Ibn ‘Arabî
Fusûs al-Hikam - La saggezza dei Profeti
Fusûs al-Hikam - La saggezza dei Profeti
La Sapienza Santa (al-hikmat al-quddûsiyah) nel Verbo di Enoch (Idrîs)*
Uno dei nomi
di perfezione di Dio è l'Elevato (al-‘alî).
Ma rispetto a cosa è dunque elevato, essendovi
Lui solo? [Difatti le esistenze relative non possono
essere poste come termine di paragone con l'Essere supremo].
È essenzialmente
l'Elevato, o lo è rispetto a qualcosa? Ora tutto è soltanto Lui. Egli è quindi
elevato in Sé. Per altro, poiché Egli è l'Essere di tutto ciò che esiste, anche
le esistenze caduche sono elevate nella loro essenza, dal
momento che sono essenzialmente identiche a Lui.
Dio è
l'Elevato senza relatività, giacché le essenze [degli esseri] (al-a’yân)
che sono [in sé] solo non esistenza (‘adam), e sono
immutabili in questo stato, non hanno neppure sentito
l'odore dell'esistenza (al-wujûd)[1]; esse restano come erano, malgrado la molteplicità delle
forme nelle realtà manifestate. Quanto alla determinazione essenziale (al-‘ayn)
dell’Essere, essa è unica tra tutte e in tutte. La molteplicità esiste
solamente nei nomi, i quali non sono altro che relazioni
e realtà non esistenti (umârun ‘adamiyah). Vi è soltanto
la determinazione unica dell’Essenza, che è l’Elevato in se stesso, senza relazione con alcuna cosa. E in
questo rapporto non vi è elevazione relativa; ma poiché gli aspetti dell'Essere
comportano tra loro una gerarchia, l'elevazione relativa è contenuta nella
determinazione unica [dell'Essere] in virtu dei suoi molteplici aspetti. Perciò
diciamo del relativo che è Lui [ossia Dio] e che non è
Lui, e che tu sei e non sei tu.
Abu Sa'îd
al-Kharrâz, anch'egli uno dei molteplici aspetti di Dio e una delle sue lingue,
disse che Dio può essere conosciuto[2] solo mediante la sintesi d'affermazioni antinomiche; Egli è
infatti il Primo e l'Ultimo, l'Esteriore e l'Interiore; è l'essenza di quanto
si manifesta e l'essenza di quanto resta nascosto al momento della sua
manifestazione. Non vi è nessuno che possa vederlo tranne Lui, e nessuno cui
Egli possa celarsi; è Lui a manifestarsi a Se stesso, ed è Lui a nascondersi a
Se stesso. Lui si chiama Abu Sa'id al-Kharraz e con altri nomi di esseri
effimeri. L'Interiore dice «no», quando l'Esteriore dice
«Io»; e l'Esteriore dice «no», quando l'Interiore dice «Io». Parimente avviene
per ogni antinomia; tuttavia uno solo parla, ed è Lui stesso il proprio uditore.
Così le
realtà si confondono: l'unità produce i numeri secondo la nota successione, e i
numeri a loro volta suddividono l'unità. Il numero non è manifestato in assenza
di ciò che viene contato; e quanto è soggetto al
numero comporta da un lato la non esistenza e dall'altro l'esistenza, giacché
una cosa può essere assente sul piano sensibile ed esistente in modo
intelligibile. Vi è necessariamente polarità tra il numero e quello che è
soggetto al numero; e vi è necessariamente una produzione di numeri a
principiare dall'unità, sebbene ogni numero simboleggi un'idea unica. Difatti
ciascun numero, che preceda o segua la decina fino all'indefinito, è in sé
unico; la sua realtà essenziale (haqîqah)
non è concepibile quantitativamente, con l'addizione delle unità; il binario,
ad esempio, è un'idea unica, come il ternario, e cosi tutta la serie indefinita
dei numeri; ora, se ogni numero rappresenta una verità
unica, nessuno di essi può essenzialmente comprendere gli altri, ma l'addizione
li contiene tutti mediante il loro ordine e li afferma tutti in virtu di tale
ordine, che comporta venti gradi [le unità e le decine] che si combinano. In
tal modo tu non cessi d'affermare proprio quello che neghi a priori [cioè
affermi continuamente la composizione successiva della serie dei numeri pur
movendo dall'idea unica e indivisibile che ciascun numero comporta]. Chi comprende
quanto diciamo circa i numeri, e che la loro negazione è in pari tempo la loro
affermazione, sa che Dio, il quale è trascendente nel senso del tanzîh è [anche]
creatura «paragonabile» nel senso del tashbîh,
quantunque la creatura sia distinta dal Creatore.
[Isacco
disse al padre Abramo che si accingeva a sacrificarlo:] «O padre mio, fa’
guanto ti è stato ordinato». Ora il figlio è [simbolicamente] l'essenza del suo
procreatore. Quando Abramo vide in un sogno [ispirato] che immolava suo figlio,
vide in realtà che sacrificava se stesso. E allorché
riscattò il figlio immolando un ariete, vide la realtà che si era manifestata
in forma umana manifestarsi nell'aspetto di un ariete. Cosi dunque l'essenza
del procreatore si manifestò nella forma del figlio, o meglio nell'aspetto del figlio.
«[...Egli vi creò da un'anima unica] creando da questa la sua
compagna...» (Cor., IV, l). In altre
parole, Adamo sposò la propria anima; da lui sono nati e la sua compagna e suo
figlio. In tal modo l'ordine [divino] è unico nel molteplice.
Altrettanto
avviene per la Natura (at-tabî'ah) e
per quanto ne deriva[5]. La Natura non diminuisce mai per le sue creazioni né aumenta
per il loro riassorbimento. Ciò che essa crea non è altro che se stessa,
quantunque non sia, in sé, identica alle sue creazioni dalle varie forme.
Questa, ad esempio, è fredda e secca, quella calda e secca[6]; esse sono pertanto omogenee per la secchezza, ma distinte
per un’altra qualità. È la qualità comune ad essere la
Natura, o piuttosto la determinazione primordiale [di tutte queste qualità]. Il
mondo della Natura consiste in forme [varie che si riflettono] in un unico specchio,
o meglio è una sola forma [che si riflette] in specchi diversi.
Perciò vi è
soltanto perplessità (hayrah) a motivo delle prospettive contraddittorie. Ma chi comprende quanto abbiamo detto non cade nella
perplessità, quand’anche passi da uno stato di conoscenza a un altro; difatti [il cambiamento di prospettiva] non proviene
che dalla condizione insita nel «luogo» (mahall) [esprimente la stazione
spirituale, lo stato ricettivo interiore]; e il «luogo» [in tal senso] è unicamente una determinazione immediata
dell'essenza (al-‘ayn ath-thâbitah) [dell'essere che contempla Dio]. In virtù di questa [cioè della
determinazione] Iddio si differenzia nel «teatro»
della sua rivelazione, cosicché assume a volta a volta condizioni diverse;
quello che lo determina [apparentemente] è solo la determinazione essenziale in
cui Egli si rivela. Non esiste altro. In una visuale Dio è creatura -
interpretate! - e in un'altra non lo è - ricordatevi!
L’Elevato in
se stesso è colui che possiede la perfezione [o l’infinità, al-kamâl]
nella quale «scompaiono»
tutte le realtà esistenziali e tutte le relazioni non esistenti [in sé], nel
senso che nessuno di questi «attributi» gli manca, sia l’attributo positivo, logicamente
o moralmente, o negativo, secondo i costumi, la ragione o la morale. Ora l’infinità
appartiene soltanto a Colui che viene designato col
nome Allâh [che è] esclusivamente [il nome
dell'Essenza]; quanto viene designato con un altro nome è sia uno dei suoi
«luoghi di rivelazione» (majlâ), sia una «forma» inerente
a Lui; se è un «luogo di rivelazione», comporta un grado gerarchico, appunto
perché vi è distinzione tra chi si rivela e ciò in cui si rivela; se viceversa
si tratta di una «forma» [nel senso
di una sintesi di qualità, contenuta] in Dio, sarà l'espressione immediata
dell'Infinito, dal momento che è essenzialmente identica a quanto si rivela in
essa[7]. Tutto quello che appartiene ad Allâh,
appartiene pertanto anche a tale «forma»
[qualitativa]. Tuttavia non si dice di questa forma che è Lui, ma nemmeno che è
altro da Lui.
A ciò ha
alluso l'imam Abu-l-Qâsim ibn Fâsî nel libro «La
Rimozione dei Sandali» [di Mosè davanti al roveto ardente] dicendo: «In verità,
ogni nome divino è qualificato da tutti i nomi divini». È proprio così; in
realtà ciascun nome afferma a un tempo le essenze e l’Essenza, a seconda del suo significato: in quanto manifesta l’Essenza,
tutti gli altri nomi sono compresi in esso, e in quanto afferma un significato
particolare, si distingue dagli altri, come «il Creatore» si diversifica da «Colui
che dà la forma» e via dicendo. Il nome è quindi da un canto essenzialmente
identico al «nominato», e dall'altro ne è distinto per
il suo significato particolare.
[1] An-Nâbulusî
commenta: «…perché esse sono unicamente possibilità pure, che in quanto tali non passeranno mai allo stato d'essere
necessario».
[2] O «definito».
[3] Ossia il Creatore immanente alla creatura.
[4] Dio manifestandosi solamente in vista della creatura.
[5] Creazione inversamente analoga alla manifestazione dell'Essenza.
[6] La Natura ha quattro determinazioni fondamentali che si esprimono nell'ordine sensibile con il calore, il freddo, la secchezza e l'umidità, qualità che si potrebbero denominare gli «agenti» di tutti i cambiamenti naturali
[7] Di modo che ogni distinzione gerarchica proviene, in quest'ottica dalla sostanza ricettiva (al-qâbil).
[2] O «definito».
[3] Ossia il Creatore immanente alla creatura.
[4] Dio manifestandosi solamente in vista della creatura.
[5] Creazione inversamente analoga alla manifestazione dell'Essenza.
[6] La Natura ha quattro determinazioni fondamentali che si esprimono nell'ordine sensibile con il calore, il freddo, la secchezza e l'umidità, qualità che si potrebbero denominare gli «agenti» di tutti i cambiamenti naturali
[7] Di modo che ogni distinzione gerarchica proviene, in quest'ottica dalla sostanza ricettiva (al-qâbil).
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