"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

mercoledì 25 aprile 2018

Guénon René, Considerazioni sull'Iniziazione - XLV - Sull’infallibilità tradizionale

René Guénon
Considerazioni sull'Iniziazione

XLV - Sull’infallibilità tradizionale

Dal momento che siamo stati portati a dire qualche parola sulla gerarchia delle funzioni iniziatiche, dobbiamo prendere ancora in esame una questione che a questa si riferisce in modo più particolare, ed è quella dell’infallibilità dottrinale; possiamo a ogni buon conto farlo ponendoci, non soltanto dal punto di vista propriamente iniziatico, ma dal punto di vista tradizionale in generale, il quale comprende sia l’ambito exoterico sia l’ambito esoterico. 

Ciò che occorre prima di tutto porre come principio, perché si comprenda bene di cosa si tratta, è che a essere propriamente infallibile è la dottrina in sé ‑ ed essa sola ‑, e non assolutamente degli individui umani in quanto tali, quali possano essere del resto questi ultimi; e, se la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»; e si può del resto dire che ogni verità, qualunque sia il suo ordine, se la si consideri dal punto di vista tradizionale, partecipa di tale carattere, giacché essa non è verità se non in quanto si ricollega ai principi superiori e ne deriva a titolo di conseguenza più o meno immediata, o di applicazione in un determinato campo. La verità non è punto fatta dall’uomo come vorrebbero i «relativisti» e i «soggettivisti» moderni ma, al contrario, si impone a lui, e non tuttavia «dall’esterno» al modo di una costrizione «fisica», ma in realtà «dal di dentro», giacché l’uomo non è evidentemente obbligato a «riconoscerla» come verità se prima non la «conosce», vale a dire se prima essa non è penetrata in lui ed egli non se l’è realmente assimilata[1]. Occorre non dimenticare, di fatto, che ogni conoscenza vera è essenzialmente, in tutta la misura in cui essa esiste realmente, una identificazione del conoscente e del conosciuto: identificazione che è ancora imperfetta e quasi «per riflesso» nel caso di una conoscenza semplicemente teorica, e identificazione perfetta nel caso di una conoscenza effettiva.
Discende da ciò che qualsiasi uomo sarà infallibile quando esprimerà una verità che realmente conosce, vale a dire una verità alla quale egli si è identificato[2]; sennonché non è affatto in quanto individuo umano che allora lo sarà, ma in quanto egli ‑ a motivo di tale identificazione ‑ rappresenta, per così dire questa verità stessa; a essere assolutamente rigorosi, si dovrebbe in un caso simile dire, non che egli esprime la verità, ma piuttosto che la verità si esprime attraverso di lui. Secondo questo punto di vista l’infallibilità non assume affatto le apparenze di qualcosa di straordinario o di eccezionale, né come qualcosa che costituisca un qualsivoglia «privilegio»; di fatto la possiede chiunque, nella misura in cui è «competente», vale a dire per tutto ciò che conosca nel vero senso della parola[3]; tutta la difficoltà risiederà naturalmente nel determinare i limiti reali di tale competenza in ciascun caso particolare. È ovvio che questi limiti dipenderanno dal grado di conoscenza che l’essere avrà raggiunto, e che essi saranno tanto più ampi quanto maggiormente questo grado sarà elevato; di conseguenza è altrettanto scontato che l’infallibilità in un certo campo di conoscenza non comporterà assolutamente l’infallibilità in un altro ambito che sia superiore o più profondo, e che ‑ ad esempio ‑, per applicare questo principio alla divisione più generale che si possa determinare nelle dottrine tradizionali, l’infallibilità in campo exoterico non comporterà affatto l’infallibilità nel campo esoterico e iniziatico.
Nel corso dell’esposizione che precede abbiamo inteso l’infallibilità come qualcosa di propriamente legato alla conoscenza, ovverosia ‑ in definitiva ‑ come connesso con l’essere che questa conoscenza possiede, o più esattamente come inerente allo stato che ha con ciò raggiunto, e questo assolutamente non perché egli sia questo o quell’essere, ma in quanto, in tale stato, egli si è realmente identificato con la parte di verità corrispondente. Si può del resto dire che si tratti di un’infallibilità che in qualche modo non riguarda se non l’essere stesso al quale essa appartiene, in quanto fa parte integrante del suo stato interiore, e non ha da essere riconosciuta da altri, se l’essere in questione non sia espressamente rivestito di una determinata funzione particolare, e più precisamente di una funzione di insegnamento della dottrina; questo eviterà, nella pratica, gli errori di applicazione che sono sempre possibili a motivo della difficoltà, da noi indicata poco fa, di determinare «dal di fuori» i limiti di simile infallibilità. Sennonché c’è inoltre, in ogni organizzazione tradizionale, un’altra specie di infallibilità la quale è ‑ essa ‑ legata esclusivamente alla funzione di insegnamento, qualunque sia del resto il campo in cui viene esercitata, giacché anche questo si applica a entrambe le sfere exoterica ed esoterica, ciascuna delle quali, naturalmente, intesa entro i suoi limiti propri; ed è soprattutto sotto questo riguardo che si può osservare, in modo particolarmente evidente, che l’infallibilità non appartiene affatto agli individui in quanto tali, poiché, in questo caso, essa è totalmente indipendente da ciò che può essere in sé l’individuo che esercita la funzione in questione.
Occorre qui ritornare a quanto dicevamo in precedenza riguardo all’efficacia dei riti: tale efficacia è essenzialmente connessa con gli stessi riti, in quanto mezzi d’azione di una influenza spirituale; il rito agisce perciò indipendentemente da quel che vale, sotto qualsiasi profilo, l’individuo che lo compie, e addirittura senza che sia necessario che questi abbia una conoscenza effettiva di tale efficacia[4]. Ciò che occorre soltanto, se il rito è fra quelli che sono riservati a una funzione specifica, è che l’individuo abbia ricevuto dall’organizzazione tradizionale alla quale appartiene, il potere di eseguirlo in modo valido; nessun’altra condizione è richiesta, e quando la cosa possa necessitare, come abbiamo visto, certe qualità particolari, queste ultime non si riferiscono in tutti i casi al possesso di un determinato grado di conoscenza, ma sono soltanto quelle che rendono possibile all’influenza spirituale di agire in qualche modo attraverso l’individuo senza che la particolare costituzione di esso intrometta qualche ostacolo. L’uomo diventa allora propriamente un «portatore» o un «trasmettitore» dell’influsso spirituale; questa è la sola cosa che conti, poiché di fronte a tale influenza di natura essenzialmente sovraindividuale, e di conseguenza in quanto egli adempie la funzione di cui è investito, la sua individualità non conta più, e anzi scompare del tutto. Abbiamo già insistito sull’importanza di questo ruolo di «trasmettitore», in particolare per quanto concerne i riti iniziatici; è sempre questo ruolo quello che si esercita nei confronti della dottrina quando si tratti di una funzione di insegnamento; e d’altronde tra questi due aspetti, e di conseguenza tra la natura delle funzioni corrispondenti, esiste in realtà un rapporto strettissimo, rapporto che dipende direttamente dal carattere stesso delle dottrine tradizionali.
In effetti, come già spiegammo parlando del simbolismo, non è possibile stabilire una distinzione assolutamente netta ‑ e ancor meno una separazione ‑ tra ciò che ha attinenza con i riti e quel che ha attinenza con la dottrina, perciò tra l’esecuzione dei primi e l’insegnamento della seconda, ruoli i quali, pur se costituiscono esteriormente due funzioni diverse, tuttavia hanno in fondo una stessa natura. Il rito comporta sempre di per se stesso un insegnamento, e la dottrina, a motivo del suo carattere «non-umano» (carattere che ‑ è bene ricordarlo ‑ si traduce in modo particolare nella forma propriamente simbolica della sua espressione), porta anch’essa in sé l’influenza spirituale, per modo che non si tratta veramente che di due aspetti complementari di una stessa e sola realtà; e questa considerazione, quantunque l’abbiamo fatta inizialmente e più in particolare per quel che concerne l’ambito iniziatico, può estendersi altresì ‑ in modo del tutto generale ‑ a tutto ciò che abbia natura tradizionale. In linea di principio non ci sono da fare distinzioni a questo proposito; di fatto, se ne può operare una soltanto, nel senso che, nella sfera iniziatica, lo scopo essenziale essendo di pura conoscenza, una funzione di insegnamento, a un qualsiasi grado, non dovrebbe normalmente essere affidata se non a chi possieda una conoscenza effettiva di quel che deve insegnare (tanto più che ciò che qui conta è meno l’esteriorità dell’insegnamento che non il risultato di natura interiore che esso deve contribuire a produrre in coloro che lo ricevono), mentre nell’ambito exoterico, il cui fine immediato è diverso, quegli che esercita una simile funzione può benissimo avere soltanto una conoscenza teorica sufficiente per esprimere la dottrina in modo intelligibile; sennonché, ad ogni buon conto, non è questa la questione essenziale, per lo meno per quanto riguardi l’infallibilità legata alla funzione in se stessa.
Secondo questo punto di vista quel che si può dire è questo: il fatto di essere investiti regolarmente di determinate funzioni permette ‑ da solo e senza nessun’altra condizione[5] ‑ di eseguire determinati riti; allo stesso modo, il fatto di essere investiti regolarmente di una funzione d’insegnamento comporta di per se stesso la possibilità di adempiere in modo valido questa funzione, e ‑ per tale ragione ‑ dove necessariamente conferire l’infallibilità entro i limiti in cui simile funzione sarà esercitata; e la ragione, in fondo, ne è la stessa sia nell’uno sia nell’altro caso. Questa ragione è, da un lato, che l’influenza spirituale è connaturata ai riti stessi che ne sono il veicolo, e, dall’altro, che questa stessa influenza spirituale è similmente connaturata con la dottrina in quanto quest’ultima è «non-umana»; è perciò sempre l’influenza spirituale che in definitiva agisce attraverso gli individui, sia nel compimento dei riti, sia nell’insegnamento della dottrina, ed è essa a far sì che questi individui, checché possano essere di per sé, possano esercitare effettivamente la funzione di cui sono investiti[6]. In simili condizioni, beninteso, l’interprete autorizzato della dottrina, in quanto esercita la sua funzione come tale, non potrà mai parlare in proprio nome, ma unicamente in nome della tradizione che allora rappresenta e in qualche modo «incarna», ed è la sola a essere veramente infallibile; finché le cose stanno in questo modo, l’individuo non esiste più, se non in qualità di semplice «supporto» della formulazione dottrinale, supporto il quale ‑ in quanto tale ‑ non svolge una parte più attiva di quella che la carta sulla quale è stampato un libro non svolga con riferimento alle idee a cui serve come veicolo. Se peraltro gli accada di parlare in proprio nome, egli non è più ‑ con ciò stesso ‑ nell’esercizio della sua funzione, e non fa allora che esprimere semplici opinioni individuali, e in ciò non è più assolutamente infallibile, non più di quanto lo sarebbe un qualsiasi altro individuo; egli non gode conseguentemente, di per se stesso, di nessun «privilegio», giacché, dal momento in cui la sua individualità ricompare e si impone, egli cessa immediatamente di essere il rappresentante della tradizione per non essere più che un uomo comune, il quale, come qualunque altro, vale esclusivamente ‑ sotto il riguardo dottrinale ‑ nella misura della conoscenza che possiede realmente in proprio, e il quale in ogni caso, non può avere la pretesa di imporre la sua autorità a chicchessia[7]. L’infallibilità di cui è questione è perciò di fatto legata unicamente alla funzione e non affatto all’individuo, giacché, al di fuori dell’esercizio di essa, o se l’individuo cessi di ricoprirla per una qualsiasi ragione, di tale infallibilità non rimane in lui più nulla; e troviamo qui un esempio di quanto dicevamo in precedenza, cioè che la funzione, contrariamente al grado di conoscenza, veramente non aggiunge nulla a quanto l’essere sia di per se stesso e non modifica realmente il suo stato interiore.
Dobbiamo ancora precisare che l’infallibilità dottrinale, quale l’abbiamo definita, è necessariamente limitata come la funzione stessa alla quale è legata, e ciò in diverse maniere: prima di tutto essa può applicarsi soltanto all’interno della forma tradizionale dalla quale la funzione deriva, ed è inesistente nei confronti di tutto quanto appartenga a qualsiasi altra forma tradizionale; in altri termini, nessuno può pretendere di dare giudizi al riguardo di una tradizione in nome di un’altra tradizione, e una pretesa simile sarebbe falsa e illegittima, giacché non si può parlare in nome di una tradizione se non di quanto concerne quella tradizione stessa; e in fin dei conti questa è una cosa evidente per chi non sia affetto da idee preconcette. Poi, se una funzione appartiene a un determinato ambito particolare, essa non può comportare l’infallibilità se non per ciò che si riferisce a questo solo ambito, il quale può, secondo i casi, essere compreso entro confini più i meno ristretti: di conseguenza, ad esempio, senza uscire dalla sfera exoterica, si può concepire un’infallibilità che, a motivo del particolare carattere della funzione alla quale è collegata, concerna soltanto questo o quel ramo della dottrina, e non la dottrina nel suo insieme; a maggior ragione, una funzione di natura exoterica, quale essa sia, non può conferire nessuna infallibilità ‑ e di conseguenza nessuna autorità ‑ nei confronti dell’ambito esoterico; e, anche qui, qualsiasi pretesa del contrario, la quale implicherebbe del resto un rovesciamento dei normali rapporti gerarchici, non potrebbe avere se non un valore rigorosamente nullo. È indispensabile osservare sempre queste due distinzioni, da un lato tra le diverse forme tradizionali e dall’altro tra gli ambiti differenti, exoterico ed esoterico[8], per prevenire qualsiasi abuso e qualsiasi errore di applicazione per quanto riguarda l’infallibilità tradizionale: di là dai limiti legittimi che si applicano a ciascun caso, non esiste più infallibilità, perché non si trova nulla a cui essa possa applicarsi in modo valido. Se abbiamo creduto opportuno insistere un po’ su tali cose, è perché sappiamo che troppa gente ha la tendenza a non riconoscere queste verità essenziali, e questo sia perché il suo orizzonte è di fatto limitato a una sola forma tradizionale, sia perché, anche in tale forma, conosce soltanto il punto di vista exoterico; tutto ciò che si può domandare a costoro, affinché sia possibile intendersi, è che sappiano ‑ e vogliano ‑ riconoscere fin dove arriva realmente la loro competenza, al fine di non rischiare mai di debordare sul terreno altrui, cosa che del resto sarebbe soprattutto spiacevole per loro stessi, giacché tutto sommato così facendo non farebbero che fornire la prova di un’incomprensione probabilmente irrimediabile.




[1] Diciamo qui che l’uomo si assimila una verità, perché questo è il modo di parlare più abituale, ma si potrebbe altrettanto bene dire ‑ inversamente ‑ che è lui ad assimilarsi a tale verità; si capirà in seguito l’importanza di questa osservazione.
[2] Una sola riserva si potrebbe fare, concernente il caso in cui l’espressione o la formulazione della Verità possa essere inadeguata, ed essa inadeguata è necessariamente sempre in una certa misura; sennonché questo non influisce assolutamente sul principio in sé.
[3] È così che ‑ per fare l’esempio più semplice ‑ anche un bimbo, se abbia capito e assimilato una verità matematica elementare, sarà infallibile tutte le volte che enuncerà questa verità; all’opposto, non lo sarà affatto quando ripeterà soltanto cose che avrà semplicemente «imparato a memoria», senza averle assimilate in nessun modo.
[4] Ricordiamo che questo è vero tanto per i riti exoterici, com’è espressamente riconosciuto dalla dottrina cattolica, quanto per i riti iniziatici.
[5] Quando diciamo regolarmente, questo implica di fatto, necessariamente, il possesso delle qualificazioni richieste.
[6] È tale azione dell’influenza spirituale, per ciò che riguarda l’insegnamento dottrinale, che il linguaggio della teologia cattolica denomina «assistenza dello Spirito Santo».
[7] Tutto questo è rigorosamente conforme con la nozione cattolica dell’«infallibilità pontificale»; quel che può sembrare sorprendente in quest’ultima, e che in ogni caso le è specifico, è soltanto che l’infallibilità dottrinale sia concepita in modo tale da essere tutta concentrata, in qualche modo, in una funzione esercitata esclusivamente da un solo individuo, mentre nelle altre forme tradizionali si riconosce generalmente che tutti coloro che esercitano una funzione regolare di insegnamento partecipano di tale infallibilità in una misura che è limitata dall’estensione della loro stessa funzione.
[8] Servendosi del simbolismo geometrico, si potrebbe dire che dalla prima di queste due distinzioni l’infallibilità dottrinale è delimitata in senso orizzontale, giacché le forme tradizionali in quanto tali si situano a uno stesso livello, e dalla seconda è delimitata in senso verticale, poiché si tratta allora di sfere sovrapposte gerarchicamente.


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