L'esoterismo di Dante
II - La «Fede Santa»
Il museo di Vienna custodisce due medaglie: una raffigura
Dante, l’altra il pittore Pietro da Pisa; sul rovescio di entrambe sono incise
le lettere F.S.K.I.P.F.T., che Aroux interpreta nel modo seguente: Frater Sacrae Kadosch, Imperialis
Principatus, Frater Templarius.
Per le prime tre lettere questa interpretazione è palesemente sbagliata e non offre un significato intelligibile; il nostro parere è che si debba leggere Fidei Sanctæ Kadosch.
La società della Fede Santa, della quale Dante fu probabilmente uno dei vertici, era un Ordine Terziario di affiliazione templare, e questo giustifica l’appellativo di Frater Templarius; e i suoi dignitari portavano il titolo di Kadosch, parola ebraica che significa «santo» o «consacrato», e che si è conservata fino ai nostri giorni negli alti gradi della Massoneria. Non è dunque senza motivo – lo vediamo già da questo ‑ che Dante prende, come guida per la fine del suo viaggio celeste[1], san Bernardo, che aveva stabilito la regola dell’Ordine dei Templari; con questa scelta egli sembra aver voluto indicare che solo attraverso di lui era possibile, nelle condizioni proprie alla sua epoca, accedere al grado supremo della gerarchia spirituale.
Per le prime tre lettere questa interpretazione è palesemente sbagliata e non offre un significato intelligibile; il nostro parere è che si debba leggere Fidei Sanctæ Kadosch.
La società della Fede Santa, della quale Dante fu probabilmente uno dei vertici, era un Ordine Terziario di affiliazione templare, e questo giustifica l’appellativo di Frater Templarius; e i suoi dignitari portavano il titolo di Kadosch, parola ebraica che significa «santo» o «consacrato», e che si è conservata fino ai nostri giorni negli alti gradi della Massoneria. Non è dunque senza motivo – lo vediamo già da questo ‑ che Dante prende, come guida per la fine del suo viaggio celeste[1], san Bernardo, che aveva stabilito la regola dell’Ordine dei Templari; con questa scelta egli sembra aver voluto indicare che solo attraverso di lui era possibile, nelle condizioni proprie alla sua epoca, accedere al grado supremo della gerarchia spirituale.
Quanto all’Imperialis
Principatus, per spiegarlo forse non ci si deve limitare a considerare il
ruolo politico di Dante, il quale dimostra che le organizzazioni cui egli
apparteneva erano allora favorevoli al potere imperiale; bisogna anche
osservare che il «Sacro Impero» ha un significato simbolico e che ancora oggi,
nella Massoneria scozzese, i membri dei Consigli Supremi sono qualificati come
dignitari del Sacro Impero, mentre il titolo di «Principe» compare nelle
designazioni di numerosi gradi. E ancora, i capi di svariate organizzazioni di
origine rosacrociana, a partire dal XVI secolo, hanno portato il titolo di Imperator; vi è motivo di pensare che la
Fede Santa, ai tempi di Dante,
presentasse alcune analogie con quella che più tardi fu la «Confraternita della
Rosa-Croce», anche se quest’ultima non ne è una derivazione diretta.
Troveremo molte altre somiglianze di questo genere, e lo
stesso Aroux ne ha individuate un gran numero; uno dei punti essenziali che
egli ha messo in luce, senza forse trarne tutte le conseguenze necessarie, è il
significato delle diverse regioni simboliche descritte da Dante, in particolare
i «cieli». In effetti queste regioni rappresentano altrettanti stati
differenti, e i cieli sono propriamente delle «gerarchie spirituali», vale a
dire dei gradi d’iniziazione; a questo proposito si potrebbero stabilire delle
concordanze interessanti fra la concezione di Dante e quella di Swedenborg, per
non parlare della Cabbala ebraica e soprattutto dell’esoterismo islamico. Dante
stesso ci ha lasciato un’indicazione degna di nota: «A vedere quello che per lo
terzo cielo s’intende ... Dico che per cielo io intendo la scienza e per cieli
le scienze».[2] Ma quali sono esattamente
queste scienze che occorre intendere con la designazione simbolica di «cieli»?
Dobbiamo forse scorgere in essi un’allusione alle «sette arti liberali», delle
quali Dante, come tutti i suoi contemporanei, fa sovente menzione? A sostegno
di questa ipotesi troviamo, seguendo Aroux, che «i Catari avevano stabilito,
dal XII secolo, dei segnali di riconoscimento, delle parole d’ordine, una
dottrina astrologica: le loro iniziazioni si tenevano durante l’equinozio di
primavera; il loro sistema scientifico era fondato sulla dottrina: delle
corrispondenze: alla Luna corrispondeva la Grammatica, a Mercurio la
Dialettica, a Venere la Retorica, a Marte la Musica, a Giove la Geometria, a
Saturno l’Astronomia, al Sole l’Aritmetica o la Ragione illuminata». Così, alle
sette sfere planetarie, che costituiscono i primi sette dei nove cieli di
Dante, corrispondevano rispettivamente le sette arti liberali, quelle stesse il
cui nome figura sui sette gradini della parte sinistra della Scala dei Kadosch (trentesimo grado
della Massoneria scozzese). L’ordine ascendente, in quest’ultimo caso, ha come
unica differenza, rispetto al precedente, il fatto di invertire, da un lato, la
Retorica e la Logica (che qui sostituisce la Dialettica), e, d’altro lato, la
Geometria e la Musica; inoltre, la scienza che corrisponde al Sole, l’Aritmetica,
occupa il rango che spetta di norma a questo astro nell’ordine astrologico dei
pianeti, vale a dire il quarto, centro del settenario, mentre i Catari la
ponevano al gradino più alto della loro Scala Mistica, cosa che Dante fa per
l’elemento corrispondente della parte destra, la Fede (Emounah), ossia la misteriosa Fede
Santa di cui egli stesso era Kadosch.[3]
A tale riguardo, però, un ulteriore interrogativo si impone:
com’è possibile che delle corrispondenze di tal sorta, che indicano veri e
propri gradi iniziatici, siano state attribuite alle arti liberali, che
venivano insegnate pubblicamente e ufficialmente in tutte le scuole? Noi
pensiamo che dovessero esistere due modi di considerarle, uno essoterico e
l’altro esoterico: a ogni scienza profana può sovrapporsi una seconda scienza
che in apparenza si riferisce allo stesso oggetto ma in realtà lo prende in
considerazione da un punto di vista più profondo, e che è rispetto alla scienza
profana ciò che i significati superiori delle scritture sono rispetto al loro
significato letterale. Si potrebbe anche dire che le scienze esteriori offrono
un modo di esprimere le verità superiori, poiché esse stesse sono soltanto
simbolo di qualcosa che appartiene a un altro ordine, poiché, come disse
Platone, il sensibile non è altro che un riflesso dell’intelligibile; i
fenomeni naturali e gli eventi storici hanno tutti un valore simbolico, in
quanto esprimono in certa misura i principi da cui dipendono, dei quali sono
conseguenze più o meno remote. Dunque, ogni arte e ogni scienza può, mediante
un’opportuna trasposizione, assumere un valore esoterico autentico; perché
negare che talune espressioni tratte dalle arti liberali ricoprissero, nelle
iniziazioni medioevali, un ruolo paragonabile a quello che il linguaggio
mutuato dall’arte dei muratori ha nella Massoneria speculativa? Diremo di più:
considerare le cose sotto questo profilo significa tutto sommato ricondurle al
loro principio; questo punto di vista è dunque legato alla loro stessa essenza,
nient’affatto sovrapposto in modo arbitrario; ma se le cose stanno così, la
tradizione che si riferisce ad esse non potrebbe risalire alla origine stessa
delle scienze e delle arti, e il punto di vista esclusivamente profano essere
una prospettiva del tutto moderna, risultante dall’oblio generale di questa
tradizione? Non possiamo trattare qui tale questione con tutti gli sviluppi che
comporterebbe; ma vediamo in che termini Dante stesso, nel commento che dedica
alla sua prima Canzone, indica il
modo in cui applica alla sua opera le regole di alcune arti liberali: «O
uomini, che vedere non potete la sentenza di questa Canzone, non la rifiutate
però; ma ponete mente la sua bellezza, che è grande sì per costruzione, la quale si pertiene alli gramatici, sì per l’ordine
del sermone, che si pertiene alli rettorici,
sì per lo numero delle sue parti, che
si pertiene alli musici». In questa
maniera di considerare la musica in relazione al numero, dunque come scienza
del ritmo in tutte le sue corrispondenze, non si può riconoscere un’eco della
tradizione pitagorica? E non è forse questa stessa tradizione a consentire di
comprendere il ruolo «solare» attribuito all’aritmetica, della quale essa fa il
centro comune di tutte le altre scienze, come pure i rapporti che uniscono
queste fra di loro, e in particolare la musica alla geometria, attraverso la
conoscenza delle proporzioni nelle forme (che trova nell’architettura la sua
applicazione diretta), e all’astronomia, attraverso la conoscenza dell’armonia
delle sfere celesti? Avremo diverse occasioni di vedere, in seguito,
l’importanza fondamentale del simbolismo dei numeri nell’opera di Dante; e, se
questo simbolismo non è d’impronta esclusivamente pitagorica, se lo si ritrova
in altre dottrine per la semplice ragione che la verità è una sola, possiamo
nondimeno considerare che, senza dubbio alcuno, da Pitagora a Virgilio e da
Virgilio a Dante la «catena della tradizione» in terra italiana non fu mai
interrotta.
[1] Paradiso, XXXI. – La parola contemplante, con la quale Dante designa in seguito San Bernardo (Paradiso, XXXII, 1), potrebbe contenere un doppio senso, a causa della sua relazione con la stessa designazione del Tempio.
[2] Convito, tratt. II, cap. XIV.
[3] Riguardo alla Scala misteriosa dei Kadosch, della quale si tornerà a parlare più avanti, si veda il Manuel maçonnique del F... Vuilliaume, tav. XVI e pp. 213‑214. Citiamo quest’opera nella 2a edizione (Paris, 1830).
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