"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

domenica 15 aprile 2018

'Abd Al-Qâdir al-Jazâ'irî, Non bisogna adorare Dio che per Dio (Mawqîf 334)

'Abd Al-Qâdir al-Jazâ'irî
Non bisogna adorare Dio che per Dio* 

*Mawqîf 334

Non credere che coloro che si rallegrano delle loro opere, e che amano essere lodati per ciò che non fanno, siano al riparo dal castigo: un castigo doloroso è riservato loro![1]
Preso nel suo senso letterale, questo versetto contiene in sé la sua spiegazione; ma esso contiene anche due indicazioni supplementari. Sappi che secondo alcune delle sette letture canoniche, esso può essere letto anche alla terza persona plurale: che essi non si immaginino che coloro che si rallegrano delle loro opere…

Ciò equivale a dire: Essi sono già da questo momento caduti nell’associazionismo, coloro che si rallegrano delle opere che hanno compiuto, e che dell’obbedienza di cui hanno fatto mostra, e che per ciò amano che le genti li lodino, li rispettino e li esaltino (perché è in genere l’obiettivo di colui che cerca di farsi vedere e di farsi conoscere)! Ora Dio è certo il migliore in grado di passare per associazionista… In effetti, chiunque intraprende un’opera associandole [un altro che Dio] diventa per questo fatto un associatore. Coloro che si rallegrano delle loro opere non hanno in realtà fanno nulla per meritare il biasimo o l’elogio, poiché il vero Agente in essi e per essi altri non è che Dio, ed essi non sono che il luogo di manifestazione dei Suoi Atti (fahum ma hall zuhûr fi´lihi). Sono le loro essenze e le loro predisposizioni individuali che li hanno costretti all’associazionismo.
Dio si manifesta per mezzo di questo “luogo” che Egli ha creato in quanto forme [individuali] al momento di manifestarSi; e questi individui, malgrado il loro associazionismo [incosciente], sperano di riuscire ad accedere al Paradiso e ad essere preservati dall’Inferno. Perciò, Dio in questo versetto riduce le loro pretese a niente: Non credere che essi siano al riparo dal castigo! Vale a dire: che essi non immaginino in alcun modo di essere al riparo dalla punizione, come esseri virtuosi contro i quali alcun rimprovero sarà riportato.
A meno che Dio non perdoni loro, una dolorosa sanzione è loro riservata. Essi dipendono dal Buon Volere divino ignorato dalle creature [e che solo può salvarle], anche se [d’altra parte] essi meritano un castigo doloroso in conseguenza dei loro atti, delle loro pretese e della loro reputazione [ricercata].
Il secondo significato contenuto nel versetto è il seguente: che coloro che si rallegrano delle loro opere, dei loro atti di devozione e altre opere surerogatorie di cui Dio li ha gratificati, e che s’immaginano aver essi stessi compiuto, per propria volontà e per loro libera scelta ciò che in realtà è stato loro donato, (ed è questo lo stato di spirito della maggior parte dei devoti, asceti, e altri ignoranti che si dedicano al tappeto e alla nicchia di preghiera), sappiano che sono distanti dal giusto calcolo [di non essere a pari]; perché la devozione che è richiesta al servitore è assai diversa! Colui che adora Dio tramite se stesso non l’adora affatto e non paga il giusto prezzo dell’adorazione. Che Dio sia dunque soddisfatto del Maestro Ahmad al-Rifâ´î che così si esprimeva:
Lascia dunque i devoti riempire le moschee,
E alzati con energia per Colui che ti ha creato d’argilla.
Sono portatore di una accezione gloriosa che non ho acquisito che ad un solo prezzo:
Quello d’aver frantumato tutte le mie ossa, col pestello del mortaio.
È perché [gli ignoranti s’immaginano che] i loro atti di devozione sono compiuti da essi stessi, e non da Dio, che Questo li attribuisce loro nel versetto conformemente alla loro credenza, dicendo: coloro che si rallegrano delle loro opere. Ed essi vorrebbero, a dispetto della loro ignoranza, che Dio li glorificasse, che li elogiasse e le ricompensasse accordando loro il Paradiso e preservandoli dall’Inferno, allorché essi non hanno fatto niente in realtà che possa far loro meritare questo favore poiché non vi è altro agente che Dio – sia Egli esaltato - ? Che essi non si stimino dunque al riparo dal castigo, perché un castigo doloroso – che altro non è che il velo che nasconde loro la verità – è riservato loro. È questa sanzione, simbolica e non sensibile, alla quale fa allusione il versetto: il fuoco incandescente di Dio che divora i cuori[2]. Il castigo, quale che sia l’aspetto sotto il quale si presenta, ha in effetti per origine il velo [che acceca il servitore], che è esso stesso il più terribile dei castighi.
Sappi ugualmente che una servitù conforme alla realtà consiste per l’adoratore di adorare il suo Signore non da se stesso, ma tramite Egli stesso. Deve dunque, prima di cominciare la sua preghiera mettersi nella condizione che non si avvicina a Dio che tramite Dio, e che non adora Dio che per Dio. Bisogna che sia cosciente del fatto che non vi è alcun atto che scaturisce da lui, sotto il rapporto delle apparenze, di cui Dio non sia il vero Autore, e che il servitore non è che il luogo di questa manifestazione [divina]. Dio – sia Egli esaltato – l’afferma [nella tradizione signoriale ben nota]:
“Io sono [allora] il suo udito e la sua vista, ed è attraverso Me che intende, che vede e che si muove”. E in un’altra tradizione autentica, Dio non fa dire [al Suo servitore]: “Dio intende colui che Gli rivolge delle lodi”, Attribuendosi così una parola [pronunciata di fatto dal Suo servitore]?
Quanto all’élite di coloro ai quali Dio ha tolto il velo, e ai quali Egli ha versato una bevanda deliziosa[3], essi non sono più turbati dal fatto che Dio attribuisce loro degli atti, benché essi sappiano che ciò non risponde al vero. Perché, anche se Dio attribuisce loro degli atti che Lui ha imposto, e che essi compiono [da loro stessi sotto il rapporto delle apparenze], essi sono troppo assorbiti dalla contemplazione di Colui che li esegue [attraverso loro] e che li mette in movimento, per poterseli attribuire in qualsiasi modo. Essi sanno a cosa attenersi realmente, e adorano Dio in modo a Lui gradito. È per questo che nel Corano Dio Si rivolge ad essi, in conformità con questa realtà che stiamo descrivendo. Rivolgendosi, per esempio, al nostro signore Muhammad – su di lui la grazia e la pace – Egli gli dice: Non sei tu che hai lanciato quando hai lanciato, ma è Dio che ha lanciato![4]; o, Indirizzandosi questa volta al Profeta e ai suoi Compagni, Ingiunge loro: Combatteteli! Dio li castigherà per mezzo delle vostre mani![5] O ancora Rivolgendosi ai soli Compagni, Li riporta alla realtà: Voi non li avete uccisi, ma è Dio che li ha uccisi[6], a dispetto del fatto, se ci si tiene alle apparenze sensibili che sono stati proprio loro che hanno combattuto…
Tale è dunque la realtà; che essa sia riconosciuta o ignorata non cambia nulla. La superiorità del sapiente sull’ignorante è tutta nella scienza che quello detiene, e la realtà, essa, non è per nulla modificabile. Così questi versetti e altri simili, anche se sono stati rivelati in riferimento a fatti storici precisi, sono da prendere per verità eterne che non sono limitate dalle circostanze della Rivelazione.
Tutto ciò che Dio accorda a uno dei suoi Servitori in materia di comprensione del Libro di Dio vi si trova contenuto. Ma questa comprensione è fonte di smarrimento per gli uni e di guida per gli altri, dall’eretico più insignificante al più sincero dei credenti.
E Dio dice la verità, ed è Lui che guida sulla Via[7].




[1]Corano 3, 188.
[2]Corano, 104, 6.
[3]La “bevanda” come il “gusto” sono sinonimi di esperienza spirituale.
[4]Corano, 8, 17.
[5]Corano, 9, 14.
[6]Corano, 8, 17.
[7]  Corano, 33, 4.

Nessun commento:

Posta un commento