"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

sabato 14 aprile 2018

Guénon René, Considerazioni sull'Iniziazione - XLIII - Sulla nozione dell’élite

René Guénon
Considerazioni sull'Iniziazione

XLIII - Sulla nozione dell’élite

C’è una parola che abbiamo usato piuttosto di frequente in altre occasioni, e della quale ci resta ancora da precisare qui il senso ponendoci più specialmente dal punto di vista propriamente iniziatico, cosa che in tali occasioni non avevamo fatto, per lo meno in modo esplicito: è la parola élite, della quale ci siamo serviti per indicare qualcosa che non esiste più nello stato attuale del mondo occidentale, e la cui costituzione; o piuttosto la cui ricostituzione, ci appariva essere la condizione prima ed essenziale di un «raddrizzamento» intellettuale e di una restaurazione tradizionale[1]

Questa parola, bisogna pur dirlo, è un’altra di quelle di cui nella nostra epoca si fa uno strano abuso, al punto di servirsene, nel modo più abituale, in accezioni che non hanno più nulla in comune con ciò che queste parole dovrebbero significare normalmente; tali deformazioni, come abbiamo fatto rilevare a proposito di altri argomenti, assumono spesso un vero e proprio aspetto di caricatura e di parodia, e in particolare ciò avviene quando si tratti di termini che, anteriormente a ogni deviazione profana, erano in certo qual modo consacrati in ragione di un loro uso tradizionale, caso che è proprio quello, come si vedrà, della parola élite[2].
Simili termini si ricollegano in qualche modo, a titolo di termini «tecnici», allo stesso simbolismo iniziatico, e non è certo perché dei profani si impadroniscono talvolta di un simbolo che sono incapaci di capire, lo distolgono dal suo senso e ne fanno un’applicazione illegittima, che tale simbolo cessi di essere, in sé, quel che è veramente; non c’è perciò nessuna valida ragione perché l’abuso che viene fatto d’una parola ci obblighi a evitarne l’impiego, e del resto, se così si dovesse fare, non riusciamo a veder bene, con tutto il disordine di cui dà prova il linguaggio attuale, quali termini potrebbero restare alla fine a nostra disposizione.
Quando usammo la parola «élite» come dicevamo poco fa, le false concezioni alle quali essa è comunemente applicata non ci erano ancora sembrate così diffuse come abbiamo dovuto constatare in seguito, e forse di fatto ancora non lo erano, giacché tutte queste cose vanno aggravandosi sempre più rapidamente; in effetti non si è mai tanto parlato dell’«élite», a ogni momento e da ogni parte, come da quando questa non esiste più, e, naturalmente. quel che si intende indicare in tal modo non è mai l’élite compresa nel suo significato vero. Ma c’è ancora di meglio: si è giunti ora a parlare «delle élite», termine nel quale si pretendono comprendere tutti gli individui che vadano sia pur poco al di là della «media» in un qualunque campo di attività, foss’anche il più basso e il più lontano da ogni intellettualità[3]. Facciamo subito rilevare che qui il plurale è un vero e proprio illogismo: senza neppure uscire da un semplice punto di vista profano, si potrebbe già dire che la parola è una di quelle che non possono avere plurale perché il loro senso è in qualche modo quello di un «superlativo», o anche perché implicano l’idea di qualcosa che, per sua stessa natura, non è soggetto a frammentazione o a suddivisione; sennonché, per noi c’è campo per il ricorso a qualche altra considerazione di un genere più profondo.
Talvolta, per maggior precisione e per evitare ogni possibile malinteso, noi ci siamo serviti dell’espressione «élite intellettuale»; in realtà quest’espressione è quasi un pleonasmo, giacché non è neppur concepibile che l’élite possa essere se non intellettuale, o, se si preferisce, spirituale; queste due parole sono per noi in definitiva equivalenti, dal momento che ci rifiutiamo assolutamente di confondere l’intellettualità vera con la «razionalità». La ragione di ciò è che la distinzione che determina l’élite non può, per sua stessa definizione, avvenire se non «dall’alto», vale a dire sotto il profilo delle possibilità più elevate dell’essere; ed è facile rendersene conto se si riflette un po’ sul senso vero della parola quale risulta direttamente dalla sua etimologia. In effetti, dal punto di vista propriamente tradizionale, quel che conferisce alla parola élite tutto il suo valore è il fatto che essa è derivata da «eletto»; ed è proprio questo, diciamolo chiaramente, quel che ci ha indotti a servircene come abbiamo fatto, a preferenza di ogni altro termine; sennonché occorre precisare ulteriormente come ciò vada inteso[4]. Non bisogna credere che così facendo noi ci fermiamo al senso religioso ed exoterico, che senza dubbio è quello in cui si parla più abitualmente degli «eletti», anche se certamente si tratterebbe di qualcosa che potrebbe facilmente dar luogo a una trasposizione appropriata a ciò che è effettivamente in questione; c’è però qualcos’altro, di cui si potrebbe del resto trovare un’indicazione fin nell’espressione evangelica, così nota e spesso citata pur se forse non sufficientemente capita: Multi vocati, electi pauci.
In fondo, potremmo dire che l’élite, quale noi la intendiamo, rappresenta l’insieme di coloro che possiedano le qualificazioni richieste per l’iniziazione, i quali sono naturalmente sempre una minoranza fra gli uomini; in un certo senso questi ultimi sono tutti «chiamati», a motivo della situazione «centrale» che l’essere umano occupa, in questo stato di esistenza, fra tutti gli altri esseri che come lui vi si trovano[5], ma ci sono pochi «eletti», e, nelle condizioni dell’epoca attuale, certamente ce ne sono ora meno che mai[6]. Si potrebbe obiettare che una élite simile di fatto esiste sempre, perché, per quanto poco numerosi siano coloro che sono qualificati, nel senso iniziatico della parola, qualcuno per lo meno ce n’è, così come si potrebbe obiettare che del resto qui il numero importa poco[7]; ciò è vero, ma in questo modo essi rappresentano soltanto un’élite virtuale, o, si potrebbe dire, la possibilità dell’élite, e perché quest’ultima sia effettivamente costituita occorre prima di tutto che essi stessi prendano coscienza della loro qualificazione. D’altronde, si deve comprendere bene che, come abbiamo spiegato in precedenza, le qualificazioni iniziatiche, quali possono essere identificate dal punto di vista propriamente «tecnico», non sono tutte di ordine esclusivamente intellettuale, ma comportano la considerazione degli altri elementi costitutivi dell’essere umano; sennonché questo non cambia assolutamente nulla a quanto abbiamo detto sulla definizione dell’élite, giacché, qualunque siano in sé tali qualificazioni, è sempre in vista di una realizzazione essenzialmente intellettuale o spirituale che esse debbono venir considerate, ed è in questo che risiede in definitiva la loro unica ragion d’essere.
Normalmente, tutti coloro che sono in tal modo qualificati dovrebbero avere con ciò stesso la possibilità di ottenere l’iniziazione; se di fatto le cose non stanno così, tutto sommato le ragioni ne sono unicamente da attribuire allo stato presente del mondo occidentale e, sotto questo riguardo, la scomparsa dell’élite cosciente di se stessa e l’assenza di organizzazioni iniziatiche adatte a riceverla assumono l’aspetto di due fatti legati tra di loro, in certo qual modo correlati, senza che sia forse neppure il caso di domandarsi quale dei due abbia potuto essere una conseguenza dell’altro. Sennonché è però evidente che delle organizzazioni iniziatiche che siano veramente e pienamente quel che devono essere, e non semplicemente vestigia più o meno degenerate di quel che fu un tempo, non potrebbero riformarsi che se trovassero elementi che possiedano, non solamente l’attitudine iniziale necessaria quale condizione voluta, ma pure le disposizioni effettive determinate dalla coscienza di una simile attitudine, giacché è innanzi tutto a loro che compete l’«aspirare» all’iniziazione, e sarebbe un rovesciamento di rapporti il pensare che quest’ultima debba pervenire loro indipendentemente da tale aspirazione, aspirazione che è come una prima manifestazione dell’atteggiamento essenzialmente «attivo» che è richiesto da tutto quel che è d’ordine veramente iniziatico. È questa la ragione per cui la ricostituzione dell’élite ‑ intendiamo dire dell’élite cosciente delle sue possibilità iniziatiche, quand’anche queste possano soltanto essere possibilità latenti e non sviluppate finché non sia stato ottenuto un ricollegamento tradizionale regolare ‑ è in questa situazione la condizione prima dalla quale tutto il resto dipende, così come la presenza di materiali preventivamente approntati è indispensabile per la costruzione di un edificio, anche se è evidente che tali materiali non potranno adempiere la funzione a cui sono destinati se non quando abbiano trovato la loro posizione nell’edificio stesso.
Presupponendo l’iniziazione, in quanto ricollegamento a una «catena» tradizionale, realmente ottenuta da coloro che appartengono all’élite, resterà da considerare, per ciascuno di essi, la possibilità di andare più o meno lontano, ossia prima di tutto di passare dall’iniziazione virtuale all’iniziazione effettiva, poi di raggiungere in quest’ultima il possesso di questo o quel grado più o meno elevato, secondo l’estensione delle proprie possibilità particolari. Sarà quindi il caso, per il passaggio da un grado all’altro, di prendere in considerazione quella che potrebbe esser detta un’élite all’interno dell’élite stessa[8], ed è in tal senso che alcuni hanno potuto parlare dell’«élite dell’élite»[9]; in altri termini, si potrà tener conto di «elezioni» successive e sempre più ristrette in quanto al numero degli individui che riguardano, operantisi sempre «dall’alto» e secondo lo stesso principio, e tutto sommato corrispondenti al diversi gradi della gerarchia iniziatica[10]. È così che di grado in grado si può andare fino all’«elezione» suprema, quella che si riferisce all’«adeptato», vale a dire fino al raggiungimento dello scopo ultimo di ogni iniziazione; e, di conseguenza, l’eletto nel senso più completo della parola, quello che potrebbe esser detto l’«eletto perfetto», sarà colui che giungerà infine alla realizzazione dell’«Identità Suprema»[11].




[1] Si vedano: Oriente e Occidente, Luni, 1993 e La Crisi del Mondo moderno.
[2] Abbiamo segnalato in precedenza una deformazione di questo tipo, e particolarmente assurda, riguardo al significato della parola «adepto»; lo stesso termine «iniziazione» non è maggiormente al riparo da simili abusi, giacché alcuni se ne servono oggi per indicare l’insegnamento rudimentale di un qualsiasi sapere profano, e lo si vede persino apparire nel titolo di opere che, di fatto, hanno soltanto il carattere della più bassa «volgarizzazione».
[3] Nel linguaggio giornalistico si ritrova persino una «élite sportiva», che è veramente l’ultimo grado di degenerazione che si possa far subire a questa parola!
[4] È ovvio che non dobbiamo qui occuparci della concezione sociale moderna e profana di una «elezione» che derivi dal «suffragio universale», operata perciò «dal basso» e con la pretesa di far derivare il superiore dall’inferiore, contrariamente a qualsiasi nozione di vera gerarchia.
[5] Questo non è vero soltanto per ciò che riguarda il mondo corporeo, ma anche per ciò che riguarda le modalità sottili che appartengono allo stesso ambito di esistenza individuale.
[6] Si potrebbe dire che, a motivo del movimento di «discesa» ciclico devono necessariamente essercene sempre di meno; ed è possibile comprendere da ciò cosa voglia significare l’affermazione tradizionale secondo cui il ciclo attuale si chiuderà quando «il numero degli eletti sarà completato».
[7] È evidente che, per tutto ciò che si riferisce all’élite, non bisogna mai prospettare se non una questione di «qualità» e non assolutamente di «quantità».
[8] Si conservava un’allusione abbastanza chiara a questo fatto ancora nella Massoneria del secolo XVIII, quando vi si parlava della costituzione di un sistema di alti gradi «all’interno» di una comune Loggia.
[9] È chiaro che in questo caso non si tratta affatto di «élite» diverse, bensì di gradi di una sola e medesima élite.
[10] È proprio in questa accezione che la parola «eletto» si ritrova, ad esempio, nella denominazione di certi gradi superiori di diversi Riti massonici, cosa che del resto non significa affatto che si sia conservata sempre la coscienza reale del suo significato e di tutto quel che essa implica veramente.
[11] Nella tradizione islamica, El-Mustafâ, l’«Eletto», è uno dei nomi del Profeta; quando tale termine è in questo modo usato «per eccellenza», esso si riferisce perciò di fatto all’«Uomo Universale».


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