"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

venerdì 26 settembre 2014

René Guénon, Iniziazione e realizzazione spirituale - XXIII - Lavoro iniziatico collettivo e «presenza» spirituale

René Guénon
Iniziazione e realizzazione spirituale

XXIII - Lavoro iniziatico collettivo e «presenza» spirituale

Esistono forme iniziatiche in cui, per la loro stessa costituzione, il lavoro collettivo occupa un posto in certo qual modo preponderante; con ciò non vogliamo affatto affermare che esso possa sostituirsi al lavoro personale e puramente interiore di ciascuno, o dispensarne in una maniera qualunque, bensì che esso, in casi del genere, rappresenta un elemento del tutto essenziale mentre altrove può essere molto ridotto o anche del tutto inesistente.
Il caso in questione è in particolare quello delle iniziazioni che attualmente sussistono in Occidente; e indubbiamente, ad un grado più o meno accentuato, è caratteristico delle iniziazioni di mestiere in generale, ovunque le si incontri, in quanto, nella fattispecie, si tratta di qualcosa che sembra essere inerente alla loro stessa natura. A ciò si riferisce, per esempio, un fatto come quello cui facevamo allusione in un recente studio di argomento massonico[1], cioè di una «comunicazione» che non può essere effettuata se non con il concorso di tre persone, per cui nessuna di esse, da sola, è dotata del necessario potere a questo riguardo; analogamente, nello stesso ordine di idee, possiamo citare la condizione della presenza di un certo numero minimo di assistenti, sette per esempio, affinché una iniziazione possa valevolmente aver luogo, mentre ci sono altre iniziazioni, come frequentemente succede specie in India, ove la trasmissione viene operata semplicemente da maestro a discepolo senza il concorso di altre persone. Va da sé, che una tal differenza di modalità deve implicare conseguenze altrettanto diverse per tutto l’insieme dell’ulteriore lavoro iniziatico; e, fra queste differenze, ci pare soprattutto interessante esaminare più da vicino quelle che riguardano la funzione del Guru o di ciò che ne fa le veci.
Nel caso di trasmissione iniziatica effettuata da una sola persona, la funzione di Guru nei confronti dell’iniziato è assicurata per ciò stesso da tale persona; poco importa qui che le sue qualificazioni a questo proposito siano più o meno complete e, come di fatto spesso succede, che esso non sia capace di condurre il suo discepolo se non fino a tale o tal altro stadio ben determinato; il principio è nondimeno sempre lo stesso: il Guru è presente al punto di partenza e non può esservi alcun dubbio sulla sua identità. Nell’altro caso invece, le cose si presentano in modo molto meno semplice e meno evidente, ed è legittimo chiedersi dove si trova in realtà il Guru; senza dubbio ogni «maestro», quando istruisce un «apprendista», può sempre farne le veci in un certo senso ed in una certa misura, ma in una forma tuttavia molto relativa, in quanto, se quegli che effettua la trasmissione iniziatica è in effetti solo un Upaguru, a maggior ragione lo saranno tutti gli altri; d’altronde non si rileva niente che nella fattispecie assomigli alla relazione esclusiva tra un discepolo ed un Guru unico, condizione questa indispensabile affinché si possa impiegare tale termine nel suo vero significato. In effetti non pare che in iniziazioni del genere ci siano mai stati, per essere esatti, dei Maestri spirituali che esercitassero la loro funzione in modo continuo; se ce ne sono stati, cosa che evidentemente non si può escludere[2], si dev’essere trattato di casi più o meno eccezionali, tant’è vero che la loro presenza non appare come un elemento costante e necessario nella particolare costituzione delle forme iniziatiche in questione. E tuttavia occorre che ci sia, nonostante tutto, qualche cosa che ne faccia le veci; per cui ci si deve chiedere da chi o da che cosa questa funzione sia effettivamente svolta in casi del genere.
A questo interrogativo si potrebbe esser tentati di rispondere che qui è la collettività stessa, come insieme dell’organizzazione iniziatica presa in esame, a svolgere la funzione di Guru; in effetti, questa risposta può essere suggerita abbastanza naturalmente dall’osservazione da noi fatta in precedenza sull’importanza preponderante che viene allora attribuita al lavoro collettivo, e tuttavia, benché non si possa dire che tale risposta sia completamente falsa, essa è perlomeno decisamente insufficiente. È opportuno precisare d’altronde, che quando parliamo della collettività in questo senso, non la intendiamo unicamente come riunione di individui considerati nella loro sola modalità corporea, alla stregua di un gruppo. profano qualsiasi; ciò che soprattutto abbiamo in vista è l’«entità psichica», a cui taluni hanno molto impropriamente dato il nome «eggregoro». Vogliamo ricordare quanto abbiamo già detto a questo proposito[3]: il «collettivo», come tale, non può in alcun modo superare il dominio individuale, poiché in definitiva non è che la risultante delle individualità che lo compongono, né per conseguenza può andare al di là del dominio psichico; orbene, tutto ciò che è soltanto psichico non può avere alcun rapporto effettivo e diretto con l’iniziazione, poiché questa, nella sua essenza, consiste nella trasmissione di un’influenza spirituale destinata ugualmente a produrre effetti d’ordine spirituale, quindi trascendenti in rapporto all’individualità; bisogna evidentemente concluderne che tutto quanto può rendere effettiva l’azione a tutta prima virtuale di questa influenza, deve necessariamente avere un carattere sopraindividuale, e di conseguenza sopracollettivo, se così si può dire. Del resto è fuori questione che non è come individuo umano che il Guru propriamente detto esercita la sua funzione, ma in quanto rappresenta qualcosa di sopraindividuale di cui, nello svolgimento di questa funzione, la sua individualità non è in realtà se non il supporto; affinché i due casi si possano paragonare occorre dunque che ciò che qui è assimilabile al Guru sia, non la collettività in se stessa, ma il principio trascendente cui essa serve da supporto, e il quale solo le conferisce un carattere veramente iniziatico. Si tratta dunque di qualcosa che si può definire come una «presenza» spirituale, nel senso più ristretto della parola, la quale agisce proprio nel corso e per mezzo del lavoro collettivo; ed è la natura di tale «presenza» che, pur non avendo minimamente la pretesa di trattare la questione in tutti i suoi aspetti, ci resta da spiegare un po’ più per esteso.
Nella Kabbala ebraica è detto che quando i saggi si intrattengono sui misteri divini, la Shekinah si trova fra loro; analogamente, anche in una forma iniziatica in cui il lavoro collettivo non sembra di solito essere un elemento essenziale, una «presenza» spirituale non è meno nettamente affermata qualora tale lavoro abbia luogo, e si può affermare che questa «presenza» si manifesta in qualunque modo all’intersezione delle «linee di forza» che vanno dall’uno all’altro di coloro che vi partecipano, quasi la «discesa» di essa venisse sollecitata direttamente dalla risultante collettiva che si produce in questo punto determinato, e che le fornisce un adeguato supporto. Non insisteremo oltre su questo lato forse un po’ troppo «tecnico» della questione; aggiungeremo solo, che qui si tratta particolarmente del lavoro di iniziati già pervenuti ad un grado avanzato di sviluppo spirituale, contrariamente a quanto ha luogo in quelle organizzazioni in cui il lavoro collettivo rappresenta la modalità abituale e normale fin dall’inizio; ma, beninteso, questa differenza non modifica minimamente il principio della «presenza» spirituale.
Quanto precede può essere accostato alle parole del Cristo: «Quando due o tre saranno riuniti in nome mio, io sarò in mezzo ad essi»; e questo accostamento colpisce in modo particolare quando si pensi alla stretta relazione esistente fra il Messia e la Shekinah[4]. È vero che, secondo l’interpretazione corrente, ciò riguarderebbe solo la preghiera; ma per legittima che sia questa applicazione nell’ordine exoterico, non v’è ragione alcuna per limitarsi esclusivamente ad esso, e per non considerare anche un altro significato più profondo il quale, appunto per ciò, sarà vero a fortiori; o perlomeno non si può vedere in ciò altra ragione che la limitazione del punto di vista exoterico in se stesso, per coloro che non possono o non vogliono superarlo. Dobbiamo inoltre richiamare particolarmente l’attenzione sull’espressione «in nome mio» tanto frequente nel Vangelo, in quanto sembra che attualmente la si intenda soltanto più in un senso molto sminuito o addirittura passi quasi inavvertita; quasi nessuno in effetti si rende conto di ciò ch’essa implichi in realtà, tradizionalmente, sotto i due aspetti dottrinale e rituale. Su quest’ultimo argomento abbiamo già avuto occasione di parlare un poco in diverse occasioni e forse ci ritorneremo ancora; per il momento vogliamo solo indicare qui una conseguenza molto importante dal punto di vista da cui ci siamo posti: gli è che, a rigore, il lavoro di un’organizzazione iniziatica deve sempre essere compiuto «in nome» del principio spirituale da cui essa procede e che in qualche modo essa è destinata a manifestare nel nostro mondo[5]. Questo principio può essere più o meno «specializzato», conformemente alle modalità proprie a ciascuna organizzazione iniziatica; ma essendo di natura puramente spirituale, come evidentemente richiede il fine stesso di ogni iniziazione, è sempre in definitiva l’espressione di un aspetto divino, ed è appunto un’emanazione diretta di questo a costituire quella «presenza» che ispira e guida il lavoro iniziatico collettivo, affinché questo possa produrre dei risultati effettivi nella misura delle capacità di ciascuno di quelli che vi prendono parte.



[1] Vedere Parole perdue et mots substitués nel numero di dicembre 1948 della rivista Études Traditionelles. [Questo articolo è stato pubblicato nel n. 8 della Rivista di Studi Tradizionali – N. d. T.] 
[2] Dovette necessariamente essercene, almeno all’origine vera e propria di ogni forma iniziatica, essi soli avendo le qualità per realizzare «l’adattamento» richiesto dal suo costituirsi. 
[3] Vedere cap. VI: Influenze spirituali ed «eggregori». 
[4] Si sostiene talora che esisterebbe una variante a questo testo, che riporta soltanto «tre» in luogo di «due o tre», e taluni cercano di interpretare questi tre come il corpo, l’anima e lo spirito; si tratterebbe quindi della concentrazione e dell’unificazione di tutti gli elementi dell’essere nel lavoro interiore, necessaria affinché si operi la «discesa» dell’influenza spirituale al centro di questo essere. Tale interpretazione è certamente plausibile e, indipendentemente dal problema di sapere esattamente quale sia il testo più corretto, esprime in se stessa una verità incontestabile, ma in ogni caso non esclude quella che riguarda il lavoro collettivo; soltanto, se il numero tre fosse realmente specificato, bisognerebbe ammettere che esso rappresenta allora un minimo richiesto per l’efficacia di questo lavoro, come effettivamente avviene in certe forme iniziatiche. 
[5] Qualsiasi formula rituale non corrispondente a quanto stiamo dicendo qui, non può rappresentare, se viene sostituita ad essa, se non un affievolimento dovuto a misconoscenza o ad ignoranza più o meno completa di quel che è veramente il «nome», ed implica di conseguenza una certa degenerazione dell’organizzazione iniziatica, poiché questa sostituzione dimostra che essa non è più pienamente cosciente della reale natura della relazione che l’unisce al suo principio spirituale.

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