Trattati
sull’Ordine dei Fedeli d’Amore
«Senza il soffio del vento per
sollevare i riccioli dei tuoi capelli – Chi potrebbe mostrare all’amante il
volto dell’amata?»
Sohravardî
«L’immagine di Dio è la vergine
maschile, non l’uomo o la donna»
Jacob Boehme
Introduzione:
L’ordine iniziatico dei
Fedeli d’Amore è scomparso in Occidente, dalla fine del Medio Evo, vuoi perché
i suoi membri abbiano scelto d’emigrare nei Paesi del Medio Oriente, in Siria o
in Egitto, vuoi perché il loro piccolo numero abbia alla fine scelto la
clandestinità più rigorosa.
Esistono comunque delle prove che si è semplicemente “nascosto” e che resta vivo in Occidente persino fino ai nostri giorni. Naturalmente l’Ordine non esiste più in quanto ordine – perché, dal Medio Evo in poi, non si tratta che di casi isolati, di esperienze individuali. Ma ci si può interrogare su cosa significhi essere un fedele d’amore, adesso che l’Ordine che li riuniva ha palesemente smesso di esistere. In altre parole, essere un fedele d’amore, significa ai nostri giorni l’appartenenza a un ordine costituito come tale, con la sua gerarchia, i suoi riti iniziatici, e il suo linguaggio segreto? René Guénon stesso mette in guardia contro questa confusione a proposito dei Rosa+Croce: «Il termine di Rosa-Croce è in senso proprio la designazione di un grado iniziatico effettivo, il cui possesso, evidentemente, non è necessariamente legato al fatto di appartenere a una specifica organizzazione definita». È lo stesso per ciò che concerne i fedeli d’amore.
Quando si parla della Fedeltà d’Amore bisogna dunque tenere ben presente, certamente un Ordine antico scomparso di cui sono noti alcuni rappresentanti che hanno lasciato delle opere letterarie: Dante, Cavalcanti, ma anche una via e un modo di realizzazione spirituale che alcuni individui, senza dubbio rari, hanno intrapreso dopo che si è «occultato», in condizioni d’altro canto tanto misteriose quanto lo erano all’epoca in cui quest’ordine esisteva: Novalis, Raffaello. Ciò che distingue, in effetti, l’Ordine dei Fedeli d’Amore è la sua disciplina dell’Arcano, il suo “segreto”, il che spiega perché i suoi membri hanno lasciato così poche tracce; tranne naturalmente l’opera intera di Dante, - ma bisogna comunque penetrarne i misteri. Anche su questo punto René Guénon faceva notare che il nostro tempo, per quanto oscuro esso sia in questa fine di kali yuga, e per quanto poco propizio alla conoscenza esoterica, ne permette tuttavia un apprendimento migliore.
Esistono comunque delle prove che si è semplicemente “nascosto” e che resta vivo in Occidente persino fino ai nostri giorni. Naturalmente l’Ordine non esiste più in quanto ordine – perché, dal Medio Evo in poi, non si tratta che di casi isolati, di esperienze individuali. Ma ci si può interrogare su cosa significhi essere un fedele d’amore, adesso che l’Ordine che li riuniva ha palesemente smesso di esistere. In altre parole, essere un fedele d’amore, significa ai nostri giorni l’appartenenza a un ordine costituito come tale, con la sua gerarchia, i suoi riti iniziatici, e il suo linguaggio segreto? René Guénon stesso mette in guardia contro questa confusione a proposito dei Rosa+Croce: «Il termine di Rosa-Croce è in senso proprio la designazione di un grado iniziatico effettivo, il cui possesso, evidentemente, non è necessariamente legato al fatto di appartenere a una specifica organizzazione definita». È lo stesso per ciò che concerne i fedeli d’amore.
Quando si parla della Fedeltà d’Amore bisogna dunque tenere ben presente, certamente un Ordine antico scomparso di cui sono noti alcuni rappresentanti che hanno lasciato delle opere letterarie: Dante, Cavalcanti, ma anche una via e un modo di realizzazione spirituale che alcuni individui, senza dubbio rari, hanno intrapreso dopo che si è «occultato», in condizioni d’altro canto tanto misteriose quanto lo erano all’epoca in cui quest’ordine esisteva: Novalis, Raffaello. Ciò che distingue, in effetti, l’Ordine dei Fedeli d’Amore è la sua disciplina dell’Arcano, il suo “segreto”, il che spiega perché i suoi membri hanno lasciato così poche tracce; tranne naturalmente l’opera intera di Dante, - ma bisogna comunque penetrarne i misteri. Anche su questo punto René Guénon faceva notare che il nostro tempo, per quanto oscuro esso sia in questa fine di kali yuga, e per quanto poco propizio alla conoscenza esoterica, ne permette tuttavia un apprendimento migliore.
Storia
dei Fedeli d’Amore
Vi fu un tempo, in Occidente, nel quale l’Ordine dei Fedeli d’Amore esisteva come
organizzazione iniziatica, e questo tempo resta legato alla storia delle
Crociate. Se si vuole ben considerare, secondo René Guénon, che questa epoca ha
prodotto «attivi scambi intellettuali tra l’Oriente e l’Occidente», se ne
concluderà che l’iniziazione dei fedeli
d’amore li rendeva atti a entrare in relazione con i Fedeli d’Amore
d’Oriente. La causa del fatto che tali scambi si siano interrotti per molti
secoli è la “degenerazione” dell’Occidente in materia di esoterismo. In
compenso il ventesimo secolo ha permesso l’accesso a testi di autori orientali
che erano restati inediti in Occidente. La loro esistenza favorisce adesso una
migliore conoscenza della Fedeltà d’Amore, che è fondamentalmente d’Oriente e d’Occidente. Ciò significa che
l’iniziazione all’ordine dei Fedeli
d’Amore sarebbe diventata possibile? Sarebbe disconoscere la natura stessa
dell’iniziazione – che è trasmissione
– il fatto di credere ciò, e tuttavia René Guénon stesso faceva notare, alla fine
del suo Re del Mondo, che «nelle
circostanze in mezzo alle quali viviamo adesso, gli avvenimenti si svolgono con
una tale rapidità che molte cose i cui motivi non appaiano ancora
nell’immediato potrebbero ben trovare, e anche più di quanto si sarebbe tentati
di credere, delle applicazioni molto impreviste, se non addirittura
imprevedibili.»
D'Oriente
e d'Occidente
La storia della Fedeltà d’Amore in Occidente non si ferma con la
scomparsa o piuttosto con l’occultazione dell’Ordine dei Fedeli d’Amore. Qui
bisogna intendere la parola «Occidente» nel modo in cui ne parla René Guénon in
Oriente e Occidente, per esempio,
come di spazio geografico, di tradizione cristiana in confronto a un «Oriente»
che è di tradizione semitica, musulmana o ebrea. È d’altro canto ciò che spiega
come Henry Corbin ne abbia seguito la traccia in direzione di Ibn ‘Arabî, dei
teosofi e dei poeti persiani, come Rûzbehân Baqlî, Hâfez o ancora Fakhr ‘Erâqî.
Ma la tradizione dei Fedeli d’Amore è anche una tradizione occidentale, nel senso che essa concerne le tre religioni
monoteiste, “abramitiche”, o piuttosto i loro esoterismi rispettivi che sono la
Cabala, tradizione ebraica, l’esoterismo islamico e l’esoterismo cristiano.
Julius Evola e René Guénon sostengono che essa ha il suo equivalente in Estremo
Oriente, specialmente in India.
Comunque sia, la storia dei Fedeli d’Amore s’intende in Occidente al di
là del termine stabilito da René Guénon – che cita anche Boccaccio e Petrarca,
dopo Dante e i Fedeli d’amore. Perciò
conviene qui evocare gli “anelli mancanti della catena” che fanno durare questa
storia fino ai nostri giorni. Poco importa che si chiamino ai nostri giorni col
nome di Fede e Amore, in riferimento
a una raccolta di frammenti filosofici del poeta tedesco Novalis. Si iscrivono
bene nella stessa linea spirituale che è quella dei Fedeli d’amore. Basterà citarne due, un poeta e un pittore, Novalis
e Raffaello: «Il poeta romantico tedesco e il pittore italiano appartengono
alla stessa genealogia spirituale, quella degli artisti visionari che sono
stati iniziati alla Fedeltà d’Amore dall’apparizione provvidenziale, nelle loro
vite, di un certo volto di bellezza, volto umano, come quello di Sofia per
Novalis, che egli ha contemplato con gli occhi dell’anima, o immagine divina, quella della Vergine
Maria, per Raffaello, che ne ricevette una notte la rivelazione.»
A questo proposito ritorna la stessa domanda: perché Henry Corbin non
ne ha fatto menzione? Dato che esistono prove della loro appartenenza alla
linea dei fedeli d’amore. È , per
esempio, Wackenroder che riporta questa citazione da una lettera del pittore
italiano al conte di Castiglione: «Siccome si vedono così poche belle forme
femminili, io tengo nella mente una certa immagine che nasce nella mia anima.»,
o che trascrive qualche foglio di Bramante, a proposito della visione di
un’Immagine della Vergine Maria sopravvenuta una notte a Raffaello.
Bisognerebbe citare integralmente questo testo. Ma ci limitiamo a ciò: «la cosa
più meravigliosa è che gli sembra che quest’immagine era proprio quella che
aveva sempre cercato, sebbene non ne avesse avuto mai altro che un
presentimento oscuro e confuso» e anche «l’apparizione era restata per sempre
incisa nel suo cuore e nei suoi sensi, ed era riuscito quindi a riprodurre i
tratti della Madre di Dio come se questi avessero fluttuato sempre davanti alla
sua anima, e aveva sempre avuto un certo rispetto persino per le immagini che
dipingeva». Se ci dovesse essere un dubbio riguardo alla presenza della Vergine
Maria nell’esperienza iniziatica dei Fedeli d’Amore, si ricorderà con René
Guénon che esistono numerosi simboli iniziatici della Madre di Gesù per i quali
l’applicazione «è perfettamente giustificata per via dei rapporti della Vergine
con la Sapienza e la Shekinah».
Quanto a Novalis, qualche estratto del dialogo di Enrico e Matilde, nel
suo unico romanzo incompiuto, Enrico di
Ofterdingen (1801), permetteranno di comprendere perché è considerato il
rappresentante più puro della tradizione occidentale della Fedeltà d’Amore:
«Tu sei la santa che presenta le mie richieste a Dio, l’intermediaria
attraverso la quale Lui si rivela a me, l’angelo col quale mi fa conoscere la
pienezza del Suo amore. Cos’è la religione, se non un’intelligenza infinita,
un’eterna comunione di cuori amanti? Dove due sono riuniti, Lui è in mezzo a
loro. Ho di che respirare in te eternamente, e il mio petto non finirà mai di
riempirsi di te. Tu sei il divino splendore, la vita eterna nell’involucro più
adorabile».
«Se solo tu potessi vedere come mi appari, che irradiante immagine
emana dal tuo corpo e viene a illuminare i miei sguardi dappertutto, non
temeresti nessuna vecchiaia. La tua forma terrestre non è che un’ombra di
quest’immagine; e certo le forze della terra lottano e si prodigano per
concretizzarla, per confermarla, ma la natura non è ancora sufficientemente
matura: l’immagine è l’archetipo eterno che partecipa al santo mondo
sconosciuto».
In queste condizioni si può affermare che la genealogia spirituale dei fedeli d’amore, in Occidente, non si è
mai interrotta, anche se non è più il caso di parlare qui di Ordine – e d’altro
canto è mai esistito quest’Ordine come tale, non è stato piuttosto
un’organizzazione iniziatica, nel senso in cui l’intendeva René Guénon? Che
questa organizzazione resti sempre attiva, anche se invisibile, «occultata»,
non è per questo di meno che una certezza per alcuni. E ciò è quello che
importa alla fine. Oltretutto la sua esistenza in Occidente è un segno
manifesto dell’appartenenza, ai nostri giorni, dei Fedeli d’Amore d’Occidente a
«un’élite spirituale comune ai tre rami della tradizione abramitica», la cui
etica «ha origine alle stesse sorgenti e si situa alla stessa altezza
d’orizzonte.»
A questo punto si pone un’ultima domanda:
«Riavvicinati in questa comunità di culto e di destino, i Fedeli
d’Amore, quelli d’Occidente e quelli dell’Iran ci fanno meglio distinguere
almeno l’ordito del cammino nel quale si sono tutti impegnati, mistici, poeti e
filosofi. Si chiederà se il percorso della loro Via ha ancora un significato
oltre quello storico, per le condizioni del nostro specifico presente storico?»
Henry Corbin nota che «Non c’è una risposta generale né un programma
teorico che la possa fornire a questo genere di domanda.». Tuttavia esiste una
risposta che è quella data dall’esistenza stessa della Fedeltà d’Amore, ai
nostri giorni, in Occidente, di una tradizione che è restata viva e che è
fondamentalmente una tradizione d’Oriente
e d’Occidente.
L’esperienza
spirituale dei Fedeli d’Amore
«Entra e fa della mia anima
l’ostaggio del tuo amore, affinché la mia fede divenga perfetta»
La
chiamata
Finché il futuro iniziato rimane nel «mondo occidentale» non sa nulla
del suo destino che verrà, se non forse dai presentimenti che avrà avuto
durante l’infanzia – tale fu il caso di Rûzbehân Baqlî. Il suo orizzonte
«orientale» è quindi oscurato, come per i suoi contemporanei, e non ha neanche
coscienza della sua esistenza né quindi del suo «esilio» in questo mondo. È una
circostanza particolare che permetterà al futuro iniziato di scoprire che
esiste un oriente all’orizzonte del
mondo dove vive, per esempio l’incontro con uno straniero che viene da paesi
lontani, e le cui parole risvegliano un’eco misteriosa in lui. Fatto notevole,
come dirà il giovane eroe dell’Enrico di
Ofterdingen di Novalis: «Tutti gli altri l’hanno sentito e ascoltato molto
bene, ma nessuno ha provato una simile emozione… Che sensazione stupefacente, -
della quale non sono nemmeno capace di parlare.» Per ciò che concerne i fedeli
d’amore questa chiamata prende
generalmente le sembianze dell’amore umano – che diventa il punto di partenza
dello sviluppo spirituale del futuro iniziato – è questo il caso del primo
incontro con Beatrice, per Dante, e di quello con Sophie per Novalis. La
chiamata viene quindi effettuata con l’intrusione nel quotidiano del «mondo
occidentale» di qualcosa che proviene dall’orizzonte «orientale» del mondo
visibile. Quando il futuro iniziato prende coscienza di questo orizzonte, si mette in cammino. Non ha ancora
nessun maestro, ma ha la fede in ciò che ha sentito e capito della chiamata –
ed è un movimento volontario – un’aspirazione dell’anima – che lo spinge a
camminare in direzione di questo Oriente. Ma i pericoli sono notevoli e senza un maestro il cammino diventa
rapidamente impraticabile. Può persino condurre a un disastro umano. Infatti, o
chi si è messo in cammino rinuncia e ritorna nel «mondo occidentale» - così il
padre di Enrico di Ofterdingen -, o persiste nella sua marcia ma a rischio
della pazzia. L’esempio più caratteristico di un’iniziazione mancata alla Fedeltà d’Amore è senza
dubbio quello dato dalla pazzia e dalla morte di Gérard de Nerval. Ci si
riferisce ad Aurélia che rintraccia
il cammino tragico del poeta e più specificatamente ai Memorabili: «O Morte! Dov’è
la tua vittoria, posto che il Messia vincitore cavalcava tra noi due? Il suo
vestito era di giacinto sulfureo, e i suoi polsi, così come le sue caviglie,
brillavano di diamanti e di rubini. Quando il suo mantello leggero sfiorò la
porta di madreperla della nuova Gerusalemme noi fummo tutti e tre inondati di
luce. È allora che sono disceso tra gli uomini per annunciare la lieta novella.»
Pertanto senza maestro è impossibile andare molto avanti verso l’Oriente. Per i
fedeli d’amore del Medio Evo
l’iniziazione sarebbe stata conferita da un maestro visibile, appartenente
all’Ordine, ma i documenti mancano completamente, e se ci si tiene alle
esperienze rispettive dei fedeli d’amore, sia in Occidente che in Oriente, si
potrebbe dubitare dell’esistenza di una tale iniziazione. Dante evoca Amore, si
sa che Novalis ricevette l’iniziazione dall’angelo di Sophie, Sohravardî
s’inventa una genealogia spirituale, etc.
L’iniziazione
Esistono in Occidente dei maestri «invisibili», nel senso che hanno
abbandonato la manifestazione terrestre, ma che, siccome hanno appartenuto
effettivamente a questi ordini, sono qualificati a conferire l’iniziazione e a
comunicare un’influenza spirituale. Naturalmente questi iniziati non sono in
grado di conferire a loro volta un’iniziazione che hanno ricevuto in un modo
speciale che riguardava solo loro.
Esistono in Oriente dei maestri visibili o invisibili che appartengono
a genealogie spirituali «parenti» - che sono la causa del come nel Medio Evo
gli ordini esoterici cristiani abbiano potuto entrare in relazione con gli
ordini orientali.
C’è soprattutto un certo «incontro» dell’Oriente con l’Occidente,
vissuto nel segreto del cuore, che
autorizza l’iniziato a entrare in contatto col suo Maestro interiore e di conseguenza a progredire verso gli stati superiori
dell’essere, per riprendere la terminologia di René Guénon. È così che è
possibile conoscere il proprio Signore.
La Vita nova di Dante
descrive molto precisamente le diverse tappe dell’iniziazione alla Fedeltà
d’Amore e del "l’illuminazione" che dà accesso all’amore appassionato
o di passione che è l’amore dei fedeli
d’amore e che non bisogna confondere con l’amore passione dei romantici.
L’amore appassionato dei fedeli d’amore
non è evidentemente una fatalità. Il capitolo IX del Vademecum dei Fedeli d’Amore di Sohravardî ne dà un riassunto:
All’origine di ogni iniziazione all’Ordine dei Fedeli d’Amore si trova
un’esperienza amorosa – che è il punto di partenza di uno sviluppo spirituale
nel corso del quale l’amore diventerà un amore di passione. Ma questo sviluppo
resta riservato a un piccolo numero: «Amore non apre a chiunque la via che
conduce a lui». Come per ogni iniziazione l’essere che è stato preso ne deve
manifestare le disposizioni. Ma dopo che l’Amore è venuto a constatare che vi
sono le attitudini, «invia a lui Nostalgia che è la sua confidente e la sua
delegata, affinché costui purifichi la sua dimora e non vi faccia entrare
nessuno». Si tratta quindi di una prima tappa nello sviluppo personale
dell’essere sinceramente preso che è quella dell’iniziazione. In seguito
«bisogna che Amore faccia il giro della dimora e scenda fino alla cella del
cuore. Distrugge alcune cose; ne costruisce delle altre; fa passare per tutte
le varianti del comportamento amoroso». È al termine di questa seconda tappa che
si produce «l’illuminazione» – che è ciò che simbolizza il Cuore gentile secondo Dante, cioè «il cuore purificato, dunque
vuoto di tutto ciò che concerne gli oggetti esteriori, e per ciò stesso reso
atto a ricevere l’illuminazione interiore». Allora Amore «si decide a recarsi
alla corte della Bellezza». In quest’ultima tappa l’essere che è stato preso
dovrà conoscere «le tappe e i gradi per i quali passano i fedeli d’amore» e
soprattutto dovrà «dare il suo assenso totale all’amore». È a questa condizione
che l’iniziato diviene un fedele d’amore
ed «è solo dopo di ciò che verranno date le visioni meravigliose».
Ma l’iniziazione stessa è una commozione
legata all’amore ispirato dalla bellezza nascosta dell’essere amato. È ciò che
vuole esprimere Rûzbehân Baqlî quando dice: «Tu sei per me l’apparizione della
bellezza, o mia amica». Certo, non è l’essere amato che conferisce
l’iniziazione, e non è nemmeno l’amore stesso, lo è invece l’amore ispirato dalla bellezza nascosta dell’essere amato, perché
questo amore fa conoscere la sua bellezza nascosta; in altri termini gli fa
vedere il suo angelo e da quel
momento egli è introdotto nel Oriente.
In tutte le iniziazioni alla Fedeltà d’Amore non si tratta in fondo di altro
che dell’angelo di una persona amata della quale esistenza storica non si può
nondimeno dubitare. Ogni volta, è il suo angelo
che agisce e da cui viene preso il fedele d’amore, cioè dalla bellezza nascosta
dell’essere amato. In un passo della sua Immaginazione creatrice nel sufismo di
Ibn ‘Arabî, Henry Corbin nota molto giustamente: «Il teofanismo ignora il
dilemma perché è tanto lontano dall’allegoria che dal senso letterale;
presuppone l’esistenza della persona concreta, ma l’investe di una funzione che
la trasfigura, in quanto essa viene percepita alla luce di un altro mondo
" (p.47).
Succede a volte che l’angelo dell’essere amato e l’iniziatore – colui
che si chiama il maestro invisibile –
siano un solo e uno stesso volto di bellezza. È allora questo maestro che
conferisce l’iniziazione. Si tratta qui di un caso molto particolare
d’iniziazione all’ordine dei fedeli d’amore. Come regola generale la bellezza
stessa dell’essere amato è sufficiente a conferire l’iniziazione, perché essa
viene vista con gli occhi dell’anima. Bisogna comprendere che non tutti i
fedeli d’amore fanno l’esperienza di questa bellezza alla stessa età o, se si
vuole, che questa esperienza, quando arriva, si rivolge a degli uomini che non
hanno raggiunto lo stesso grado di sviluppo spirituale. Comunque sia, si tratta
sempre di una giovane donna «reale» e del suo angelo che appare al fedele d’amore quando egli contempla la sua
bellezza dall'Oriente e non più dal mondo terrestre.
«Dopo che furono passati abbastanza giorni perché fossero compiuti nove
anni esatti dall’apparizione, qui descritta, di questa molto gentile, avvenne,
l’ultimo di questi giorni, che questa ammirevole dama mi apparve vestita tutta
di bianco in mezzo a due dame più anziane; e, passando per la strada, lei volse
gli occhi dal lato ove me ne stavo tutto timoroso; e con quella ineffabile
cortesia che oggi viene ricompensata nel secolo senza fine, lei m’indirizzò un
saluto di così grande effetto che io credetti di vedere gli estremi limiti
della beatitudine.» (Vita nova, III).
Si sa che questo incontro era stato preceduto da una prima apparizione di
Beatrice, che aveva allora 9 anni, - è la Chiamata – e che fu seguito
immediatamente dopo da un sogno misterioso dove la stessa Beatrice apparve al
poeta tra le mani di Amore. Questo sogno costituisce l’iniziazione di Dante
alla Fedeltà d’Amore.
Tutta l’esperienza di fedele d’amore di Ibn ‘Arabî – che l’ha descritta
nel suo Interprete dei desideri –
procede nella stesa maniera alla vista di una giovane donna da cui è preso:
«Quando durante l’anno 1201 soggiornavo alla Mecca, frequentavo una società di
persone eminenti, uomini e donne, che formavano un’élite tra le più colte e
virtuose. Per quanto grande fosse la loro distinzione, non vidi tuttavia tra di
loro nessuno che uguagliasse il saggio dottore e maestro Zâhir ibn Rostam,
originario di Ispahan ma che aveva preso residenza alla Mecca (…). Ora, questo
sceicco aveva una figlia, un’agile adolescente che incatenava gli sguardi di
chiunque la guardasse, la cui sola presenza era l’ornamento delle assemblee e
meravigliava fino allo stupore chiunque la contemplasse. Il suo nome era Nezâm
(Armonia) e il suo soprannome «Occhio
del Sole e della Bellezza». Saggia e pia, aveva esperienza di vita spirituale e
mistica, e personificava la venerabile anzianità di tutta la Terra santa e la
giovinezza ingenua della grande città fedele al Profeta.»
È proprio durante un soggiorno alla Mecca che Rûzbehân farà
l’esperienza della bellezza dell’angelo sotto le spoglie di una giovane donna
di cui terrà nascosto il nome. I soli tratti che possiamo immaginare sono la
sua estrema bellezza, stando a quanto Rûzbehân ci dice, e la sua cultura
spirituale che traspariva in tutto il primo capitolo del Gelsomino dei fedeli d’amore. Questa prova d’amore accadde a
Rûzbehân quando era già molto avanzato nella via mistica, il che spiega che
quando si era impegnato a «comprendere il segreto della forma umana», «con gli
occhi dell’intelligenza», mise un giorno «gli occhi del (suo) corpo» al
servizio degli «occhi del suo cuore»:
«Ed ecco che vidi davanti a me una bella e affascinante fata la cui
grazia e bellezza conducevano al potere dell’amore tutti gli esseri di questo
mondo. (…) La guardai dal sentiero ceh ella seguiva con graziosa fierezza, e
gettando dal volto della mia devozione il velo del pudore, m’indirizzai
mentalmente a lei improvvisando questi versi:
Al di là dell’essenziale, al di là dell’accidentale / Tu sei lo scopo
di tutti gli esseri./ Trono e tappeto sono la tua corte reale, / Tutta la
Creazione è come un laboratorio per i tuoi propositi.
(…) Nell’incanto del mio cuore le dissi: «Tu fai parte della compagnia
dei mistici fedeli d’amore, o bella icona! Perché tu ne sei eminentemente
degna, anche se non partecipi con noi all’abbeveraggio dell’amore
nell’assemblea dell’estasi».
Da questi due esempi si deve dedurre la realtà dell’amatissima che non
è certo un’allegoria, ma che è proprio una persona vivente la cui bellezza
provoca l’amore nel cuore del fedele d’amore. Se ne deve dedurre anche che
questa bellezza è una bellezza nascosta, che scopre il fedele d’amore, perché
l’amore ha aperto in lui gli occhi dell’anima, per riprendere un’espressione di
Hâfez Shîrazî. È proprio quello che lascia capire questo passo del Mathnawî
di Rûmî, a proposito dei più celebri amanti della letteratura araba, Majnûn e
Layla: «Harun aveva sentito parlare dell’amore di Majnûn [Qays] per Layla e
desiderava vedere questa famosa bellezza. Avendo fatto venire Layla, non la
trovò per niente straordinaria. Chiamò allora Majnûn e gli disse: " Questa
Layla, la cui bellezza ti ha messo in questo stato, non è così bella come
credi." Majnûn rispose: "La bellezza di Layla è senza difetti, ma il
tuo occhio è fallace. Per riconoscere la sua bellezza bisogna avere l’occhio di
Majnûn » (I, 407-408).
«L’illuminazione»
Dall’Oriente all’Oriente
dell’anima
«Tengo il segreto della tua
bellezza nel più segreto del mio cuore.
Il mio cuore resta in silenzio se mi
si domanda il segreto del tuo Nome.»
Man mano che il fedele d’amore progredisce nella sua esperienza
amorosa, si muove nell’ambito di quell’Oriente che percorre da un capo
all’altro. Nel corso di questa peregrinazione che si compone di tutte le
vicissitudini che formano l’amore umano, è effettivamente la persona amata che
si trasfigura, fino alla
«illuminazione» del fedele d’amore stesso, che costituisce la visione dell’Angelo, perché «l’amore
tende alla trasfigurazione della figura terrestre amata, avvicinandola alla
luce perché ne faccia sbocciare tutte le potenzialità sovrumane, fino a
investirla della funzione teofanica dell’Angelo» (Henry Corbin, L’immaginazione creatrice nel sufismo di Ibn
‘Arabî, p.123).
All’inizio di questo viaggio nell’Oriente non è questione di altro che
dell’amore spirituale, «primo gradino del Malakût
(o Oriente)», e come nota Rûzbehân Baqlî, «è proprio questo amore che si offre
all’ammirazione secondo la dottrina o la «religione dei Fedeli d’Amore». Ma ben
presto il fedele d’amore viene preso da un altro amore, che è «l’amore
intellettuale», «quando questo intelletto progredisce sotto la protezione
dell’anima pensante nel mondo di Malakût»
e che «si manifestano gli «effluvi» del mondo dello Jabarût (o Oriente dell’anima)». È qui che si trova l’inizio
dell’amore divino, «che è la vetta delle vette», e, precisa Rûzbehân Baqlî, «la
fase finale non potrà sorgere che grazie alla visione contemplativa di un
essere di bellezza e maestà.»
Di ciò che chiamiamo «illuminazione», visione dell’Angelo, o «visione
contemplativa di un essere di bellezza e maestà», per riprendere l’espressione
di Rûzbehân Baqlî, i fedeli d’amore ne fanno l’esperienza in modo singolare, ma
sempre con delle modalità identiche: apparizione di un essere di bellezza
trasfigurato che assomiglia all’amatissima o visione dell’amatissima sotto le
spoglie di un Angelo che le rassomiglia. In tutti i casi si tratta proprio
della Figura teofanica di cui
l’amatissima è l’annunciatrice. Richiamiamo due esperienze viste e raccontate,
la prima di Ibn ‘Arabî, la seconda di Dante.
Ibn ‘Arabî
«Una notte, stavo compiendo le deambulazioni circolari di rito intorno
al Tempio della Ka’ba. Il mio spirito godeva di una pace profonda; una dolce
emozione di cui avevo perfettamente coscienza si era impadronita di me. Uscii
dalla superficie in pietra, a causa della folla che vi si pressava, e continuai
a circolare sulla sabbia. Improvvisamente mi vennero in mente alcuni versi; li
recitai a voce abbastanza alta per essere sentito non solo da me stesso ma
anche da qualcuno che mi avesse seguito, supponendo che ci fosse stato lì
qualcuno.
Ah ! sapere se esse sanno quali
cuori hanno posseduto!
Come il mio cuore vorrebbe
saper quali sentieri di montagna esse hanno preso!
Devi crederle sane e salve, o
credere che sono perite?
I fedeli d’amore restano
perplessi nell’amore e esposti a tutti i pericoli.
Avevo appena finito di recitarli che sentii sulla spalla il contatto di
una mano più dolce della seta. Mi voltai e mi trovai in presenza di una giovane
donna, una principessa tra le figlie dei Greci. Non avevo mai visto una donna
con un volto più bello, che parlava più soavemente, col cuore più tenero, con
le idee più spirituali, con le allusioni simboliche più sottili… Lei superava
tutte le persone del suo tempo in finezza di spirito e in cultura, in bellezza
e in sapere.»
Dante
Si incontra la stessa situazione nell’esperienza di Dante, così come ce
la racconta nella sua Vita nova. Un
giorno che è «seduto e tutto assorto da qualche parte», sente nascere nel suo
cuore un tremito e gli sembra che Amore gli dica, con grande allegria: «Pensa a
benedire il giorno in cui ti ho preso, perché lo devi». « E in verità, continua Dante, sentivo il mio cuore
così gioioso che non mi pareva fosse il mio, da tanto che era nuovo il mio
stato. E poco dopo che il cuore mi ebbe detto queste parole con linguaggio
d’amore, vidi venire verso di me una gentile dama, di rinomata bellezza». Il
nome di questa dama è Giovanna, ma il suo soprannome è Primavera. «Guardando dietro di lei, continua Dante, vidi venire l’ammirevole Beatrice. Queste dame
passarono vicino a me, una dopo l’altra, e mi sembrò che Amore mi dicesse nel
mio cuore: «La prima è chiamata Primavera, solo a causa di questa sua venuta di
oggi; perché sono stato io a spingere colui che le ha dato questo nome a
chiamarla Primavera, che vuol dire «prima
verrà», il giorno in cui Beatrice si mostrerà alla visione del suo fedele.
E se inoltre vuoi considerare anche il suo nome originale, è più che dire che
verrà prima, poiché il suo nome «Giovanna» deriva da quel Giovanni che
precedette la Vera Luce dicendo: Io sono
la voce che grida nel deserto, preparate la via del Signore. Mi sembrò che
mi dicesse ancora queste parole: «E chi volesse vedere con ancora più
penetrazione, chiamerebbe questa Beatrice: Amore,
tanto è grande la sua somiglianza con me».
L’«illuminazione» dei fedeli d’amore è quindi vedere l’Angelo, è contemplare la giovane donna che assomiglia alla
propria anima sotto la sua Forma teofanica, ed è anche vedere il volto di bellezza dell’Essere divino di cui il volto trasfigurato dell’essere amato porta i
tratti, come conferma Rûzbehân Baqlî: «Sono
penetrato nel mistero della Bellezza nell’immagine umana che mi offriva questa
fidanzata, nella maestosità che rendeva così imponente la grazia della sua
natura innata».
Ma vedere l’Angelo, è anche
riconoscere il maestro interiore che
investe il fedele d’amore della sua dignità ed è comprendere che egli è il
proprio Testimone in Cielo. Ora questo
maestro porta appunto i tratti «annunciatori » del volto dell’amatissima.
È infine vedere il volto dell’Amico, sotto le apparenze di Sofia, della Sapienza cristica, hikmat ‘isawîya, come dice Ibn ‘Arabî, o
della Sapienza divina, secondo la parola di Jacob Boehme: «La sapienza divina è
la Vergine eterna non la donna, è la purezza immacolata e la castità, ed appare
come l’immagine di Dio e l’immagine della Trinità»
Questo volto che è la bellezza nascosta dell’essere amato e che è anche
il volto dell’iniziatore, del maestro invisibile, è lo stesso volto che
permette di vedere l’Angelo, il volto
del Maestro interiore, dell’Amico,
che è anche il volto di Dio stesso, la faccia divina che mostra al fedele
d’amore quando questi vede la bellezza dell’essere amato tale e quale come la vede Dio. È quindi sempre lo stesso volto,
visto sia con gli occhi dello spirito (amore divino), sia con gli occhi
dell’anima (amore spirituale). È quello che farà dire a Semnanî, nel suo Giornale spirituale: «Sappi di scienza
certa, o cercatore che aspiri alla conoscenza certa, che da venticinque anni
vedo il mio Angelo, nei miei incontri visionari, sempre sotto la stessa forma;
mai l’ha scambiata con un’altra; mai è diversa. Certo, succede che questa forma
sia a volte più debole, a volte più intensa; a volte sembra sofferente e a
volte irraggiante forza; la sua bellezza aumenta a seconda della purezza delle
mie azioni, e diminuisce se qualche impurità le appanna. (…) Se non fosse che
fantasia immaginaria, non persisterebbe così identica sotto una stessa forma»
A questo livello, dove la sapienza divina si manifesta sotto le
apparenze di un Angelo di forma umana, «conoscersi, è conoscere il proprio
Signore», cioè il Dio che si manifesta, il proprio Signore, detto anche il
Cristo stesso.
Ma esiste una tappa supplementare in questa conoscenza di sé, più
intima, anche meno «comunicabile», che è quella che sperimentano i fedeli
d’amore quando la figura dell’Imam si sovrappone a quella del Cristo: «colui
che conosce il suo Imam, conosce il suo signore.» Tuttavia questa tappa
appartiene al «segreto» dei fedeli d’amore. Se ne può dire soltanto questo:
È nel segreto [al-sirr] del
cuore che nasce l’Amore. Quando ne sono presi, i fedeli d’amore dissimulano il
loro segreto, lo depositano nel loro cuore come un tesoro nascosto, ed è nel
più profondo dell’anima [sirr al-sirr]
che contemplano il volto dell’Amata. Non esiste pertanto amore fedele se non
vissuto segretamente: sono allora due cuori uniti da un duplice segreto, il
loro amore clandestino e il Segreto del loro amore.
È quindi con gli occhi dell’anima che il fedele d’amore contempla
l’Amico, nell’intimità della sua coscienza, nella solitudine dell’Amore, e il
suo Segreto è un segreto tra lui e Dio.
Il
Maestro del Silenzio
«Mantieni il silenzio, affinché
il nostro silenzio dica: “È lui l’origine della parola, il Sultano delle
parole”.
Rûmî, Odi mistiche, 1039
«Ogni essere ha il suo Loto del limite», dice Semnânî, e spetta solo
agli adepti oltrepassare questo limite, a coloro tra i fedeli d’amore che hanno
raggiunto «l’esoterico dell’esoterico» dove l’Amore e le Conoscenza cessano di
distinguersi per formare una sola gnosi amorosa, «alla vetta della gerarchia»,
quindi, «al principio comune» dal quale la via dell’Amore e la via della
Conoscenza «traggono i loro rispettivi attributi». È così che si entra in
questa Conoscenza dove «conoscere il proprio Sé è conoscere il proprio
Signore». È anche l’accesso al «puro amore», in altri termini a quel «legame
intimo che è estraneo al mondo della natura». Ecco cosa ne dice Rûzbehân Baqlî:
«Si sa tra gli uomini e si comprende tra gli gnostici in che modo questo amore
non sia corporeo, ma che non sia altro che l’azione del Creatore quando vuole
guidare un eletto ai bordi dell’invisibile o del mondo del mistero, e lo
proietta nel sentimento innato di questa persona e le permette di vedere con
gli occhi dell’anima le bellezze delle opere divine»
Per ritornare al Loto del limite,
esiste un limite al di là del quale il fedele d’amore si trova, «Qual è 'l
geometra che tutto s'affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, /
pensando, quel principio ond’elli indige», come dice Dante, nel suo ultimo
capitolo della Divina Commedia
(133-135). Ma per chi ha raggiunto «il centro divino che è al di là di tutte le
sfere»:
«A l'alta fantasia qui mancò
possa;
ma già volgeva il mio disio e
'l velle,
sì come rota ch'igualmente è
mossa,
l’amor che move il sole e
l'altre stelle»
Ciò che segue quindi alla visione
dell’Angelo nell’esperienza dei fedeli
d’amore appartiene al Silenzio, a qual che si opera nel «segreto del
segreto», che costituisce la parte più intima dell’essere. È la conoscenza del
«Maestro del Silenzio», che annuncia l’Angelo, ma come «qualcosa su cui il
mistico manterrà il silenzio». Questo Silenzio che è anche una «immutabilità»,
prefigura in qualche modo l’accesso del fedele d’amore all’Oceano divino, a
quell’Oceano della Divinità che Ibn ‘Arabî chiamava con i suoi voti: «Fammi
entrare, o Signore, nelle profondità dell’Oceano della tua unità infinita».
Tratto da: http://www.moncelon.com
I FEDELI D'AMORE
RispondiEliminaMolto bello
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