La dottrina del cuore nel Tasawwuf
Iddio non ha
posto, nelle viscere dell'uomo, due cuori. (Cor., XXXIII, 4)
Lo Spirito Fedele è disceso [con il Corano] sul tuo cuore. (Cor., XXVI, 194)
Lo Spirito Fedele è disceso [con il Corano] sul tuo cuore. (Cor., XXVI, 194)
"Ci sono simboli
che sono comuni alle forme tradizionali più diverse e più remote le une dalle
altre, non in seguito a 'prestiti' che, in molti casi, sarebbero assolutamente
impossibili, ma perché appartengono in realtà alla tradizione primordiale da cui
queste forme sono tutte derivate in modo diretto o indiretto. Questo è precisamente il caso del vaso o della coppa".
Conformemente all'unicità della Tradizione primordiale, riflesso dell'Unità trascendente dell'Essere necessario (wahdat al-wujûd), in tutte le forme tradizionali non solo è presente, bensì riveste particolare importanza e fondamento la dottrina del cuore, considerato, nella sua verità essenziale, la sede della conoscenza metafisica ed il centro dell'essere umano.
Conformemente all'unicità della Tradizione primordiale, riflesso dell'Unità trascendente dell'Essere necessario (wahdat al-wujûd), in tutte le forme tradizionali non solo è presente, bensì riveste particolare importanza e fondamento la dottrina del cuore, considerato, nella sua verità essenziale, la sede della conoscenza metafisica ed il centro dell'essere umano.
Si tratta pertanto di una dottrina eminentemente iniziatica, poiché il cuore,
secondo la Tradizione, costituisce il punto centrale dell'essere umano, la sede
dello Spirito, sua stessa ragion d'essere e la dimora in cui l'uomo realizza le
verità metafisiche, vale a dire il suo percorso spirituale.
Per tale ragione, i riferimenti di questo nostro studio saranno principalmente i testi dell'esoterismo islamico (Tasawwuf), con particolare riguardo per le opere di colui che viene chiamato al-Shaykh al-Akbar, "Il massimo Maestro", vale a dire Muhyî-l-dîn Ibn 'Arabî (m. 1240).
Per tale ragione, i riferimenti di questo nostro studio saranno principalmente i testi dell'esoterismo islamico (Tasawwuf), con particolare riguardo per le opere di colui che viene chiamato al-Shaykh al-Akbar, "Il massimo Maestro", vale a dire Muhyî-l-dîn Ibn 'Arabî (m. 1240).
La circonferenza
non avrebbe alcuna possibilità di esistere senza il proprio centro:
analogamente, l'uomo non potrebbe esistere senza il proprio cuore. Ora, si
comprenderà facilmente come qui non si abbia in vista il cuore in quanto mero
organo fisiologico preposto al controllo della circolazione sanguigna; tuttavia,
per la perfezione della legge d'analogia che collega armoniosamente tutti i
livelli cosmici ed i piani di esistenza, anche a livello fisico il cuore
costituisce realmente l'organo corporeo centrale rispetto all'insieme del corpo
umano: "la funzione [del cuore] come centro organico è dunque veramente completa
e corrisponde esattamente all'idea che dobbiamo farci, in modo generale, del
Centro nella pienezza del suo significato".
Così si esprime Ibn 'Arabî in proposito: "Sappi che, quanto all'uomo, il Vero (al-Haqq) l'ha diviso di due parti, nella disposizione della città del suo corpo fisico (badan) , ed ha posto il cuore (qalb) in mezzo alle due parti (di esso)".
Così si esprime Ibn 'Arabî in proposito: "Sappi che, quanto all'uomo, il Vero (al-Haqq) l'ha diviso di due parti, nella disposizione della città del suo corpo fisico (badan) , ed ha posto il cuore (qalb) in mezzo alle due parti (di esso)".
Il triangolo
rovesciato.
Il vocabolo arabo
corrispondente a "cuore" è qalb: questi è innanzitutto il masdar del verbo
qalaba, che significa "girare, voltare; rovesciare, invertire; capovolgere". Ciò
significa che il cuore porta il nome di qalb proprio a motivo della sua intima
natura connessa con l'essere rovesciato; il capovolgere, vale a dire il riflettere.
Per quanto
riguarda il primo aspetto linguistico, si deve osservare che la forma del cuore
può essere realmente assimilata ad un triangolo (isoscele od equilatero) il cui
vertice sia rivolto verso il basso: rispetto alla sua base, perciò, il triangolo
è rovesciato (maqlûb) "sottosopra". Di più, "il nome arabo del cuore (qalb)
significa propriamente che esso si trova in posizione "rovesciata" (maqlûb)".
Al livello corporeo, poi, si tratta di un "pezzo di carne" (mughda) a forma di
pigna (al-sanawbarî al-shakl), la quale è, del resto, triangolare, e, secondo
un detto del Profeta: "V'è un pezzo di carne nel corpo dell'essere umano che
quando è in un buon stato, tutto l'essere migliora, ma quando questo è in un
cattivo stato, tutto l'essere va in rovina. Fate attenzione, quel pezzo di carne
è il cuore".
Mentre un altro hadîth recita: "I cuori dei figli di Adamo si trovano tra le due dita del Misericordioso. Egli li rivolta come vuole".
Mentre un altro hadîth recita: "I cuori dei figli di Adamo si trovano tra le due dita del Misericordioso. Egli li rivolta come vuole".
Quanto al secondo
significato connesso alla radice QLB, bisogna notare innanzitutto che il
capovolgimento è il risultato della riflessione di un'immagine rispetto ad uno
specchio. Ora, secondo la dottrina tradizionale, il cuore è propriamente lo
specchio in cui si riflette la Realtà divina, secondo il hadîth: "Invero Allâh
ha creato Adamo secondo la Sua forma ('alà sûrati-Hi)". L'Uomo stesso è dunque
uno specchio in cui appare il riflesso inverso di al-Haqq, della Verità , per
cui Ibn Arabî può affermare:
Fa-anta maqlûbu-Hu.
Fa-anta qalbu-Hu.
Wa-Huwa qalbu-ka!
"Tu sei il Suo riflesso inverso.
Tu sei il Suo cuore.
Ed Egli è il tuo cuore!"
Di più: "Se tu
rivolti (qalabta) l'Uomo Universale, vedi il Principio (al-Haqq)". L'Uomo
Universale, al-insân al-kâmil, è dunque l'essere che ha realizzato pienamente ed
integralmente le possibilità spirituali inerenti alla sua propria costituzione
naturale, non certo l'individuo comune, l'uomo come essere animale nella sua
forma esteriore.
La politura
dello specchio.
Affinché il cuore
diventi in atto uno specchio riflettente il Divino, bisogna pulire la ruggine
che ne offusca la superficie, vale a dire tutto ciò che, ad ogni livello,
allontana e vela la visione e la "coscienza" di Dio nell'intimo dell'uomo, ed è
Dio stesso a ribadirlo nella Sua Rivelazione: "Anzi, ciò che essi operano
[iniquamente] corrode (râna) i loro cuori [come ruggine]".
È nella medesima prospettiva che Ibn 'Arabî scrive: "Il velo dell'occhio della vista interiore ('ayn al-basîra) sono la ruggine (ruyûn), le passioni (shahawât) e l'attenzione prestata agli altri (al-aghyâr), [ossia a tutto ciò che fa parte] del mondo naturale grossolano".
Il Profeta, inoltre, disse: "In verità i cuori s'arrugginiscono come s'arrugginisce il ferro; puliteli dunque con l'invocazione (dhikr)", ossia tramite la menzione rituale di Allâh e la lettura del Corano, ed ancora: "Il sapiente illustra [esteriormente le cose], mentre il conoscitore è occupato a lucidare [interiormente il suo cuore]".
La ruggine che opaca la superficie del cuore non è altro che la distrazione o disattenzione (ghafla) offerta, in tutte le sue modalità, dal mondo manifestato, in relazione alla pura contemplazione della Realtà divina. Nei Fusûs al-Hikam Ibn 'Arabî illustra il significato della radice GhFL (da cui ghafla), presente in un versetto coranico, grazie al senso della radice GhLF, che si trova in un altro versetto ed è composta dalle medesime radicali, le due ultime in posizione invertita (maqlûb): i cuori di coloro che non si preoccupano (ghâfilûn) della vita futura, essendone immemori, sono incirconcisi (ghulf), vale a dire "chiusi in un involucro" (ghilâf) , ed esso non è altro che un velo che impedisce loro di percepire la realtà in quanto tale.
Il verbo ghafala, da cui ghâfilûn, ha i sensi di "non badare, non prestare attenzione, trascurare" e quindi "essere immemore". Ora, il termine insân, che in arabo designa l'uomo, secondo un'interpretazione etimologica dello stesso Shaykh al-Akbar, deriva dalla radice NSY, "dimenticare": "la sua natura individuale è fatta d'oblio (nisyân), di distrazione e di negligenza". È a motivo di tale costituzione dimentica che l'essere umano ha bisogno del dhikr, vale a dire della "menzione", che conduce poi al "ricordo" e da ultimo alla perpetua "rammemorazione" della Verità : "il significato di "ricordo" insito nel vocabolo dhikr, definisce indirettamente lo stato normale di oblio e d'incoscienza (ghafla) dell'uomo: l'uomo ha dimenticato il proprio essere pretemporale in Dio, e quest'oblio innato causa altre dimenticanze e altre inconsapevolezze".
'Abd al-Qâdir al-Jîlânî ne parla allo stesso modo: "La purezza del cuore (safâ' al-qalb) proviene da un cuore che si è liberato dall'ansia provocata dal peso delle preoccupazioni mondane per il cibo, per il bere, per il dormire, per i vani discorsi. […] Il modo per liberare il cuore e purificarlo è quello del ricordo (dhikr) di Allâh".
Ed egli così descrive l'esito della purificazione del cuore: "Quando lo specchio del cuore è completamente lucidato mediante la pulitura che avviene coll'invocazione costante dei Nomi divini, allora l'individuo ottiene la Conoscenza intuitiva (ma'rifa) ed accede agli Attributi divini. La realizzazione di questa visione (mushâhada) è possibile soltanto nello specchio del cuore".
Il cuore è allora uno specchio polito (mir'ât masqûla), tutta la superficie del quale non potrà mai più arrugginirsi, secondo le parole di Ibn 'Arabî , e rifletterà la Bellezza, la Grazia e la Perfezione di Allâh.
Sarà strumento di Scienza, al-'âlim, il conoscitore per eccellenza. Quanto all'Oggetto della Scienza, ebbene, un altro hadîth dichiara che "Il credente è lo specchio del Credente" , al-mu'min mir'ât al-Mu'min, dove al-Mu'min è un Nome divino.
È nella medesima prospettiva che Ibn 'Arabî scrive: "Il velo dell'occhio della vista interiore ('ayn al-basîra) sono la ruggine (ruyûn), le passioni (shahawât) e l'attenzione prestata agli altri (al-aghyâr), [ossia a tutto ciò che fa parte] del mondo naturale grossolano".
Il Profeta, inoltre, disse: "In verità i cuori s'arrugginiscono come s'arrugginisce il ferro; puliteli dunque con l'invocazione (dhikr)", ossia tramite la menzione rituale di Allâh e la lettura del Corano, ed ancora: "Il sapiente illustra [esteriormente le cose], mentre il conoscitore è occupato a lucidare [interiormente il suo cuore]".
La ruggine che opaca la superficie del cuore non è altro che la distrazione o disattenzione (ghafla) offerta, in tutte le sue modalità, dal mondo manifestato, in relazione alla pura contemplazione della Realtà divina. Nei Fusûs al-Hikam Ibn 'Arabî illustra il significato della radice GhFL (da cui ghafla), presente in un versetto coranico, grazie al senso della radice GhLF, che si trova in un altro versetto ed è composta dalle medesime radicali, le due ultime in posizione invertita (maqlûb): i cuori di coloro che non si preoccupano (ghâfilûn) della vita futura, essendone immemori, sono incirconcisi (ghulf), vale a dire "chiusi in un involucro" (ghilâf) , ed esso non è altro che un velo che impedisce loro di percepire la realtà in quanto tale.
Il verbo ghafala, da cui ghâfilûn, ha i sensi di "non badare, non prestare attenzione, trascurare" e quindi "essere immemore". Ora, il termine insân, che in arabo designa l'uomo, secondo un'interpretazione etimologica dello stesso Shaykh al-Akbar, deriva dalla radice NSY, "dimenticare": "la sua natura individuale è fatta d'oblio (nisyân), di distrazione e di negligenza". È a motivo di tale costituzione dimentica che l'essere umano ha bisogno del dhikr, vale a dire della "menzione", che conduce poi al "ricordo" e da ultimo alla perpetua "rammemorazione" della Verità : "il significato di "ricordo" insito nel vocabolo dhikr, definisce indirettamente lo stato normale di oblio e d'incoscienza (ghafla) dell'uomo: l'uomo ha dimenticato il proprio essere pretemporale in Dio, e quest'oblio innato causa altre dimenticanze e altre inconsapevolezze".
'Abd al-Qâdir al-Jîlânî ne parla allo stesso modo: "La purezza del cuore (safâ' al-qalb) proviene da un cuore che si è liberato dall'ansia provocata dal peso delle preoccupazioni mondane per il cibo, per il bere, per il dormire, per i vani discorsi. […] Il modo per liberare il cuore e purificarlo è quello del ricordo (dhikr) di Allâh".
Ed egli così descrive l'esito della purificazione del cuore: "Quando lo specchio del cuore è completamente lucidato mediante la pulitura che avviene coll'invocazione costante dei Nomi divini, allora l'individuo ottiene la Conoscenza intuitiva (ma'rifa) ed accede agli Attributi divini. La realizzazione di questa visione (mushâhada) è possibile soltanto nello specchio del cuore".
Il cuore è allora uno specchio polito (mir'ât masqûla), tutta la superficie del quale non potrà mai più arrugginirsi, secondo le parole di Ibn 'Arabî , e rifletterà la Bellezza, la Grazia e la Perfezione di Allâh.
Sarà strumento di Scienza, al-'âlim, il conoscitore per eccellenza. Quanto all'Oggetto della Scienza, ebbene, un altro hadîth dichiara che "Il credente è lo specchio del Credente" , al-mu'min mir'ât al-Mu'min, dove al-Mu'min è un Nome divino.
Il Centro.
La Scienza che
Dio depone nei cuori è illimitata, dal momento che il Conosciuto è illimitato ;
ciò che il cuore conosce in sé è Dio stesso, ed Egli lo afferma nel noto hadîth
qudsî: "La Mia Terra ed il Mio Cielo non Mi contengono, ma Mi contiene il cuore
del Mio servo fedele (al-mu'min)". La realtà manifestata più piccola, ossia
l'intimo del cuore, comprende dunque in sé tutte le realtà del mondo e la Realtà
divina, al-Haqq, ossia ciò che è propriamente senza limiti: è questo il
paradosso, dal punto di vista razionale, della legge metafisica dell'analogia
inversa.
"Quando si passa analogicamente dall'inferiore al superiore, dall'esterno all'interno, dal materiale allo spirituale, una simile analogia, per essere correttamente applicata, dev'essere intesa in senso inverso: così, l'immagine di un oggetto in uno specchio è rovesciata rispetto all'oggetto, ciò che è più grande o primo nell'ordine principiale è, almeno in apparenza, più piccolo e ultimo nell'ordine della manifestazione".
In considerazione della sua posizione centrale ed unica, il cuore è analogo al punto a-spaziale, di indifferenziazione primordiale, a partire dal quale si origina l'intera dimensione spaziale, la quale poi viene caratterizzata dalle peculiarità di ognuna delle sei direzioni. Si può identificare così al centro della circonferenza, dal quale essa procede nella sua esistenziazione per via di un vero e proprio irraggiamento nella totalità indefinita di tutte le direzioni dello spazio : il punto, rispetto ad esse, si troverà sempre in una posizione centrale di equilibrio, equidistante rispetto a tutti i singoli punti della circonferenza. "Il mezzo fra gli estremi rappresentati da punti opposti della circonferenza è il luogo ove le tendenze contrarie, che fanno capo a tali estremi, per così dire si neutralizzano e si trovano in perfetto equilibrio. […] L'idea che si esprime qui in modo particolare è quindi l'idea di equilibrio, che fa tutt'uno con quella di armonia. […] Vi è inoltre un terzo aspetto, […] ed è l'idea di giustizia".
È a questa qualità di "equità", vale a dire di "misura" e di "giustizia", che si riferisce il capitolo dei Fusûs dedicato alla Saggezza "del cuore" (qalbiyya), appartenente al profeta Shu'ayb: "essa gli viene attribuita in modo particolare, in ragione del "movimento in tutte le direzioni" (tasha''ub) , di cui le ramificazioni sono innumerevoli" , poiché il nome del profeta deriva dalla radice SH'B, come i termini shu'ab (ramificazioni) e tasha''ub.
Quest'ultima forma radicale è presente inoltre, in un contesto simbolico analogo, in un'altra opera dello Shaykh al-Akbar, sebbene lì la prospettiva dottrinale sia propriamente iniziatica: l'irraggiamento omnidirezionale a partire dal punto centrale è quello delle innumerevoli Vie spirituali, le quali sono appunto il cammino che conduce il Viaggiatore (sâlik) dalla sua iniziale posizione periferica, posta sulla circonferenza, fino al Centro, vero Cuore del Mondo. "Le Vie spirituali (turuq), anche se sono molteplici e [variamente] ramificate (tasha'abat), tutte quante emanano da Lui ed a Lui ritornano, come i raggî (khutût) uscenti dal centro del cerchio (nuqta al-dâ'ira) verso la circonferenza (muhît)".
Il medesimo simbolismo viene illustrato, in perfetta armonia con l'espressione di Ibn 'Arabî, in uno scritto di Guénon: "A ogni punto della circonferenza corrisponde un raggio, e tutti i raggi, anch'essi in moltitudine indefinita, confluiscono ugualmente al centro. Si può dire che questi raggi sono altrettante turuq adatte agli esseri che sono "situati" sui diversi punti della circonferenza, secondo la diversità delle loro nature individuali".
Se, ancora, osserviamo i passi coranici in cui viene menzionato il profeta Shu'ayb, v'è contenuta l'ingiunzione che egli dà al suo popolo di misurare con equità e di pesare con una giusta bilancia, per non causare torto ad alcuno , il che corrisponde con esattezza alla funzione del cuore considerato il centro dell'essere, dal momento che fisicamente è il centro del corpo, e rappresenta l'unità dell'insieme della facoltà umane, corporee e spirituali, rette con armonia ed equilibrio.
"Quando si passa analogicamente dall'inferiore al superiore, dall'esterno all'interno, dal materiale allo spirituale, una simile analogia, per essere correttamente applicata, dev'essere intesa in senso inverso: così, l'immagine di un oggetto in uno specchio è rovesciata rispetto all'oggetto, ciò che è più grande o primo nell'ordine principiale è, almeno in apparenza, più piccolo e ultimo nell'ordine della manifestazione".
In considerazione della sua posizione centrale ed unica, il cuore è analogo al punto a-spaziale, di indifferenziazione primordiale, a partire dal quale si origina l'intera dimensione spaziale, la quale poi viene caratterizzata dalle peculiarità di ognuna delle sei direzioni. Si può identificare così al centro della circonferenza, dal quale essa procede nella sua esistenziazione per via di un vero e proprio irraggiamento nella totalità indefinita di tutte le direzioni dello spazio : il punto, rispetto ad esse, si troverà sempre in una posizione centrale di equilibrio, equidistante rispetto a tutti i singoli punti della circonferenza. "Il mezzo fra gli estremi rappresentati da punti opposti della circonferenza è il luogo ove le tendenze contrarie, che fanno capo a tali estremi, per così dire si neutralizzano e si trovano in perfetto equilibrio. […] L'idea che si esprime qui in modo particolare è quindi l'idea di equilibrio, che fa tutt'uno con quella di armonia. […] Vi è inoltre un terzo aspetto, […] ed è l'idea di giustizia".
È a questa qualità di "equità", vale a dire di "misura" e di "giustizia", che si riferisce il capitolo dei Fusûs dedicato alla Saggezza "del cuore" (qalbiyya), appartenente al profeta Shu'ayb: "essa gli viene attribuita in modo particolare, in ragione del "movimento in tutte le direzioni" (tasha''ub) , di cui le ramificazioni sono innumerevoli" , poiché il nome del profeta deriva dalla radice SH'B, come i termini shu'ab (ramificazioni) e tasha''ub.
Quest'ultima forma radicale è presente inoltre, in un contesto simbolico analogo, in un'altra opera dello Shaykh al-Akbar, sebbene lì la prospettiva dottrinale sia propriamente iniziatica: l'irraggiamento omnidirezionale a partire dal punto centrale è quello delle innumerevoli Vie spirituali, le quali sono appunto il cammino che conduce il Viaggiatore (sâlik) dalla sua iniziale posizione periferica, posta sulla circonferenza, fino al Centro, vero Cuore del Mondo. "Le Vie spirituali (turuq), anche se sono molteplici e [variamente] ramificate (tasha'abat), tutte quante emanano da Lui ed a Lui ritornano, come i raggî (khutût) uscenti dal centro del cerchio (nuqta al-dâ'ira) verso la circonferenza (muhît)".
Il medesimo simbolismo viene illustrato, in perfetta armonia con l'espressione di Ibn 'Arabî, in uno scritto di Guénon: "A ogni punto della circonferenza corrisponde un raggio, e tutti i raggi, anch'essi in moltitudine indefinita, confluiscono ugualmente al centro. Si può dire che questi raggi sono altrettante turuq adatte agli esseri che sono "situati" sui diversi punti della circonferenza, secondo la diversità delle loro nature individuali".
Se, ancora, osserviamo i passi coranici in cui viene menzionato il profeta Shu'ayb, v'è contenuta l'ingiunzione che egli dà al suo popolo di misurare con equità e di pesare con una giusta bilancia, per non causare torto ad alcuno , il che corrisponde con esattezza alla funzione del cuore considerato il centro dell'essere, dal momento che fisicamente è il centro del corpo, e rappresenta l'unità dell'insieme della facoltà umane, corporee e spirituali, rette con armonia ed equilibrio.
L'Uomo
Universale e le Teofanie.
Come il punto
contiene in sé tutto lo spazio, poiché è il principio dello spazio, senza avere
alcuna dimensione spaziale, essendone, qualitativamente, l'essenza, così il
cuore contiene ogni cosa, poiché contiene il Principio di ogni cosa , a motivo
della costituzione sintetica e totalizzante dell'Uomo Universale, Vicario divino
(khalîfat Allâh) e Compendio (mukhtasar) dell'Universo : "Il compendio
[dell'Universo] è la circonferenza (al-muhît), ed il compendio di quest'ultima è
il punto [centrale] (al-nuqta), e viceversa. Osserva, dunque!".
"L'Uomo Perfetto contiene principialmente tutte le forme. Egli è allo stesso tempo il Cuore divino ed il Cuore del Mondo. Il suo emblema è il triangolo rovesciato che simboleggia la misericordia provvidenziale di Colui che sostiene e regge tutto l'universo".
Si deve pertanto comprendere che "il Cuore, come il Califfo, è lo specchio di Dio". In questo specchio si riflettono i Nomi divini, le teofanie (tajalliyât) che si rinnovano ad ogni istante: il cuore è un luogo di costante cambiamento e fluttuazione (taqlîb o taqallub) da uno stato all'altro, e perciò porta il nome di "qalb". Analogamente, le teofanie divine si rinnovano ad ogni istante, né mai si ripetono nel cuore del Conoscitore, che è il loro ricettacolo (qâbil): "Non c'è alcuna ripetizione (takrâr), da parte del Principio, a causa dell'Assolutezza (itlâq) che Gli è propria, e per la divina vastità (ittisâ'), dal momento che [al contrario] la ripetizione è conseguenza della ristrettezza (dîq) e della limitazione (taqyîd)".
Negli stessi termini si esprime Guénon, a proposito della Possibilità universale - espressione che corrisponde all'arabo itlâq - e del principio di non-ripetizione nell'esistenza: "la Possibilità universale e totale è necessariamente infinita e non può essere concepita in modo diverso, poiché, comprendendo tutto e non lasciando niente fuori di sé, non può essere limitata assolutamente da nulla; una limitazione della Possibilità universale, dovendo essere esteriore ad essa, è propriamente e letteralmente una impossibilità, cioè un puro nulla. Ora, supporre una ripetizione nell'ambito della Possibilità universale […] equivale ad attribuirle una limitazione, in quanto l'infinità esclude qualsiasi ripetizione".
Il cuore corrisponde all'unica facoltà umana in grado di percepire e gustare lo svelamento iniziatico (kashf), poiché partecipa della medesima natura dello Svelato, nell'inesauribile mutamento delle Sue Teofanie: "La fluttuazione (taqlîb) nel cuore è analoga alla trasmutazione divina (al-tahawwul al-ilâhî) nelle forme". Si tratta della "facoltà che va oltre il limite della facoltà ragionativa ('aql)" : è l'unico organo che può percepire ed abbracciare il Vero in se stesso. Al contrario, "l'intelletto ('aql) condiziona, e riduce la manifestazione ad una qualificazione unica, ciò che è contrario alla vera e propria realtà".
"L'Uomo Perfetto contiene principialmente tutte le forme. Egli è allo stesso tempo il Cuore divino ed il Cuore del Mondo. Il suo emblema è il triangolo rovesciato che simboleggia la misericordia provvidenziale di Colui che sostiene e regge tutto l'universo".
Si deve pertanto comprendere che "il Cuore, come il Califfo, è lo specchio di Dio". In questo specchio si riflettono i Nomi divini, le teofanie (tajalliyât) che si rinnovano ad ogni istante: il cuore è un luogo di costante cambiamento e fluttuazione (taqlîb o taqallub) da uno stato all'altro, e perciò porta il nome di "qalb". Analogamente, le teofanie divine si rinnovano ad ogni istante, né mai si ripetono nel cuore del Conoscitore, che è il loro ricettacolo (qâbil): "Non c'è alcuna ripetizione (takrâr), da parte del Principio, a causa dell'Assolutezza (itlâq) che Gli è propria, e per la divina vastità (ittisâ'), dal momento che [al contrario] la ripetizione è conseguenza della ristrettezza (dîq) e della limitazione (taqyîd)".
Negli stessi termini si esprime Guénon, a proposito della Possibilità universale - espressione che corrisponde all'arabo itlâq - e del principio di non-ripetizione nell'esistenza: "la Possibilità universale e totale è necessariamente infinita e non può essere concepita in modo diverso, poiché, comprendendo tutto e non lasciando niente fuori di sé, non può essere limitata assolutamente da nulla; una limitazione della Possibilità universale, dovendo essere esteriore ad essa, è propriamente e letteralmente una impossibilità, cioè un puro nulla. Ora, supporre una ripetizione nell'ambito della Possibilità universale […] equivale ad attribuirle una limitazione, in quanto l'infinità esclude qualsiasi ripetizione".
Il cuore corrisponde all'unica facoltà umana in grado di percepire e gustare lo svelamento iniziatico (kashf), poiché partecipa della medesima natura dello Svelato, nell'inesauribile mutamento delle Sue Teofanie: "La fluttuazione (taqlîb) nel cuore è analoga alla trasmutazione divina (al-tahawwul al-ilâhî) nelle forme". Si tratta della "facoltà che va oltre il limite della facoltà ragionativa ('aql)" : è l'unico organo che può percepire ed abbracciare il Vero in se stesso. Al contrario, "l'intelletto ('aql) condiziona, e riduce la manifestazione ad una qualificazione unica, ciò che è contrario alla vera e propria realtà".
La coppa.
Sembra opportuno,
a questo punto, presentare la traduzione della risposta fornita dallo Shaykh
al-Akbar alla domanda formulata da Hakîm al-Tirmidhî : "Che cos'è la coppa
dell'Amore (ka's al-hubb)?". La coppa, accennammo all'inizio, è un equivalente
simbolico del cuore, pertanto viene tradizionalmente assimilata ad esso; in
questo passo, Ibn 'Arabî illustra compiutamente le modalità di tale
assimilazione, ed inoltre attribuisce al cuore una relazione essenziale con
l'Amore: "La coppa dell'Amore è il cuore dell'amante (al-qalb min al-muhibb), e non la
sua facoltà ragionativa ('aql) né i suoi sensi (hiss), giacché il cuore fluttua
[continuamente] (yataqallabu) da uno stato all'altro, allo stesso modo in cui
Allâh, che è l'Amato (al-Mahbûb), "è ogni giorno [occupato] in un'opera (sha'n)". L'amante, dunque, si modifica in relazione al suo Amore (hubb) con la [stessa]
variazione dell'Amato nei Suoi Atti (af'âl), come la bianca e pura coppa di
cristallo si modifica a seconda della variazione del liquido che contiene. Il
colore (lawn) dell'amante è il colore del suo Amato.
Tutto ciò non appartiene che al cuore, giacché la facoltà ragionativa deriva dal mondo condizionato ('âlam al-taqyîd) , perciò si chiama 'aql, "ragione", da 'iqâl, "pastoia". Quanto ai sensi, si sa che, necessariamente, derivano dal mondo condizionato, al contrario del cuore.
L'Amore possiede numerosi, molteplici e contraddittorî statuti attributivi (ahkâm): non può accettarli (yaqbalu) se non chi detiene, fra le sue capacità (quwwa), [quella di] essere continuamente rivoltato (inqilâb) , con l'Amore, nelle sue attribuzioni. Tutto ciò non appartiene ad altri che al cuore.
Se tu vuoi attribuire qualcosa di simile al Principio (al-Haqq), allora si tratta delle Sue parole: "Io rispondo all'invocazione di chi invoca, quando Mi invoca" e "In verità Allâh non si stanca finché voi [non] vi stancate" e "Chi Mi menziona in se stesso, Io lo menziono in Me stesso". Tutta quanta la Legge tradizionale (al-Shar'), o la maggior parte di essa, è in questo tono.
La bevanda è il contenuto stesso della coppa, e noi abbiamo già illustrato [in precedenza] che la coppa è il luogo stesso di manifestazione (al-mazhar), la bevanda non è altro che Colui che si manifesta (al-Zâhir) in essa e l'atto del bere è quanto ottiene, da parte di Chi si manifesta (al-Mutajallî), colui cui Egli si manifesta".
Tutto ciò non appartiene che al cuore, giacché la facoltà ragionativa deriva dal mondo condizionato ('âlam al-taqyîd) , perciò si chiama 'aql, "ragione", da 'iqâl, "pastoia". Quanto ai sensi, si sa che, necessariamente, derivano dal mondo condizionato, al contrario del cuore.
L'Amore possiede numerosi, molteplici e contraddittorî statuti attributivi (ahkâm): non può accettarli (yaqbalu) se non chi detiene, fra le sue capacità (quwwa), [quella di] essere continuamente rivoltato (inqilâb) , con l'Amore, nelle sue attribuzioni. Tutto ciò non appartiene ad altri che al cuore.
Se tu vuoi attribuire qualcosa di simile al Principio (al-Haqq), allora si tratta delle Sue parole: "Io rispondo all'invocazione di chi invoca, quando Mi invoca" e "In verità Allâh non si stanca finché voi [non] vi stancate" e "Chi Mi menziona in se stesso, Io lo menziono in Me stesso". Tutta quanta la Legge tradizionale (al-Shar'), o la maggior parte di essa, è in questo tono.
La bevanda è il contenuto stesso della coppa, e noi abbiamo già illustrato [in precedenza] che la coppa è il luogo stesso di manifestazione (al-mazhar), la bevanda non è altro che Colui che si manifesta (al-Zâhir) in essa e l'atto del bere è quanto ottiene, da parte di Chi si manifesta (al-Mutajallî), colui cui Egli si manifesta".
La
prosternazione del cuore.
Se la natura del
cuore è strettamente connessa con il mutamento ed il capovolgimento incessante,
vi è, tuttavia, ai vertici della realizzazione iniziatica, una Stazione
spirituale (maqâm), in cui si verifica un superamento qualitativo di questo
stato per uno di natura superiore e permanente: è la "prosternazione del cuore"
(sujûd al-qalb).
Il termine sujûd designa l'atto di prosternarsi, toccando con la fronte la terra, durante la salât, di cui costituisce in realtà il punto cruciale, dal momento che "non v'è stato che sia più nobile del sujûd".
Una prima menzione della prosternazione del cuore viene fatta all'interno del capitolo 73 delle Futûhât, che contiene una trattazione delle categorie esoteriche (tabaqât) all'interno della Santità. Per la precisione, si trova menzionata nel paragrafo dedicato alla categoria dei "Recitatori coranici" (qurrâ'), altro nome delle "Genti del Corano" (ahl al-Qur'ân), ossia le Genti di Allâh e la Sua élite (khâssa), così descritte: "L'uomo la cui [intima] natura (khuluq) sia il Corano, costui fa parte delle sue Genti, e chi fa parte delle Genti del Corano fa parte delle Genti di Allâh, poiché il Corano è la Parola di Allâh (Kalâm Allâh), e la Sua Parola è la Sua Scienza, e la Sua Scienza è la Sua Essenza (dhât)".
Il riferimento al Corano deriva dal fatto che questo termine non designa, nel Tasawwuf, unicamente il Libro rivelato dell'Islam, ma anche una realizzazione iniziatica intimamente connessa alla Scienza: "Il Corano è la Scienza totalizzante e sintetica chiamata Intelletto coranico, che conduce alla Stazione della Sintesi (o dell'unione) (Maqâm al-Jam')". Esiste un legame diretto fra il "Corano" e la "Sintesi", poiché la radice QR', da cui deriva Qur'ân, implica in sé le idee di "riunione" e di "sintesi", esattamente come la radice JM', da cui jam'. D'altra parte, non si può non osservare come la nozione di Maqâm al-jam' rimandi alla Stazione divina (al-maqâm al-ilâhî) che è "quella che riunisce i contrasti e le antinomie" (maqâm ijtimâ' al-diddayn) , è "il punto centrale dove tutte le distinzioni […] sono superate, dove tutte le opposizioni sono cancellate e risolte in un equilibrio perfetto".
Secondo questo passaggio delle Futûhât, "La maggior parte dei Santi vede il passaggio [continuo] del cuore (taqlîb al-qalb) da uno stato spirituale all'altro, perciò esso si chiama "qalb"; quanto al signore di questa Stazione [spirituale], anche se i suoi stati spirituali fluttuano continuamente (taqallabat), essi derivano da un'unica essenza (min 'ayn wâhida) che rimane costante (thâbit) su di loro e viene designata come "prosternazione del cuore" (sujûd al-qalb)".
La prosternazione è il riconoscimento della propria radice o origine, asl in arabo, da parte dell'essere che non è altro che una diramazione (far') da essa, e di fatto ne dipende come l'ombra rispetto al corpo. Ciò significa che la sua esistenza, pur avendo un suo grado di realtà, è illusoria nel suo credersi indipendente e bastante a se stessa, ed il sujûd si identifica alla testimonianza, per mezzo di una contemplazione diretta (mushâhada), della realtà della radice rispetto all'evanescenza dell'ombra manifestata: "[Come l'ombra] non ha alcuna sussistenza (baqâ') se non grazie all'esistenza della [sua] radice (wujûd al-asl), il Mondo (al-'âlam) non ha alcuna sussistenza se non grazie ad Allâh". Vi è una corrispondenza perfetta, allora, con quanto Guénon scrive a proposito del termine "esistere": "in effetti, intesa nel suo significato rigorosamente etimologico (dal latino ex-stare), tale parola indica l'essere che è dipendente nei confronti di un principio diverso da lui, ovvero, in altri termini, quegli che non ha in sé la propria ragion sufficiente, vale a dire l'essere contingente, che fa tutt'uno con l'essere manifestato".
E "se lo stato della prosternazione è detto essere il più nobile ciò è dovuto al fatto che esso procura la conoscenza delle radici, vale a dire della propria essenza immutabile", come illustra lo Shaykh al-Akbar in un passo dedicato alla spiegazione del sujûd :
"L'abbassare il capo (tata'tu') non si verifica che rispetto ad una [sua] elevazione (rif'a), e l'elevazione, per tutto ciò che è altro che Allâh, consiste nell'"uscire" (khurûj) dalla propria radice. Perciò gli si dice: "Prosternati!", ossia "Chinati dal tuo presunto innalzamento e piegati dal tuo orgoglio ", osservando la tua radice. In questo modo tu conoscerai la tua realtà essenziale (haqîqa) […].
E chi conosce la sua radice conosce la sua essenza, ossia se stesso.
Chi conosce se stesso conosce il suo Signore.
Ora, chi conosce se stesso non alza [più] la testa".
Il termine sujûd designa l'atto di prosternarsi, toccando con la fronte la terra, durante la salât, di cui costituisce in realtà il punto cruciale, dal momento che "non v'è stato che sia più nobile del sujûd".
Una prima menzione della prosternazione del cuore viene fatta all'interno del capitolo 73 delle Futûhât, che contiene una trattazione delle categorie esoteriche (tabaqât) all'interno della Santità. Per la precisione, si trova menzionata nel paragrafo dedicato alla categoria dei "Recitatori coranici" (qurrâ'), altro nome delle "Genti del Corano" (ahl al-Qur'ân), ossia le Genti di Allâh e la Sua élite (khâssa), così descritte: "L'uomo la cui [intima] natura (khuluq) sia il Corano, costui fa parte delle sue Genti, e chi fa parte delle Genti del Corano fa parte delle Genti di Allâh, poiché il Corano è la Parola di Allâh (Kalâm Allâh), e la Sua Parola è la Sua Scienza, e la Sua Scienza è la Sua Essenza (dhât)".
Il riferimento al Corano deriva dal fatto che questo termine non designa, nel Tasawwuf, unicamente il Libro rivelato dell'Islam, ma anche una realizzazione iniziatica intimamente connessa alla Scienza: "Il Corano è la Scienza totalizzante e sintetica chiamata Intelletto coranico, che conduce alla Stazione della Sintesi (o dell'unione) (Maqâm al-Jam')". Esiste un legame diretto fra il "Corano" e la "Sintesi", poiché la radice QR', da cui deriva Qur'ân, implica in sé le idee di "riunione" e di "sintesi", esattamente come la radice JM', da cui jam'. D'altra parte, non si può non osservare come la nozione di Maqâm al-jam' rimandi alla Stazione divina (al-maqâm al-ilâhî) che è "quella che riunisce i contrasti e le antinomie" (maqâm ijtimâ' al-diddayn) , è "il punto centrale dove tutte le distinzioni […] sono superate, dove tutte le opposizioni sono cancellate e risolte in un equilibrio perfetto".
Secondo questo passaggio delle Futûhât, "La maggior parte dei Santi vede il passaggio [continuo] del cuore (taqlîb al-qalb) da uno stato spirituale all'altro, perciò esso si chiama "qalb"; quanto al signore di questa Stazione [spirituale], anche se i suoi stati spirituali fluttuano continuamente (taqallabat), essi derivano da un'unica essenza (min 'ayn wâhida) che rimane costante (thâbit) su di loro e viene designata come "prosternazione del cuore" (sujûd al-qalb)".
La prosternazione è il riconoscimento della propria radice o origine, asl in arabo, da parte dell'essere che non è altro che una diramazione (far') da essa, e di fatto ne dipende come l'ombra rispetto al corpo. Ciò significa che la sua esistenza, pur avendo un suo grado di realtà, è illusoria nel suo credersi indipendente e bastante a se stessa, ed il sujûd si identifica alla testimonianza, per mezzo di una contemplazione diretta (mushâhada), della realtà della radice rispetto all'evanescenza dell'ombra manifestata: "[Come l'ombra] non ha alcuna sussistenza (baqâ') se non grazie all'esistenza della [sua] radice (wujûd al-asl), il Mondo (al-'âlam) non ha alcuna sussistenza se non grazie ad Allâh". Vi è una corrispondenza perfetta, allora, con quanto Guénon scrive a proposito del termine "esistere": "in effetti, intesa nel suo significato rigorosamente etimologico (dal latino ex-stare), tale parola indica l'essere che è dipendente nei confronti di un principio diverso da lui, ovvero, in altri termini, quegli che non ha in sé la propria ragion sufficiente, vale a dire l'essere contingente, che fa tutt'uno con l'essere manifestato".
E "se lo stato della prosternazione è detto essere il più nobile ciò è dovuto al fatto che esso procura la conoscenza delle radici, vale a dire della propria essenza immutabile", come illustra lo Shaykh al-Akbar in un passo dedicato alla spiegazione del sujûd :
"L'abbassare il capo (tata'tu') non si verifica che rispetto ad una [sua] elevazione (rif'a), e l'elevazione, per tutto ciò che è altro che Allâh, consiste nell'"uscire" (khurûj) dalla propria radice. Perciò gli si dice: "Prosternati!", ossia "Chinati dal tuo presunto innalzamento e piegati dal tuo orgoglio ", osservando la tua radice. In questo modo tu conoscerai la tua realtà essenziale (haqîqa) […].
E chi conosce la sua radice conosce la sua essenza, ossia se stesso.
Chi conosce se stesso conosce il suo Signore.
Ora, chi conosce se stesso non alza [più] la testa".
La prosternazione
del cuore è una Stazione che si acquisisce definitivamente, e per sempre, poiché
avviene nei confronti di Colui che non scompare mai: "Quando il cuore si
prosterna, non si rialza [più], poiché s'è prosternato al suo Signore, la sua
qibla è il suo Signore ed il suo Signore non svanisce. La Sua Signoria (rubûbiyya)
non verrà mai meno, perciò il cuore non rialza più la testa dal sujûd, per
sempre. Poiché la sua qibla non verrà mai meno. Questo è il significato del
sujûd".
Più precisamente, "il cuore si prosterna ai Nomi divini (al-asmâ' al-ilâhiyya), non all'Essenza [suprema] (al-Dhât), poiché essi l'hanno reso un "cuore" , lo fanno fluttuare di stato (hâl) in stato in questo mondo e nell'altro". La moltitudine indefinita dei Nomi presiede infatti all'inesauribile susseguirsi delle Teofanie divine nel cuore, ossia il mutamento incessante da uno stato all'altro, mentre l'Essenza suprema, in se stessa, è inconoscibile tranne che per se stessa: "Sappi che l'intima profondità (kunh) dell'Essenza trascendente (al-dhât al-aqdas), del mistero dell'Ipseità (ghayb al-Huwiyya), dell'Assoluto (al-itlâq) e della pre-eternità (al-azaliyya) […] non può essere né contemplata né compresa né conosciuta né percepita".
Più precisamente, "il cuore si prosterna ai Nomi divini (al-asmâ' al-ilâhiyya), non all'Essenza [suprema] (al-Dhât), poiché essi l'hanno reso un "cuore" , lo fanno fluttuare di stato (hâl) in stato in questo mondo e nell'altro". La moltitudine indefinita dei Nomi presiede infatti all'inesauribile susseguirsi delle Teofanie divine nel cuore, ossia il mutamento incessante da uno stato all'altro, mentre l'Essenza suprema, in se stessa, è inconoscibile tranne che per se stessa: "Sappi che l'intima profondità (kunh) dell'Essenza trascendente (al-dhât al-aqdas), del mistero dell'Ipseità (ghayb al-Huwiyya), dell'Assoluto (al-itlâq) e della pre-eternità (al-azaliyya) […] non può essere né contemplata né compresa né conosciuta né percepita".
La prosternazione
è dunque un movimento contrario all'uscita dalla propria radice ontologica,
significa, per così dire, essere riassorbiti nel punto centrale originario.
Rispetto a questo simbolismo spaziale, Ibn 'Arabî parla allora della Stazione
della Prossimità (maqâm al-qurba) , in stretta correlazione al sujûd al-qalb,
anche a motivo dell'ingiunzione coranica "Prosternati ed avvicinati!" , sicché
la prosternazione è il mezzo per conseguire la prossimità: "La prima cosa che ti dona il sujûd è la Prossimità (al-qurba). […] L'avvicinamento (taqrîb) è un dono del sujûd. Ed il sujûd è un dono dell'osservazione del mutamento [incessante] degli stati (taghayyur
al-ahwâl). L'osservazione del mutamento degli stati è la caratteristica (hukm) del
mutamento degli stati. E il mutamento degli stati è il tuo essere secondo le forme "Ogni giorno Egli è
[occupato] in un'opera" e "il tuo essere è un luogo di manifestazione (mazhar)
per i Nomi divini (al-asmâ' al-ilâhiyya)"".
Il mutamento nella stazione del sujûd corrisponde allora alla stabilità nella modificazione, al-tamkîn fî 'l-talwîn, e chi consegue questa suprema stazione detiene la vera stabilità: "Il cuore desidera ardentemente testimoniare (shuhûd) questa Realtà (haqîqa)".
Il mutamento nella stazione del sujûd corrisponde allora alla stabilità nella modificazione, al-tamkîn fî 'l-talwîn, e chi consegue questa suprema stazione detiene la vera stabilità: "Il cuore desidera ardentemente testimoniare (shuhûd) questa Realtà (haqîqa)".
L'Unità.
Se l'uomo
consegue questa stazione, significa che gli attributi della sua natura
individuale illusoria sono svaniti, insieme alla molteplicità delle forme
esteriori, mentre sussistono unicamente gli Attributi dell'Unità (sifât
al-ahadiyya), poiché Iddio è Unico, ed è il solo Reale (al-Haqq). Tuttavia, "in
realtà, quest'Unità è sempre presente; Essa non scompare né declina, avviene
soltanto che il credente realizza e diventa una cosa sola col Signore eterno ed,
essendo con Lui, ottiene il Suo compiacimento. Sussiste allora solo il cuore
estinto (al-qalb al-fânî) assieme all'eterno segreto (al-sirr al-bâqî). […]
Quando l'io è stato estinto, si raggiunge allora la Stazione della sussistenza
in Allâh (baqâ'), Stazione che si situa nel dominio della Prossimità ('âlam
al-qurba)".
E proprio al simbolismo dell'unità, nell'ambito specificamente matematico, fa ricorso lo Shaykh al-Akbar, nel corso del passo già menzionato sulla prosternazione del cuore: "La radice (asl) dei numeri è l'uno (al-wâhid), ed essi non hanno esistenza se non per suo mezzo e grazie ad esso sussistono. Chi non conosce l'unità del suo Creatore (ahadiyya Khâliqi-hi), allora i suoi dei sono numerosi, gli manca la Sua Conoscenza, perciò ignora il suo Signore (Rabb)".
In maniera del tutto analoga si esprime, in proposito, René Guénon: "l'Unità produce tutti i numeri, senza che la sua essenza ne riesca modificata o intaccata in alcuna maniera". Si tratta sempre, ad ogni modo, di una trasposizione simbolica della nozione di unità dalla prospettiva matematica al campo metafisico: "l'unità aritmetica non è l'Unità metafisica, ne è solo una figura, ma una figura nella quale non c'è niente di arbitrario, poiché esiste tra l'una e l'altra una relazione analogica reale, ed è questa relazione che permette di trasporre l'idea dell'Unità oltre l'ambito della quantità, nell'ordine trascendentale".
Il cuore che realizza l'Unità diviene realmente dimora della Pace, poiché non essendo abitato che dall'Unico, nulla può più trovarsi in opposizione o in contrasto al suo interno. "La pace, anche nel suo senso più comune, è in fondo non altra cosa se non l'ordine, l'equilibrio o l'armonia, inteso che questi tre termini sono pressocché sinonimi e designano tutti e tre, sotto riguardi un po' diversi, il riflesso dell'unità nella molteplicità, quando quest'ultima sia ricondotta al suo principio. Di fatto, la molteplicità non è allora veramente distrutta, ma "trasformata"; e quando tutte le cose sono ricondotte all'unità, l'unità appare in ogni cosa, la quale, lungi dal cessare di esistere, acquisisce al contrario -per ciò stesso- la pienezza della realtà".
E proprio al simbolismo dell'unità, nell'ambito specificamente matematico, fa ricorso lo Shaykh al-Akbar, nel corso del passo già menzionato sulla prosternazione del cuore: "La radice (asl) dei numeri è l'uno (al-wâhid), ed essi non hanno esistenza se non per suo mezzo e grazie ad esso sussistono. Chi non conosce l'unità del suo Creatore (ahadiyya Khâliqi-hi), allora i suoi dei sono numerosi, gli manca la Sua Conoscenza, perciò ignora il suo Signore (Rabb)".
In maniera del tutto analoga si esprime, in proposito, René Guénon: "l'Unità produce tutti i numeri, senza che la sua essenza ne riesca modificata o intaccata in alcuna maniera". Si tratta sempre, ad ogni modo, di una trasposizione simbolica della nozione di unità dalla prospettiva matematica al campo metafisico: "l'unità aritmetica non è l'Unità metafisica, ne è solo una figura, ma una figura nella quale non c'è niente di arbitrario, poiché esiste tra l'una e l'altra una relazione analogica reale, ed è questa relazione che permette di trasporre l'idea dell'Unità oltre l'ambito della quantità, nell'ordine trascendentale".
Il cuore che realizza l'Unità diviene realmente dimora della Pace, poiché non essendo abitato che dall'Unico, nulla può più trovarsi in opposizione o in contrasto al suo interno. "La pace, anche nel suo senso più comune, è in fondo non altra cosa se non l'ordine, l'equilibrio o l'armonia, inteso che questi tre termini sono pressocché sinonimi e designano tutti e tre, sotto riguardi un po' diversi, il riflesso dell'unità nella molteplicità, quando quest'ultima sia ricondotta al suo principio. Di fatto, la molteplicità non è allora veramente distrutta, ma "trasformata"; e quando tutte le cose sono ricondotte all'unità, l'unità appare in ogni cosa, la quale, lungi dal cessare di esistere, acquisisce al contrario -per ciò stesso- la pienezza della realtà".
"La Verità
mostrerà allora il Suo Volto. Tutto ciò incomincerà quando lo specchio del tuo cuore sarà pulito. La luce dei
Segreti divini si proietterà su di esso se tu aspirerai a Lui, e cercherai Lui,
da Lui, in Lui".
Tratto dal sito: http://www.enec.it/riviste/porta/01.01LaDottrina.htm. L'immagine rappresenta una calligrafia in stile diwanî di un verso di Al-Hallaj: "Il tuo nome è sulle mie labbra, la tua immagine è nei miei occhi, il tuo ricordo è nel mio cuore. A chi dunque scriverò?" (Calligrafia di Fouad EA)