Obiezione: dato che l’unicità (di Brahmātman) è assoluta per colui che sostiene la dottrina dell’immutabile Brahmātman, non c’è né Reggitore né chi è retto, l’affermazione che Īśvara (il Reggitore) è la causa (dell’universo), si contraddice da sé!
Risposta: No, perché l’onniscienza (di Brahman) è (solo) in relazione alla differenziazione di nome e forma, che sono immaginazioni dell’ignoranza” (BSŚBh II.1.14).
Abbiamo già visto che l’advaitin sostiene che il Brahman è
essenzialmente coscienza, e lo si definisce onnisciente solo in senso
secondario. Perché la sua natura è Coscienza che illumina tutti gli oggetti, e
che nella vita ordinaria non c’è nulla di impercettibile, di percepibile e
distinto da Brahman, che non sia nel raggio di quella Coscienza. Dobbiamo ora
vedere in che senso sia Reggitore e onnipotente. Śaṃkara dà la seguente
spiegazione:
Il nome e la forma suscitati da avidyā (ignoranza) come identici all’onnisciente Īśvara (il Signore), che sono definibili sia come lui stesso o altro da lui e che sono il seme del mondo fenomenico della vita ordinaria, sono definiti nella śruti e nella smṛti come Māyā, (apparenza illusoria), śakti, (potenza), e prakṛti (natura) dell’onnisciente Īśvara. Īśvara è alquanto distinto da questi due.
E questo Īśvara (associato alla Māyā condizionante) regge i vijñānātman (anime conoscenti) chiamati jīva, che sono realmente il suo proprio Sé, solo nell’ambito della vita quotidiana… Così è solo relativamente alla limitazione dell’ignoranza che Īśvara è chiamato Īśvara (Reggitore), “onnisciente” e “onnipotente”, mentre non c’è spazio per tale uso (di termini) come “la relazione tra il Reggitore e colui che è retto”, “onniscienza” ecc. nel caso dell’Ātman in assoluto, che per natura è privo di tutte le associazioni condizionanti quando insorge la conoscenza (vidyā) (BSŚBh II.1.14).
Questa è solo metà dell’argomentazione perché dobbiamo
ancora capire come il Brahman senza parti possa essere la “causa materiale” di
tutto questo universo. Come la śruti può accordarsi al fatto, quando dice “La Realtà
diventa sia la realtà sia la non realtà empiriche” (Taittirīya Upaniṣad, II.7.1)
Śaṃkara
stesso scrive:
Per questa ragione Brahman è anche la causa materiale, perché la modificazione di Brahman nell’effetto è stata affermata nella śruti, definendo (Brahman e l’universo) come uno e lo stesso (come dice la Taittirīya Upaniṣad (II.3.1): “Brahman diventa tutto questo” (BSŚBh I.4.26).
Śaṃkara supera questa difficoltà altrove, portando la nostra
attenzione alla verità a livello assoluto:
Non c’è alcun difetto nel Vedānta, perché (qui) è considerato un particolare aspetto di Brahman proiettato dall’ignoranza. (Per meglio capire:) è ben noto che una cosa non diventa realmente divisibile semplicemente a causa delle specificazioni del suo aspetto proiettato dall’ignoranza. Certamente la luna non diventa molte lune per il semplice fatto che appaia molteplice a chi soffre di cataratta. Brahman è detto essere soggetto a cambiamento e, in quanto soggetto a altre nozioni empiriche solo nel suo particolare aspetto di nomi e forme differenziate e non differenziate, non definibile come se stesso o come diverso, (essendo questo aspetto) proiettato dall’ignoranza, mentre nel suo aspetto veramente reale, è oltre tutte queste definizioni e senza alcun cambiamento. Dato che il (cosiddetto particolare) aspetto proiettato dall’ignoranza è un semplice gioco di parole, l’indivisibilità di Brahman rimane del tutto inalterata (BSŚBh II.1.27).
Le false distinzioni della Realtà
Prima di inoltrarsi nei dettagli del metodo vedāntico, il
lettore farà bene a ricordarsi della distinzione tra i due punti di vista
riconosciuti dal Vedānta
dei quali ho parlato in un precedente articolo.
Innanzi
tutto c’è il punto di vista dell’uomo comune secondo il quale le Upaniṣad parlano della causa prima quale
origine, mantenimento e dissoluzione dell’universo; poi, invece, c’è il punto
di vista assoluto o, meglio, la reale spiegazione dello Śāstra con la quale si abrogano la
causalità e tutte le altre caratteristiche e funzioni con le quali è descritto
il Brahman, usate solo ai fini dell’insegnamento.
Per
quanto concerne il Brahman come causa dell’intero universo, abbiamo visto come
con il termine ‘causa’ Bādarāyaṇa, secondo l’interpretazione di Śaṃkara, si
riferisca al sostrato di apparenze, come nel caso del soggetto sperimentatore e
gli oggetti di questa esperienza. Le Upaniṣad usano la relazione causale empirica tra la causa materiale
e il suo effetto, come nell’esempio dell’argilla e del vaso, solamente per
illustrare come l’effetto in realtà non sia diverso dalla causa. La causalità
attribuita al Brahman è dunque eliminata per concludere che l’universo,
composto da esseri senzienti e non senzienti, è in essenza identico al Brahman.
Perciò il Brahman è l’unica Realtà mai esistita.
L’onniscienza
e l’onnipotenza di Brahman, inteso come Īśvara, il Signore dell’universo che
crea, mantiene e alla fine lo dissolve in se stesso, sono similmente attribuite
al Brahman al solo fine d’insegnamento. Quando colui che ricerca la Realtà ha
finalmente compreso l’insegnamento, quando ha capito che la sua vera natura è
Brahman, allora sarà anche capace di capire la negazione della distinzione tra
Īśvara e Iśitavya (Signore e suddito). Śaṃkara lo spiega con queste parole:
“Il nome e la forma che appaiono a causa di avidyā (ignoranza, conoscenza errata) identici all’onnisciente Īśvara (Signore), che da Esso non sono né identici né distinti e che sono i semi di questo Universo com’è sperimentato dall’anima trasmigrante, nella śruti e nella smṛti sono chiamati Māyā, Śakti (potenza) e Prakṛti (natura) dell’onnisciente Īśvara. L’onnisciente Īśvara è da esse distinto, infatti la śruti dice: “Ākāśa (l’Ātman come etere), è di certo conosciuto per essere ciò che differenzia nome e forma”. In questo modo (l’Ātman) limitato dai condizionamenti dovuti al nome e alla forma, diventa Īśvara, come l’etere è limitato da un vaso, una coppa ecc. E così, dal punto di vista empirico, egli regna sui vijñānātman (i sé condizionati dall’intelletto) chiamati jīva, che sono veramente il suo Sé limitato dai nomi e le forme dei corpi e dei sensi, fatti di nomi e forme che sono proiettati da avidyā. Quindi il regno, l’onniscienza e l’onnipotenza di Īśvara sono solo relativi in quanto la limitatezza è associata all’ignoranza; al contrario, dal punto di vista della Realtà, la relazione tra signore e suddito, onniscienza ecc. non può riguardare l’Ātman, la cui natura, per mezzo dell’illuminazione, è libera da qualsiasi relazione limitante” (BSŚBh II.1.14).
Da questa lunga citazione dal Sūtra Bhāṣya, è chiaro che le Upaniṣad di
volta in volta usano la distinzione Signore-suddito, o negano tale distinzione,
a seconda che si riferiscano alla visione empirica oppure alla vera natura
dell’unico Ātman
senza secondo. E proprio come metodo di insegnamento presuppongono l’esistenza
del mondo fenomenico e dicono che il Brahman crea, mantiene e dissolve il
mondo. Quando il cercatore ha colto la vera natura del Brahman come distinta
dal mondo manifestato, esse (le Upaniṣad) dichiarano che il cosiddetto Signore è
intrinsecamente solo l’Essere, Assoluto, Coscienza e Infinito.
Questa,
dunque, è la dialettica del metodo vedāntico che presenta la Realtà assoluta,
prima attribuendole alcune caratteristiche e negandone altre attribuite a essa,
per poi dimostrare che nemmeno nessuna caratteristica può appartenere
all’Assoluto. Questo metodo ha come fine indicare a colui che cerca la verità
che la Realtà è completamente libera da qualsiasi caratteristica concepibile.
Un mezzo verso citato nel Bhagavad Gītā Bhāṣya
riassume così il metodo:
“Quello che è privo di qualunque caratteristica, è prima descritto volutamente per mezzo della sovrapposizione, per poi negarla” (BhGŚBh XIII.13).
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