"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

lunedì 2 ottobre 2017

Ibn ‘Arabî, Fusûs al-Hikam: La Sapienza Santa (al-hikmat al-quddûsiyah) nel Verbo di Enoch (Idrîs)

IbnArabî
Fusûs al-Hikam - La saggezza dei Profeti

La Sapienza Santa (al-hikmat al-quddûsiyah) nel Verbo di Enoch (Idrîs)*

Uno dei nomi di perfezione di Dio è l'Elevato (al-‘alî). Ma rispetto a cosa è dunque elevato, essendovi Lui solo? [Difatti le esistenze relative non possono essere poste come termine di paragone con l'Essere supremo].
È essenzialmente l'Elevato, o lo è rispetto a qualcosa? Ora tutto è soltanto Lui. Egli è quindi elevato in Sé. Per altro, poiché Egli è l'Essere di tutto ciò che esiste, anche le esistenze caduche sono elevate nella loro essenza, dal momento che sono essenzialmente identiche a Lui.
Dio è l'Elevato senza relatività, giacché le essenze [degli esseri] (al-a’yân) che sono [in sé] solo non esistenza (‘adam), e sono immutabili in questo stato, non hanno neppure sentito l'odore dell'esistenza (al-wujûd)[1]; esse restano come erano, malgrado la molteplicità delle forme nelle realtà manifestate. Quanto alla determinazione essenziale (al-‘ayn) dell’Essere, essa è unica tra tutte e in tutte. La molteplicità esiste solamente nei nomi, i quali non sono altro che relazioni e realtà non esistenti (umârun ‘adamiyah). Vi è soltanto la determinazione unica dell’Essenza, che è l’Elevato in se stesso, senza relazione con alcuna cosa. E in questo rapporto non vi è elevazione relativa; ma poiché gli aspetti dell'Essere comportano tra loro una gerarchia, l'elevazione relativa è contenuta nella determinazione unica [dell'Essere] in virtu dei suoi molteplici aspetti. Perciò diciamo del relativo che è Lui [ossia Dio] e che non è Lui, e che tu sei e non sei tu.
Abu Sa'îd al-Kharrâz, anch'egli uno dei molteplici aspetti di Dio e una delle sue lingue, disse che Dio può essere conosciuto[2] solo mediante la sintesi d'affermazioni antinomiche; Egli è infatti il Primo e l'Ultimo, l'Esteriore e l'Interiore; è l'essenza di quanto si manifesta e l'essenza di quanto resta nascosto al momento della sua manifestazione. Non vi è nessuno che possa vederlo tranne Lui, e nessuno cui Egli possa celarsi; è Lui a manifestarsi a Se stesso, ed è Lui a nascondersi a Se stesso. Lui si chiama Abu Sa'id al-Kharraz e con altri nomi di esseri effimeri. L'Interiore dice «no», quando l'Esteriore dice «Io»; e l'Esteriore dice «no», quando l'Interiore dice «Io». Parimente avviene per ogni antinomia; tuttavia uno solo parla, ed è Lui stesso il proprio uditore.
Così le realtà si confondono: l'unità produce i numeri secondo la nota successione, e i numeri a loro volta suddividono l'unità. Il numero non è manifestato in assenza di ciò che viene contato; e quanto è soggetto al numero comporta da un lato la non esistenza e dall'altro l'esistenza, giacché una cosa può essere assente sul piano sensibile ed esistente in modo intelligibile. Vi è necessariamente polarità tra il numero e quello che è soggetto al numero; e vi è necessariamente una produzione di numeri a principiare dall'unità, sebbene ogni numero simboleggi un'idea unica. Difatti ciascun numero, che preceda o segua la decina fino all'indefinito, è in sé unico; la sua realtà essenziale (haqîqah) non è concepibile quantitativamente, con l'addizione delle unità; il binario, ad esempio, è un'idea unica, come il ternario, e cosi tutta la serie indefinita dei numeri; ora, se ogni numero rappresenta una verità unica, nessuno di essi può essenzialmente comprendere gli altri, ma l'addizione li contiene tutti mediante il loro ordine e li afferma tutti in virtu di tale ordine, che comporta venti gradi [le unità e le decine] che si combinano. In tal modo tu non cessi d'affermare proprio quello che neghi a priori [cioè affermi continuamente la composizione successiva della serie dei numeri pur movendo dall'idea unica e indivisibile che ciascun numero comporta]. Chi comprende quanto diciamo circa i numeri, e che la loro negazione è in pari tempo la loro affermazione, sa che Dio, il quale è trascendente nel senso del tanzîh è [anche] creatura «paragonabile» nel senso del tashbîh, quantunque la creatura sia distinta dal Creatore.
La realtà è Creatore creato[3], oppure la realtà è creatura creatrice[4]. Tutto ciò non è altro che l'espressione di una sola essenza, anzi è insieme l'essenza (al-'ayn) unica e le essenze (al-a’yân) molteplici. Considera quel che vedi!
[Isacco disse al padre Abramo che si accingeva a sacrificarlo:] «O padre mio, fa’ guanto ti è stato ordinato». Ora il figlio è [simbolicamente] l'essenza del suo procreatore. Quando Abramo vide in un sogno [ispirato] che immolava suo figlio, vide in realtà che sacrificava se stesso. E allorché riscattò il figlio immolando un ariete, vide la realtà che si era manifestata in forma umana manifestarsi nell'aspetto di un ariete. Cosi dunque l'essenza del procreatore si manifestò nella forma del figlio, o meglio nell'aspetto del figlio.
«[...Egli vi creò da un'anima unica] creando da questa la sua compagna...» (Cor., IV, l). In altre parole, Adamo sposò la propria anima; da lui sono nati e la sua compagna e suo figlio. In tal modo l'ordine [divino] è unico nel molteplice.
Altrettanto avviene per la Natura (at-tabî'ah) e per quanto ne deriva[5]. La Natura non diminuisce mai per le sue creazioni né aumenta per il loro riassorbimento. Ciò che essa crea non è altro che se stessa, quantunque non sia, in sé, identica alle sue creazioni dalle varie forme. Questa, ad esempio, è fredda e secca, quella calda e secca[6]; esse sono pertanto omogenee per la secchezza, ma distinte per un’altra qualità. È la qualità comune ad essere la Natura, o piuttosto la determinazione primordiale [di tutte queste qualità]. Il mondo della Natura consiste in forme [varie che si riflettono] in un unico specchio, o meglio è una sola forma [che si riflette] in specchi diversi.
Perciò vi è soltanto perplessità (hayrah) a motivo delle prospettive contraddittorie. Ma chi comprende quanto abbiamo detto non cade nella perplessità, quand’anche passi da uno stato di conoscenza a un altro; difatti [il cambiamento di prospettiva] non proviene che dalla condizione insita nel «luogo» (mahall) [esprimente la stazione spirituale, lo stato ricettivo interiore]; e il «luogo» [in tal senso] è unicamente una determinazione immediata dell'essenza (al-‘ayn ath-thâbitah) [dell'essere che contempla Dio]. In virtù di questa [cioè della determinazione] Iddio si differenzia nel «teatro» della sua rivelazione, cosicché assume a volta a volta condizioni diverse; quello che lo determina [apparentemente] è solo la determinazione essenziale in cui Egli si rivela. Non esiste altro. In una visuale Dio è creatura - interpretate! - e in un'altra non lo è - ricordatevi!
L’Elevato in se stesso è colui che possiede la perfezione [o l’infinità, al-kamâl] nella quale «scompaiono» tutte le realtà esistenziali e tutte le relazioni non esistenti [in sé], nel senso che nessuno di questi «attributi» gli manca, sia l’attributo positivo, logicamente o moralmente, o negativo, secondo i costumi, la ragione o la morale. Ora l’infinità appartiene soltanto a Colui che viene designato col nome Allâh [che è] esclusivamente [il nome dell'Essenza]; quanto viene designato con un altro nome è sia uno dei suoi «luoghi di rivelazione» (majlâ), sia una «forma» inerente a Lui; se è un «luogo di rivelazione», comporta un grado gerarchico, appunto perché vi è distinzione tra chi si rivela e ciò in cui si rivela; se viceversa si tratta di una «forma» [nel senso di una sintesi di qualità, contenuta] in Dio, sarà l'espressione immediata dell'Infinito, dal momento che è essenzialmente identica a quanto si rivela in essa[7]. Tutto quello che appartiene ad Allâh, appartiene pertanto anche a tale «forma» [qualitativa]. Tuttavia non si dice di questa forma che è Lui, ma nemmeno che è altro da Lui.
A ciò ha alluso l'imam Abu-l-Qâsim ibn Fâsî nel libro «La Rimozione dei Sandali» [di Mosè davanti al roveto ardente] dicendo: «In verità, ogni nome divino è qualificato da tutti i nomi divini». È proprio così; in realtà ciascun nome afferma a un tempo le essenze e l’Essenza, a seconda del suo significato: in quanto manifesta l’Essenza, tutti gli altri nomi sono compresi in esso, e in quanto afferma un significato particolare, si distingue dagli altri, come «il Creatore» si diversifica da «Colui che dà la forma» e via dicendo. Il nome è quindi da un canto essenzialmente identico al «nominato», e dall'altro ne è distinto per il suo significato particolare.

* Traduzione di Titus Burckhardt, La Sapienza dei Profeti, Edizioni Mediterranee, Roma, 1982; Versione italiana di Giorgio Jannaccone.

[1] An-Nâbulusî commenta: «…perché esse sono unicamente possibilità pure, che in quanto tali non passeranno mai allo stato d'essere necessario».
[2] O «definito».
[3] Ossia il Creatore immanente alla creatura.
[4] Dio manifestandosi solamente in vista della creatura.
[5] Creazione inversamente analoga alla manifestazione dell'Essenza.
[6] La Natura ha quattro determinazioni fondamentali che si esprimono nell'ordine sensibile con il calore, il freddo, la secchezza e l'umidità, qualità che si potrebbero denominare gli «agenti» di tutti i cambiamenti naturali
[7] Di modo che ogni distinzione gerarchica proviene, in quest'ottica dalla sostanza ricettiva (al-qâbil).

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