"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

venerdì 6 ottobre 2017

'Abd Al-Qâdir al-Jazâ'irî, Il Reale è tutto e non v’è nulla al di fuori di lui (Mawqîf 15)


'Abd Al-Qâdir al-Jazâ'irî

Il Reale è tutto e non v’è nulla al di fuori di lui*

(È) Lui il Primo e l’Ultimo, l’Apparente e il Nascosto”[1]
Ogni essere velato crede di possedere un’esistenza indipendente e separata dall’Essere vero (al-Wujûd al-Haqq) – e considera questa esistenza come creata (ciò che professano i teologi) o come eterna (come sostengono certi filosofi). Egli crede ugualmente di essere lui ad apparire sotto questa forma [corporea] sensibile che gli è attribuita, e che ha nome Zayd o ‘Amr; di essere provvisto di attributi che gli sono propri, come la volontà, la potenza, la scienza ecc… - che sono differenti dagli Attributi di Dio – sia Egli esaltato; infine che i suoi atti procedano da lui, sia per creazione (khalqan), che per attribuzione (iktisâban).[2]
Tuttavia, se le cose fossero conformi a questa illusione, o a questa pretesa, non resterebbe più la minima traccia della dottrina dell’Unicità divina (tawhîd), né alcun posto per un discorso sull’Unità dell’Essenza (Ahadiyya)! Perché allora l’associazionismo comparirebbe per non più dissiparsi.
Quando Dio decide di fare misericordia a un servitore, Egli toglie dal suo cuore il velo dell’ignoranza; questi allora scopre di non possedere un’esistenza propria, né eterna né contingente, e di rimanere per sempre una possibilità e [dunque] un puro niente. Perché la possibilità considerata in quanto tale non ha un’esistenza propria: essa non è che una realtà concettuale (amr maqûl), essendo un istmo tra [l’Essere] necessario (al-Wâjib) che non può essere annientato, e l’Impossibile (al-mustahîl) che non potrebbe esistere. Ora un tale istmo non potrebbe avere una forma che gli sia propria, né appartenere mai al mondo sensibile. La forma sensibile di questo essere velato non gli appartiene dunque in proprio, perché se questo fosse il caso, sarebbe lui stesso l’Apparente, poiché è tramite la forma che una cosa può manifestarsi. Ora non rientra nella natura né nell’essenza del Possibile di manifestarsi, non essendo, da tutta l’eternità, che un puro niente. In realtà, è Dio Stesso che appare [conformandoSi] alle determinazioni (ahkâm) [particolari] che reggono ciascuna delle possibilità. E queste stesse determinazioni non sono che delle relazioni concettuali che non intervengono affatto con l’esistenza, cosicché ogni [essere] apparente non è altro che Dio, percepito come l’Apparente, in virtù di questo versetto coranico:
È Lui il Primo e l’Ultimo, l’Apparente e l’Occulto.
Al-Shâdhilî – che Dio sia soddisfatto di lui – ha commentato questo versetto dicendo che con questa parola, Dio ha cancellato ogni altro [che Lui]. Poiché tutto ciò che è suscettibile di essere conosciuto o descritto e, per conseguenza, di essere qualificato come esistente (letteralmente: di “cosa”), si riconduce in definitiva a uno dei quattro gradi [dell’esistenza enumerati nel versetto citato]. Ora, non c’è Primo se non Lui; non vi è Ultimo se non Lui; non v’è Apparente che Lui; non c’è Occulto se non Lui. È risaputo, d’altra parte, che la definizione di due termini [complementari] permette d’apprendere [tutto ciò che è compreso tra questi due termini] (yufidu al-hasr).
Così, gli attributi di cui il servitore velato è provvisto e che egli crede, a torto, essere differenti dagli Attributi divini, non sono in realtà nient’altro che questi stessi Attributi, inerenti a Dio – sia Egli esaltato -. Semplicemente, quando questi Attributi si sono manifestati nel dominio dell’esistenza condizionata, i loro effetti (letteralmente: le loro tracce) ne vengono limitati, perché l’effetto di ciò che è condizionato non può essere che esso stesso condizionato. Ed è nel momento in cui l’essere condizionato si affranca dalla sua condizione che i suoi attributi sfuggono nella stessa misura a ciò. Allora l’incondizionato (mutlaq) appare nelle “tracce” (âthâr) stesse dei suoi atti, anche se in modo relativo (nisbiyyam). Il primo grado di questa assolutezza relativa (itlâq nisbî) ci è rivelata da questa parola di Dio – sia Egli esaltato -: “Quando Io lo amo, Io sono la sua vista e il suo udito”. Ora è impossibile che Dio – sia Egli esaltato – sia la vista, l’udito o qualsiasi altra facoltà di un altro che non sia Lui, perché Egli è – sia Egli esaltato – una Essenza e l’essenza non potrebbe essere [inerente a una] altra che essa. E ancora, è impossibile che i Suoi Attributi siano inerenti a un’altra essenza che la Sua; comprendi dunque le allusioni che Dio [ci rivolge]: Egli è ad un tempo Colui che intende, l’Udito e il discorso; Colui che vede, lo Sguardo e ciò che è visto…
Quindi, gli atti che il servitore velato crede essere i suoi non sono come se li immagina: non ci sono in effetti che gli atti che Dio Stesso compie senza intermediario, senza che il servitore, considerato nella sua forma creaturale, non ne prenda in realtà la minima parte sotto qualche aspetto o situazione che sia:
“Non sono gli sguardi ad essere colpiti da cecità, ma i cuori trattenuti nei petti”.[3]

*Mawqîf 15


[1]Corano 57, 3
[2]Secondo gli Ash’ariti in effetti, gli atti della creatura, benché creati da Dio, gli sono attribuiti e gli valgono un guadagno (kasb), mentre i Mu’taziliti stimano che la creatura sia essa stessa creatrice degli atti che compie deliberatamente.
[3]Corano 22, 46.

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