"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

lunedì 9 aprile 2018

Aḥmad ibn ‘Ajîba, Dell’essenza eterna prima e dopo la rivelazione teofanica

Aḥmad ibn ‘Ajîba
Dell’essenza eterna prima e dopo la rivelazione teofanica

Lode ad Allâh, l’Essere necessario, che si rivela attraverso ogni cosa esistente! La preghiera [ŝalât] e il saluto siano sul seme dell’esistenza e la sorgente delle virtù e della generosità, il nostro signore e maestro Muhammad, il più nobile di tutti coloro che lodano e il più degno d’essere lodato!

Questo è un trattato sulle caratteristiche del Vino Eterno prima e dopo la manifestazione teofanica. Sono stato indotto a comporlo a seguito delle discussioni prive di prove e di dimostrazioni sorte tra alcuni fratelli su quest’argomento; ho voluto evidenziare quel che hanno colto le intuizioni sane e confermato le tradizioni veridiche. Questa spiegazione è data sotto forma di allusioni sottili e di finezze enigmatiche, poiché la nostra scienza è tutta quanta allusiva e, nel momento stesso in cui diviene espressiva, essa si occulta. Che Allâh sia il mio soccorso; non v’è potenza e forza se non in Lui, l’Altissimo, l’Immenso.

Delle caratteristiche dell’Essenza nello stato di non-manifestazione [ħal al-kanziyya]
L’Essenza eterna, prima di manifestarsi nei ricettacoli è di struttura sottile, luminosa, raggiante, spirituale e non corporea, prima senza ini­zio, ultima senza fine, senza limite e senza termine; la sua sottigliezza impedisce agli sguardi di coglierla, alle scienze e ai pensieri di com­prenderla. Nello stato di non-manifestazione, essa non ha né forma [shakl], né delimitazione [rasm], né sostanza [jawhar], né corpo [jism]; essa non è che pura intelligibilità [ma‘âni ŝâfia], senza alcun aspetto sensibile [ħiss]: essa è tutta Signoria [rubûbiyya], senza alcun elemen­to di servitù [‘ubûdiyya], essendo lo stato di servitù una condizione inerente alle cose formali e limitate. Non vi sono colà [nell’Essenza non-manifestata] che i segreti del Vivente che sussiste per Se stesso, ma le forme e le delimitazioni sono apparse nel Vino Eterno dopo la sua manifestazione, ovvero dopo che è stato versato nelle coppe [al kîsân], di modo che la Gente della conoscenza lo beva. Così, quando l’Essenza eterna [al khamra] appare nelle forme e nelle delimitazioni, il Vivente e Sussistente per Se stesso la riveste col manto della gran­dezza signoriale e della gloria; queste [forme e delimitazioni] sono attri­buti della natura umana e delle leggi che reggono lo stato di servitù. Tuttavia, nello stato di non-manifestazione, l’Essenza eterna non ha al­cun bisogno del manto, così come la sposa non ne ha bisogno prima di mostrarsi pubblicamente.
Sin dall’antichità, la scienza ha tratto beneficio dall’apparizione della servitù, come ha tratto beneficio dalle realtà intelligibili che sono gli archetipi delle forme e delle delimitazioni; e la manifestazione delle caratteristiche dello stato di servitù è contingente. Queste caratte­ristiche sono una colorazione [talwîn] del Vino eterno, e un modo per velarsi dopo la sua rivelazione affinché rimanga un segreto ben custodito e un tesoro nascosto, e si realizzi, in esse e per esse, il Suo Nome, l’Apparente e il Nascosto. Secondo noi non v’è contingenza negli archetipi stessi, che sono i luoghi di manifestazione dell’Essenza ma v’è contingenza solamente là dove il Vino si colora e, manifestan­dosi, assume una determinazione formale; questa colorazione e questa determinazione formale non essendogli tuttavia aggiunte. Così come non v’è nessuna cosa con l’Essenza prima della rivelazione teofanica, pure non v’è nessuna cosa con essa dopo la rivelazione; né la sua colorazione né la sua determinazione formale le fanno perdere la sua condi­zione principiale dell’Unità [al-Wahda]. Comprendi questo!
Nello stato non-manifestato, questo Vino è anche caratterizzato con tutti i suoi attributi eterni e nominato con tutti i suoi Nomi santi; dopo la sua manifestazione, le tracce dei suoi Nomi e dei suoi Attributi appaiono negli aspetti esteriori delle cose […]. Una testimonianza tradizionale di queste caratteristiche è fornita dalla parola del Profeta: «Allâh era, e nessuna cosa con Lui», che significa: non v’è con Lui nell’eternità, né forma, né delimitazione, né aspetto sensibile, né cate­goria. Un conoscitore ha aggiunto a queste parole: «Ed Egli è ora tale qual era», volendo dire con ciò che quel che appare nei ricettacoli proviene dagli archetipi stessi, che quel che appare nel mondo della testimonianza non è altro che il mondo invisibile stesso, senza nessun accresci­mento, e che la colorazione del Vino e il fatto ch’esso sia divenuto percepibile, non gli fa perdere il suo stato principiale, come si è già visto: la realtà è ora com’essa è da tutta l’eternità.
Tirmîdhî riporta questo hadîth di Abû Ruzayn al-‘Uqaylî: «Dicem­mo al Profeta (s.a.a.s.): “O inviato d’Allâh, dov’era il nostro Signore prima di creare la Sua creazione?” Egli era in una nube al di sopra della quale non v’era atmosfera e al di sotto della quale non v’era atmosfera», questo vuol dire che Egli era in uno stato di occultamento [khafâ’], una sottigliezza che non era limitata da alcuna atmosfera superiore o inferiore. Allâh non ha niente al di sopra, né al di sotto [di Lui], essendo più vasto di ogni sopra e di ogni sotto. Egli ha detto: «Ovunque vi voltiate, là si trova il Volto d’Allâh, certo Allâh è infini­tamente vasto e onnisciente»[1].
Qualcuno domandò a Seyydinâ ‘Ali: «Oh cugino dell’Inviato d’Allâh, dov’è il nostro Signore e ha Egli un luogo?». Il suo viso si alterò e […] restò silenzioso a lungo; poi disse: «La vostra domanda: “Dov’è Allâh?” verte sulla localizzazione. Ora, Allâh era e non v’era luogo; poi Egli creò il tempo e il luogo, ed Egli è ora quale era, senza tempo né luogo». Così, tempo e luogo non hanno esistenza in se stessi e non v’è nulla con Lui e ciò è permanente.
Venne chiesto ad Abû’l-Hasan an-Nûrî: «Dov’era Allâh in rapporto alle Sue creature?». Rispose: «Allâh era senza dove e le creature [erano] in uno stato di non manifestazione; Egli era in Sé ed Egli è ora quale era, giacché non vi è né dove, né luogo».

Delle caratteristiche dell’Essenza dopo la manifestazione teofanica
Quando l’Essenza volle che le sue belle qualità divenissero apparenti e che le sue luci e i suoi segreti si rendessero manifesti, fece apparire un “Pugno” [qabđa] della sua luce sia sensibile sia spirituale. Dal lato della sua manifestazione sensibile, esso è limitato e definito e dal lato della sua manifestazione spirituale, esso non è né limitato né definito, ma è unito all’oceano delle Idee divine che è infinito. Si può parago­nare a un blocco di ghiaccio immerso in un mare sconfinato. Se consi­deriamo il blocco di ghiaccio secondo il suo aspetto inerte, esso è defi­nito; se lo consideriamo secondo l’acqua che ne è l’elemento costituti­vo interno, esso è unito al mare in cui è immerso. La relazione tra il “Pugno”, visto nel suo aspetto sensibile, e l’Oceano delle realtà intelli­gibili, che è di natura sottile e immutabile, è analoga a quella della goccia e del mare, o del granello di polline e dell’aria [nella quale fluttua]. Di conseguenza, il “Pugno” apparso in seno all’Oceano delle realtà intelligibili è l’Oceano stesso da cui si è manifestato. I segreti della Signoria sono radunati in esso, poi riassunti nell’essere umano.
Ecco perché il poeta ha cantato:
«Oh tu che erri nella confusione senza cogliere il Suo segreto,Osserva! Troverai in te l’esistenza intera.Tu sei la perfezione in atto e in verità,Oh tu che riunisci il segreto divino intero»L’autore dei Mabâhith ha scritto:«Considera: tu sei copia dell’esistenza,Per Allâh, quale essere sublime tu sei!Non vi è forse in te il Trono e il Piedistallo,Il mondo superiore e quello inferiore?»
L’Oceano delle realtà intelligibili circonda il Trono divino e lo domina, questo è il senso dell’espressione “dominazione” [istawâ] che si trova nel Corano, secondo l’interpretazione che ne hanno dato le Genti della realizzazione spirituale. È ugualmente a questo che ha fatto allusione Ibn ‘Atâ’ Allâh nelle sue Ħikam quando dice: «Oh Colui che è assiso sul Suo Trono con la Sua Misericordia, il Trono si è occultato nella Sua Misericordia così come i mondi si sono occultati nel Suo Trono. Tu hai annullato le tracce con le tracce e Tu hai cancellato le diversità nelle infinità delle sfere luminose».
Il “Pugno” apparso in seno all’Oceano dell’Onnipotenza è l’imma­gine del Trono e di tutti i mondi contenuti in esso. I segreti delle realtà intelligibili, che non hanno fine, dominano il Trono e lo circondano da ogni lato al punto tale che il Trono scompare; in altre parole al punto ch’esso diviene una cosa insignificante e senza comune misura con questi segreti, così come i mondi racchiusi nel Trono diventano invi­sibili [svaniscono] alla presenza del Trono, con il quale essi sono in un rapporto analogo a quello di un cerchio tracciato nel deserto.
La Misericordia è una qualità dell’Essenza, e la qualità è insepa­rabile dal qualificato. La parola “Misericordia” è una metonimia per “I segreti dell’Essenza”, vale a dire le realtà intelligibili uscite dal “Pugno” che sono infinite e che inglobano il Trono completamente, dall’alto, dal basso, da ogni lato, al punto tale ch’esso sparisce in esse.
L’espressione: «Tu hai annullato le tracce con le tracce» significa: «Tu hai cancellato gli universi, che sono in seno al Trono, grazie al [mediante] Trono». E l’espressione: «Tu hai cancellato le diversità nelle infinità delle sfere celesti» significa: «Tu hai cancellato l’esistenza del Trono e di ciò ch’esso racchiude nelle sue luci che lo circondano, al punto che il suo nome e la sua forma sono svaniti e non rimane che l’esistenza delle luci che scaturiscono dal Mare dei segreti».
Secondo un enunciato tradizionale [akhbâr]: «Per Colui che tiene la mia anima nella Sua mano, se uno di voi si lasciasse calare con una corda, cadrebbe su Allâh» ossia sull’ Immensità di Allâh «e, lo stesso, se uno di voi fosse elevato fino al di sopra del Trono, arriverebbe all’Immensità di Allâh».
Un’altra tradizione riporta che un angelo desiderasse volare nello spazio situato sopra il Trono. Domandò il permesso al suo Signore, che glielo accordò e lo munì di una forza equivalente a quella di tren­tamila angeli. Egli volò così per trentamila anni e, rivolto ad Allâh, gli domandò: «Oh Signore, dove sei?» […] Ed Egli disse: «Io sono con te». L’angelo riprese il suo volo per altri trentamila anni, poi disse: «Oh Signore, dove sei?». Ed Egli disse: «Con te». Per la terza volta, ripartì per trentamila anni, poi pose la stessa domanda: «Oh Signore, dove sei?». Ed Egli disse: «Con te». «Gloria a Te, come è immensa la Tua Opera!» esclamò l’angelo; poi chiese di venire ricondotto al suo posto, ed Egli ve lo ricondusse. Ne consegue che il trono è una cosa insignificante per rapporto all’Oceano delle realtà intelligibili che lo circonda. E perciò trovi che il cuore del conoscitore si allarga grazie alla meditazione fino a quando il Trono e il Piedistallo occupano un angolo del suo cuore.
Qualcuno ha detto: «Il Trono e il Piedistallo sono compressi sul mio scudo». La ragione del suo allargamento [per abbracciare] questa cosa immensa è la seguente: quando la meditazione si muove nell’Immen­sità superiore, che è infinita, nell’Immensità inferiore, in quella inizia­le e in quella finale, entrambe ugualmente infinite, e quando la medita­zione estende la visione in questa Immensità, il Trono resta sospeso nell’Immensità come un granello di polline nell’aria e occupa allora uno degli angoli del cuore, la cui meditazione ha percorso quest’Im­mensità.
Questo “Pugno” viene chiamato “Pugno muhammadiano”, perchè quando Allâh volle rivelarsi per essere conosciuto, fece apparire un pugno della Sua Luce e gli disse: «Sii Muhammad!». Il “Pugno” prese allora la forma [figura] di Muhammad – su di lui il Saluto! – come riportano certi hadîth. È da questo “Pugno” che derivano tutti gli “uni­versi” [akwân], esso è il seme dell’Esistenza. [Come ha detto il sûfi Ibn Mashîsh]: «Da esso, scaturiscono i segreti e si irradiano le luci» ossia i segreti dell’Essenza e le luci delle Qualità. Lo si chiama anche: “il grande Adamo”, giacché è da esso che sono usciti i corpi [ashbâħ] e gli spiriti [arwâħ].
L’esterno di questo “Pugno”, [ossia] il suo aspetto sensibile è “muhammadiano”, e il suo interno è intelligibilità santa. Il suo esterno è la legge religiosa [shari’a], il suo interno la realtà spirituale [ħaqîqa]; il suo esterno è Regno [mulk], il suo interno Regalità [malakût], mentre l’Oceano delle realtà intelligibili che lo circonda da ogni parte è l’Onnipotenza [jabarût]. Se le ramificazioni sono ricondotte alla loro origine, il tutto diviene Onnipotenza, come è in realtà.
Le realtà intelligibili, che sono il mondo della Regalità [malakut], non possono essere rivelate che nelle apparenze sensibili, ossia il mondo del Regno [mulk]. Le luci del mondo della Regalità, il suo splendore e la sua bellezza non si sono manifestati che nel mondo del Regno e pertanto il mondo del Regno è il giardino del mondo della regalità e in esso si sono manifestate la sua bellezza e la bellezza della sua apparizione. E il mondo della Regalità non ha esultato e le sue bellezze non sono apparse che grazie al fiorire della bellezza del nostro signore Muhammad [s.a.a.s.] che si è manifestato nel mondo del Regno.
Così come la Verità [al-Ħaqq], sia celebrata la Sua Maestà, si è ma­nifestata in questo “Pugno” […] con il suo Nome “l’Esteriore” e vi si è manifestata anche con il suo Nome “l’Interiore”; vi ha fatto apparire le qualità della Servitù dopo esserSi rivelata in esso con i segreti della Signoria. Così, in esso si trovano riuniti i contrasti, Signoria e servitù. Ciò che traspare all’esterno concerne la Signoria, mentre lo “stampo” riguarda la servitù e tutto quanto ne deriva.
Colui che si ferma all’apparenza esteriore degli “stampi” è velato ai segreti della Signoria ed è “ignorante di Allâh” [jâhilan bi-Llâh]. In­vece colui che penetra nella visione dell’interiore delle cose, trova che esse sono di natura luminosa e regale [nûrâniyya, malakûtiyya] ed è “cono­scitore di Allâh” [‘ârifan bi-Llâh].
È questo che ha fatto dire all’autore degli Hikam: «L’universo non è che tenebre, lo rischiara solo la manifestazione del Vero in esso. Colui che osserva l’universo senza vedere il Vero in esso, o prima o dopo di esso, o con esso, è impedito dalla presenza delle luci, i Soli delle cono­scenze verranno velati dalle nubi delle apparenze esteriori della manifestazione». E ha detto anche: «Gloria a Colui che ha velato il segreto della specificità facendo apparire gli attributi della natura umana e che si è manifestato con l’immensità della natura signoriale facendo apparire lo stato di servitù».
Un poeta ha detto:
«Ti sei reso manifesto e non sei nascosto per nessuno, salvo per il cieco […] che non può veder la luna.Ma Ti sei velato con ciò che hai rivelato;E come si può conoscere Colui che si è velato con l’Onnipotenza?»
Così dunque, il Vero [al-Ħaqq], sia celebrata la Sua Maestà, si è rive­lato tra i due contrasti: sensibile [ħiss] e intelligibile [ma’na], Signoria [rubûbiyya] e servitù [ûbûdiyya], Potenza [qudra] e Saggezza [ħikma]. “Potenza” è un termine con il quale si designano i segreti intelligibili che reggono i ricettacoli, mentre la parola “Saggezza” si applica a ciò che appare dei ricettacoli, come la determinazione formale, la zione, la particolarità, come anche le qualità umane che gli sono inerenti e le leggi della servitù.
I due “opposti” sono presenti in ogni […] manifestazione. Il mondo della Potenza è reale e si chiama “mondo della Regalità”, “mondo delle realtà intelligibili”, “mondo degli spiriti [al arwâħ]”; è il luogo dove si manifestano le perfezioni dello stato di Signoria. Mentre il mondo della Saggezza è reale e si chiama “mondo del Regno”, “mondo sensi­bile”, “mondo dei corpi”; è il luogo dove si manifestano le imper­fezioni della servitù per deferenza al cospetto della Signoria e [ma] in verità, non esiste imperfezione alcuna. In questo senso, l’autore della ‘Ayniyya ha scritto:
«Ogni cosa brutta, se tu la rapporti alla sua beltà,Ti rivelerà prontamente dei bei significati.L’imperfezione del brutto è resa perfetta dalla sua bellezza:Non v’è affatto imperfezione, non v’è affatto bruttezza»
A seconda di come vengono considerati questi due opposti, gli uomini si dividono in tre categorie:
Quelli che non vedono che il mondo della Saggezza, che si fermano alle apparenze corporee e non si elevano al mondo degli spiriti. Sono queste le genti della dimostrazione e della prova; costituiscono la maggioranza delle “genti della destra”.
Coloro che non vedono che il mondo della Potenza, vale a dire il mondo delle realtà intelligibili, il mondo della Regalità: questi sono penetrati dal mondo corporeo nel mondo degli spiriti, così che per essi le forme e le limitazioni sono scomparse alla visione delle luci del Vivente, Sussistente per Se stesso. Se fosse loro chiesto di contem­plare altro che Lui, ne sarebbero incapaci. Sono le genti dell’estinzione nell’Essenza, che sono gli attratti [majdhûbîn], immersi nelle luci, agli occhi dei quali le tracce sono cancellate. Sono costoro che dicono:
«Rimane solo Allâh, non c’è più creatura alcuna, e lì non c’è né legame né separazione.
Di questo, ho la prova visiva, giacché non vedo io stesso che Lui stesso quando osservo»
La terza categoria è più perfetta delle precedenti. Essa comprende gli uomini che vedono la Potenza al suo posto e la Saggezza al suo posto, nello stesso tempo in cui vedono l’unità del loro luogo di manifesta­zione. Essi danno alla Potenza quel che le è dovuto in fatto di contem­plazione, e alla Saggezza quel che le è dovuto in fatto di “conve­nienza” e di venerazione. La visione della Potenza non è un velo che nasconde loro la Saggezza, così come la visione della Saggezza non vela loro la Potenza. Essi sono unificati nella loro separazione e sono separati nella loro unificazione. Ogni volta che “bevono”, la loro luci­dità aumenta e ogni volta che “si assentano”, la loro presenza [ħuđûr] si trova aumentata.
Sono “le genti della permanenza” [ahl al-baqâ’]. Il cerchio della loro conoscenza s’è ampliato; a volte i loro spiriti salgono verso il luogo della libertà, sono immersi allora nelle luci del­l’Immensità della Signoria, le forme e le limitazioni che sono vincolate allo stato di servitù scompaiono dalla loro coscienza; a volte i loro spiriti ridi­scendono verso il luogo della servitù e diventano allora versati nelle scienze che appartengono al mondo della Saggezza; gustano la dolcezza degli intrattenimenti intimi [munâjât] e del legame che si allaccia con l’Amato nel ritiro; godono dei due giardini, quello della destra e quello della sinistra e viene loro detto: «Mangiate di quel che vi procura il vostro Signore e ringraziatelo: è quello un paese buono» – questo è il giardino dell’unione – «e un Signore che perdona» – per le imperfezioni inerenti al giardino della separatività –, ma Allâh è più Sapiente!

Epilogo
È stato chiesto al santo conoscitore Sîdî Ahmad ben Yûsuf al-Milyânî riguardo all’Essenza divina se tale Essenza è di natura sensi­bile o intelligibile. Egli rispose: «Essa è sensibile ma impercettibile».
Questa risposta è vera. L’Essenza divina, infatti, “è” necessaria­mente; essa è sufficiente a se stessa ed è qualificata con le qualità dell’intelligibilità e dell’immaterialità; quanto alla realtà intelligibile presa a sé, essa non è sufficiente a se stessa e non è qualificabile mediante le qualità dell’intelligibilità e dell’immaterialità. Alcuni sufi parlando dell’essenza divina dichiarano che «la realtà intelligibile [al ma’na] si manifesta solo attraverso il sensibile» e che «i ricettacoli sussistono in virtù delle realtà intelligibili [ma’ani]», si tratta solo di un’espressione convenzionale, il termine “ma‘nâ” è utilizzato in un modo allegorico lecito. Siccome l’Essenza divina è sottile, invisibile e impercettibile, essa è simile alla realtà intelligibile per quanto riguarda l’invi­sibilità, e l’hanno chiamata “realtà intelligibile” [ma’na] e non c’è nessuna divergenza per quanto concerne questa espressione con­venzionale.
Allo stesso modo, i sufi hanno convenuto di applicare il termine “Potenza” all’Essenza, e il termine “Saggezza” all’universo delle “tracce” formali e alle cause occasionali ed efficienti che gli sono legate.
Così come hanno convenuto di applicare il termine “Essenza” [dhât] all’insieme di manifestazioni teofaniche e il termine “sifât” a tutte le determinazioni formali, specificazioni e modalità che sono il corollario necessario delle “tracce” delle Qualità. Tante altre espressioni conven­zionali sono state adottate allo stesso modo dai sufi – che Allâh ci renda profittevole la loro riunione!
La risposta data da Sîdî Ahmad b. Yûsuf è dunque una spiegazione che concerne l’Essenza eterna nello stato di non-manifestazione, prima della rivelazione teofanica; dopo la rivelazione teofanica, essa riveste allora una modalità sensibile e può essere colta per mezzo delle ma­nifestazioni sensibili.
Quanto alla risposta globale che corrisponde all’espressione utiliz­zata convenzionalmente dai conoscitori realizzati, essa consiste nel dire che l’Essenza è di natura intelligibile e che essa si è manifestata negli aspetti delle forme sensibili. Per “natura intelligibile”, bisogna intendere la sottigliezza principiale. Per descriverne le caratteristiche, avevo già detto che essa è un’Essenza primordiale eterna, sottile, nascosta, manifestata nelle forme e nelle limitazioni, qualificata dagli attributi di perfezione, unica nella pre-eternità e nell’eternità che non ha termine.
Così si conclude questo compendio benedetto e che la ŝalât e la pace di Allâh siano sul nostro signore Muhammad, la sua famiglia e i suoi compagni. Lode ad Allâh, Signore dei mondi.

[1] Corano, II, 115.

Da: Lettera e Spirito: http://acpardes.com/letteraespirito/dellessenza-eterna/

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