René Guénon
Iniziazione e realizzazione spirituale
XXII - Saggezza innata e saggezza acquisita
Confucio insegnava che vi sono due specie di saggi, gli uni
di nascita, gli altri, tra cui è da annoverare lui stesso, diventati tali
mediante i loro sforzi.
Bisogna tener presente che il «saggio» (cheng) quale egli lo intende, che rappresenta il grado più elevato della gerarchia confuciana, costituisce in pari tempo, come altrove abbiamo spiegato[1], il primo scalino della gerarchia Taoista, e perciò si situa in certo qual modo al punto limite in cui si congiungono i due domini exoterico ed esoterico. In queste condizioni ci si può chiedere se, parlando di saggezza innata, Confucio abbia soltanto voluto definire così l’uomo che possiede per natura tutte le qualificazioni occorrenti per accedere effettivamente e senz’altra preparazione alla gerarchia iniziatica, e che, di conseguenza, non ha alcun bisogno di sforzarsi per salire preventivamente a poco a poco, attraverso studi più o meno lunghi e faticosi, i gradini della gerarchia esteriore.
Ciò è possibile in effetti, e rappresenta l’interpretazione più verosimile ed anche la più legittima, in quanto implica il riconoscimento dell’esistenza di esseri per così dire destinati, dalle loro stesse possibilità, a passare immediatamente al di là di quel dominio exoterico nel quale lo stesso Confucio ha sempre inteso restare. D’altra parte tuttavia, ci si può anche domandare se, al di là dei limiti inerenti al punto di vista prettamente confuciano, la saggezza innata non sia suscettibile di un significato più esteso e profondo, nell’ambito del quale quello da noi indicato potrebbe del resto rientrare a titolo di caso particolare.
Bisogna tener presente che il «saggio» (cheng) quale egli lo intende, che rappresenta il grado più elevato della gerarchia confuciana, costituisce in pari tempo, come altrove abbiamo spiegato[1], il primo scalino della gerarchia Taoista, e perciò si situa in certo qual modo al punto limite in cui si congiungono i due domini exoterico ed esoterico. In queste condizioni ci si può chiedere se, parlando di saggezza innata, Confucio abbia soltanto voluto definire così l’uomo che possiede per natura tutte le qualificazioni occorrenti per accedere effettivamente e senz’altra preparazione alla gerarchia iniziatica, e che, di conseguenza, non ha alcun bisogno di sforzarsi per salire preventivamente a poco a poco, attraverso studi più o meno lunghi e faticosi, i gradini della gerarchia esteriore.
Ciò è possibile in effetti, e rappresenta l’interpretazione più verosimile ed anche la più legittima, in quanto implica il riconoscimento dell’esistenza di esseri per così dire destinati, dalle loro stesse possibilità, a passare immediatamente al di là di quel dominio exoterico nel quale lo stesso Confucio ha sempre inteso restare. D’altra parte tuttavia, ci si può anche domandare se, al di là dei limiti inerenti al punto di vista prettamente confuciano, la saggezza innata non sia suscettibile di un significato più esteso e profondo, nell’ambito del quale quello da noi indicato potrebbe del resto rientrare a titolo di caso particolare.
Che una questione del genere possa porsi, è facile da capire
se si pensa, come sovente abbiamo avuto occasione di affermare, che ogni
conoscenza effettiva costituisce un’acquisizione permanente, ottenuta
dall’essere una volta per tutte e che niente può fargli perdere. Di
conseguenza, se un essere giunto ad un certo grado di realizzazione in uno
stato d’esistenza passa ad un altro stato, dovrà necessariamente portare con sé
in quest’ultimo quanto in precedenza acquisito, il che pertanto apparirà come
«innato» in questo nuovo stato; è d’altronde fuori causa che, nella
fattispecie, non può trattarsi se non di una realizzazione rimasta incompleta,
altrimenti il passaggio ad un altro stato non si concepirebbe in nessuna
maniera, e che nel caso dell’essere passato allo stato umano, caso che ci
interessa qui in modo particolare, tale realizzazione non è ancora arrivata
fino all’affrancamento dalle condizioni dell’esistenza individuale; essa può
però estendersi, dai gradi più elementari, fino al punto più vicino a quello
che, nello stato umano, corrisponderà alla perfezione di questo stato[2].
Si può ancora osservare che, allo stato primordiale, tutti gli esseri i quali
nascevano uomini dovevano trovarsi in quest’ultimo caso, in quanto possedevano
tale perfezione della loro individualità in modo naturale e spontaneo, senza
dover fare alcuno sforzo per arrivarci, il che implica ch’essi erano sul punto
di conseguire un grado del genere prima di nascere allo stato umano; erano cioè
veramente saggi di nascita, e non solo nell’accezione ristretta in cui Confucio
l’intendeva dal suo punto di vista, ma in tutta la pienezza del significato che
si può dare a questa espressione.
Prima di proseguire, è bene richiamare l’attenzione sul
fatto che quanto sopra si riferisce ad un’acquisizione ottenuta in stati d’esistenza
diversi dallo stato umano, il che di conseguenza non può aver niente in comune
con qualsiasi concezione «reincarnazionista»; una concezione del genere del
resto, a parte le ragioni d’ordine metafisico che in tutti i casi la rendono
assolutamente impossibile, sarebbe ancor più manifestamente assurda nel caso
dei primi uomini, e tanto basta per evitare di insistervi oltre. È invece forse
più importante considerare espressamente, data la facilità con cui si potrebbe
equivocare, che quando diciamo anteriore allo stato umano, non bisogna
intendere letteralmente tale anteriorità come una successione più o meno
assimilabile a quella temporale, quale esiste all’interno dello stato umano
stesso, ma soltanto come espressione della concatenazione causale dei diversi
stati; questi, pertanto, non possono esser descritti come successivi altro che
in modo prettamente simbolico, ed è d’altronde evidente che se non si
ricorresse a tale simbolismo, conforme alle condizioni del nostro mondo,
sarebbe del tutto impossibile esprimere le cose intelligibilmente in linguaggio
umano. Fatta questa riserva, si può parlare di un essere come possessore di un
certo grado di realizzazione prima di nascere allo stato umano; basta sapere in
qual senso si debba intenderla perché questa maniera di parlare, per inadeguata
che sia in se stessa, non presenti veramente alcun inconveniente; ed è così che
un tale essere avrà per nascita, nel mondo umano, il grado corrispondente a
questa realizzazione, grado che potrà andare da quello di cheng-jen o saggio confuciano, fino a quello di tchenn-jen o «uomo vero».
Nelle condizioni attuali del mondo terrestre, tuttavia, non
bisogna credere che questa saggezza innata possa manifestarsi del tutto
spontaneamente come avveniva nell’epoca primordiale, perché bisogna tener conto
degli ostacoli frapposti a ciò dall’ambiente. L’essere in questione dovrà
dunque ricorrere ai mezzi appositamente esistenti per sormontare questi
ostacoli, il che equivale a dire ch’egli non è per nulla dispensato, come a
torto si potrebbe ritenere, dal ricollegarsi ad una «catena» iniziatica,
altrimenti, finché si trova nello stato umano, resterebbe semplicemente quel
che era al momento di entrarvi, e come immerso in una specie di «sonno»
spirituale che gli impedirebbe d’andar oltre nella sua via di realizzazione. A
rigore si potrebbe anche concepire che egli manifesti esteriormente, senza aver
bisogno di svilupparlo in modo graduale, lo stato che è proprio del cheng-ien, perché questo è ancora
soltanto al limite superiore del dominio exoterico; ma per tutto quanto si
trova al di là, l’iniziazione propriamente detta costituisce pur sempre
attualmente una condizione indispensabile, e peraltro anche sufficiente in un
caso del genere[3].
Apparentemente questo essere potrà allora passare attraverso gli stessi gradi
dell’iniziato che è semplicemente partito dallo stato di uomo ordinario, ma la
realtà sarà ben diversa; in effetti, non solo l’iniziazione invece di essere a
tutta prima esclusivamente virtuale com’è d’abitudine, sarà per lui immediatamente
effettiva, ma per di più egli «riconoscerà» questi gradi, se così ci si può
esprimere, come già presenti in lui in maniera paragonabile alla «reminiscenza»
platonica, la quale, senza dubbio, può anche avere un significato come questo.
Tale caso è anche paragonabile, nel campo della conoscenza teorica, a quello di
qualcuno che possieda già interiormente la coscienza di certe verità
dottrinali, ma che sia incapace di esprimerle non avendo a sua disposizione i
termini appropriati, e però, una volta che le intenda enunciare, le riconosca
immediatamente e ne penetri per intero il significato senza dover fare alcun
lavoro per assimilarle. Può anche succedere, quand’egli si trovi in presenza
dei riti e dei simboli iniziatici, che questi gli appaiano come li avesse
sempre conosciuti, in certo qual modo «intemporalmente», avendo effettivamente
in sé quanto, di là e indipendentemente dalle forme particolari, ne costituisce
l’essenza stessa; in effetti questa conoscenza non ha in realtà alcun inizio
temporale, poiché risulta da un’acquisizione realizzata al di fuori del corso
dello stato umano, il quale solo è veramente condizionato dal tempo.
Un’altra conseguenza di quanto abbiamo detto è che, per
percorrere la via iniziatica, un essere del genere non ha affatto bisogno
dell’aiuto d’un Guru esteriore e
umano, poiché, in realtà, l’azione del vero e proprio Guru interiore opera in lui fin dall’inizio, e rende evidentemente
inutile l’intervento di ogni «sostituto» provvisorio, tale essendo in
definitiva la funzione del Guru
esteriore; nella fattispecie si tratta di quel caso eccezionale cui già ci è
capitato di fare allusione. Soltanto, è indispensabile aver ben presente che
appunto può trattarsi soltanto di un caso del tutto eccezionale, e naturalmente
lo sarà sempre di più man mano che l’umanità procede nella marcia discendente
del suo ciclo; in esso si potrebbe infatti vedere quasi un’ultima traccia dello
stato primordiale e degli altri stati che l’hanno seguito prima del Kali-yuga, ma una traccia offuscata, per
forza di cose, in quanto l’essere che «di diritto» possiede fin dalla nascita
la qualità d’«uomo vero», o quella corrispondente ad un minor grado di
realizzazione, non può più svilupparla, di fatto, in modo del tutto spontaneo e
indipendente da ogni circostanza contingente. È fuori questione che la funzione
delle contingenze è comunque per lui ridotta al minimo, in quanto, in
definitiva, si tratta soltanto d’un puro e semplice ricollegamento iniziatico
che gli è evidentemente sempre possibile ottenere, tanto più che a questo sarà
quasi invincibilmente guidato da quelle «affinità» che sono un effetto della
sua stessa natura. Ma bisogna soprattutto evitare, ed è un pericolo sempre
temibile quando si considerano eccezioni come questa, che taluni, con eccessiva
facilità, possano ritenere che il loro sia un caso del genere, sia perché si
sentono naturalmente portati a ricercare l’iniziazione (il che di solito indica
soltanto che sono pronti ad entrare in questa via e non che l’abbiano già
percorsa in parte in un altro stato), sia perché, prima ancora
dell’iniziazione, è loro capitato di avere dei «bagliori» più o meno vaghi,
probabilmente più d’ordine psichico che spirituale, i quali in definitiva non
hanno niente di più straordinario né di più probante delle «premonizioni» di
qualsiasi specie che occasionalmente sono possibili a qualunque uomo le cui
facoltà non siano così strettamente circoscritte come lo sono comunemente
quelle dell’umanità attuale, e i cui limiti di conseguenza siano meno
esclusivamente ristretti alla sola modalità corporea della sua individualità,
cosa questa che in generale non implica neanche ch’egli sia veramente
qualificato per l’iniziazione. Tutto ciò appare certamente insufficiente a
giustificare la pretesa di fare a meno di un Maestro spirituale e tuttavia
arrivare sicuramente all’iniziazione effettiva, così come a ritenersi
dispensati da ogni sforzo personale in vista di questo risultato; è doveroso
dire che una possibilità del genere esiste per la verità, ma non riguarda che
un’infima minoranza, per cui in pratica non è il caso di tenerne conto. Coloro
che realmente hanno questa possibilità, ne prenderanno sempre coscienza al
momento voluto in modo certo ed indubitabile, e questa, in fondo, è la sola
cosa che conti; quanto agli altri, se si lasceranno trascinare dalle loro
immaginazioni vane, cioè a dar loro credito e a comportarsi di conseguenza,
esse non potranno che condurli verso i più pericolosi disinganni.
[1]
La Grande Triade, cap. XVIII.
[2]
Diciamo soltanto il punto più vicino, perché se fosse stata effettivamente
raggiunta la perfezione di uno stato individuale, l’essere non dovrebbe più
ripassare per un altro stato individuale.
[3]
L’unico caso in cui tale condizione non esiste è quello della realizzazione
discendente, perché questa presuppone che la realizzazione ascendente sia stata
compiuta fino al suo termine ultimo; questo caso è dunque evidentemente del
tutto diverso da quello che stiamo considerando.
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