"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

giovedì 26 ottobre 2017

Carmela Crescenti, Sufismo e new age: incompatibilità ed interferenze


Carmela Crescenti
Sufismo e new age: incompatibilità ed interferenze

Fu chiesto una volta ad uno studente di lingue e cultura orientali cosa fosse il “sufismo” e la risposta fu che si trattava di una scuola di pensiero. Ma soffermandosi a considerare la vita e l’esperienza di vita che il sufismo comporta, lo studente si corresse dicendo: “No è di più, forse è l’islâm nella sua interezza e profondità”.

Ed in effetti l’islâm, come sottomissione a Dio altro non è se non vita, preghiera rituale e conoscenza.
Il sufismo, ma preferisco dire con termine arabo il tasawwuf è approfondimento di tutto ciò e purificazione, come dice il termine stesso. E’ noto a tutti infatti che quando si chiedeva un’etimologia della parola tasawwuf e la si è cercata nei testi dei primi trattatisti, la risposta è stata varia, ma sempre riferita alla purezza e alla purificazione.
Ciò anche perchè se il termine sufismo è un conio recente, non altrettanto nuovo è il vocabolo arabo tasawwuf che compare, se non nel Corano, in numerosi ahadith (detti del Profeta) tra i più noti. Ne basti uno fra tutti: “Colui che sente la voce dei sufi (ahl al-tasawwuf) e non dice amîn è considerato tra i miscredenti di fronte a Dio”.
Il vocabolo sufismo, invece, risale soltanto al 1821 quando il pastore protestante Friedrich August Tholluck  forgiò la parola latina ssufismus come calco dell’arabo tasawwuf  attribuendogli dei significati che furono origine di molti malintesi: sia perchè il suffisso -ismo fece e fa pensare ad un sistema filosofico chiuso, sia perchè il sottotitolo della sua opera: theosophia persarum pantheistica indicò false assimilazioni ed una interpretazione della dottrina a dir poco fuorviante.
Prima di soffermarci, allora, a considerare ulteriormente cosa sia il sufismo, sarà bene stabilire cosa non sia, per evitare malintesi nel linguaggio:
  • non si tratta di una setta o di una qualche associazione, perchè una delle finalità intrinseche ad esso è quella di liberare l’individuo dalle limitazioni del mondo terreno e quindi se anche alle volte delle organizzazioni visibili sono note alla storia, tutto ciò non è altro che un adattamento a delle necessità contingenti e lo spirito settario è quanto di più restrittivo si possa avere in un gruppo di persone con finalità ed intenti affini;
  • non è una scuola di pensiero, né un cenacolo filosofico perchè se anche le dottrine che gli sono peculiari hanno talvolta formulazioni simili a queste modalità del pensiero umano, non è tuttavia solo alla sfera di questo che sono pertinenti ed anzi, nel loro più alto grado, sono inerenti modalità non-umane di espressione, essenzialmente formulate mediante simboli di riferimento metafisico;
  • inoltre non è un’ideologia perchè non ha intenti politici, né strutture di pensiero edificate razionalmente ad uso di collettività sociali;
  • non è una via di pratica ascetica, né una dottrina di perfezionamento morale, anche se questi sono elementi pedagogici utilizzati al suo interno;
  • non è occultismo, teosofia, magia o pratica salutistica per la ricerca di poteri o anche solo di equilibrio psico-fisico perchè se anche le tecniche iniziatiche utilizzate conducono talvolta a manifestazioni corporee o psichiche in apparenza straordinarie, si tratta di fenomeni considerati dai maestri come passeggeri e contingenti, da tenere sotto controllo per l’acquisizione stabile di certe forme di conoscenza, o anche e meglio, per evitare pericoli, da rigettare del tutto secondo le indicazioni dei sufi più elevati.
Tutto ciò pone in evidenza quanto sia difficile restringere il campo di una definizione il più possibile ampia e comprensiva, ma per tornare a parlare in positivo ritorneremo sul fatto che comunque si tratta di una via spirituale, spesso non esauribile in una singola vita, che proprio perchè rivolta alla conoscenza unitiva con il Principio della Realtà, in termini religiosi: Dio, è via iniziatica tradizionale, esoterica, esperienziale e sapienziale.
Si obietterà che in tutto questo non compare la parola amore, ma ciò  accade semplicemente perchè questo, in quanto legame universale, è il “fil rouge” del percorso e il veicolo per eccellenza, non un fine in sé per sé. L’identificazione con l’Amato con il conseguente annullamento di un qualsiasi rapporto dualistico Amato-Amante è un adagio della poesia sufi di tutti i tempi.
Tornando dunque alle considerazioni iniziali sul fatto che si può parlare di sufismo come pratica di vita volta alla sfera spirituale vediamo come questo abbia consentito a qualcuno di considerarlo in sintonia con quanto proposto dalla New Age,  anche perchè è altrettanto difficile inquadrare quest’ultima in una definizione esaustiva.
Laddove gli esponenti di questo movimento parlano di “stili di vita” o di “ambiente”, considerandolo come un gran “contenitore” in cui poter accogliere fenomeni di “moda” o di “costume” ecco che ci si può imbattere in pratiche rituali “sufi” altrettanto quanto in dottrine yoga o tantriche, o buddistiche o di qualsivoglia tradizione o movimento spiritualistico in generale. Una delle caratteristiche peculiari alla New Age, in effetti, è quella di consentire la pratica sincretistica di molti culti, senza tuttavia identificarsi in nessuno di essi, altrettanto come di non considerarsi essa stessa un sincretismo, in quanto non si riconosce racchiudibile in un  peculiare sistema filosofico o religioso, sia pur esso derivato dalla mescolanza di altri.
Per cercare di approfondire alquanto cosa sia dunque la New Age che considera di sua pertinenza anche il sufismo, cercheremo di far ricorso alle descrizioni datene da osservatori e studiosi, descrizioni che si possono riassumere in quattro punti complementari tra loro:
  • una descrizione che parte da un punto di vista psicologico
  • una di tipo storicistico
  • una di tipo dottrinale
  • una, infine, di tipo sociologico[1].
La prima parla della New Age come d’uno stato d’animo dovuto alla convinzione, o meglio alla sensazione, che si stia per entrare in un’epoca nuova, una New Age appunto, contrassegnata da cambiamenti radicali e qualitativi che coinvolgono tutti i settori della vita dell’uomo. Le basi teoriche di questo cambiamento trovano appoggio sulla teoria delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn e su un’errata interpretazione della dottrina del “grande anno” di origine platonica, divenuta in astrologia una teoria ciclica secondo la quale ogni 2160 anni il sole cambierebbe segno zodiacale e dato che in questo momento ci si sta avvicinando al passaggio dall’età dei Pesci a quella dell’Acquario, ecco che la nuova età viene identificata con una nuova era.
La descrizione di tipo storico vede la New Age come un fenomeno di “risveglio” del teosofismo, appoggiandosi sul fatto che fu Alice Bailey  ad utilizzare per prima il termine New Age ad Ascona negli anni ‘20. Nel 1962 un gruppo di suoi seguaci a Findhorn, in Scozia, iniziò a coltivare un “giardino dello spirito” secondo le indicazioni fornite dai “devas” o “spiriti della natura” associati alle piante; Negli anni successivi analoghe iniziative sorsero in California ove uno dei fondatori: David Spangler, divenne ben presto noto per aver pubblicato alcuni dei più importanti documenti della New Age. Nel 1982, a vent’anni dalla sua fondazione, affluivano a Findhorn “pellegrini” da tutto il mondo, mostrando come la New Age, che solitamente viene considerata un fenomeno americano, sia nata in realtà nella vecchia Europa per poi diffondersi negli Stati Uniti e di lì rimbalzare in tutto il mondo.  
La descrizione di tipo dottrinale appare come la più difficile da arginare proprio perchè i vari “guru” della New Age hanno spesso dichiarato di non avere una visione del mondo conclusiva, né una dottrina specifica, perchè caratteristica  loro peculiare è quella di essere liberi da tutte le visioni del mondo e da qualsiasi dottrina. Da questo punto di vista si tratta di praticare un certo “relativismo assoluto” caratterizzato da un aspetto “volontaristico”, sulla base del quale ciascuno può realizzare il proprio mondo ideale, trasformandolo e concretizzandolo in un mondo reale. Cioè chiunque con un adeguato sforzo di volontà o di concentrazione, seguendo una qualche “pratica” può costruirsi un mondo “ideale” e trasformare il mondo oggettivo, quello in cui si vive abitualmente, in questo mondo “ideale”.
E’ qui che si inserisce un’altra idea di fondo della New Age, quella che più di ogni altro argomento la rende incompatibile con il sufismo o anche con qualsiasi altra vera tradizione spirituale: l’idea che “Noi siamo Dio” confondendo l’individualità con la persona e considerando l’aspetto spirituale che si trova in ciascun essere umano, con la non ben identificata “energia cosmica universale”. Una scintilla di tale energia si troverebbe in ciascun individuo, secondo le formulazioni New Age, ma dimenticata e sepolta sotto il peso delle scienze e delle religioni e può essere risvegliata e riscoperta attraverso una delle mille tecniche a disposizione che possono a tal fine, ben mescolarsi tra loro, non essendo questione qui di interferenze tra psichismi di varia natura. Ed ancor meno può dar pensiero il fatto che tale divinizzazione dell’io si scontra con la credenza nella reincarnazione, molto diffusa tra i seguaci della New Age, soprattutto quelli di derivazione teosofica. Naturalmente è appena il caso di dire che nel sufismo non si trovano né egocentrismi panteistici, né tantomeno contraddittòri reincarnazionismi e tutte le dottrine che possono dar adito ad erronei parallelismi sono per lo più fraintendimenti semplicistici di concetti metafisici molto elevati e complessi.
La descrizione di carattere sociologico fa della New Age una network, una struttura a rete di cui fanno parte in modo informale gruppi, circoli o individui che hanno interessi comuni, ma che non fanno riferimento ad una struttura organizzata, non essendo la New Age né un’organizzazione, né un gruppo di affiliati, né una associazione di derivazione ideologica.
Elementi comuni possono essere idee, ambienti, località, eventi, luoghi  che fanno incontrare chi si sente o si dichiara appartenente alla New Age e la “rete” che collega tra loro altre reti è il concetto di nuova era in cui si incontrano ed interagiscono   la rete delle spiritualità alternative, quella delle terapie alternative e quella delle politiche alternative; se ci si identifica con uno solo di questi gruppi non si è New Age, ma se si partecipa a più di una di queste reti ci si può caratterizzare come interessati alla New Age.
Tuttavia già a metà degli anni ‘90 negli Stati Uniti si parlava di crisi della New Age e di spostamento di interesse sulla Next Age incentrata sul rinnovamento volontaristico diretto dell’individuo che non si interessa più del rinnovamento cosmico, universale da età dell’Acquario, bensì del proprio rigenerarsi interiore che spesso è anche soltanto benessere individuale di tipo materiale. Figura di spicco in questa nuova prospettiva è il medico indiano Deepak Chapra, che ha tra i propri seguaci Madonna e Demi Moore.
E’ dunque nelle connotazioni negative delle descrizioni di entrambi che si possono trovare i maggiori punti di contatto tra New Age e Sufismo, perchè andando poi ad analizzare le componenti di ciascuno in positivo, si trovano punti di divergenza così netti da far meravigliare che qualcuno possa trovare compatibile partecipare dell’uno e dell’altra contemporaneamente. 
Il fatto è che nella New Age si trovano molti monconi di dottrine e pratiche cultuali del passato, frammiste a concezioni di stampo occultistico o neospiritualistico, il tutto tenuto insieme dalla necessità di ricercare equilibrio e benessere sia a livello psichico, sia a livello corporeo.
Tutt’altra cosa è una via iniziatica tradizionale e dunque il sufismo.
Essendo pratica di vita, il tasawwuf è anche insieme di persone che tale vita attuano.
Persone che cercano approfondimento spirituale, apertura verso esperienze conoscitive vere e volte alla sfera metafisica perciò universale o anche, più semplicemente, risposte efficaci alle proprie domande esistenziali.
Ma c’è anche la storia, cioè c’è tutto il divenire di persone siffatte che da un inizio fino ad ora hanno cercato questo approfondimento spirituale.
Nell’islâm noto storicamente il tasawwuf è nato con esso.
E’ nato quando il Profeta dell’islâm ha cominciato a ritirarsi sul monte Hira che ora è una piccola collinetta nei sobborghi di Mecca, cui si accede con una camminata in salita di circa due ore, sotto il sole secco e cocente, per un cammino di strada sterrata cosparso di botteghini con bibite gasate ad ogni curva. Su questo monte, nominato “monte della luce” .... quello che sarebbe divenuto l’Inviato di Dio si ritrovò diverse volte nella solitudine per concentrarsi e pregare Allâh, probabilmente con le forme di culto legate alla filiazione spirituale degli hanif , gli arabi non politeisti, che seguivano il monoteismo abramico.
Durante questa esperienza di periodico romitaggio che il Profeta praticò diverse volte nell’arco di tre anni, scaturì la rivelazione che diede origine all’islâm, ma che  per la persona di Muhammad fu anche apertura spirituale estrema, ricezione totale e servitù perfetta di fronte a Dio, avvicinamento a Lui, Principio di Realtà nonchè Amorevole dedizione all’Amato  e suprema acquisizione di conoscenza.
Questo archetipo dell’esperienza sufi della khalwa, la pratica dell’isolamento per  concentrarsi nella menzione di Dio,  non è immediatamente riscontrabile nella vita dei musulmani e nemmeno in quella di tutti i primi compagni, perchè tale forma rituale esoterica, in quanto interiore e riservata a pochi,  rimase sempre una pratica particolare, certamente tramandata nelle cerchie interne delle varie turuq (le vie interne al tasawwuf), ma per lo più praticata solo da quei pochi che raggiungevano vette spirituali elevate.
E’ da dire, inoltre, che la vita ascetica, di rinuncia ad una famiglia e al mondo, propria del monachesimo cristiano che molti arabi beduini avevano avuto modo di conoscere nei loro numerosi viaggi mercantili o nelle scorribande guerriere, è stata espressamente indicata nell’islâm come non adatta ai musulmani. Un hadith sintetico sull’argomento è “non c’è monachesimo nell’islâm”, mentre altri hadith lo includono nell’ambito stesso della shari’a (la legge sacra) laddove, ad esempio si dice che l’abluzione rituale di purificazione compiuta con acqua fredda è equivalente alla pratica di ascesi dei monaci.
Ma l’esperienza spirituale comunque perdurò tra i compagni del Profeta con altri modi, per esempio come quando lo riconobbero, oltre che come Inviato di Dio, anche in qualità di maestro spirituale, santo tra i santi, eletto e sigillo dei Profeti. Alcuni compagni lo seguirono come, in tutti i tempi dell’islâm, i musulmani appartenenti al tasawwuf hanno seguito e seguono il loro shaikh, il maestro, la guida nella via di Dio, per Dio e in Dio. Tra essi alcuni, gli “ahl al-suffa” ossia le “genti della tettoia” avevano scelto di vivere in assoluta povertà, senza cercare mezzi di sussistenza, pur di essergli il più possibile vicini in corpo ed in spirito. Altri, come Abu Bakr o Alî ebbero una vita sociale intensa senza per questo rinunciare alla prossimità a Dio e al Suo Inviato, tanto che figurano subito dopo di lui, ai vertici delle catene di trasmissione dell’influenza spirituale che vivificano di generazione in generazione quasi tutte le vie particolari note come turûq (sing.: tariqa).
Non sono poi assenti riferimenti diretti al “maestro ineriore”, ossia al riconoscimento dell’eredità spirituale muhammadiana, ricevuta per via interiore diretta, senza il supporto fisico del maestro, al modo di Uways al-Qaranî che seguì gli insegnamenti del Profeta, pur non avendolo mai visto in vita, sebbene fosse suo contemporaneo. Ma questi sufi “uwaysî”, a quanto se ne sa, sono pochissimi e rientrano nelle modalità eccezionali di trasmissione dello spirito nell’ambito del tasawwuf; inoltre il riconoscimento del “maestro interiore” è una delle cosiddette “tappe” del viaggio iniziatico per coloro che, appartenendo ad una via regolare, percorrono una via di avvicinamento a Dio percepita come graduale.
Per esplorare alquanto il punto di vista “tecnico” della via iniziatica islamica, diremmo che il rito per eccellenza è l’ormai famoso “dhikr”: ricordo, menzione, evocazione, invocazione di Allâh, che nei gradi più elevati di concentrazione è stato anche definito come rito di “incantazione” in quanto aspirazione interiore e totale dell’essere verso l’Universale, che in termini islamici può anche indicarsi come realizzazione della Presenza (hadra) divina.
Ma questo rito, nella sua modalità iniziatica, non è praticabile in modo legittimo e diviene un veicolo di squilibrio psichico se non vi siano ben salde le premesse per far sì che sia effettivamente operativo. Tali premesse sono essenzialmente tre:
  • la necessità del patto iniziale di collegamento ad una vera via, viva ed agente, che spesso si esprime con il ricevere la possibilità di praticare gli “awrâd” della tariqa, ossia la menzione rituale di versetti coranici o particolari eulogie sul Profeta atti a stabilire il legame spirituale con la silsila o catena iniziatica di appartenenza;
  • la necessità che vi sia la guida di un maestro in grado di trasmettere tale rito, in quanto conoscitore per eccellenza della modalità più appropriata alla progressione spirituale del discepolo;
  • che si mantenga operante, il legame con l’exoterismo di supporto che nel caso specifico del tasawwuf altro non è se non la pratica dell’islâm nella sua modalità esteriore di religione e legge sacra.
Date queste premesse è molto evidente l’incompatibilità della pratica di tale rito in contemporanea con i riti propri di altre tradizioni.  Se talvolta è potuto accadere che maestri accreditati hanno trasmesso una forma di dhikr a qualcuno che non fosse musulmano, senza chiedere una specifica adesione all’islâm, ciò è stato possibile in virtù di una qualche convergenza tra la ricezione spirituale della persona ricevente e la volontà di trasmettere una protezione spirituale da parte del maestro, ciò non toglie che in assenza di guida o per cause altre dalla volontà effettiva di seguire una via di purificazione dell’anima e del cuore, molto difficilmente un simile rito potrà avere efficacia e già molto sarà se non provocherà danni a livello psichico.
Diverse scienze esoteriche sono presenti all’interno del tasawwuf, per esempio l’alchimia o l’astrologia o la chirologia, per dirne alcune, ma esse non sono considerate altro che sviluppi parziali della vera conoscenza, sapienziale e profetica che non ha altra finalità che il raggiungimento di un tahwid perfetto con l’annullamento dell’io individuale nella conoscenza del Sé impersonale, ossia del Principio divino, Dio Vero.
Il cammino iniziatico, a volte formulato a tappe, a volte effettuato con un subitaneo processo di rapimento spirituale, è noto per il suo necessitare una disposizione favorevole dell’anima a riconoscersi pienamente debitrice dello Spirito.
Si tratta del raggiungimento del fana’ dell’estinzione dell’anima (nafs) di fronte al Principio Ultimo che opera mediante lo Spirito (rûh). Ma nella raffigurazione simbolica del cammino iniziatico come un viaggio, questo percorso è identificato al viaggio orizzontale, del raggio che dalla circonferenza (il mondo esteriore) si dirige verso il centro (il cuore dell’aspirante) percorrendo sì una via spirituale, ma ancora rivolta alla liberazione dell’anima dalle passioni e da ogni forma di egoismo ed egocentricità, per raggiungere la condizione di equilibrio dell’anima pacificata (al-nafs al-mutmaynna), luogo per eccellenza della pace divina paradisiaca (al-salâm). Solo dopo il raggiungimento di questo stadio di equilibrio e di ricettività interiore si potrà avere accesso alla percorrenza verticale della effettiva conoscenza spirituale.
Non si tratta quindi di sperimentare esperienze psichiche alternative o di seguire dottrine rigeneratrici concepite come successive reincarnazioni, si tratta semmai di conoscere le condizioni limitative della propria identità di essere umano, per trascenderle mediante mezzi adeguati di carattere tradizionale e spirituale. Solo dopo questa prima “politura” dello “specchio del cuore” si avrà effettiva apertura spirituale, non nel senso che prima non v’era presenza dello Spirito, ma nel senso che dopo se ne acquisisce la coscienza.
E’ in questo stadio di apertura che si può verificare facilmente, il manifestarsi dei fenomeni noti come “poteri” o “effetti miracolosi”. Tutto questo, tuttavia, è sempre stato considerato come nullo di fronte all’effettiva realizzazione spirituale e ogni qualvolta tali fenomeni si sono verificati sono sempre stati considerati come elementi accidentali, da non ricercarsi di per sé stessi. Laddove in certe turuq vengono praticati riti implicanti il passaggio sulle braci ardenti o l’uso degli spiedi bollenti o ancora il trafiggersi con spade o spilloni, come ad esempio nella tariqa rifa’iyya, si tratta di rituali atti a dimostrare certe modalità di rottura delle consuetudini proprie alla Potenza divina e per lo più erano modalità adatte a certi strati guerrieri della popolazione, non da tutti praticati e senz’altro circoscritti e controllati dallo shaikh, pena il disconoscimento dell’effettiva operatività spirituale, con le conseguenze disastrose che si possono ben immaginare.
E’ la confusione tra mondo psichico e sfera spirituale che genera spesso indebite attribuzioni e l’attrazione per i fenomeni ne è uno degli aspetti più evidenti. In un mondo in cui la scienza riduce tutto all’uomo, in cui la religione viene sostituita con la più indeterminata religiosità, è più che legittimo chiedersi se è possibile incontrare un vero maestro in grado di farci riconoscere la differenza fra suggestioni di natura animica (awhâm min al-nafs)  ed intuizioni d’ordine spirituale (tajalliyyât) e a questo proposito non posso far a meno di ricordare le parole di un maestro che solo da qualche anno ha lasciato questo mondo: Il tasawwuf non è sogni e poesie (rû’iyy am waridât), ma epifanie divine e beatitudini del paradiso (tajalliyyât wa ni’matu-l-janna).
Il tasawwuf dunque, come via iniziatica, ossia via spirituale necessitante di una trasmissione iniziale dello spirito mediante un particolare rito di ricezione, è quindi una via esoterica, cioè interiore, riservata a pochi. Si potrebbe dire, con un eco di cristianesimo, che si tratta di una via propriamente riservata agli “eletti” fra i “chiamati”, comunque pervasa dell’eredità sacrale del Profeta Muhammad, sigillo degli altri profeti. E’ la via degli amanti “perduti d’Amore” per Dio ed in Lui ed è per eccellenza via di conoscenza di sé, perchè “chi conosce sé stesso conosce il Suo Signore”. Non è solo ricerca di una Via unificatrice ed unificante, ma raggiungimento e pratica del più puro tahwid, la professione dell’Unicità Divina.  In tal senso non sarà questione di ricerca della felicità o di un imprecisato Sé da confondersi con un Super-Io, ma naturalmente del ripristinare in noi il  Sé divino che informa la trascendenza umana e che nulla ha a che fare con l’io dell’individuo egocentrico pervaso della propria anima.
Il concetto di questa terza persona, diversa dall’io e dal Tu, esprime innanzi tutto la trascendenza di Dio rispetto all’uomo e al mondo e se anche versetti coranici ed ahadith indicano la possibilità per il cuore dell’uomo di contenerLo, gli stessi passi ne indicano tuttavia la distinzione e ribadiscono la subordinazione dell’uomo rispetto a Dio: “Né i cieli, né la terra Mi contengono, ma Mi  contiene il cuore del Mio servo fedele”.
E’ dunque chiaro che nessuna pratica rituale o tecnica di liberazione, nessuno sforzo dell’uomo potrà mai salvarlo senza la Presenza sacra ed effettiva di Dio e la preghiera non può intendersi solo come riscoperta o risveglio dell’io profondo, ma è da potersi considerare innanzi tutto come puro e disinteressato atto di adorazione, chè a Dio spetta la Lode e dunque a Lui sia Lode.

Articolo pubblicato sulla rivista “Idea, il Giornale del Pensiero”. Ed. Gei





[1] Il materiale per queste descrizioni è tratto da una comunicazione inedita di Ali Musafir Domenico Paterna della tariqa Jerrahi Halveti, gentilmente offertami in occasione del convegno Identità e pluralità nelle città d’Europa, tenutosi a Milano il 14-15 e 16 Giugno 2000.

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