla sua di cronistoria, ce n’è un’altra precedente che evidenzio fino a giungere alla prima data da lei rilevata [Rivista di Studi Tradizionali n° 110 (luglio-dicembre 2018) - Gianni Confienza, Uno strano induismo]

      Gian Giuseppe Filippi, Il Serpente e la Corda

      Indice I Parte

      Introduzione (lunedì 1 gennaio 2018)

      1. Attuale situazione delle forme tradizionali e delle organizzazioni iniziatiche (mercoledì 3 gennaio 2018)

      2. L’induismo contemporaneo e le sue organizzazioni iniziatiche (giovedì 4 gennaio 2018)

      3. La Conoscenza o esperienza intuitiva del Brahman (sabato 6 gennaio 2018)

      4. L’Intuizione che sorge dall’osservazione dei tre stati (domenica 7 gennaio 2018)

      5. Gli strumenti di conoscenza che rimuovono l’ignoranza (martedì 9 gennaio 2018)

      6. Alcune considerazioni sul metodo vedāntico: śrāvaṆa (venerdì 12 gennaio 2018)

      7. Alcune considerazioni sul metodo vedāntico: manana (sabato 13 gennaio 2018)

      8. Alcune considerazioni sul metodo vedāntico: nididhyāsana (lunedì 15 gennaio 2018)

      9. Significato vedāntico di Yoga (mercoledì 17 gennaio 2018)

      10. Gradi di discriminazione tra Sé e non-Sé (giovedì 18 gennaio 2018)

      11. Da manana a nididhyāsana (sabato 20 gennaio 2018)

      12. Superamento delle opinioni erronee e delle difficoltà (lunedì 22 gennaio 2018)

      13. Significato vedāntico di alcuni termini ricorrenti nei testi (martedì 23 gennaio 2018)

      Indice II Parte

      Da 14 a 24. Commento al “Tattvamasi” di Śaṃkarācārya (da giovedì 22 febbraio 2018 a martedì 13 marzo 2018)

      Credevate che nessuno avrebbe mosso una paglia per ribattere alle vostre rispettabilissime elucubrazioni? Vi sbagliavate di grosso!

      GATTO

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  3. I
    Magari, “questa grottesca farsa” finisse, sig.ra Maitreyī!
    Ma ha letto cosa ha scritto Guénon nel virgolettato che lei ha riportato? Ha capito che l’Autore si riferiva, per quanto riguarda la “lettera na”, “ai suoi elementi geometrici fondamentali”? E che, quando si tratta di lingue sacre: “Vi è (…) qualcosa che (…) attiene essenzialmente alla costituzione stessa di queste lingue [e] che vi è vincolato in una maniera propriamente «organica»” (René Guénon, Forme tradizionali e cicli cosmici, Cabala e scienza dei numeri)? E, infine, che è per questo motivo che il sig. Confienza cercava di spiegarle che “la scienza delle lettere è una «conoscenza» che discende da una «realizzazione» e nulla se ne potrebbe ricavare partendo dal basso sulla base di informazioni di tipo accademico o di opinioni individuali”? Effettivamente: “Per chi vuole capire è già anche troppo, per chi vuole strumentalizzare la questione non c’è rimedio”!

    Per comodità, rispondo qui al sodale di VVM Abd-es-Samad, che mi interpellava nel suo commento del 17 ottobre 2020. Alla sua domanda, signore, ha già risposto, molto meglio di quanto avrei saputo fare io, il sig. Anonimo/Gatto, per cui non sento il bisogno di aggiungere altro. Una domanda, però, (anzi due) gliele vorrei rivolgere anch’io. Perché si risente quando lo stesso sig. Anonimo/Gatto la annovera tra gli appartenenti al gruppo di VVM? Non vale per lei quel che vale per il sottoscritto, verso il quale il professor Filippi si è rivolto dicendo: “Signor Forteguerra, prendo atto che afferma di scrivere per proprio conto, il che non sposta d’una virgola che la corrente d’appartenenza rimanga la medesima di altri “torinesi”. Lei, sig. Abd-es-Samad, canta nel loro coro, dunque fa parte del coro. Punto (e le si deve riconoscere che la sua voce comincia a sovrastare addirittura quella degli altri).
    Seconda domanda: non prova alcun imbarazzo a fare da zerbino agli arroganti che sono entrati in casa sua (la Tradizione a cui appartiene, intendo) per scuotervi la polvere dei loro piedi e innescare questa diatriba?
    Sono domande retoriche, ovviamente, e poiché non penso che nessuno sia masochista fino a questo punto, si torna alle considerazioni del mio primo post: il vero obiettivo di tutta questa querelle, e il legame che unisce lei e i VVM, è, come al solito, attaccare l’opera di René Guénon. O, come citavo, per “ostacolarne i normali sviluppi, ossia (…) impedire che degli esseri facenti parte del mondo moderno occidentale, stimolati dalla sua lettura, prendano coscienza delle loro possibilità intellettuali e cerchino di attualizzarle”, e/o, per grattarvi quel “prurito”, che tanto spesso tirate in ballo, e che evidentemente l’opera di Guénon vi procura. Ma forse ce ne può essere ancora un altro, di motivi. C’arrivo subito.

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  4. II
    Per finire, rispondo anche al professor Filippi che, in suo commento del 13 ottobre (che ho visto solo di recente), replicando a quel che lui chiama, col vellutato sarcasmo a cui ci ha abituati, il mio “proclama ai lettori” (“proclama in cui [secondo lui io avrei voluto] dirozzare ed edulcorare gli attacchi astiosi e privi di contenuti di quel gruppo che, in tutta evidenza, hanno infastidito diversi lettori del blog e che possono aver scosso anche qualche aderente ancora in buona fede di ciò che resta della ‘tariqa’ di Maridort” – sarà ‘complottismo’ pensare che possa essere proprio quest’ultima l’altro l’obiettivo di questa intrapresa a cui accennavo or ora?!), il professor Filippi, dicevo, continua a non capire il significato del termine “assentimento”. Egli, infatti, afferma che: “Se preferite usare il termine assentimento in luogo di fede, siete liberissimi di giocare con le parole. La sostanza non cambia. Infatti l’assentimento completo a una dottrina (…) è la caratteristica unica della fede, non solo dei post-guénoniani (sic!), ma di tutti gli aderenti a sette, ideologie e partiti politici (sic!)”. Qui siamo all’incomprensione dell’abc, per cui provo a spiegargliela così, professore: ha presente il mito della caverna di Platone? L’ombra proiettata sulla parete, etc.? Bene… l’assentimento (all’opera di Guénon) è qualcosa di paragonabile a quel flebile raggio di luce che è penetrato nella buia caverna del cuore (grazie alla breccia provocata dalla comprensione conseguente alla lettura di quest’opera) e che permette di vedere le ombre (ché altrimenti al buio non si vedrebbero). Per questo motivo, una volta che uno spiraglio di luce (intellettuale) è penetrato nel cuore (simbolo dell’intelligenza), è possibile parlare di una “portata inalienabile già insita in un assentimento teorico autentico alla realtà metafisica”, come scrive Guénon, e se lei (o ‘ella’, come ama dire) non lo ritiene “condivisibile”, evidentemente è perché non ha mai conosciuto ciò di cui si ostina a voler parlare e, pervicacemente, a voler mettere in discussione. Ma agli occhi di chi possiede una tale “inalienabile” consapevolezza, mi creda, l’illuminazione che insinuate di aver raggiunto appare per quello che è: un gigantesco abbaglio!
    Mi consenta un’ultima personale considerazione: io credo che i signori che ‘ella’ ha incontrato (cito a memoria perché non ho altro tempo da dedicarle) al bar fuori dalla stazione di Torino molti anni fa, in quell’occasione abbiano dato prova, potendo giudicare col senno del poi, di possedere una grande lungimiranza.

    Giovanni Forteguerra

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    1. Sig. Forteguerra, rispondo brevemente a ciò che rivolge a me non potendo rispondere per altri. Alla sua prima domanda “Perché si risente quando lo stesso sig. Anonimo/Gatto la annovera tra gli appartenenti al gruppo di VVM?” le rispondo brevemente, non mi risento, è solamente irreale, non appartengo a quel gruppo ciò nonostante posso sostenere le loro argomentazione non foss’altro che quelle di Anonimo/Gatto sono per me risibili o inesistenti quando non risponde; lei mi associa a questo gruppo perché il prof. Filippi associa lei a Anonimo/Gatto; comprendo la logica transitiva ma che ci posso fare, non sono responsabile di ciò che scrivono altri, io parlo per me.
      Alla seconda domanda “non prova alcun imbarazzo a fare da zerbino agli arroganti che sono entrati in casa sua (la Tradizione a cui appartiene, intendo) per scuotervi la polvere dei loro piedi e innescare questa diatriba?” rispondo semplicemente, è una sua supposizione che qualcuno sia entrato in casa mia e io gli faccia da zerbino (che maniera di esprimersi!), non so che età abbia lei, alla mia ho fatto uscire da tempo chi ha voluto occupare spazi non suoi; la verità è che, in un certo senso, sono entrato io in casa loro quando ho iniziato a leggere i testi del loro sito che sono, lo ribadisco, interessanti, degni di essere studiati e assai utili alla comprensione della “Tradizione cui appartengo”, basterebbe leggerli senza alcun sentimento di antagonismo. Prenda ad esempio il commento al poema di Shankara intitolato “Le cinque gemme dell’Advaita”, ho trovato utile leggerlo, studiarlo e ne ho ricavato spunti di riflessione e motivo di confronto con il metodo che più mi riguarda da vicino. A voi sembrerà risibile ad altri lettori meno.
      Riguardo alle teorie complottiste secondo le quali dovrei “attaccare l’opera di René Guénon” le rispondo che è una sua fantasia non ho nessun motivo di attaccare nessuno, lei forse è un guénoniano, io no, si può vivere la propria tradizione anche senza Guénon (che ho letto e studiato), di maestri tradizionali cui riferirsi direttamente ce ne sono in quantità, se poi tra questi c’è anche uno scritto di Guénon, va benissimo, infatti è una lettura occasionale de L’uomo e il suo divenire secondo il Vedântâ che mi ha fatto nascere l’interesse di approfondire la materia, attitudine consigliata per altro dallo stesso Guénon in materia dottrinale. Maridort: ho già detto tutto, o meglio ho fatto tutte le domande del caso per le quali non ho, eloquentemente, ricevuto risposta. Per me, e non solo, le esperienze delle turuq occidentali che ho elencato rimangono “fotocopie” di originali ben più interessanti e degne di essere interpellate per chi avesse interesse in quella direzione.
      In ultimo: non posso rispondere per altri quando si rivolge a loro.

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    2. Va bene, sig. Abd-es-Samad, lei considera Guénon uno dei tanti "maestri tradizionali cui riferirsi" e nutre stima per il lavoro del gruppo VVM. La mia sensazione era che intendesse (scientemente) dar manforte e supporto "esterno", per così dire, a quello che continuo a definire un nuovo piano di attacco all'opera di Guénon e ultimamente, fatti alla mano, anche ad una 'tariqa' ben precisa. Evidentemente ne è partecipe solo 'a sua insaputa'.
      L'espressione che ho usato nei suoi confronti, e che lei ha giustamente stigmatizzato, riconosco che effettivamente è un po' forte: di questo le chiedo scusa (sono avanti negli anni, ma sempre iper-sensibile a certi argomenti; anche se ciò non giustifica la scortesia, almeno spero ne spieghi il motivo).

      G.F.

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  5. Maria Chiara de' Fenzi19 ottobre 2020 alle ore 12:12

    स न त न è comunque errato. Guénon s'è dimenticato la "a" lunga, errore che nemmeno uno studente di sanscrito del primo anno può commettere.
     स न आ त न scritto così è corretto, ma questa è solo una sillabazione in cui le akṣara sono tra loro scollegate. Il modo di scrivere corretto, invece, è सनातन. Forse qualche improvvisato "esperto" di sanscrito pretende che Guénon fosse solito scrivere in paleografia usando la forma del devanāgarī di mille anni prima? Guarda caso, nella foto del quaderno dei compiti di Guénon, come riprodotto dalla Rivista di Torino, si vede che finalmente egli aveva capito (aveva studiato e copiato bene da qualche libro) che per scrivere in sanscrito e formare parole, seguendo anche la regola del sandhi, bisogna unire le akṣara con il tratto orizzontale superiore, la śirorekhā शिरोरेखा. 
    Ma il punto essenziale di tutta questa noiosissima diatriba sulla NA sanscrita è che essa non c'entra nulla con l'archetto e il puntino descritto da Guénon. I Torinesi cercano di distogliere l'attenzione dei lettori dal vero punctum dolens. L'archetto aperto in basso con al centro il punto è tutta un'invenzione che parte dall'occultista e spiritista Saint-Yves d'Alveydre. Infatti Guénon non ha per nulla descritto la NA sanscrita come la scriveva nel suo quaderno dei compiti. Non solo, ma qual è la fonte sanscrita da cui Guénon attinge per sostenere che "nell'alfabeto sanscrito, la lettera corrispondente “na”, ricondotta ai suoi elementi geometrici fondamentali, si compone anch'essa di una semicirconferenza e di un punto" ? Oppure, come pensano i suoi idolatri, si è trattato di una rivelazione personale? Rivelazione che però coincide solo con le affermazioni fantasiose di Saint-Yves d’Alveydre.
    Se tutto si limitasse a una fantasia occultistica, poco male; il mondo moderno, purtroppo, ci ha abituato a sciocchezze di questo genere. Il grave è stata la conclusione che si è tratta e che si continua a trarre da questa manipolazione della NA sanscrita resa artificiosamente complementare alla nûn araba: ossia la "profezia" dell'incontro o giunzione nell'ambiente intermediario (?) alla fine dei tempi, tra la diretta erede della tradizione primordiale e l'ultima delle religioni monoteistiche. Idea che non esiste presso nessuna vera scuola iniziatica d'Oriente, ma che ha scatenato le più morbose immaginazioni chiliastiche degli pseudosufi di casa nostra, circa l' "élite" e le relative molteplici "funzioni" da svolgere alla fine dei tempi. A quanto pare, quando la realizzazione non c'è, la consolazione più facile è quella di rifugiarsi in qualche "funzione"!

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    1. Sciocchezze per sciocchezze, informiamo la Sig.a de’ Fenzi, che l’arcano dello sbaglio di G., sta tutto in questa risposta data sempre a Daniélou, in altra lettera che è di qualche mese antecedente a quella riportata sull'articolo del Cosma, dove appare la scritta स न त न.
      Lettera a Daniélou, Il Cairo, 19 Marzo 1947, testualmente: “Signore, ho ricevuto, già da qualche tempo, la vostra lettera e ricevo ora i 7 numeri di “Siddhat” di cui mi annunciaste l’invio; vi ringrazio d’aver voluto cortesemente prendervi il disturbo di farmeli pervenire. Sfortunatamente non leggo correntemente l’indi, e inoltre, come succede d’abitudine PER LE LINGUE NELLE QUALI NON SI HA OCCASIONE DI INTRATTENERSI, HO DIMENTICATO IN GRAN PARTE QUEL CHE NE SAPEVO UNA VOLTA, Accetto dunque ben volentieri la vostra offerta di farmi pervenire anche una traduzione di questi articoli…”. E guarda caso, consigliamo sempre la de’ Fenzi di usare il tasto ‘Ctrl/cursore del mouse’ per ingrandire l’immagine di quanto riprodotto ‘del quaderno dei compiti di Guénon’, si assicurerà così che non vi appare nessun tratto orizzontale superiore senza soluzione di continuità che unisce le lettere, in quanto solo molto ravvicinate: basterebbe quindi una visita oculistica per risolvere un altro profondo mistero del personaggio Guénon! Ma anche nel caso G. avesse unito col tratto orizzontale continuo le lettere, avrebbe con ciò dimostrato che sapeva di questa particolare notazione, al contrario vostro che non sapevate dell’altra, per la quale si può scrivere anche senza, cosa che, per degli ‘espertissimi’ come vi spacciate di essere ha del tragico: ché, forse, qualche improvvisato "esperto" di sanscrito pretenderebbe che Guénon fosse solito scrivere in “profanografia” usando la forma del devanāgarī di Wikipedia?! Certi che la sig.a, come tutti i suoi sodali qui, non sappia minimamente cosa “funzione” significhi (e come potrebbero?) e lasciando senza risposta alcuna il resto delle altre e solite sciocchezze (noi non siamo dei masochisti!), la salutiamo cordialmente.
      GATTO

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    2. …Però una cosa va ancora reiterata, già commentata altrove, anche se non sono affatto sicuro che per la sig.a repetita iuvent; circa l’insinuazione “…Non solo, ma qual è la fonte sanscrita da cui Guénon attinge per sostenere che "nell'alfabeto sanscrito, la lettera corrispondente “na”, ricondotta ai suoi elementi geometrici fondamentali, si compone anch'essa di una semicirconferenza e di un punto" ? Oppure, come pensano i suoi idolatri, si è trattato di una rivelazione personale? Rivelazione che però coincide solo con le affermazioni fantasiose di Saint-Yves d’Alveydre…”, informiamo chi lo vuole, e chi può capire, che G. ribatteva a uno dei tanti suoi detrattori, antesignani degli epigoni di questo blog: “… Speriamo che egli tuttavia ci faccia l’onore di ammettere che nessuna tradizione è ‘venuta a nostra conoscenza’ attraverso degli ‘scrittori’, soprattutto occidentali e moderni, ciò che sarebbe piuttosto derisorio; le loro opere hanno soltanto potuto fornirci un’occasione comoda per esporla, il che è del tutto diverso, e ciò perché non siamo per nulla tenuti a informare il pubblico delle nostre vere ‘fonti’, e perché d’altronde queste ultime non comportano assolutamente delle ‘referenze’: ma ancora una volta, è in grado il nostro contraddittore di capire che, in tutto ciò, per noi si tratta essenzialmente di conoscenze che non si trovano sui libri?...”
      GATTO

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  6. A forza di grattare, il prurito aumenta, mi par di notare.

    Comunque, proviamo a diminuire il numero dei concetti espressi per vedere se repetita iuvant: "quando si tratta di lingue sacre vi è (…) qualcosa che (…) attiene essenzialmente alla costituzione stessa di queste lingue [e] che vi è vincolato in una maniera propriamente «organica», e la scienza delle lettere è una «conoscenza» che discende da una «realizzazione» e nulla se ne potrebbe ricavare partendo dal basso sulla base di informazioni di tipo accademico o di opinioni individuali”.
    Poi, se lei trova che questi concetti, che riguardano l'aspetto dottrinale, siano "comunque errati perché Guénon s'è dimenticato la 'a' lunga", beh... mi arrendo.

    G.F.

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    1. Gian Giuseppe Filippi20 ottobre 2020 alle ore 10:37

      عِلْم الْحُرُوف applicato al Wattan! Bravi! La vostra mentalità occultistica è dichiarata. Che la conoscenza delle lettere discenda da una "realizzazione" e non da uno studio sotto la guida d'un maestro di quella scienza fa la pari con le comunicazioni dei "Mahatma". Si vede anche che la "realizzazione" prescinde dalle lunghe e dalle brevi. Ci sarà sempre una misteriosa ragione simbolica anche per questo.

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    2. Come si suol dire: il Sig. Filippi sta sbarellando!
      GATTO

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    3. ...Però bisogna anche argomentare (con certi personaggi). Dove vuole arrivare il Filippi con: "Che la conoscenza delle lettere discenda da una "realizzazione" e non da uno studio sotto la guida d'un maestro di quella scienza...(cit)”? Ammesso che nessuno di loro abbia realizzato nulla, ma abbia sua volta imparato “…da uno studio sotto la guida d'un [altro] maestro di quella scienza…”, risalendo la catena di maestri fino al primo, non si ammette implicitamente che una realizzazione ci deve essere stata? O il primo ha imparato dal Filippi stesso, quest’ultimo trascendente il mondo fenomenico e assiso nell’iperuranio? E, implicitamente, non si ammette anche che tale ‘realizzazione’ deve necessariamente essere, per ciò stesso e in ogni momento, possibile per chi ne ha le possibilità, visto che è una condizione che trascende il divenire? Ecco quali sono le ‘misteriose ragioni’, che tali sempre rimarranno, soprattutto per gli autorevoli fruitori della logica aristotelica che tacciano, tutto e tutti, di mentalità occultistica, tranne che se stessi!…
      GATTO

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    4. E.C.: ma abbia a sua volta imparato...
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  7. Maria Chiara de' Fenzi19 ottobre 2020 alle ore 15:04

    Giusto, vediamo se repetita iuvant e finalmente si ottiene qualche risposta:
    qual è la fonte sanscrita [non ho detto fonte accademica o opinioni individuali] da cui Guénon attinge per sostenere che "nell'alfabeto sanscrito, la lettera corrispondente “na”, ricondotta ai suoi elementi geometrici fondamentali, si compone anch'essa di una semicirconferenza e di un punto" ?;
    e da dove salta fuori "la "profezia" dell'incontro o giunzione nell'ambiente intermediario (?) alla fine dei tempi, tra la diretta erede della tradizione primordiale e l'ultima delle religioni monoteistiche. Idea che non esiste presso nessuna vera scuola iniziatica d'Oriente ?

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    1. Sig.ra de' Fenzi, non so se non legge le risposte o non semplicemente non ne comprende il senso.
      Provo a distillare la risposta che le è già stata data almeno tre volte: "Nessuna tradizione è ‘venuta a nostra conoscenza’ attraverso degli ‘scrittori’, soprattutto occidentali e moderni, (...) e (...) non siamo per nulla tenuti a informare il pubblico delle nostre vere ‘fonti’, (...) perché (...) queste ultime non comportano assolutamente delle ‘referenze’: ma ancora una volta, è in grado il nostro contraddittore di capire che, in tutto ciò, per noi si tratta essenzialmente di conoscenze che non si trovano sui libri?...”

      Si deve ammettere, parafrasando Oscar Wilde, che è veramente inutile discutere con chi non vuol sentire: ti trascina al suo livello e ti batte con l'esperienza.
      Quindi, signora, va bene: ha ragione lei!

      G.F.

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    2. Cioè voi sostenete che, per giustificare Guénon, l'unico riferimento possa essere Guénon stesso?

      Onesta come cosa, ma mica la vostra, piuttosto l'operazione Guénon...

      daouda

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  8. Maria Chiara de' Fenzi20 ottobre 2020 alle ore 13:13

    Il "pacato" Sig. G.F.  impari a essere più gentile e ci risparmi la pedanteria e il suo villano sarcasmo. Se proprio vuole, dia ragione a se stesso, ma in privato per sua propria soddisfazione; non pretenda di imporcelo. Comunque, non penserà davvero che le sue siano risposte? Appare del tutto evidente che, citando le ennesime frasi estrapolate a casaccio da qualche lettera di Guénon, come fanno tutti quelli del suo ambiente, finge d'essere a parte di misteri arcani, mentre, in realtà, è totalmente privo di reale conoscenza: per questa ragione, è incapace di rispondere. L'uso della corrispondenza privata di Guénon fa parte delle continue scorrettezze di comportamento del suo gruppo d'appartenenza. Ogni autore di lettere, infatti, calibra le risposte sulla personalità del suo corrispondente, rivolgendosi privatamente solo a lui. Non conoscendo le motivazioni di quelle lettere e la personalità del corrispondente, il loro uso è necessariamente distorto e viziato da chi le cita come se fossero affermazioni rivolte all'universo mondo. Anche questo uso privo di scrupoli della corrispondenza privata di Guénon, che costoro hanno accaparrato morbosamente contendendola  ad altri ambienti pseudoiniziatici rivali, fa parte del medesimo comportamento codardo e ineducato quale l'anonimato o il malcelato ”machismo". 
    È chiaro ormai a tutti che gli specchi su cui cercano invano di arrampicarsi, altro non siano che le pareti della caverna su cui si proiettano le ombre della loro fede sempre più cieca (o assentimento, come preferiscono chiamare) nei confronti di qualsiasi cosa abbia scritto Guénon. Citino pure i libri e gli articoli che Guénon voleva rivolti a tutti i lettori, senza distinzioni personalizzate. Ma anche sulle pubblicazioni essi mai assumono una prospettiva discriminante né si pongono la domanda più che legittima riguardo la provenienza di certe affermazioni, soprattutto quelle che non hanno precedenti negli insegnamenti tradizionali e che, perciò, appaiono come delle autentiche innovazioni. Se Guénon non volle rivelare le sue fonti, quella è stata una sua decisione individuale che si deve accettare così com'è, anche se ciò legittima ogni verifica da parte di una mente libera. Con la decisione di non rivelare le fonti, però, egli non ha mai voluto affermare di aver ricevuto "rivelazioni personali" dall'alto dei cieli, o che erano frutto di "realizzazioni straordinarie". Queste sono solo elucubrazioni malate prodotte da una fede fanatica e da menti incapaci di discernere. Noi invece, seguendo il comportamento richiesto espressamente dai maestri di Advaita, citiamo la fonte scritturale, il commento tradizionale, sempre controllando che ciò sia in linea con la logica basata sull'intuizione. Questo è l'attitudine iniziatica tradizionale.

    Il contegno di chi ci critica è invece l'effetto poco lusinghiero d'una falsa via iniziatica, che non ha i mezzi per dirozzare una mente volgare, che non conduce verso la virtù e la purificazione e, ovviamente, che non sa, a fortiori, indicare la meta ultima, la conoscenza.

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    1. “Noi invece, seguendo il comportamento richiesto espressamente dai maestri di Advaita, citiamo la fonte scritturale, il commento tradizionale, sempre controllando che ciò sia in linea con la logica basata sull'intuizione. Questo è l'attitudine iniziatica tradizionale….(cit.)”: e noi, invece, non accettiamo lezioncine di “attitudine iniziatica tradizionale” da chi pensa che possa, in tale attitudine, rientrare anche: “…“…SE IL JIJÑĀSU che cerca la Conoscenza del Supremo, COMPRENDE che il suo il guru non può darne l’insegnamento, ALLORA PRENDERÀ CONGEDO DA LUI, ringraziandolo per ciò che da lui aveva ricevuto fino a quel momento. Quindi, è libero di cercare un maestro realizzato che gli insegni il metodo del Vedānta vicāra. Ogni vero guru è felice quando scopre che il proprio discepolo può aspirare a una conoscenza superiore. Solamente i falsi guru si offendono, dimostrando tutto il loro individualismo (cit.).”. Perciò, pur non essendo stati presi direttamente in causa, ci permettiamo lo stesso di rimandare al mittente “…Il contegno di chi ci critica è invece l'effetto poco lusinghiero d'una falsa via iniziatica, che non ha i mezzi per dirozzare una mente volgare, che non conduce verso la virtù e la purificazione e, ovviamente, che non sa, a fortiori, indicare la meta ultima, la conoscenza.”.
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  9. I - Signor Anonimo, effettivamente sarebbe il caso di lasciarla parlare a non finire, visto il modo clownesco in cui si comporta, commenta e argomenta, modo che fa solo perdere credibilità a lei e al suo ambiente di riferimento. Lei penserà di dare fastidio col suo modo da pagliaccio: certo non si addice ad un dibattito serio, tuttavia tale tono derisorio dice molto di più su di lei, e sul grande adab che ha acquisito presso la sua tariqa, che su coloro che sarebbero oggetto della sua critica. Ogni volta è stato sonoramente smentito e confutato, e questo basterebbe, non fosse la sua disonestà tanto spinta. Lei dice:
    “Ora, alla luce di questa situazione, e l’ho ripetuto mille volte, qui non si contestano le Upaniṣad in sé, cosa impossibile, e la visione inconfutabile dell’Assoluto che esprimono, al di fuori del quale certamente nulla esiste, ma l’uso assurdo, più precisamente: ‘invertito’ che il gruppetto “non-duale” propone, per cui, tutto quello che lei sostiene in seguito del suo lungo commento, riguardante questo specifico aspetto del contendere, potrebbe essere risolto in sintesi in questa visione ‘criminale’ (per usare un aggettivo a lei tanto caro; ne aggiungo uno anch’io, per rincarare la dose: “fraudolenta”!) della realtà e della verità: voi state proponendo con una dottrina inconfutabile e relativo metodo a una tribuna di semplici lettori, spesso anche profani, come fosse un ‘inizio’ e non la fine del percorso che deve riguardare solamente chi ha già realizzato effettivamente la via del non- Supremo. E a nulla valgono le vostre precisazioni che questo sarebbe rivolto ai jñāni di alto livello e non a degli uomini ordinarî, perché non è mettendoselo in testa che lo si diventa e qui, a quanto tristemente è dato vedere, è proprio dei secondi che si tratta: state insomma ingannando, più o meno scientemente, chi, dopo aver banalmente risolto il ‘problemino’ delle qualificazioni necessarie all’intrapresa, pensa che non possa che essere un percorso tutto in discesa e di una facilità come sputar per terra”.
    Questa accusa è palesemente falsa. Innanzitutto lei ha invece più volte contestato proprio l’insegnamento dell’Advaita, mostrando di non conoscere né comprendere affatto Saṃkara e le Upaniṣad, come sulla questione dell’irrealtà, di avidyā, dell’ “informalità”, ecc. Certo ha citato Guénon, cosa che non cambia le cose di una virgola in quanto Guénon con ogni evidenza non era un’autorità vedāntica. Per quanto riguarda l’uso “invertito” di tale insegnamento, che più di una volta ha infantilmente deriso: innanzitutto è falso che VVM abbia presentato il vicāra vedantico come l’inizio. Purtroppo lei segue (anche qui in contraddizione con le Upaniṣad e i bhāṣya) un’idea sbagliata per la quale tutto si collocherebbe consequenzialmente e linearmente, e dunque in una “Via” che avrebbe la scienza del Supremo come ultima tappa. Non è così ed è Saṃkara ad affermarlo esplicitamente (questo errore è legato a tutti gli altri e si basa sulla incomprensione del Brahman nirguna). Ignorate dunque la concezione vedāntica, e applicando un vostro criterio ad essa estraneo, cercate retoricamente di presentare il lavoro di pubblicazione di VVM come fosse invertito rispetto all’idea di “via” che s’è fatto al di fuori delle Upaniṣad. VVM ha semplicemente esposto direttamente la prospettiva e l’insegnamento della più pura tradizione advaita, senza commistioni, mai dicendo che fosse accessibile o spontaneamente realizzabile da chiunque, anzi presentando fin da subito (si veda il Commento alle cinque gemme dell’Advaita) le necessarie e specifiche qualificazioni riportate tradizionalmente, senza le quali il vicāra è infruttuoso. Confonde “semplice” con “facile”; i lettori, ben più accorti di voi, non commettono questo errore. L’inganno dunque è solo e soltanto il vostro. Tra l’altro chi glielo ha comunicato che questa sia stata un’iniziativa personale e fatta secondo le proprie preferenze? Fosse attento si sarebbe reso conto del contrario.

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  10. II - Forse, immaginando tutto secondo i retaggi della sua formazione e della sua collocazione, dimentica che il Vedānta è sì iniziatico, ma non è esoterico, non è segreto, non ha simbolismi astrusi e formule potenti da attivare con tecniche speciali da non svelare. In secondo luogo, vista la ripetuta ironia sui collaboratori di VVM, ma lei che ne sa delle qualificazioni degli altri? Evidentemente pensa di saperne di più delle autorità di Vedānta o delle altre realtà iniziatiche hindū che le hanno accettate? Come fa lei a dire e a essere sicuro che si starebbe ingannando coscientemente (o meno) i lettori, quando so per certo che mai nessuno dei collaboratori di VVM ha presentato il vicāra vedantico come una cosa alla portata di chiunque, o a cui poter accedere facilmente? Queste considerazioni non sono state mai neppure prese in considerazione perché non li riguardano e perché, differentemente da qualcun altro, non si sono mai posti come una maestria autorizzata o cose del genere. L’India è lì per chi ne ricerca la conoscenza che ancora è viva e vegeta; saranno poi le autorità tradizionali a fare le loro considerazioni. Le ironie su chi si sentirebbe jñāni o meno lasciano il tempo che trovano, né qualcuno ha qui preteso di essere creduto sulla parola o in forza di una qualche realizzazione personale, tutt’altro: si interroghi piuttosto, se queste cose proprio le interessano tanto – viste le indagini personali da fact-checkers profani che avete montato ultimamente -, sulle qualificazioni di Maridort, e il perché né Schuon né Valsan l’abbiano voluto accettare come discepolo. Così, tanto per avere un’idea di che cosa significhi “seguire le proprie passioni”.
    Un’ultima cosa a questo riguardo: sarebbe il caso che il consesso torinese, storicamente riconosciuto come “congenitamente polemico”, “paranoico” e autoreferenziale da tutti, anche da studiosi indipendenti, si mettesse in testa di trattare col dovuto riguardo i lettori: perché mai lei e Forteguerra vi sentite sicuri di una conoscenza che non possedete, tanto da attribuirvi un ruolo di “orientamento” dei lettori, che giocoforza sarebbero meno dotati di voi in comprensione? La smetterete prima o poi ad attribuirvi ciò di cui nessuno vi ha investito, lasciando ai lettori la libertà di avere a riguardo la corretta ed equa discriminazione, invece di sentirvi in possesso di chissà quale illuminazione? E se foste semplicemente voi, e non gli altri, i profani, i fraintenditori e gli ignoranti, visto che ne date continuamente prova? I vostri “avvertimenti ai lettori” si accompagnano quasi sempre alle accuse sinistre, evidentemente volte a suscitare una reazione sentimentale di diffidenza negli sciocchi, e mal si conciliano con la sicurezza della conoscenza.
    Tralascio di spiegare all’Anonimo la differenza che intercorre tra il suo citazionismo cieco di Guénon e il riferimento alla sruti e all’advaitavāda (e ci casca ripetutamente: “solo mi permetto di dire che tale ‘scepsi’, può essere estesa a tutti indistintamente i Maestri spirituali, anche al suo Shaykh fino a Saṃkara compreso, con il che faremmo meglio allora a chiudere baracca e parlare di Covid, visto che ultimamente tiene banco.”); di fronte a una tale mancanza e ad una tale obnubilante faziosità c’è poco da fare e non c’è tempo da sprecare. Basti solo ricordare che la Parabrahman vidyā, essendo la “via” della Conoscenza, non si basa su nessun assentimento o dogma, di qualunque tipo, ma su di un’indagine sulla Realtà priva di pregiudizi e orientata dal corretto e rigoroso utilizza dei pramāṇa. La citazione appena riportata è comunque interessante perché rivela che per Anonimo si tratta inevitabilmente, in fondo, di affidarsi a una qualche autorità, pena il non poter contare su nulla e nessuno, e cadere nello scetticismo: ogni possibilità di conoscenza (e non di “assentimento”) è esclusa dal nostro; o si è fideisti o si è scettici. Ecco, il vicāra vedantico non è né l’uno né l’altro, né Saṃkara (o la sruti!) deve essere “creduto”: deve essere invece compreso.

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  11. III - Sul fatto che quello di VVM sia un attacco all’opera di Guénon: questa è di nuovo la vecchia tattica, basata sul nulla, perché nullo è il ragionamento per cui o si accetta tutto di Guénon o non lo si è capito affatto (anzi questo modo di trattare un sapiente è semmai invertito e rovescia i rapporti tra la dottrina e l’autorità), con la quale si tenta di screditare l’avversario. Non è così: la posizione a riguardo è già stata più e più volte esposta chiaramente, e i punti di Guénon che si mettono in discussione sono quelli che non si conformano all’insegnamento dell’Advaita, cosa alquanto decisiva visto che Guénon ha voluto esporre la dottrina vedāntica.
    Simile è la questione dell’Islam: questa lettura per cui l’esposizione dell’advaitavāda sarebbe un deprezzamento dell’Islam è già di per sé un attacco retorico falso che serve a suscitare una reazione “d’appartenenza” nei guénoniani musulmani. È veramente ridicolo attribuire un pre(?)giudizio nei confronti dell’Islam solo perché lo si tratta allo stesso modo di tutte le altre dottrine, sottolineando cioè la diversità rispetto l’insegnamento dell’advaitavāda. Per quale motivo l’Islam, diversamente da tutte le altre forme, indiane e non, non dovrebbe rientrare nella disamina compiuta da Śaṃkara, qualora presenti proprio quelle caratteristiche che l’Ācārya ha affrontato polemicamente? È una questione intellettuale o sentimentale? Siete semmai voi che per decenni avete ridotto l’Advaita Vedānta ai parametri della vostra formazione, esterna ed estranea alle Upaniṣad, facendo equivalenze improprie e indebite.
    Per quanto riguarda l’ “attacco” ai maridortiani invece non ci sono davvero parole. Un’accusa del genere rasenta il ridicolo e ignora lo “storico” di quello che è successo: si faccia un giro su internet e visioni lo stato delle cose. L’indifferenza per questi ambienti, i loro pettegolezzi, le loro malcelate invidie e i loro personalismi legati a logiche d’appartenenza ideologica, è provata dal fatto che prima delle loro invettive e maldicenze ad personas, mai ci si era intrattenuti in tali dibattiti, interessati solo dall’esposizione della dottrina e niente più. Sono costoro che mirano ad una presuntuosa inquisizione tutto ciò che, pur tradizionale, pretenda non passare per il loro vaglio. Evidentemente costoro non sono abituati a sentirsi rispondere. Dipingersi da vittime dopo tutte le innumerevoli insinuazioni malevole e i tentativi di discredito fatti è proprio biasimevole e ipocrita, e in questo si unisce al grido di dolore di Masetto e Ventura.
    Sulla questione dell’ “assentimento”. I nostri oppositori sono così accecati dalla loro fede sclerotizzata nell’infallibilità di Guénon, ribattezzata “assentimento” per raccontarsi di non essere del tutto simili a degli essoterici e di non aver a che fare con il sentimento, da pensare di essere superiori ai matematici per aver letto “I principi del calcolo infinitesimale”, di essere dei logici provetti per aver visionato un paio di tabelle in “L’uomo e il suo divenire secondo il Vedānta” e senza aver evidentemente mai preso in mano l’Organon di Aristotele o l’Isagogè di Porfirio (figuriamoci la logica indiana); degli esperti di simbolica e arte per aver letto “Simboli della scienza sacra” e via di questo passo. Pensano insomma di avere in mano lo scibile umano e di avere l’ultima parola in ogni argomento dove si sia espresso Guénon; pensano di poter insegnare agli hindū il Sanātana Dharma, ai cristiani il (vero) Cristianesimo, ai buddhisti il Buddhismo, e così via. Dopo aver abusato della logica aristotelica, fraintendendo clamorosamente il principio del terzo escluso per un tentativo di dimostrazione che non dimostrava nulla se non il proprio pressapochismo, il signor Forteguerra (che detto per inciso ci ricasca ancora una volta: “e se lei (o ‘ella’, come ama dire) non lo ritiene “condivisibile”, evidentemente [?] è perché non ha mai conosciuto ciò di cui si ostina a voler parlare e, pervicacemente, a voler mettere in discussione.”) abusa anche di Platone e del mito della caverna.

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  12. IV - Nella caverna del noto mito è il fuoco del braciere a proiettare le ombre e non la luce del sole. La caverna rappresenta la prigionia dell’uomo che si affida alla percezione sensibile, la quale invece restituisce solo immagini imperfette delle cose: la conoscenza della caverna per Platone non è intellettuale, anche se proviene anch’essa dalla fonte luminosa (ma in maniera completamente estenuata da essere quasi del tutto falsa), e infatti non è vera conoscenza ma è solo opinione, doxa e non aletheia: la doxa (cioè l’opinione) si divide in eikasia, immaginazione, e pistis, fede o credenza (appunto), ed è l’ambito di pertinenza del sensibile. In questo ambito non si predica alcuna conoscenza certa e indubitabile. Solo quello intellettuale - fuori dalla caverna per rettificare la sua metafora - è per Platone il vero ambito della conoscenza, cioè quella certa e non dubitativa, ovvero dell’episteme e dell’aletheia. Quindi, anche l’esempio usato è mal posto, e in ogni caso ciò che indica una adesione preventiva, ovvero una fede di carattere sentimentale e non intellettuale. Quello di cui parla sig. Forteguerra è una credenza, un “assentimento” che, come dice la parola stessa, è un assenso, un’adesione che ha a che fare con la dimensione sentimentale dell’uomo e nient’affatto con la certezza, che è ambito di una conoscenza immediata e diretta, cioè non-duale (anche sulla base del mito di Platone che voleva usare per fare lo splendido e il sarcastico).
    Vedānticamente parlando, questo suo assentimento, è semplicemente una modificazione del manas, un sentimento della mente, una fede, alla quale lei può, più o meno a ragione, attribuire il carattere di anticipazione e apertura che vuole. Inoltre, in ogni caso e altrettanto vedānticamente, la conoscenza teorica, come quella virtuale ed effettiva, fa parte del dominio dell’indagine o azione conoscitiva (ovvero è un’azione che pertiene al pramātṛ), e dunque è relativa all’ambito dell’ignoranza: ciò che non è vidyā è sempre avidyā. Ecco dunque che, per quanto lo desideri con tutto il suo cuore, non può affatto trattarsi di conoscenza o consapevolezza certa e indubitabile, come pretenderebbe, a tal punto che rimane nell’orizzonte di un errore e di una ignoranza di fondo (altro che certezza!), della cui presenza neppure si dubita. Al di là di ciò basterebbe essere un attimino meno autoreferenziali per comprendere che nessuno che non accetti i presupposti del vostro punto di vista ammetterebbe mai la necessità stringente di tale assentimento, come avviene per tutte le altre fedi, siano esse religiose o meno. Il suo assentimento, come ogni altro, in ambito indiano si chiamerebbe semplicemente vāsanā. Invece, l’intuizione di Sé, come pura Coscienza, o il fatto che l’Essere sia e non possa non-essere, sono evidenze incontestabili, universalmente riconosciute perché hanno a che fare con l’Intuizione; non certo le speranze o le comprensioni mentali di un individuo.
    Che tale assentimento non sia affatto conoscenza lo mostra anche Anonimo quando dice: “ma vogliamo seriamente credere che G. si fosse sbagliato a tal punto da non sapere che la lettera NA (che sapeva benissimo come si scriveva) non corrispondesse in niente alla descrizione che ne ha fatto per accostarla alla NUN? Ci deve essere necessariamente qualcos’altro sotto che sicuramente gli osservatori esterni né i “laureati specifici”, non saranno mai all’altezza di comprendere”. Per costui è inaccettabile che Guénon abbia commesso un tale errore, e dunque anche se non ne sa di più (e tutto va nel senso opposto aggiungo io), è “certo” (cioè lo crede con tutto se stesso) che Guénon non si sia sbagliato e che debba esserci necessariamente qualcos’altro, e questo perché? Proprio perché non è ipotizzabile che si sia sbagliato. Se per voi questo è un modo di ragionare… Ma questo della na è nulla sig. Anonimo; se si legge con attenzione la Māṇḍūkya Upaniṣad vedrà che ci sono ben altre cose che Guénon ha interpretato in maniera non propriamente advitīya.

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  13. V - Il vostro problema (con vostro intendo dell’Anonimo e di Forteguerra, e dell’ammucchiata di rst-scienza interiore, ecc.) è la clamorosa disonestà, la faziosità, il tono denigratorio e derisorio con i quali cercate di intimare il silenzio in chi non accetta il vostro vaglio e la vostra pretesa autorità di dare patenti di legittimità tradizionale. Ma chi vi ha affidato tale compito? Su quale base vi potete permettere di fare insinuazioni malevole su tutto e tutti, addirittura verso Jagadguru e Brahmajñāni? Se si vuole essere onesti e seri, nonché minimamente rigorosi, che si affronti come si deve la dottrina, in modo serio e puntuale, e si lasci una buona volta da parte le investigazioni personali da detective squattrinati (come suggerito continuamente da questa parte e dal prof. Filippi): nel caso specifico della na e della nun - che per inciso fa comodo a voi dipingere come decisiva, in modo da cercare di distogliere l’attenzione da tutte le clamorose smentite che avete dovuto subire nell’ultimo periodo, da quella della possibilità del ricollegamento alla tradizione indù fino alla “buddhi sovraindividuale” (??) e alla realizzazione discendente – si affrontino i nodi tematici e probanti degli articoli del sig. Cosma. Lo si faccia seriamente però, e non con le solite sparate. Se invece vi riducete a proporre una lettura caricaturale, parziale, faziosa e riduttiva delle argomentazioni altrui, con tagli, abusi di slittamenti semantici, attribuzioni di intenzioni malevole, toni derisori, ecc., ebbene ciò agli occhi dei lettori disinteressati va evidentemente a vostro discapito. I tentativi di screditare l’avversario invece che affrontarlo nel merito finiscono maldestramente e in modo francamente imbarazzante, come si può vedere dalle ultime uscite, e smascherano per di più la vostra mancanza di argomenti.
    Nello specifico della na, i suoi elementi fondamentali non sono evidentemente né una semicirconferenza superiore né un punto, la sua forma dunque è tutto fuorché “rigorosamente complementare” a quella della nun. Inoltre il suo valore numerico non è 50; oppure lo è, signor Forteguerra e compagnia? Da dove trae Guénon questi dati? Starebbe a voi dirlo, visto che ne sostenete la bontà: tuttavia si fa notare che questi dati coincidono qui si “rigorosamente”, guarda caso, con le invenzioni occultistiche di Saint-Yves d'Alveydre. Per di più sulla nun? Niente da dire a riguardo? Gli argomenti portati dal sig. Cosma sono per caso stringenti? Ma soprattutto la conclusione che ne fa Guénon dove si riscontra? In quali ambienti hindū o islamici è accettata? Signori, ma come si fa anche solo a pensare che pseudo-argomenti come questo di Masetto siano minimamente sufficienti: “la scienza delle lettere è una «conoscenza» che discende da una «realizzazione» e nulla se ne potrebbe ricavare partendo dal basso sulla base di informazioni di tipo accademico o di opinioni individuali”. Tanto vale allora ad accettare (cioè per fede) tutto quello che viene fatto passare da Torino. Ma che razza di discriminazione intellettuale è mai questa? E chi è che stabilisce chi ne possa autorevolmente parlare, cioè chi abbia una tale realizzazione, se la verità non è tale per la sua evidenza? Come si stabilisce allora il valore proprio di tutti i giochetti umanistici e rinascimentali pseudo-ermetici e pseudo-cabalistici? E quelli occultistici? Dovremmo fidarci di Saint-Yves d'Alveydre e di Guénon che nello specifico lo segue invece che accertare la veridicità di tali affermazioni? Ma non ci si rende conto che in questo modo si finisce per far cadere il simbolismo nella semplice arbitrarietà? È esso una scienza rigorosa o si basa sulle illazioni di chicchessia? Se questo è il vostro modo di affrontare le cose, completamente privo di rigore intellettuale, inevitabilmente si presta il fianco alle accuse di cialtronaggine mosse dai rappresentanti del mondo moderno. Né Guénon in verità si è mai posto in un modo così arbitrario, cercando invece di fondare i propri argomenti e le proprie conclusioni.

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  14. VI - Di quale realizzazione bisognerebbe essere muniti per sapere se la na abbia o meno 50 come valore numerico o se la sua forma, ridotta agli elementi fondamentali, sia “rigorosamente complementare” a quella della nun? Se si toglie il riferimento oggettivo resta soltanto l’ambito della discrezione soggettiva, e allora è possibile costruire arbitrariamente tutte le corrispondenze e i simbolismi che si vogliono. Se la nun non aveva quella forma, che acquisisce poi con l’uso, modificandosi come avviene alle scritture umane, è inutile fondare su tale forma chissà quale simbolismo primordiale, e sovra-umano. Anche sull’altro esempio, Sheth. Bisognerebbe anche in questo caso (è solo un esempio, non si vuole ovviamente metterlo in discussione) senza dubbio verificare che S e T siano effettivamente gli elementi costitutivi: qualora non lo fossero, e si fosse al contempo costruito sopra chissà quale simbolismo o corrispondenze, tutto ciò inevitabilmente crollerebbe, come la famosa casa costruita sulla sabbia. “E che cosa dovremmo fare, metterci a discutere se lo siano o meno?”, La risposta ovvia dovrebbe essere: certo! Per dire che S e T lo siano invece del contrario è necessario parlarne e dimostrarlo... che facciamo, ci fidiamo sulla parola? Che conoscenza è mai quella che si affida?
    Con quest’ultima citazione, portata come se fosse una risposta, si tocca poi veramente l’apice dell’assurdo:
    “Nessuna tradizione è ‘venuta a nostra conoscenza’ attraverso degli ‘scrittori’, soprattutto occidentali e moderni, (...) e (...) non siamo per nulla tenuti a informare il pubblico delle nostre vere ‘fonti’, (...) perché (...) queste ultime non comportano assolutamente delle ‘referenze’: ma ancora una volta, è in grado il nostro contraddittore di capire che, in tutto ciò, per noi si tratta essenzialmente di conoscenze che non si trovano sui libri?...”.
    Come si può sragionare fino a questo punto e non rendersi conto da soli che in pratica siamo arrivati alla teorizzazione pura e semplice che Guénon aveva ragione perché aveva ragione, non aveva bisogno di riferirsi a nessuna fonte perché la sua era una conoscenza personale realizzata e via di cose di questo genere. E non solo ci si deve credere al buio, ma se non ci si crede si è pure asini, e ci si becca gli sberleffi! Purtroppo è difficile ragionare con chi ha deposto la discriminazione, affidandola a qualcos’altro da Sé. In realtà, e questo vale per Guénon come per tutti, il valore della sua opera si misura (e questa è anche la sua stessa posizione) in base al grado di conformità alla dottrina metafisica, cioè non-duale, trasmessa e ricevuta dagli ambienti autorevoli, cioè le paramparā śaṃkariane, e non il contrario (come fate voi invertendo i rapporti); quello che invece non trova in queste fondamento, come i possibili limiti, o le contingenze dell’esposizione, o modi del pensiero propri di ognuno, è da rifiutarsi. Il vero insegnamento, quello che secondo Saṃkara è in grado di far comprendere all’essere la sua vera natura, può essere trasmesso direttamente solo dal Brahmajñāni al sādhaka, essendo l’unico in grado in virtù della sua consapevolezza di Sé. Il valore dell’opera di Guénon non deriva dalla sua personalità, per quanto grande possa essere, se non nella grande capacità di adattamento, ma eventualmente dalla fonte autorevole e tradizionale da cui ha attinto. È da questa che deriva il valore e la sicurezza.

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  15. VII - Dunque in realtà questa citazione non si addice affatto ai fini dei nostri due detrattori: lì Guénon non sta dicendo che quello che è da lui sostenuto è vero come tale e basta o che non abbia bisogno di avere un solido fondamento e riferimento nella tradizione da cui tale conoscenza proviene, e il merito del discorso non è infatti (solo) una semplice conoscenza libresca; anzi, verte proprio sul fatto che le posizioni in questione non trovano alcun riscontro presso le realtà iniziatiche hindū (né per la verità islamiche), cioè quelle realtà dalle quali Guénon dice in questa citazione di aver ricevute direttamente le conoscenze tradizionali, e non nelle opinioni o nei libri degli studiosi estranei a queste realtà. Guénon infatti, in quella citazione come altrove, sta semplicemente dicendo che la conoscenza delle tradizioni in questione gli verrebbe dall’interno e non da altre fonti indirette. Ora, siccome non c’è alcun riscontro in merito, tutt’altro, ed egli ha valutato di non indicarne l’origine, si crea un certo problema. Se queste informazioni non si trovano neppure presso gli ambienti autorizzati, che anzi la smentiscono, né tra l’altro in alcuna fonte sapienziale, né voi (infatti) ne sapete rendere conto, che cosa si dovrebbe fare? Credere sulla parola? E perché mai? Per attaccamento a Guénon? Se questa posizione non si ritrova presso gli ambienti di riferimento, e cioè non è conforme al loro insegnamento, allora quella di Guénon nello specifico diventa un’opinione da valutare come quella di qualsiasi altro, e qualora non ci sia niente che la conformi, ma anzi tutto che la contraddica, va rifiutata semplicemente, senza scandali (che evidentemente ci possono essere solo per chi ne aveva fatto un idolo intangibile). Oppure si pensa che Guénon, che non era un’autorità vedāntica, sia più autorevole in merito rispetto a Jagadguru, Brahmajñāni, saṃnyāsin, ecc. di tale paramparā? Tra l’altro, Guénon stesso ha dato prova, in più occasioni, di rivedere quanto dichiarato precedentemente… e se ci fosse ancora qualcosa di cui non ha potuto o avuto occasione di rivedere?
    Prima di discutere di Vedānta voi dovreste rispondere sinceramente ad una domanda: nel caso trovaste, in qualsiasi punto, che quanto esposto da Guénon in riferimento all’Advaita non sia conforme all’insegnamento di Saṃkara, della sruti e delle Upaniṣad, voi lo rifiutereste (in quel punto specifico, senza per questo scadere per nulla in abiure, rifiuti, o sciocchezze del genere)? Se non siete disposti a rispondere affermativamente, allora è davvero insensato intavolare qualsiasi discorso, perché la vostra posizione è con ogni evidenza faziosa e fideistica. In pratica avreste già invertito i rapporti. Con tranquillità invece sono sicuro che Guénon non avrebbe mai risposto negativamente a questa domanda, perché questa è la sua esplicita posizione.
    In ogni modo, non ci si attarderà troppo a questo genere di botta e risposta, che abbassa soltanto il livello in favore di coloro che sono poveri di argomenti e incapaci di confrontarsi sul piano della dottrina. Né si desidera affatto confrontarsi con nessuno, che anzi è solo un’ulteriore inutile perdita di tempo. Si continuerà invece con il lavoro di sempre, lasciando al sincero interesse di ognuno la responsabilità di ricercare e conoscere la dottrina dell’Advaita e il suo rigoroso uso dei pramāṇa; in tal caso ci si può rivolgere agli scritti e all’insegnamento vivente dei suoi autorevoli rappresentanti. Altrimenti si faccia come meglio si ritiene.

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  16. P. S.: che Masetto o Confienza facciano sapere quali sarebbero le “numerose contestazioni sollevate contro le loro teorie” di cui parlano. In merito alla dottrina advaita infatti non si trova nulla, né è possibile accettare come tali gli attacchi ad personas e i pettegolezzi. Risulta invece che anche questa volta, come dal 2018, prenda tempo, in attesa e nella speranza di raccogliere qualche contributo esterno, proveniente da chissà quale altra competenza individuale dei signori “chiamati alle armi”, che possa colmare il vuoto della propria assenza di argomenti.

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    1. I - Il parolaio Carlo Rocchi, che per brevità, ma soprattutto per indubitabile ed esclusiva appartenenza, da qui in avanti chiamerò solo ‘parolaio’, mi dà del pagliaccio: contraccambio sentitamente! E a proposito di pagliacci, inviterei il ‘parolaio’, consapevole senz’altro di quanto sto per evidenziare, di spiegarci secondo lui - come qualcuno ha ben rilevato -, a cosa sarebbe dovuta la carnevalesca iniziativa del sito di VVM, che fa diventare il monosillabo sacro OM, tramite un ardito e originale calembour, un laido “OM PAGE”: magari mi sbaglio, ma si fa veramente fatica a credere che l’iniziativa possa essere dovuta a qualcosa che non riguardi un’esclusiva, inarrivabile e invidiabile arte di sopraffina clownerie!E questi apodittici signori avrebbero la bella pretesa di far osservare a me, che a differenza loro, nulla ho di che spartire con certi ambienti ai quali vengo assimilano tout court, se non il medesimo sentire, che farei perdere loro credibilità; do un consiglio spassionato al gruppetto “non-duale”: la frittata ormai è fatta, ma fareste bene, anche se con colpevole ritardo, ad eliminare questa idiozia, non fosse altro che per salvaguardare la vostra di credibilità e per rispetto della vostra tradizione, almeno per i futuri ignari malcapitati!!!Tra uno sbadiglio e l’altro, indotto dalla sonnolenza dovuta all’indigestione della ‘pappardella’ condita all’insipido ‘ragù’ ‘non-duale’, ho avuto, devo ammetterlo, dei sussulti dovuti alle sesquipedali baggianate di chi, col solito tono apodittico, afferma audacemente senza conoscermi che saremmo (il ‘pluralis’ non è il ‘modestiae’, ma proprio la prima plurale, in quanto mi sento chiamato in causa quale sodale del ForteGuerra…) di quelli che “…e senza aver EVIDENTEMENTE [???? Il maiuscolo è mio ndr.] mai preso in mano l’Organon di Aristotele o l’Isagogè di Porfirio (figuriamoci la logica indiana)…” abuseremmo della logica aristotelica e del mito platonico della‘Caverna’. Per uno invece che ci assicura di essere cresciuto a pane e caverne, devo dire che la sua pertinenza in merito, ha del surreale: di quale braciere va cianciando il ‘parolaio’? A parte che non c’è nessun braciere di sorta - viceversa si potrebbe pensare che tale ‘illuminazione’ possa essere posta in un posto qualsiasi della caverna, o addirittura al suo centro - , ma invece (verbatim; il maiuscolo è mio) “ … [514a] Dietro di loro, alta e lontana, brilla la LUCE DI UN FUOCO; e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada in salita, lungo la quale immagina che sia stato costruito un muricciolo…”, fuoco che non è situato in un punto a caso, ma: “…Pensa a uomini chiusi in una specie di caverna sotterranea, che abbia l’INGRESSO aperto alla luce per tutta la lunghezza dell’antro…”. Ora, è vero che non è (ancora) il Sole, ma è pur sempre un principio igneo il quale, impercettibilmente e senza soluzione di continuità diventa “…[515e] E se fosse costretto a guardare proprio verso la luce, non gli farebbero male gli occhi e non fuggirebbe, voltandosi indietro verso gli oggetti che può vedere e considerandoli realmente più chiari di quelli che gli vengono mostrati?» «È così», rispose. «E se qualcuno», proseguii, «lo trascinasse a forza da lì su per la salita aspra e ripida e non lo lasciasse prima di averlo condotto alla LUCE DEL SOLE, proverebbe dolore…”; questa trasposizione insensibile, dal Fuoco al Sole, la si deve alla spiegazione della ‘teoria della linea’ platonica, che invitiamo il ‘parolaio’ a studiarsi meglio di quello che ha fatto con il mito della ‘Caverna’: prima di non considerarsi dei “prigionieri del simbolismo (cit. M.C. de’ Fenzi)”, bisognerebbe averlo studiato preventivamente, altrimenti, lungi dall’essere prigionieri, ne si è semplicemente derisi!

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    2. II - E sulla falsa linea di questa rettifica, si potrebbe non dire più nemmeno una parola sul resto dell’ipertrofico chiacchiericcio del ‘parolaio’, sennonché vale la pena di soffermarsi su altre due, tre questioni che il nostro non ha punto inteso… Seccamente, ci tengo a dire che l’adab che avrei acquisito presso la ‘mia’ (?)Tariqa (ma che ne sa il ‘parolaio’ della ‘mia’Tariqa, se non l’ho mai palesato?) grande o piccolo che sia, lo riserverei esclusivamente a chi ne è degno; sicuramente anche ai nemici… vinti però, non certo, quelli ancora con le armi ben cariche puntate contro, ché sarebbe da fessi, per cui mi avvalgo di un détto del tutto profano, ma pur sempre valido e attuale: “in amore come in guerra tutto è lecito”, e se questa non è una guerra (nucleare)!
      Circa la ‘vexata’ sull’assentimento: per uno che ci fa sapere che confonderei ‘…”semplice” con “facile”…’, è abbastanza divertente sentirlo protestare sul fatto che io non voglia confondere ‘assentimento’ e ‘fede’. Mi avvalgo quindi, in questo caso da ‘prigioniero dell’etimologia’, della derivazione semantica dei due termini: “ ASSENTIRE: dal lat. ‘ad’/con e ‘sensum’/senso, CONVENIRE in ciò che altri ha fatto o propone di fare; APRROVARE…”, ovvero “ASSENSO: essere del medesimo avviso; ACQUIETAMENTO DELLA MENTE a una cosa che vien proposta o affermata…”; “FEDE: CREDENZA in alcuna cosa o persona… la radice FID, o FEID equivalente al gr. peith-peith-o, PERSUADO…”. Come non accorgersi che l’assentimento è in relazione con la ‘metanoia’, e quindi non più con l’individuo ma con, per restare in tema, l’‘hegemonikón’(Antaryamin)? E quindi non affatto col sentimento di cui solo la seconda, la fede, ne è influenzata, ma con un atto intemporale che riguarda, come ho già spiegato (ma quante volte bisogna dirlo?) la Reminiscenza o Anamnési che dir si voglia? Come non accorgersi che c’è tutta la differenza che intercorre tra persuasione e dialettica? Tra personalità e individuo? D’altronde, come ha ben evidenziato qualcuno, comunque: “Si deve credere al fine di comprendere, e comprendere per credere. Tuttavia, questi non sono atti successivi della mente, bensì simultanei. In altre parole, non vi può essere conoscenza di qualcosa alla quale la volontà neghi il suo consenso, NÉ AMORE DI CIÒ CHE NON È STATO [già] CONOSCIUTO.”. Lei è convinto che questa non sia altro che una capziosa, inutile distinzione e che sia un ‘ribattezzare’ la fede “…per raccontarsi di non essere del tutto simili a degli essoterici e di non aver a che fare con il sentimento…”? Pur considerando la cosa gravissima per uno che ha le sue pretese: che ci potrei mai fare?

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    3. III - Sulla questione dell’infallibilità, mi dice che “...I nostri oppositori sono così accecati dalla loro fede sclerotizzata nell’infallibilità DI [notare la preposizione] Guénon…”; lo devo dire a mio discapito: mi arrendo! E poi, da questo pulpito, dopo aver insinuato “…Tra l’altro, Guénon stesso ha dato prova, in più occasioni [?], di rivedere quanto dichiarato precedentemente [quali di grazia?]… E SE CI FOSSE ANCORA QUALCOSA DI CUI NON HA POTUTO O AVUTO OCCASIONE DI RIVEDERE [Aaaahh, ecco che è saltata fuori la magagna!]?”e “…Se questa posizione non si ritrova presso gli ambienti di riferimento, e cioè non è conforme al loro insegnamento, allora quella di Guénon nello specifico diventa un’opinione da valutare come quella di qualsiasi altro..”, nonché: “…Guénon aveva ragione perché aveva ragione, non aveva bisogno di riferirsi a nessuna fonte perché la sua era una conoscenza personale realizzata e via di cose di questo genere…”, si avrebbe anche la bella faccia tosta di assicurare che non ce l’avete con G. e che non lo attaccate mica – nooo! –, perché chi la pensa così, non sarebbero altro che le paranoie di alcuni malandati strateghi che usano una “…vecchia tattica, basata sul nulla, perché nullo è il ragionamento per cui o si accetta tutto di Guénon o non lo si è capito affatto (anzi questo modo di trattare un sapiente è semmai invertito e rovescia i rapporti tra la dottrina e l’autorità)…”: ma ci credete tutti con l’anello al naso? E come si fa a spiegare a lorsignori‘non-duali’ che l’Autorità tradizionale e la sua funzione è, in quanto tale, la Dottrina stessa e che non ci può essere nessun rapporto gerarchico perché strettamente interconnesse? Per cui sì, a differenza vostra, che vi basate solo sulle vostre qualificazioni che qualcuno avrebbe riconosciuto tali – non si sa bene chi e come, perché per voi, non essendoci affatto bisogno di affidarsi ad un’autorità, non si capisce a che titolo questo ‘qualcuno’ parlerebbe e valuterebbe –, dicevo, sì, “…per Anonimo si tratta inevitabilmente, in fondo, di affidarsi a una qualche autorità, pena il non poter contare su nulla e nessuno…” e non perché “…ogni possibilità di conoscenza… è esclusa dal nostro; o si è fideisti o si è scettici…”, ma proprio per il suo esatto contrario, in quanto unico modo di accostarvisi legittimamente per realizzarla. Questo atteggiamento di lanciare il macigno e di nascondere la gru che l’ha scagliato, credendo di fare in tempo a parcheggiarla dietro a un dito senza essere visti, fa il paio con l’altro per cui, dopo aver détto peste e corna dell’Islam (verba manent…), si fa le verginelle dichiarando spudoratamente che “…Simile è la questione dell’Islam: questa lettura per cui l’esposizione dell’advaitavāda sarebbe un deprezzamento dell’Islam è già di per sé un attacco retorico falso che serve a suscitare una reazione ‘d’appartenenza’ nei guénoniani musulmani…”: ma voi siete proprio così o ci fate di brutto?

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    4. IV - Visto che ho speso qualche parola apologetica per G., ne spendo una anche per lo Shaykh Husayn (Maridort) e per i “maridortiani (sic!)”; cito alla bisogna, ciecamente come faccio con il G., la mirabile prosa del ‘parolaio: “…si interroghi piuttosto, se queste cose proprio le interessano tanto – viste le indagini personali da fact-checkers profani che avete montato ultimamente -, o per avere un’idea di che cosa significhi ‘seguire le proprie passioni’…”; “…il consesso torinese, storicamente riconosciuto come “congenitamente polemico”, “paranoico” e autoreferenziale da tutti, anche da studiosi indipendenti…”; “…Per quanto riguarda l’ “attacco” ai maridortiani invece non ci sono davvero parole. Un’accusa del genere rasenta il ridicolo e ignora lo “storico” di quello che è successo: si faccia un giro su internet e visioni lo stato delle cose….”, ecc.., ecc… Una domanda sola: ha appreso tutta questa verità facendosi un bel giretto su Internet? Quando si dice dare dei ‘fact-checkers profani’ agli altri senza nemmeno ridere. È questo trivio insulso, l’“autorità” alla quale vi affidate, da elevati ricercatori quali pretendete di essere per avere notizie certe: Internet? Capisco… Parafrasando le sue stupidate del ‘parolaio’: in questo mi unisco alla fragorosa risata (invece che al grido di dolore) di Masetto e Ventura!
      Infine sulla questione della NA, leggo del Nostro che: “…Per costui [il sottoscritto] è inaccettabile che Guénon abbia commesso un tale errore, e dunque anche se non ne sa di più (e tutto va nel senso opposto aggiungo io), è “certo” (cioè lo crede con tutto se stesso) che Guénon non si sia sbagliato e che debba esserci necessariamente qualcos’altro, e questo perché? Proprio perché non è ipotizzabile che si sia sbagliato…”. Comincio col dire che in proposito, in uno dei mie commenti in risposta a Maitreyī affermavo: “…infine, che se G. non fosse stato assolutamente giustificato nel proporre questa convergenza, e nessuno fosse in grado di confutare lo studio del Cosma (il fatto che non ci sia nessuno attualmente, non esclude che non ci sia mai stato, o che ci sia, ma, per mille motivi, non si trovi o non voglia farsi trovare…), bisognerebbe ammettere che G. si sia sbagliato, ma questo non significherebbe altro se non che avrebbe parlato in suo nome e non per il tramite della sua funzione. Questo non costituirebbe che una cosa più unica che rara, perché, quello che qui si vuole far passare da questo preteso equivoco è che se è falso il presupposto, deve essere necessariamente falsa anche la conclusione riguardante la correlazione tra l’Induismo e l’Islam, e che, soprattutto, questo parlare in proprio nome, non sia per G. che l’unica chiave di lettura della sua opera. So benissimo qual è il gioco delle tre carte che in certi ambientini si gioca: dimostrare che G. ha sbagliato una volta, o poche, significa dire che tutto della “sua” opera può essere messo in discussione (soprattutto quando fa comodo), con il che, infallibilità e relativo assentimento da parte dei suoi lettori vanno a farsi benedire, non restando altro che gli applausi! [E alla luce dei fatti, come si può constatare sopra, non mi sbagliavo affatto!]…”

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    5. V - Come vede caro ‘parolaio’, costui, l’ha ipotizzato, contrariamente alla sua boriosa sicumera, “…senza per questo scadere per nulla in abiure, rifiuti, o sciocchezze del genere…(cit.)”! So ben cosa significa, al contrario vostro, il concetto di “infallibilità”, molto diverso da quello di “impeccabilità”, inerente solamente alla funzione profetica (ah, già, i Profeti, dimenticavo che non avete un gran che alta considerazione della loro realizzazione spirituale…), quella di G. essendo stata più che altro quella di “erede” della Tradizione, come qualcuno l’ha ben definito. Ma qui il discorso è un altro: come è possibile che un errore così marchiano, individuato dal Cosma, possa essere passato inosservato a G., cosa che nemmeno un allievo di primo anno di sanscrito farebbe? Dove mai poi G. avrebbe detto che la ‘Na’ vale 50? Quando mai ha parlato della ‘N’ vattan? Quando mai, in questa storia, si sarebbe affidato, a parte per la citazione per altri motivi, sull’articolo de “Il Re del mondo”, a “… le invenzioni occultistiche di Saint-Yves d'Alveydre.” e lo avrebbe seguito? Non si sarebbe accorto, o avrebbe fatto finta di non accorgersi, di passare dalla convergenza Nun/Na a Nun/Nun, come si evince dalla fine dell’articolo imputato “I misteri della lettera Nun”? E “…Se queste informazioni non si trovano neppure presso gli ambienti autorizzati, che anzi la smentiscono, né tra l’altro in alcuna fonte sapienziale…”, quali sarebbero gli ambienti autorizzati, i vostri? Le avete vagliate tutte le fonti, o solo quelle in vostro possesso? Il feticisti del documento, si dovranno pur arrendere prima o dopo, per cui condivido quanto da Masetto sostenuto “…la scienza delle lettere è una «conoscenza» che discende da una «realizzazione» e nulla se ne potrebbe ricavare partendo dal basso sulla base di informazioni di tipo accademico o di opinioni individuali”. Per ultimo, mi sono veramente stufato di ripetere le solite cose; lei dice: “…perché mai lei e Forteguerra vi sentite sicuri di una conoscenza che non possedete, tanto da attribuirvi un ruolo di “orientamento” dei lettori, che giocoforza sarebbero meno dotati di voi in comprensione? La smetterete prima o poi ad attribuirvi ciò di cui nessuno vi ha investito, lasciando ai lettori la libertà di avere a riguardo la corretta ed equa discriminazione, invece di sentirvi in possesso di chissà quale illuminazione? [senti chi parla verrebbe da dire…ndr.]”; e ancora: “…Il vostro problema (con vostro intendo dell’Anonimo e di Forteguerra, e dell’ammucchiata di rst-scienza interiore, ecc.) è la clamorosa disonestà, la faziosità, il tono denigratorio e derisorio con i quali cercate di intimare il silenzio [???] in chi non accetta il vostro vaglio e la vostra pretesa autorità di dare patenti di legittimità tradizionale. Ma chi vi ha affidato tale compito?”. A parte la solita trasudante borietta, e che a me, a differenza del ForteGuerra, come ho già détto mille volte, dei lettori frega uno zero assoluto: chi si crede di essere, lei, per avere le certezze che ‘sputazza’ a destra e a manca, sul mio conto? Ma chi le ha mai affidato tale compito ingrato?
      GATTO

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    6. Maria Chiara de' Fenzi23 ottobre 2020 alle ore 09:55

      Bonjour finesse!

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    7. Buongiorno sig.a de' Fenzi, mi stavo preoccupando non volesse più rispondermi direttamente... Che dire, Chiara (posso permettermi di chiamarla così, visto che siamo ormai entrati in una certa “intimità”?), uno cresciuto tra i bar della Stazione e non in mezzo ai circoli del tè orientali (col mignolino alzato), temo sarà molto difficile per lui liberarsi di una certa qual trivialità, mi rendo benissimo conto, del tutto fuori luogo in questo consesso di, come dire, aristocratici dello spirito.
      Perciò voglia accettare le mie più sentite scuse, anche per le future e inevitabili cadute di stile...
      GATTO
      PS: ma allora mi degna di una lettura a quanto pare! La qual cosa mi lusinga molto, e per questo le sono profondamente grato…

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    8. Maria Chiara de' Fenzi24 ottobre 2020 alle ore 13:23

      No, non si può permettere di chiamarmi per nome né per parte di esso, ho il piacere e la fortuna di non conoscerla e nessuna intenzione che ciò avvenga mai. Lei è volgare e maleducato intenzionalmente e quindi non si possono accettare le sue ipocrite scuse. Ha ragione a dire che lei frequenta ambienti rozzi (e non mi riferisco ai bar) visto che anche i suoi solidali le danno man forte e avvallano il suo villano sproloquio e adesso anche le minacce terroristiche (inutile dire che erano una “metafora”, proprio un bell'ambiente il vostro, con anche pretese iniziatiche!). Incapaci di rispondere su questioni di dottrina, perché la ignorate completamente, avete voluto dirigere la conversazione verso il vostro basso livello su gli unici argomenti che, sbagliando, siete convinti di conoscere, con uso e abuso dello scherno, la villania e la supponenza rivolta a tutti (anche ai lettori non schierati, di cui a lei poco importa,  per parafrasarla), nascondendosi dietro un vigliacco anonimato, che ben palesano pochezza di spirito e mente impura.
      Al suo post scriptum le rispondo: “Il n'y a que ceux qui sont méprisables qui craignent d'être méprisés”.

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    9. Ma qui siamo alle comiche: quindi "bomba atomica" sarebbe una minaccia terroristica e non una metafora? Mi permetta Chiara (mi verrebbe da usare il diminutivo, altro che il cognome...): AHAHAHAHAHAHAH... Mi scuso, ma quando ci vuole ci vuole… E ci dica Chiara: "ambiente mafioso" era una metafora?
      PS: guardi, il mio problema sarebbe proprio il contrario, cioè il timore di essere apprezzato da quelli come voi!
      GATTO

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  17. I
    Sig. Rocchi, una battuta: mi son preso del “pedante” dalla Sig.ra de’ Fenzi per averle dato delle brevi risposte. Come definire lei che ci costringe a leggere un romanzo?
    Da l’impressione di uno che sia sceso nell’arena per mettere in mostra la sua verbosità, e che alla fine alza le braccia e si auto-proclama vincitore. Non vorrei deluderla, ma non m’ha minimamente impressionato. Non ha fatto altro che ripetere e “gonfiare” di dettagli le solite irose obiezioni che andate proclamando dall’inizio.
    Una breve premessa prima di risponderle. Giacché l’unico motivo che trovo nel perder tempo in queste discussioni è proprio l’interesse circa quei lettori verso i quali lei intima al Sig. Gatto e a me di “trattare col dovuto riguardo” chiedendoci “perché mai (…) vi sentite sicuri di una conoscenza che non possedete, tanto da attribuirvi un ruolo di ‘orientamento’ dei lettori, che giocoforza sarebbero meno dotati di voi in comprensione?”, le rispondo che, secondo me, è perfettamente normale che ci possano essere dei lettori che sono ancora all’inizio dell’approfondimento dell’opera di Guénon, e che chi ha alle spalle un po’ più di anni e di riflessione su di essa possa pensare di esser loro di qualche aiuto, come per il sottoscritto, agli inizi (e tutt’ora) è stato fondamentale il supporto del lavoro della Rivista di Studi Tradizionali (ai cui collaboratori non finirò mai di esser grato – e ai quali di certo non mi paragono!). Per quanto riguarda la successiva domanda: “La smetterete prima o poi ad (sic) attribuirvi ciò di cui nessuno vi ha investito, lasciando ai lettori la libertà di avere a riguardo la corretta ed equa discriminazione, invece di sentirvi in possesso di chissà quale illuminazione?”, la risposta è che la stessa cosa, con maggior diritto, si potrebbe chiedere a voi.
    Un’ultima considerazione sulla fondamentale questione dell’importanza di un iniziale assentimento. Ho già detto tutto quello che potevo nel modo migliore che potevo (la metafora della caverna, sig. Rocchi, era la parafrasi del mito e non il racconto del mito stesso – a proposito ancora di dita che indicano la luna –, infatti siamo d’accordo che la Vera luce è quella “fuori” dalla caverna, per cui la sua spiegazione da maestrino su doxa, aletheia, eikasia e pistis la dice lunga su chi è quello che “vuol fare lo splendido e il sarcastico”, non trova?), aggiungo solo che, in questo caso, è come voler spiegare, ad esempio, che sapore ha una mela a chi è privo del senso del gusto. Come sempre si tratta solo di “orizzonte intellettuale”.
    Come ho già detto altre volte, non intendo cascare nella trappola di chi tenta di portarmi a spasso nei labirinti delle obiezioni, per smentire o rettificare critiche e dettagli mischiati ad arte per creare caos e intorbare ulteriormente le acque. I procedimenti analitici li lascio volentieri a voi. Io, sinteticamente, propongo, a beneficio di coloro che hanno orecchie per intendere, la lettura della prefazione dell’Autore del libro “Introduzione generale allo studio delle dottrine Indù”, che risponde a quasi tutte le vostre recriminazioni. Naturalmente se si (ri)conosce nell’opera di Guénon l’espressione della pura Metafisica.

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  18. II
    “Molte sono le difficoltà che in Occidente si oppongono a uno studio serio e profondo delle dottrine orientali in genere e in particolare delle dottrine indù; ma gli ostacoli maggiori non sono forse, come generalmente si crede, quelli dovuti agli Orientali. Uno studio siffatto richiede evidentemente, come prima e più essenziale condizione, che si possegga la mentalità adatta per comprendere, veramente e profondamente, le dottrine in questione; ora, è questa un'attitudine che, ESCLUSE RARISSIME ECCEZIONI, fa totalmente difetto agli Occidentali. In sé necessaria, tale condizione potrebbe poi addirittura essere considerata sufficiente, perché, quando venga soddisfatta, gli Orientali non provano la minima riluttanza a comunicare il loro pensiero nel modo più completo possibile. Se dunque non esiste altro ostacolo reale oltre quello da noi ricordato, qual è la ragione per cui gli “orientalisti” vale a dire gli Occidentali che si occupano delle cose d'Oriente, non l'hanno mai superato?
    E non corriamo il rischio di essere accusati di esagerazione affermando che in effetti non lo hanno mai superato; basta, per convincersene, constatare come essi non abbiano mai saputo produrre altro che semplici lavori d'erudizione, pregevoli forse da uno specialissimo punto di vista, ma privi di ogni interesse quanto alla comprensione della sia pur minima vera idea. Il fatto è che NON BASTA CONOSCERE GRAMMATICALMENTE UNA LINGUA, NÉ ESSER CAPACI DI TRADURRE PAROLA PER PAROLA, ANCHE CORRETTAMENTE, PER PENETRARE NELLO SPIRITO DI UNA LINGUA e assimilare il pensiero di coloro che la parlano e la scrivono. E si potrebbe andar oltre: quanto più una traduzione è scrupolosamente letterale, tanto più essa rischia di essere in realtà inesatta e di deformare il pensiero, giacché non esiste, di fatto, fra i termini di due lingue diverse, vera equivalenza; ciò è soprattutto vero se le due lingue sono molto lontane l'una dall'altra non soltanto filologicamente, ma anche per la diversità delle concezioni dei popoli che se ne servono; quest'ultimo elemento è appunto quello che nessuna erudizione permetterà mai di penetrare. OCCORRONO, A QUESTO FINE, BEN ALTRO CHE UNA VANA “CRITICA DEI TESTI” SVILUPPANTESI A PERDITA D'OCCHIO SU QUESTIONI DI DETTAGLIO, O METODI DA GRAMMATICI E “LETTERATI” o quel sedicente “metodo storico” che viene applicato a tutto indistintamente. È fuor di dubbio che dizionari e compilazioni sono d'una loro utilità relativa, che nessuno ha in mente di contestare; e NEMMENO SI PUÒ DIRE CHE TUTTO QUESTO LAVORO SIA COMPLETAMENTE INUTILE, SOPRATTUTTO SE SI TIEN CONTO CHE COLORO CHE LO FORNISCONO SAREBBERO NELLA MAGGIOR PARTE DEI CASI INCAPACI DI PRODURRE NIENT'ALTRO; MA, SFORTUNATAMENTE, DAL MOMENTO IN CUI L'ERUDIZIONE DIVENTA UNA “SPECIALIZZAZIONE”, ESSA TENDE A CONSIDERARSI COME FINE IN SE STESSA, INVECE D'ESSERE UN SEMPLICE STRUMENTO, COME NORMALMENTE DOVREBBE. È questa estensione abusiva della erudizione e dei suoi metodi particolari che costituisce il vero pericolo; in primo luogo perché rischia di assorbire anche coloro che forse sarebbero in grado di dedicarsi a un altro genere di lavori, e poi perché L'ABITUDINE A QUESTI METODI HA UN'AZIONE RESTRITTIVA SULL'ORIZZONTE INTELLETTUALE DI COLORO CHE VI SI SOTTOPONGONO, E IMPONE LORO UN'IRRIMEDIABILE DEFORMAZIONE.

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    1. IIa
      Ma non basta; ché finora non abbiamo nemmeno sfiorato l'aspetto più grave della questione: i lavori di pura erudizione sono certamente, nella produzione degli orientalisti, la parte più ingombrante, ma non la più nefasta; quando diciamo che la loro produzione non contiene nient'altro, intendiamo che non c'è nient'altro in essa che abbia qualche valore, anche se di portata limitata. CERTUNI, particolarmente in Germania, sono voluti andar più lontano, e, sempre valendosi degli stessi metodi, che in questo campo non possono più dare risultato alcuno, fare opera di interpretazione, aggiungendoci per di più tutto l'insieme d'idee preconcette che forma la loro mentalità propria, col manifesto intento di far rientrare negli schemi abituali del pensiero europeo le concezioni con le quali venivano a contatto. Tutto sommato, l'errore capitale di questi orientalisti, anche prescindendo da ogni questione di metodo, è di vedere tutto nella loro prospettiva occidentale e attraverso la loro propria mentalità, mentre la prima condizione per poter interpretare correttamente qualsiasi dottrina è, naturalmente, di fare uno sforzo per assimilarla e per porsi, nei limiti del possibile, dal punto di vista di coloro che l'hanno concepita. Abbiamo detto nei limiti del possibile perché, se anche non tutti vi possono riuscire in modo uguale, tutti possono per lo meno tentare; ora, lungi da ciò, L'ESCLUSIVISMO DEGLI ORIENTALISTI DI CUI STIAMO PARLANDO E IL LORO SPIRITO SISTEMATICO, SONO INVECE TALI DA SPINGERLI, PER UN'INCREDIBILE ABERRAZIONE, A CREDERSI CAPACI DI COMPRENDERE LE DOTTRINE ORIENTALI MEGLIO DEGLI ORIENTALI STESSI; PRETESA CHE IN FONDO SAREBBE SOLTANTO RIDICOLA SE NON SI ACCOPPIASSE A UNA BEN FERMA VOLONTÀ DI “MONOPOLIZZARE” IN QUALCHE MODO QUESTO GENERE DI STUDI. E di fatto in Europa non v'è altri ad occuparsene, tranne QUESTI “SPECIALISTI”, se non una certa categoria di sognatori stravaganti e di audaci ciarlatani che SI POTREBBERO CONSIDERARE ENTITÀ TRASCURABILE, SE NON ESERCITASSERO A LORO VOLTA UN'INFLUENZA DEPLOREVOLE SOTTO DIVERSI ASPETTI, come del resto avremo ad esporre a suo tempo in modo più preciso.

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  19. III
    Per contenerci qui a quel che riguarda gli orientalisti che si possono dire “ufficiali”, segnaleremo ancora, a titolo d'osservazione preliminare, uno degli abusi a cui dà luogo più frequentemente l'impiego del “metodo storico”, al quale abbiamo più su accennato: si tratta dell'errore che consiste nello studiare le civiltà orientali come si farebbe per civiltà scomparse da molto tempo. In quest'ultimo caso è evidente che si è obbligati, in mancanza di meglio, ad accontentarsi di ricostruzioni approssimative, senza mai essere sicuri d'una perfetta concordanza con quanto è realmente esistito in passato, non esistendo mezzo di procedere a verifiche dirette. Si dimentica però che le civiltà orientali, per lo meno quelle che ci interessano attualmente, sono tuttora viventi, senza fratture con il passato, e hanno ancora dei rappresentanti autorizzati, il cui parere vale, per la loro comprensione, incomparabilmente più di tutta l'erudizione del mondo; gli è che, perché venga alla mente l'idea di consultarli, non bisogna partire dal singolare principio che si sa meglio di loro qual è il vero senso delle loro proprie concezioni.
    Bisogna d'altronde anche dire che GLI ORIENTALI, I QUALI HANNO, E A RAGION VEDUTA, UN'OPINIONE NON MOLTO ALTA DELL'INTELLETTUALITÀ EUROPEA, si preoccupano ben poco di quel che gli Occidentali possono, in modo generale, pensare o non pensare di loro; di conseguenza NON FANNO IL MINIMO TENTATIVO DI CORREGGERE LE LORO VEDUTE, ANZI, SEGUENDO I CANONI DI UNA CORTESIA UN TANTINO SDEGNOSA, SI RINCHIUDONO IN UN SILENZIO CHE LA VANITÀ OCCIDENTALE SCAMBIA FACILMENTE PER APPROVAZIONE. La ragione di ciò risiede nel fatto che il “proselitismo” è totalmente sconosciuto in Oriente, dove sarebbe d'altronde senza oggetto e verrebbe considerato una pura e semplice prova di ignoranza e d'incomprensione; quanto diremo più oltre verrà a mostrarne le ragioni. LE ECCEZIONI A QUESTO SILENZIO, che viene da taluno rimproverato agli Orientali e che non per questo è meno legittimo, NON POSSONO ESSERE CHE RARISSIME, E A FAVORE DI QUALCHE INDIVIDUALITÀ ISOLATA CHE PRESENTI LE QUALIFICAZIONI RICHIESTE E LE ATTITUDINI INTELLETTUALI NECESSARIE. QUANTO A COLORO CHE VENGONO MENO AL LORO RISERBO FUORI DI QUESTO CASO BEN PRECISO, DI ESSI NON C'È CHE UNA COSA DA DIRE: IN GENERALE SONO ELEMENTI DI NESSUN INTERESSE, I QUALI NON ESPONGONO, PER UNA RAGIONE O PER L'ALTRA, CHE DOTTRINE DEFORMATE COL PRETESTO DI ADATTARLE ALL'OCCIDENTE; anche di costoro avremo occasione di dire qualche parola. Quel che per il momento vogliamo far comprendere, e che già all'inizio abbiamo indicato, è il fatto che sola ad essere responsabile di questa situazione è LA MENTALITÀ OCCIDENTALE, e che proprio questa situazione RENDE DIFFICILE ANCHE IL COMPITO DI CHI, essendosi trovato in condizioni eccezionali, ed ESSENDO RIUSCITO AD ASSIMILARE CERTE IDEE, VUOLE ESPRIMERLE NEL MODO PIÙ INTELLIGIBILE, SENZA CON CIÒ DEFORMARNE LA NATURA; QUESTI DEVE CONTENERSI A ESPORRE QUANTO HA COMPRESO, NELLA MISURA IN CUI CIÒ PUÒ ESSER FATTO, ASTENENDOSI ACCURATAMENTE DA OGNI PREOCCUPAZIONE DI “VOLGARIZZAZIONE” E SENZA VELLEITÀ DI CONVINCERE CHICCHESSIA.

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  20. IV
    Ci pare di aver detto abbastanza per poter definire nettamente le nostre intenzioni: noi non vogliamo in questo libro fare opera di erudizione, e IL PUNTO DI VISTA DA CUI INTENDIAMO PORCI È MOLTO PIÙ PROFONDO. SICCOME LA VERITÀ NON È PER NOI UN FATTO STORICO, CI IMPORTA IN FONDO ASSAI POCO DETERMINARE ESATTAMENTE LA PROVENIENZA DI QUESTA O QUELL'IDEA, LE QUALI NON CI INTERESSANO, TUTTO SOMMATO, SE NON PERCHÉ, AVENDOLE COMPRESE, LE SAPPIAMO ESSER VERE; SE NON CHE CERTE INDICAZIONI SUL PENSIERO ORIENTALE POSSONO FAR RIFLETTERE QUALCUNO, E QUESTO SEMPLICE RISULTATO AVREBBE, DA SOLO, UN'IMPORTANZA CHE MOLTI NEMMENO SOSPETTANO (…)”

    Infatti

    “Nonostante le scuse che si possono addurre per l’atteggiamento degli orientalisti, resta nondimeno che i pochi risultati validi a cui i loro studi sono potuti giungere, naturalmente dal loro punto di vista specifico dell’erudizione, sono quanto mai lungi dal compensare IL DANNO CHE POSSONO ARRECARE ALL’INTELLETTUALITÀ IN GENERE, OSTRUENDO TUTTE LE ALTRE VIE CHE POTREBBERO CONDURRE BEN PIÙ LONTANO QUANTI FOSSERO IN GRADO DI SEGUIRLE: dati i pregiudizi dell’Occidente moderno, per STORNARE DA QUESTE VIE QUASI TUTTI COLORO CHE FOSSERO TENTATI DI IMBOCCARLE, basta dichiarare solennemente che «non sono scientifiche», perché non conformi ai metodi e alle teorie ammesse e insegnate ufficialmente nelle università. Quando bisogna difendersi da un pericolo, qualunque esso sia, in genere non si perde tempo a cercare delle responsabilità; SE DUNQUE CERTE OPINIONI SONO INTELLETTUALMENTE PERICOLOSE, E PENSIAMO CHE QUESTO SIA IL CASO, CI SI DOVRÀ SFORZARE DI DEMOLIRLE SENZA PREOCCUPARSI DI CHI LE HA EMESSE O LE DIFENDE, e la cui onorabilità non è affatto in causa. Le considerazioni personali, che rispetto alle idee sono ben poca cosa, non possono legittimamente impedire di combattere le teorie che si oppongono a certe realizzazioni; del resto, poiché tali realizzazioni, su cui ritorneremo nella conclusione, non sono immediatamente possibili e poiché ogni zelo propagandistico ci è precluso, IL MEZZO PIÙ EFFICACE DI COMBATTERE LE TEORIE IN QUESTIONE NON È DI DISCUTERE INDEFINITAMENTE PONENDOSI SUL LORO TERRENO, BENSÌ DI MOSTRARE LE RAGIONI DELLA LORO FALSITÀ, RISTABILENDO LA VERITÀ PURA E SEMPLICE CHE SOLA IMPORTA ESSENZIALMENTE A QUANTI POSSONO COMPRENDERLA.” (R. Guénon, Introduzione generale allo studio delle dottrine Indù, L’orientalismo ufficiale).

    G.F.

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    1. Cito: NON BASTA CONOSCERE GRAMMATICALMENTE UNA LINGUA, NÉ ESSER CAPACI DI TRADURRE PAROLA PER PAROLA, ANCHE CORRETTAMENTE, PER PENETRARE NELLO SPIRITO DI UNA LINGUA. Giusto! Ma nella diatriba sulla lettera NA il correttore ha maggior titolo di chi è corretto? Se per trattare di scienza delle lettere si deve essere realizzati (“la scienza delle lettere è una «conoscenza» che discende da una «realizzazione») allora anche per controbattere gli stessi argomenti bisogna essere realizzati altrimenti è vaniloquio; sono realizzati per poterne parlare e opporsi? hanno forse penetrato lo spirito del sanscrito? Ogni obiezione deve essere giustificata da una realizzazione e una penetrazione della lingua; è così?

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    2. Gian Giuseppe Filippi23 ottobre 2020 alle ore 16:54

      Sebbene l’interventi dell’Anonimo fuori di controllo e del suo “pacato” confratello GF non rappresentino per niente una risposta alle argomentazioni del Sig. Carlo Rocchi, essendo completamente fuori tema, le lunghe citazioni da René Guénon sugli orientalisti sono del tutto condivisibili. Infatti anch’io mi sono espresso ripetutamente nei termini che seguono:
      “Il lessico filologico usato dai sanscritisti è del tutto inutilizzabile allo scopo che ci prefiggiamo, ne sia prova l’inintelligibilità delle loro traduzioni. Mi si conceda un paragone profano: se un traduttore da una lingua straniera traducesse un manuale d’informatica senza capire niente di questa tecnologia, il risultato sarebbe evidentemente del tutto inutilizzabile” (Svāmī Satcidānandendra Sarasvatī, Dottrina e Metodo dell’Advaita Vedānta, p. 14, n. 13).
      “A nostra conoscenza, nessuna pubblicazione accademica occidentale sull’Advaita Vedānta ha esposto questa dottrina al di là dei limiti di una interpretazione ottusamente filologica o, al massimo, in un’ottica di comparazione con la pseudometafisica della filosofia occidentale. Purtroppo anche i filologi e sanscritisti indiani, pur di compiacere i detentori occidentali del “sapere scientifico”, sogliono esibire punti di vista del tutto profani” (Ibid. p. 24, n. 24).
      “Per essere più espliciti, questo nostro lavoro non ha nulla a che fare e spartire con le inutili e distorte traduzioni e interpretazioni degli indologi e sanscritisti accademici d’Occidente e d’Oriente.” (G. G. Filippi, Il Serpente e la Corda, Milano, Ekatos Ed. Pr., p. 7 n. 3).
      Ovviamente, la condivisibilità totale a questo proposito riguarda le citazioni da Guénon, non certo l’inesistente pensiero di chi lo cita, incapace di formulare autonomamente ciò che pensa. A proposito di “parassiti dell’opera di Guénon”!
      Una osservazione sulla "realizzazione" per trattare della scienza delle lettere. Ma che idea si sono fatti i post-guénoniani della realizzazione? Questo, signori miei, si chiama occultismo!

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    3. Anonimo GB

      Credo che il Sig. G.F. con questo pezzo, composto per la maggiore dalla lunga citazione di Guénon, ha fatto il gioco più di VVM che non il contrario.
      Che il punto di vista espresso dal sito VVM sia anche solo paragonabile a quello orientalistico eurocentrico e modernissimo che va per la maggiore nell'accademia è tesi insostenibile, o sostenibile solo su base preconcetta o da parte di chi non ha letto i contributi del sito o non ha frequentato l'Accademia e non ne conosce l' orientamento dominante (Dominante non esclusivo per fortuna).
      Poi se qualche studente universitario ha avuto la fortuna di poter seguire il Prof. Filippi, tanto ben per lui, perché ha potuto aver modo di accedere ad una esposizione fedele ed autentica all'interno dell'ormai decadente mondo accademico. (Per la verità, a parte il Prof. Filippi, credo esista qualche altro sparuto caso per l'Italia, ed almeno un caso di tutt'altro che semplice "orientalista" in Accademia ho potuto constatarlo di persona).
      Parlo da semplice lettore che ha frequentato l'Accademia, ha letto Guénon, ed ha accolto con grande favore prima le pubblicazioni del Prof. Filippi e poi anche di tutti gli altri che si sono spesi sul sito VVM.
      È quasi commovente dal mio punto di vista che un professore abbia posto il suo nome e cognome su un testo come "Il Serpente e la Corda". L' Accademia versa in condizioni che reputo abbastanza disastrose, prendersela con chi al suo interno è una mosca bianca mi pare folle, significa tifare per la corruzione dei giovani intelletti: mentre qualcuno, nonostante tutto, aspira ancora in qualche modo alla conoscenza.
      Mi pare che ormai si faccia un po' di fatica a ribattere: dopo che anche interventi pervenuti da un punto di vista sufico hanno remato contro, non resta che Guénon elevato a Sruti per mezzo dell'assentimento (i cui connotati continuano, a parer mio e non solo evidentemente, ad oscillare tra fede e dogma), e non riesco a capire come queste citazioni possano valere da replica al ben argomentato "romanzo" del Sig. Rocchi.
      "NON BASTA CONOSCERE GRAMMATICALMENTE UNA LINGUA, NÉ ESSER CAPACI DI TRADURRE PAROLA PER PAROLA, ANCHE CORRETTAMENTE, PER PENETRARE NELLO SPIRITO DI UNA LINGUA" (Maiuscolo non mio) giustissimo, ma le possibili incomprensioni non dipendono certo dalla conoscenza della lingua, anzi, questa aiuta, e talvolta può permettere di correggere eventualmente anche Guénon in quei punti (comunque secondari, vedi l'articolo sulla NA) dove può aver sbagliato proprio perché non perfettamente edotto nel sanscrito e non certo perché era un "cialtrone" (cosa che sono sicuro nessuno qui crede, ma che è sostanzialmente opinione diffusa in ambito accademico).
      Le parole di Guénon citate sono certo interessanti, ma non riesco ad afferrare che funzione argomentativa possano avere nell'economia di questo dibattito.

      Saluti cordiali

      Giordano

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    4. “Sebbene l’interventi (sic) dell’Anonimo fuori di controllo e del suo “pacato” confratello GF non rappresentino per niente una risposta alle argomentazioni del Sig. Carlo Rocchi, essendo completamente fuori tema (ipse dixit!)…(cit)”. E ci dica, esimio, a parte la sua solita supponenza, per cui niente potrebbe rappresentare una risposta ‘in tema’ che non sia quella dei suoi splendidi collaboratori, quale sarebbe il self-control di personaggi a lei affini (magari – ho detto ‘magari’ –, sono tutti la stessa persona…) i quali si permettono di dire che “…il fondamentalismo islamico è qualcosa di «messo in atto con la simpatia e la connivenza evidente delle masse musulmane», oppure che «l’essoterismo islamico sia passato dalla accettazione passiva dell’anti-tradizione dei regimi laici comunisteggianti dei paesi islamici, alla simpatia per la più evidente tradizione khalifale di stampo anticristico» e che l’Islam di oggi è «ben lontano dal rappresentare una forma di ortodossia tradizionale», definendolo infine come l’espressione di una «matta bestialità», per di più, «senza nessuna guida da parte di alcuna élite orientale», eh, esimio Filippi, quale sarebbe questo invidiabile aplomb e controllo di se stessi?

      GATTO

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    5. I
      Siccome sembra che Forteguerra abbia deposto le armi, cosa capibilissima, ma a mio avviso non punto legittima, rispondo io con uno dei mie soliti interventi fuori controllo e, soprattutto, fuori tema. Vediamo allora di citare ciecamente, altro vizio che mi è stato incontrovertibilmente addebitato, il Filippi: “…A NOSTRA CONOSCENZA (!), nessuna pubblicazione accademica occidentale sull’Advaita Vedānta ha esposto questa dottrina al di là dei limiti di una interpretazione ottusamente filologica o, al massimo, in un’ottica di comparazione con la pseudometafisica della filosofia occidentale. (cit.)”, nonché “…Per essere più espliciti, questo nostro lavoro non ha nulla a che fare e spartire con le inutili e distorte traduzioni e interpretazioni degli indologi e sanscritisti accademici d’Occidente e d’Oriente.”. Insomma, in parole povere, se la fa e se la dice, autoproclamandosi (o sono state le Autorità – il rapporto con le quali vi crea così tanto imbarazzo – nel nome dei suoi Maestri a darle legittimazione a quello che, finché non vedremo un documento scritto o una qualsiasi testimonianza degna di fede, bisognerà considerare un suo rispettabilissimo autoproclama?) eterogeneo agli orientalisti dell’Orbe, per quel “quid” indiscutibile, derivante esclusivamente da ciò che… lui conosce (“…A NOSTRA CONOSCENZA…”): nient’altro che i soliti ‘ipse dixit’ con cui ci ha abituato… E qui, parafrasando l’insigne ‘parolaio’ C. Rocchi, quello sempre ‘in tema’, la voglia di fare un’altra cieca citazione è irresistibile, quindi: come si può sragionare fino a questo punto e non rendersi conto da soli che in pratica siamo arrivati alla teorizzazione pura e semplice che Filippi ha ragione perché ha ragione? Per me, le cose sono molto più semplici: qui non si tratta altro che di un ‘orientalismo’ sui generis, pieno di sé, ma che resta tale nella sostanza. Per giustificare quanto asserito e a proposito di “…Il lessico filologico usato dai sanscritisti è del tutto inutilizzabile allo scopo che ci prefiggiamo, ne sia prova L’ININTELLIGIBILITÀ DELLE LORO TRADUZIONI.… (cit.)”, ripropongo quello che già ho avuto modo di discutere in proposito col Filippi e che avevo fatto prendendo spunto, come sempre, da uno degli innumerevoli errori – ché sembra non abbia fatto altro –, che Guénon ha commesso nella sua inutile opera, alla quale ha dedicato, da stupido, tutta la sua intera esistenza.

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    6. II
      Dopo aver detto che gli orientalisti non sapevano che oltraggiosamente deformare il Vedanta, aggiungeva in una nota che, uno dei tipici errori che commettevano era: “…Bisogna notare che Brahmâ è una forma maschile, mentre Brahma è neutro; questa distinzione indispensabile, della più grande importanza (poiché non è altro che quella del «Supremo» e del «Non-Supremo»), non può essere fatta con l’uso, MOLTO IN VOGA FRA GLI ORIENTALISTI, dell’unica forma Brahman, che ugualmente appartiene ad entrambi i generi; perciò sopravvengono continue confusioni, soprattutto in una lingua come l’italiana, dove il genere neutro non esiste.”. Il Filippi, per tutta risposta, mi faceva sapere che: “…Nota (poco rilevante, in verità [ovvio! ndr.]): Brahman è forma base maschile e neutra. Brahmā è il nominativo maschile e il nominativo Brahma neutro. Nessuno, tanto meno i maestri [sempre rigorosamente minuscolo! ndr.] che parlano correntemente sanscrito, usa mai il nominativo o altri casi, se non quando richiesto dalla sintassi. Altrimenti, tutti usano la forma base in sanscrito, nei vernacoli e nelle lingue straniere. Ma Anonimo ha letto Guénon, perciò è il più Sapiente!”. Al che gli rispondevo: “… grazie di averci fornito su un piatto d’argento la conferma del movente che ci ha spinto a servirci delle puntualizzazioni di Guénon in merito alla questione: è proprio per la sintassi della lingua italiana che non possiede il neutro, per cui Brahman che è valido per entrambi, non farebbe che generare confusioni!”. E aggiungo anche, che siccome qui siamo su un trivio virtuale che chiamarlo “Bar sport dello spirito” è fare un complimento, dove astanti di ogni dove, passano, vanno e vengono, non avendo nessuna competenza specifica in merito, e ai quali ci si rivolge pescando ‘a strascico’, mi pare che, a maggior ragione, se si dice di essere quello che (non) si è, un’attenzione di questo tipo sarebbe stata la prima da mettere in atto, anche per i non “…indologi e sanscritisti accademici d’Occidente e d’Oriente!
      GATTO

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  21. Dissento fermamente dall’affermazione che gli orientali “non fanno il minimo tentativo di correggere” le velleità degli occidentali! Per esperienza personale posso assicurare che i Guru, i Jagadguru e saṃnyāsin con cui sono venuta in contatto iniziatico, non solo hanno corretto convincimenti fossilizzati fin dalla giovinezza da letture scambiate per oro colato, ma hanno fornito profonde spiegazioni ed insegnamenti ineguagliabili per fare śrāvaņa. Al contrario, da quei pochi contatti con ambienti guénoniani che ho avuto, posso testimoniare di aver riscontrato lì una vera ostilità per la correzione della loro fede irrazionale non basata su fonti certe.

    Domando all’ultimo Anonimo scrivente (21 0ttobre): ”Ma quali ambienti orientali ha frequentato?”. Infatti, recentemente, egli stesso confessava di aver frequentato soltanto zawiye “occidentali”. Affermo, poi, senza timore di essere smentita, che i Maestri, quelli veri, sanno riconoscere chi si presenta loro davanti e valutano la purezza d’intenzione di chi chiede di diventare loro discepolo.

    Concludo aggiungendo il mio apprezzamento per lo scritto del Sig. Carlo Rocchi, così puntuale e ricco da non lasciare spazio ad ulteriori pretestuose obiezioni. Infatti chi ha criticato lo ha fatto, al solito, non sul piano dottrinale, ma appigliandosi al nulla.

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    1. "Per esperienza personale posso assicurare che i Guru, i Jagadguru e saṃnyāsin con cui sono venuta in contatto iniziatico, non solo hanno corretto convincimenti fossilizzati fin dalla giovinezza da letture scambiate per oro colato, ma hanno fornito profonde spiegazioni ed insegnamenti ineguagliabili per fare śrāvaņa...": ecco, da qui lei potrebbe farsi una bella domandina e darsi anche un’acuta risposta… avendone ovviamente le possibilità. Ma se, dall’alto della SUA (!) esperienza (condizione universale e parametro insindacabile di riferimento per dirimere cosucce da poco come quelle in esame…) lei dissente “…fermamente dall’affermazione che gli orientali “non fanno il minimo tentativo di correggere” le velleità degli occidentali!...”, ovviamente non sarà mai in grado, non già di rispondere alla domanda, ma di farsi la domanda stessa! Rispondo alla poco compresa istanza che segue, non per cortesia, ma per evidenziare la squisita capacità interpretativa della suddetta “copista” (Durgā Devī), attitudine da estendere anche ai di lei sodali, che ne ricalcano spesso l’invidiabile procedimento dialettico: io affermavo “…Nella mia modesta esperienza ho SEMPRE avuto a che fare con delle Zawiya occidentali…”, perché il discorso verteva sull’insinuazione malevola di Abd-es-Samad, per cui “…se si vuole conoscere cosa sia il tasawwuf (sufismo) vero, si faccia un viaggio nei paesi in cui ancora sopravvivono le turuq tradizionali e non ci si affidi alle FOTOCOPIE OCCIDENTALI…”; quindi, il discorso significava che non avevo frequentato, in Occidente, che Zawiya originali e mai fotocopie. Altro che “…Infatti, recentemente, egli stesso confessava [?] di aver frequentato SOLTANTO zawiye [sic!!... Ottimo il plurale] “occidentali”, come lei abusivamente afferma.
      Ecco, prima di dedicarvi al “citazionismo cieco”, per scomodare la locuzione del tanto apprezzato C. Rocchi (“…così puntuale e ricco da non lasciare spazio ad ulteriori pretestuose obiezioni…”), di Śaṃkara e della Dottrina, nonché allo studio del sanscrito, con cui tanto ce la menate, dovreste dedicarvi a sviluppare preventivamente dialettica e comprensione delle proposizioni, oltre che a studiare un po’ di regolette grammaticali dell’italiano per le quali, i forestierismi, che rimangano tradotti o traslitterati o che vengano italianizzati, restano invariati e si scrivono sempre al singolare, anche quando sono plurali.
      GATTO

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    2. Il Gatto distrae sempre il lettore dai veri contenuti delle repliche che riceve. Nasconde la sua incapacità di risposta segnalando insignificanti imperfezioni o refusi dei suoi odiati nemici. E’ un vecchio trucco da sessantottino, da politicante, da sindacalista che non inganna nessuno. A me e ai lettori importa poco che si scriva “zawiye”, “zāwiyah” “zawāyā”. Importa invece la sua ammissione di aver frequentato “zawiye” europee, composte da europei convertiti e guidate da “maestri” europei convertiti. Quelle che sono state felicemente definite fotocopie. Questo spiega tutto della sua mentalità fanatica e antitradizionale.

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    3. Come dicevo ad Anonimo nell’altro thread (e, a proposito di anonimi: vorrei chiedere a Chiaretta – de’ Fenzi – se tale anonimato risulterebbe “vigliacco” anche nel caso in cui l’Anonimo sia uno che vi tiene bordone, o se invece, in questa particolare congiuntura, chiudereste un occhio…), qui siamo in presenza di una semplice comprensione testuale, ovvero analfa(e)betismo (s)funzionale, altro che “purificazione della mente”! In più, per il nostro “vicentino”, che a forza di mangiar gatti interi ha pure lui i rigurgitini di pelo, bisogna aggiungere anche l’analfa(e)betismo di ritorno: faccio presente che le mie precisazioni, si appoggiavano non già ai sessantottini, né ai sindacalisti (ma a che livelli siamo arrivati? Qui non siamo al cospetto che di un’irriducibile tendenza al “Barsportismo”, nemmeno ‘dello spirito’, ma tout court!), ma a un autore che era l’esatto contrario di un sindacalista sessantottino e che, per quanto profano, aveva la mente molto più purificata di tutti quanti voi messi insieme. Sciascia infatti, soleva dire che: “…l’italiano non è l’italiano, ma il saper ragionare!” …Però, prima di congedarmi e darmela anch’io “a gambe levate”, volevo lasciare una testimonianza che già avevo qui evidenziato, mancasse mai che qualche malcapitato con la ‘mente impura’ che passasse da queste parti, leggendomi, non si lasciasse fregare dall’apparente ragionevolezza e logicità delle proposte fatte dalle “sirene non-duali”, accorgendosi con ciò, della gran fortuna di possedere ancora una mente, magari impura, ma senz’altro da preferire alla sua dissoluzione totale “senza ritorno” (a chi, ‘in punto di metafisica’, istruisce le ‘menti impure’ che il “senza ritorno” è un’impossibilità, faccio notare che, ‘in punto di fatto’, “l’andata”, si farebbe meglio a non percorrerla, non essendo affatto una passeggiata …). Così scrivevo qualche commento fa: «… mi sovviene ciò che Dante faceva dire al consigliere di frode Guido da Montefeltro, dopo che il Demonio prese possesso della sua anima e nonostante l’assoluzione di Papa Bonifacio VIII: “O me dolente, come mi riscossi quando mi prese dicendomi: ‘Forse tu non pensavi ch’io loico fossi?’»!
      GATTO

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  22. Ripeto e cito per rimanere sul pezzo di Maitreyī: è stato contestato che NON BASTA CONOSCERE GRAMMATICALMENTE UNA LINGUA, NÉ ESSER CAPACI DI TRADURRE PAROLA PER PAROLA, ANCHE CORRETTAMENTE, PER PENETRARE NELLO SPIRITO DI UNA LINGUA. Giusto! Ma nella diatriba sulla lettera NA, chi corregge ha maggior titolo di chi è corretto? Se per trattare di scienza delle lettere si deve essere realizzati (“la scienza delle lettere è una «conoscenza» che discende da una «realizzazione») allora anche per controbattere gli stessi argomenti bisogna essere realizzati altrimenti rimane vaniloquio. Coloro che contestano sono dei realizzati per poterne parlare e opporsi? Hanno forse penetrato lo spirito del sanscrito? Ogni obiezione deve essere giustificata da una realizzazione e una penetrazione della lingua; è così per costoro?

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  23. Sig. "Gatto", lei sta facendo, con il tono di questi suoi interventi, un pessimo servizio alla sua persona, alla sua disciplina ed anche al nugolo di "guenonomani" che cerca di difendere ( soprattutto i torinesi )...Dicesi auto-gol...Guenon vi avrebbe schivato come un superstizioso schiva un gatto nero.
    Ma soprattutto : essere convinti che Guenon sia una sorta di "super-Avatar" infallibile ( nonostante vi siano errori e marce inidetro nella sua esposizione lunga una vita ) è una follia. Apprezziamo tutti Guenon, ma fu lui il primo a non ritenersi il Verbo dellaTradizione. Perchè lo fate voi, che vi limitate ad avere atteggiamenti saccenti, pedanti e imitativi senza scalfire il vostro duro e granitico ego ? La fine della vita si avvicina ogni giorno di più ! Cercate la Verità e l'Essenziale , il tempo è sempre troppo poco !!!

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  24. Nel Libro dei Mutamenti è scritto che “Le scritture non esauriscono la parola (cioè la tradizione orale); le parole non esauriscono il senso (la verità in sé, che va colta per mezzo dell’intuizione)”. Questa affermazione è stata trasmessa da Confucio, il quale sosteneva la necessità di verificare e collegare il tutto per mezzo dell’unità tradizionale, cioè la verità metafisica. Allora, dico io, da una parte noto gente che scrive per dire qualcosa che ha senso, e dall’altra, osservando gli altri, mi dico perché parlare o scrivere se non si ha nulla di sensato da dire? Per riprendere da dove ha concluso il Sig. Elio, ricorderei il vecchio proverbio: “Chi è asino e cervo si crede, al saltar della fossa se n’avvede”.

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