"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

venerdì 1 maggio 2020

D.T.P., Presentazione del libro di ‘Abd Al-Qâdir al-Jaza’irî, Unicità dell’Esistenza e Creazione rinnovata

D.T.P.

Presentazione del libro: ‘Abd Al-Qâdir al-Jaza’irî, Unicità dell’Esistenza e Creazione rinnovata

Pubblichiamo la Presentazione al testo dell’Emiro ‘Abd Al-Qâdir al-Jaza’irî intitolato Unicità dell’Esistenza e Creazione rinnovata” (Ekatos Edizioni) e rimandiamo al Blog di Ekatos Edizioni per leggere il Commento di un Corrispondente e la Replica dell’Editore. (link qui sotto)
Link: https://www.ekatosedizioni.it/metafisica-e-sufismo/
I testi dell’Emiro ‘Abd Al-Qâdir che presentiamo in questa antologia tematica, sono tratti dalla sua opera più famosa, il Kitâb al-mawaqîf, «Il Libro delle Soste», composto durante il suo esilio a Damasco. Questo testo, scritto nel XIX secolo, si può collocare a pieno titolo tra i libri fondamentali del Tasawwuf, l’esosterismo islamico, ed è in realtà un commento coranico il cui fondamento dottrinale troviamo nell’opera di Muhyiddîn Ibn ‘Arabî.
Per una più profonda comprensione di questi mawaqîf, ma più in generale di tutto il fondamento dell’insegnamento trasmesso dal Sufismo, occorre rifarsi alla Dottrina dell’Unità (tawhîd). Tawhîd è l’infinito della forma verbale wahhada (o wahada) che si può tradurre con “unificare”, “rendere unico”[1]; si tratta di un procedimento trasformante che non si limita all’enunciazione dialettica di un principio in modo dogmatico ed esterno a chi lo proferisce, ma che deve coinvolgere l’essere in una trasmutazione interiore che corrisponde alla vera e propria Realizzazione spirituale[2]. Questa escludendo che possa essere assimilato alcunché alla Unicità (ahadiyya) di Dio, neppure i Suoi Nomi o attributi, in modo reale attesta che al di fuori di Lui non vi è nulla (lâ ilâha illa Allāh) e che “il Principio di ogni esistenza è essenzialmente Uno[3].
Di conseguenza affermare che solo Dio agisce come nel mawqif 2, equivale a riconoscere che questo principio (ahadiyya) innerva tutto il piano di esistenza della manifestazione, così come sancito dagli āyāt secondo cui “Dio è il Creatore di ogni cosa (Lui ha creato voi e le vostre azioni[4]), Egli è l’Unico, il Dominatore Supremo”[5]: ciò comporta far svanire la suggestione di una dualità originaria che in realtà non esiste, se non nell’ego, e quindi implica bandire ogni possibilità e pretesa della creatura di coltivare la suggestione di una realtà propria che non può essere altro che una contraddizione in termini e configura quella colpa che sola non trova perdono presso Dio: l’associazionismo[6].
Seppure a ben vedere il solo a potersi proclamare Unico è l’Uno stesso, riteniamo conseguentemente che anche solo il riconoscimento «teorico» dell’Unità, se è sincero (ossia puro, dunque unificante), sveli alla creatura la possibilità di riconoscere in sé stessa la Sua Unicità, e anzi, sancisca i limiti entro cui essa possa svolgere legittimamente l’indispensabile lavoro interiore e compiere le opere che gli devono corrispondere, infatti ciascuno sarà facilitato in ciò per cui è stato creato[7].
Il Tawhid è dunque la stella polare che orienta il cammino di chi cerca Dio (simile al percorso che dalla circonferenza, attraverso un suo raggio, arriva al centro che la origina) e gli consente di superare la molteplicità della manifestazione, la condizione individuale, fino a spingersi oltre la dualità, all’Identità con Lui (wahda)[8].
Si può scorgere a questo punto, come l’autentico esoterismo islamico sia modellato sulla shahāda[9], la testimonianza di fede a cui abbiamo poco sopra fatto riferimento per quello che è il suo primo postulato (lâ ilâha illa Allāh, non c’è divinità al di fuori di Dio), a cui deve seguire l’attestazione dello status universale dell’Uomo e della sua vocazione (sayyiduna Muhammadan rasûl Allāh, il Signore Muhammad è l’inviato di Dio), archetipo di quella Identità Suprema che è il vero obiettivo del Tasawwuf e della sua iniziazione[10].
L’Ahadiyya pertanto, implicando l’impossibilità di alcuna conoscenza (‘ilm) distintiva, è inaccessibile alla creatura come tale che non ha estinto ogni traccia del creato e non si è liberata dai legami dell’esistenza condizionata; risulterà allora un po’ meno ostico comprendere perché non può essere che Dio nella Sua Unità che conosce Sé stesso attraverso Sé. Questo assunto è sancito da Ibn ‘Arabî nell’Introduzione de Al-Futûhâtu al-Makkiyyah là dove definisce la Scienza Divina come la relazione (ta’alluq) della Divinità con Se stessa e con le realtà essenziali (haqaiq) di tutte le cose reali (muhaqqaq) siano esse esistenti o non esistenti.
È detto che quando Dio ama il Suo servo fedele diviene l’orecchio con cui ode, l’occhio con cui vede e la mano con cui afferra[11] così da perfezionare l’identificazione fra il Conosciuto e il conoscente; questa trova un esempio realizzato in uno dei Maestri dell’antichità che ha affermato “Io sono il Vero” (Anā ‘l-Haqq)[12] in ragione del fatto che non era il suo io a parlare, ma la Personalità del suo Signore in lui[13].
Premesso tutto ciò, che consente di inquadrare l’azione e l’opera dell’Emiro secondo la prospettiva dell’esoterismo islamico, vorremmo provare a dire qualche cosa in più per cercare di coglierne la portata e individuare la giusta collocazione nel dominio iniziatico tout court.
Occorre subito precisare che la Conoscenza Metafisica mal si concilia con l’azione (seppur rituale) perché questa non è il mezzo con cui la si possa ottenere; semmai assolve questa funzione l’intuizione metafisica che costituisce il presupposto della realizzazione che gli corrisponde, la Liberazione. Inoltre se si rispetta correttamente l’etimo, la Metafisica è vero che è «di là dalla fisica», ma non per questo la esclude, perché per cogliere la Totalità occorre acquisire la consapevolezza dello Spirito Primordiale e Immutabile che ne è il substrato; tale per cui l’Unica Realtà è quella che permane a seguito della rimozione delle sovrastrutture illusorie create dal senso interno dell’io individuale in tutti gli stati in cui questo si alterna. Nelle pagine che seguono pertanto, si possono scorgere, a sprazzi, delle “aperture”, che se sgravate di tutto quanto pertiene alla “forma” d’origine, cui l’Emiro appartiene, lasciano intravedere quella Dottrina della Tradizione Primordiale di cui il Sanātana Dharma[14] è depositario e l’Advaita Vedānta[15] la massima espressione[16]. Inoltre la via della Conoscenza Suprema, avendo come obiettivo l’Assoluto, non può che culminare col riconoscimento della Verità e con la presa di coscienza di essere il “Testimone”, la luce di tutti gli stati; per tale ragione qualsiasi determinazione mentale in quest’ambito, fosse anche la più elevata come quella proveniente dall’intelletto, sarà sempre parziale, instabile  e chiaramente illusoria. Lo stesso Emiro ci indica tutta l’inanità dell’azione individuale (ahaṃkāra) là dove si desideri realizzare la propria natura essenziale (svarūpa)  e con ciò approdare alla Liberazione:
“Non sono nato per essere un guerriero, non avrei dovuto esserlo neppure per un solo giorno, tuttavia ho portato le armi tutta la mia vita”.
Riteniamo infatti che per maturare pienamente la consapevolezza di questa natura essenziale che è Conoscenza-coscienza, e riconoscersi Essa, si debba andare oltre lo stesso “sogno del Signore”, perché tale è la totalità del mondo manifestato, e abbandonare la convinzione/illusione di essere un’anima individuata quindi distinta dal Sé Supremo, ben espressa dalla dicotomia Dio-io, Creatore-creatura, Signore-servitore; questo, a nostro parere, è senza dubbio il limite delle vie, come il sufismo, che hanno il loro fondamento nell’azione (rituale) e che dunque si sviluppano per tappe, “soste” e con l’acquisizione di maqamat. Tutto ciò infatti inerisce alla conoscenza che si può ottenere nei primi due stati (veglia e sogno) quindi quella del non-Supremo[17], e pure essa può sembrare di valore elevatissimo e nobile, come in effetti è quella espressa dall’Emiro ‘Abd Al-Qâdir al-Jaza’irî.
“Nell’alternarsi del giorno e della notte  vi sono segni per la gente dotata di intelletto”[18].
Dunque in questa alternanza, in cui possiamo scorgere quella del susseguirsi dei primi due stati di coscienza (avasthā)[19] si fermano le vie iniziatiche che abbiamo definito sopra del non-Supremo. Oltre a tutto ciò, per mezzo della discriminazione (viveka), si potrà far luogo alla rimozione dell’illusione derivante dall’identificazione con questo mondo; ma, non percepire la Realtà come altro da sé, corrisponde alla realizzazione del “Quarto” pāda[20] di Ātman e con ciò alla consapevolezza piena di essere il Testimone cosciente (Sakṣin) che osserva gli altri tre stati senza esserne coinvolto. Si può comprendere con ciò, tutta la differenza che intercorre con l’esoterismo islamico che configura invece la “prossimità” come grado massimo raggiungibile, così come avvenuto al Profeta Muhammad durante la sua ascensione che arrivò
Alla distanza di due archi o meno”[21].
In conclusione riteniamo che questi scritti oltre ad essere di istruzione per tutti coloro che percorrono una via sufica, possano esser d’utilità per chi, potendo andare oltre, li assuma come supporto per la propria purificazione mentale. 





[1] Cfr. J.L. Michon Le soufi marocain Ahmad ibn ‘Ajîba et son mi’rāj (glossaire de la mystique musumane) ed J. Vrin Paris, dove si può leggere : « Il  tawhîd è per i dogmatici il monoteismo rigoroso che afferma la trascendenza divina (al-tanzîh) e la dipendenza assoluta della creazione di fronte al suo Artefice, senza dare ragione delle modalità con cui si sviluppa l’azione divina nel mondo o del riassorbimento del contingente nell’Assoluto. Iniziaticamente la dottrina dell’Unità diviene il fondamento della gnosi e la parola tawhîd per alcuni autori (fra cui notoriamente Junayd), designa l’unità realizzata dall’essere (al-muwahhid che in questo caso è sinonimo di ‘ārif bi’Llāh). Proprio Junayd interrogato sul tawhîd rispose: “Il colore dell’acqua è quella del suo recipiente” volendo affermare con questo che L’Essenza suprema (al-.dhāt al-‘aliyya) è sottile, nascosta e luminosa; si manifesta nei tratti e nelle forme e si tinge dei loro colori. Cerca di comprenderlo e assentirlo se pure non sei nella condizione di realizzarlo».
[2] Per quanto riguarda la definizione di «Realizzazione spirituale» ci riferiamo ai testi di René Guénon, L’Uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, ed. Studi Tradizionali, ed. Adelphi; Considerazioni sull’iniziazione, ed. Luni; Iniziazione e realizzazione spirituale, ed. Studi Tradizionali, ed. Luni; La metafisica orientale, Ekatos edizione privata.
[3] Cfr. R. Guénon Scritti sull’esoterismo islamico e il Taoismo, “Et-Tawhid” ed. Adelphi.
[4] Corano 37:94.
[5] Corano 13:16.
[6] A tale proposito è bene osservare che questa colpa che per la shari’a è caratteristica dei “miscredenti” (kāfirûn) ossia di coloro che rifiutano la Rivelazione coranica indistintamente, quindi gli idolatri, secondo una prospettiva iniziatica di haqqîqa può annidarsi anche nella riserva mentale occulta di chi, pur con lo status di credente e di musulmano, quindi attestando l’Unità divina, continua di fatto a ritenersi “autonomo” rispetto a Dio.
[7] Cfr. Buhari, Qadar, 2. “Si tramanda che ‘Umar, che Dio sia soddisfatto di lui, chiese: «O Inviato di Dio cosa pensi di quello che intraprendiamo? È una questione già compiuta o è invece una cosa appena incominciata?». «È una questione già compiuta» rispose il Profeta. «Perché allora non rimetterci fiduciosi (a Dio) e rinunciare ad agire?», chiese allora ‘Umar. «Agite – replicò il Profeta – poiché ciascuno sarà facilitato in ciò per cui è stato creato»”.
[8] Vedi a tal proposito la nota 10.
[9] La Testimonianza di Fede che deve essere pronunciata da chiunque intenda aderire all’Islam di cui è il primo dei cinque pilastri (gli altri sono la salat, l’orazione rituale, la zakat, l’elemosina rituale, sawm, il digiuno durante il nono mese e l’hajj, il pellegrinaggio, per chi ne ha la possibilità, nel corso del dodicesimo mese).
[10] Al insan al-kamil, l’Uomo perfetto, l’Uomo universale che ha realizzato la totalità degli stati molteplici dell’Essere. Il mutasawwif (l’iniziato a qualunque grado sia) ricercando l’identificazione con la Realtà muhammadiana (al-haqiqat al Muhammadiyya) ritorna nello stato in cui era prima della creazione, quando era puro spirito nella più pura unione con Dio. Occorre pure osservare però, per non far luogo a confusioni, che questo “stato” concerne comunque il dominio dell’“Universale” (Hiraṇyagarbha), quello che raggruppa tutti gli stati e le possibilità inerenti questo ciclo di manifestazione e non anche l’Assoluto che come tale ne è oltre essendo la Coscienza diretta di quelli. Nel primo caso, in cui tutti gli oggetti sono diventati l’oggetto “mondo”, il soggetto che li osserva corrisponde allo stato di “uomo primordiale” e quando, poi, anche la differenza soggetto-oggetto è rimossa diventa la coscienza dello stato di veglia, quindi “uomo universale” e realizzerà così l’Identità Suprema. Ma questo non è ancora il liberato, perché il liberato rimuove tutti e tre gli stati e si riconosce essere eternamente il Brahmātman come vedremo inseguito.
[11] Celebre hadîth qudsî di cui riportiamo il resto: “Dio dice: colui che mi adora non cessa di avvicinarsi a Me con opere supererogatorie fino a che Io non lo ami; e quando Io l’amo, Io sono il suo udito, la sua vista, la sua mano, la sua lingua”; ma anche “…e quando Io lo amo, Io sono l’udito con cui sente, la vista con cui vede, la mano con cui afferra e il piede con cui cammina” (Buhārî, Riqāq, 38).
[12]O Lui che sono io e io che sono Lui! Non c’è altra differenza fra il mio “io” e il Tuo “Lui” che quella fra il temporale e l’eterno…il mio Signore ha colpito la mia temporalità con la Sua eternità fino ad annientare la prima nella seconda non facendo rimanere in me altra qualità che quella dell’eterno e facendomi parlare secondo quella qualità”; cfr. Al-Husayn ibn Mansur al-Hallaj Il Cristo dell’Islam ed. Mondadori e Attar Parole di Sufi, ed. Luni. Messo a morte per le sue affermazioni considerate eretiche e blasfeme, dopo essere stato flagellato gli furono mozzate mani e piedi e poi crocifisso; nel corso del martirio gli fu resa testimonianza da segni miracolosi quali il sangue che uscendo dalle ferite e cadendo sulla terra tracciava il Nome Allah per ottantaquattro volte, tante quanti erano gli accusatori che avevano firmato la sua condanna. Inoltre il giorno seguente non essendo ancora spirato fu decapitato, le sue spoglie bruciate e le ceneri disperse da un minareto. In quei giorni una piena straordinaria del Tigri rischiava di sommergere la città (Bagdad); si tramanda che solo quando le ceneri di Hallaj si depositarono sul fiume assumendo la forma del Nome Allah, l’impeto delle acque si placò.
[13] Per consentire di comprendere la differente portata di questo stato rispetto alla Liberazione, se si trattasse di questa, si dovrebbe dire, assieme all’Upaniṣad “Ma quando per il conoscitore del Brahman tutto è diventato l’Ātman, allora cosa potrebbe vedere e per mezzo di che cosa? Cosa potrebbe odorare e per mezzo di che cosa? Cosa potrebbe gustare e per mezzo di che cosa? Di cosa potrebbe parlare e per mezzo di che cosa? Cosa potrebbe ascoltare e per mezzo di che cosa? [ecc.]” (Bṛhadāraṇyaka U., IV. 5.15).
[14] Tradizione o Legge permanente; l’induismo o Hindū Dharma.
[15] Dottrina della metafisica non duale insegnato da Śaṃkara.
[16] Lungi da noi ogni intenzione polemica, a meno che non ci venga attribuita per il solo fatto di dire le cose come sono. Infatti, soprattutto in alcuni ambienti iniziatici, che come tali dovrebbero tenersi lontani da un certo settarismo religioso, in questi ultimi decenni si è assistito a una deriva fagocitata dalla convinzione ossessiva di avere una missione da compiere che poi ad altro non corrisponde che alla difesa di un presunto primato spirituale, del resto più immaginario che effettivo. Infatti fra  “i segni che danno” l’acrimonia e la mancanza di qualsiasi bon ton sono la conferma precisa e migliore dello stato dell’arte, al di là di ogni vana e sproporzionata eloquenza.
[17] Chiariamo che questa conoscenza è del non-Supremo non solo perché inerisce ai soli stati di veglia e di sogno, quindi quelli della manifestazione formale, ma ancor più perché esclude gli altri due stati (avasthā), suṣupti (sonno profondo) e  Turīya (l’Assoluto incondizionato al di là delle tre avasthā precedenti) come strumenti di discriminazione ai fini della ricerca della Realtà che è il substrato di tutto.
[18] Corano, 2:164; 3:190 “In verità, nella creazione dei cieli e della terra e nell’alternarsi della notte e del giorno, ci sono certamente segni per coloro che hanno intelletto, che in piedi, seduti o coricati su un fianco ricordano Allah e meditano sulla creazione dei cieli e della terra”.
[19] La veglia (jāgrat) a cui corrisponde l’Ātman in quanto principio (Virāṭ) che manifesta e regge la modalità grossolana; il sogno (svapna) a cui corrisponde l’Ātman in quanto principio (Hiraṇyagarbha) che manifesta e regge la manifestazione sottile; il sonno profondo (suṣupti) in cui il jīva esiste nella sua vera natura come Ātman.
[20] Letteralmente “piede”; nella Māndūkya Upanishad sono così chiamate le quattro parti di Ātman, ovvero le avasthā di cui si è detto sopra; questi piedi sono le misure e si ricavano dal monosillabo Oṃ.
[21] Corano, 53:9 “[Finché] Fu alla distanza di due archi o meno” (fa kâna qâba qawsayn aw adnâ).

Tratto da: 

‘Abd Al-Qâdir al-Jaza’irî, Unicità dell’Esistenza e Creazione rinnovata

pubblicato da Ekatos Edizioni

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