'Abd Al-Qâdir al-Jazâ'irî
Il Reale è tutto e non v’è nulla al di fuori di lui*
“(È) Lui il
Primo e l’Ultimo, l’Apparente e il Nascosto”[1]
Ogni essere velato crede di possedere
un’esistenza indipendente e separata dall’Essere vero (al-Wujûd al-Haqq)
– e considera questa esistenza come creata (ciò che professano i
teologi) o come eterna (come sostengono certi filosofi). Egli crede ugualmente
di essere lui ad apparire sotto questa forma [corporea] sensibile che gli è
attribuita, e che ha nome Zayd o ‘Amr; di essere provvisto di attributi che gli
sono propri, come la volontà, la potenza, la scienza ecc… - che sono differenti
dagli Attributi di Dio – sia Egli esaltato; infine che i suoi atti
procedano da lui, sia per creazione (khalqan), che per attribuzione (iktisâban).[2]
Tuttavia, se le cose fossero conformi a questa illusione, o a questa pretesa, non resterebbe più la minima traccia della dottrina dell’Unicità divina (tawhîd), né alcun posto per un discorso sull’Unità dell’Essenza (Ahadiyya)! Perché allora l’associazionismo comparirebbe per non più dissiparsi.
Tuttavia, se le cose fossero conformi a questa illusione, o a questa pretesa, non resterebbe più la minima traccia della dottrina dell’Unicità divina (tawhîd), né alcun posto per un discorso sull’Unità dell’Essenza (Ahadiyya)! Perché allora l’associazionismo comparirebbe per non più dissiparsi.
Quando Dio decide di fare misericordia a
un servitore, Egli toglie dal suo cuore il velo dell’ignoranza; questi allora
scopre di non possedere un’esistenza propria, né eterna né contingente, e di
rimanere per sempre una possibilità e [dunque] un puro niente. Perché la
possibilità considerata in quanto tale non ha
un’esistenza propria: essa non è che una realtà concettuale (amr ma’qûl),
essendo un istmo tra [l’Essere] necessario (al-Wâjib) che non può essere
annientato, e l’Impossibile (al-mustahîl) che non potrebbe esistere. Ora
un tale istmo non potrebbe avere una forma che gli sia propria, né appartenere
mai al mondo sensibile. La forma sensibile di questo essere velato
non gli appartiene dunque in proprio, perché se questo fosse il caso, sarebbe
lui stesso l’Apparente, poiché è tramite la forma che una cosa può
manifestarsi. Ora non rientra nella natura né nell’essenza del Possibile di
manifestarsi, non essendo, da tutta l’eternità, che un puro niente. In realtà,
è Dio Stesso che appare [conformandoSi] alle determinazioni (ahkâm)
[particolari] che reggono ciascuna delle possibilità. E queste stesse
determinazioni non sono che delle relazioni concettuali che non
intervengono affatto con l’esistenza, cosicché ogni [essere] apparente
non è altro che Dio, percepito come l’Apparente, in virtù di questo versetto
coranico:
È Lui il Primo e l’Ultimo, l’Apparente e
l’Occulto.
Al-Shâdhilî – che Dio sia
soddisfatto di lui – ha commentato questo versetto dicendo che con questa
parola, Dio ha cancellato ogni altro [che Lui]. Poiché tutto ciò che è
suscettibile di essere conosciuto o descritto e, per conseguenza, di essere
qualificato come esistente (letteralmente: di “cosa”), si riconduce in
definitiva a uno dei quattro gradi [dell’esistenza enumerati nel versetto
citato]. Ora, non c’è Primo se non Lui; non vi è Ultimo se non Lui; non v’è
Apparente che Lui; non c’è Occulto se non Lui. È risaputo, d’altra parte, che
la definizione di due termini [complementari] permette d’apprendere [tutto ciò
che è compreso tra questi due termini] (yufidu al-hasr).
Così, gli attributi di
cui il servitore velato è provvisto e che egli crede, a torto, essere
differenti dagli Attributi divini, non sono in realtà nient’altro che questi
stessi Attributi, inerenti a Dio – sia Egli esaltato -. Semplicemente,
quando questi Attributi si sono manifestati nel dominio dell’esistenza
condizionata, i loro effetti (letteralmente: le loro tracce) ne vengono limitati, perché l’effetto di ciò che è condizionato
non può essere che esso stesso condizionato. Ed è nel momento in cui l’essere
condizionato si affranca dalla sua condizione che i suoi attributi sfuggono
nella stessa misura a ciò. Allora l’incondizionato (mutlaq) appare nelle
“tracce” (âthâr) stesse dei suoi atti, anche se in modo relativo (nisbiyyam).
Il primo grado di questa assolutezza relativa (itlâq
nisbî) ci è rivelata da questa parola di Dio – sia Egli esaltato -:
“Quando Io lo amo, Io sono la sua vista e il suo udito”. Ora è impossibile che
Dio – sia Egli esaltato – sia la vista, l’udito o qualsiasi altra
facoltà di un altro che non sia Lui, perché Egli è – sia Egli esaltato
– una Essenza e l’essenza non potrebbe essere
[inerente a una] altra che essa. E ancora, è impossibile che i Suoi Attributi
siano inerenti a un’altra essenza che la Sua; comprendi dunque le allusioni che
Dio [ci rivolge]: Egli è ad un tempo Colui che
intende, l’Udito e il discorso; Colui che vede, lo Sguardo e ciò che è visto…
Quindi, gli atti che il servitore velato
crede essere i suoi non sono come se li immagina: non ci sono
in effetti che gli atti che Dio Stesso compie senza intermediario, senza
che il servitore, considerato nella sua forma creaturale, non ne prenda in
realtà la minima parte sotto qualche aspetto o situazione che sia:
“Non sono gli sguardi ad
essere colpiti da cecità, ma i cuori trattenuti nei petti”.[3]
*Mawqîf 15
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