Franco
Galletti
Il percorso di Dante nei tre mondi - Le due vie
“...Per tornar altra volta
là dov’io son, fo io questo viaggio”[1]
Con questi versi Dante risponde al caro
amico defunto, il musicista Casella, che sulla spiaggia del Purgatorio gli ha
chiesto la ragione del suo viaggio nell’al di là. Dovremo tentare di
approfondire queste poche parole, perché Dante non dà molte spiegazioni sulla
natura e sullo scopo del suo percorso, se si eccettuano le criptiche allusioni
del I Canto dell’Inferno, che ora preliminarmente richiameremo.
Le
due vie e le due vite
Smarritosi nella “selva oscura”,[2] che è la
“selva erronea di questa vita”,[3] Dante
intravede una via d’uscita: un monte già investito, alle spalle, dai primi
raggi del sole. Come tutti sanno, il suo cammino è però impedito da tre fiere,
che, fin dai più antichi commenti, sono state identificate con le umane
passioni. U. Foscolo e R.L. John[4] hanno
invece riconosciuto nelle tre fiere dantesche una reminiscenza biblica, quella
delle belve che assediano Gerusalemme.[5] Partendo
da questa e da altre corrispondenze, e prendendo spunto da un’idea già
formulata da A. De Gubernatis,[6] il John
ha identificato il monte investito alle spalle dal sole col monte Sion di Gerusalemme,
e la valle delle tre fiere con quella detta di Giosafat, formata dal torrente
Kidron tra il Sion e il Monte degli Ulivi. In effetti, nel corso del poema si scoprirà
che il monte del Purgatorio, raggiunto da Dante oltrepassando il centro della terra,
è agli antipodi di Gerusalemme, da cui il Poeta sapeva perfettamente di essere partito.[7] Sopraggiunge
allora l’ombra di Virgilio, che chiede a Dante perché mai egli stia regredendo
verso il luogo tenebroso dal quale era fuggito, invece di salire il “dilettoso
monte”[8] che si
trova di fronte. Saputo che proprio le fiere, e in particolare la terza,
sbarrano il cammino di Dante e lo risospingono indietro, Virgilio gli dice che dovrà
“tenere altro viaggio”:[9] anche
questo viaggio, del resto, comporterà la salita di un monte, che è appunto il
monte del Purgatorio, indicato nella Commedia come ‘santo monte’, ‘sacro monte’
o ‘monte’ per antonomasia. Ci limitiamo qui a un breve accenno sul significato
allegorico della lupa, la terza fiera così pericolosa per Dante, nella quale
già G.G. Dionisi,[10] e dopo
di lui il Foscolo[11] e altri
ancora, videro raffigurata Roma (città della lupa), o meglio la Curia romana:
questa interpretazione va inquadrata nell’ambito della presunta affiliazione
templare di Dante, e va messa in rapporto con la persecuzione che i Templari
avevano subito da parte della Chiesa romana e del re di Francia.[12] Sia che
la lupa rappresenti Roma, o invece la cupidigia, come viene più comunemente
interpretato, o anche tutte e due le cose, sta di fatto che si determina, nel
canto introduttivo della Commedia, l’alternativa tra due percorsi: il “corto
andar”[13] del
“dilettoso monte”,[14] il cui
accesso è però sbarrato, e l’“altro viaggio” del ‘santo monte’ indicato da
Virgilio.
È merito del Pascoli[15] avere
approfondito il tema di questi percorsi, già identificati dal Rossetti, e
averne tratto l’interpretazione dal Convivio. Qui Dante dice che “esistono in
questa vita due felicitadi, secondo due diversi cammini, buono e ottimo, che a
ciò ne menano: l’una è la vita attiva, e l’altra la contemplativa; la quale,
avvegna che per l’attiva si pervegna, come detto è, a buona felicitade, ne mena
[quella contemplativa] ad ottima felicitade e beatitudine”.[16] Nella
Commedia queste due vie o vite sarebbero simbolizzate da Lia e Rachele, le due
spose del patriarca Giacobbe,[17] e il
loro compimento da Matelda e Beatrice, figure femminili emblematiche,
rispettivamente, del Paradiso terrestre e di quello celeste. Sempre seguendo il
Pascoli, si è indotti a vedere nella vita attiva la prassi di una vita virtuosa
e ortodossa e a ciò, in definitiva, corrisponderebbe l’ascesa del ‘dilettoso
monte’; d’altro lato la vita attiva corrispondente alla salita del ‘santo
monte’ del Purgatorio rappresenterebbe invece quella perfetta vita attiva la
cui prassi conduce alle soglie della vita contemplativa, corrispondente nella
Commedia all’ascesa ai cieli. Queste considerazioni sono sostanzialmente
condivisibili, ma perché il Poeta avrebbe così copertamente indicato due
diverse forme di vita attiva? Vedremo di approfondire questo tema alla ricerca
di contenuti interessanti nell’ottica degli studi tradizionali.[18]
Le
due porte e le due vie in Boccaccio
Possiamo trovare una conferma indiretta
dell’importanza della distinzione fatta dal Pascoli in un poemetto di Giovanni
Boccaccio, L’amorosa visione: questo componimento, con le sue numerosissime
citazioni dalla Commedia, è anzitutto un omaggio a Dante, ma rappresenta anche,
come è stato osservato da molti critici, un calco poetico del Purgatorio
dantesco.
Lo riassumiamo brevemente: il Boccaccio
ha una visione nella quale, fuggendo su una spiaggia da non si sa quale
pericolo, incontra una donna che gli indica la porta de “la via che ci merrà al
grazioso gioco”: porta che è “piccioletta assai” e “istretta” tanto da dare
l’impressione che nessuno ci sia mai passato; essa reca una scritta che dice:
“questa piccola porta mena a via di vita”. Lì vicino vi è pure una “porta
grande aperta”[19]
verso la quale il poeta si sente subito attratto, malgrado la donna l’avverta
che le cose che si trovano dietro di essa sono tali da nascondere i beni eterni.
Il Poeta entra per la porta grande, e passa per ampie sale splendidamente affrescate
che raffigurano, in modo da sembrare quasi vivi, i grandi personaggi della storia,
del mito, dell’arte, della filosofia, della letteratura, etc. Contrariamente a quanto
ci si attenderebbe avendo in mente la distinzione evangelica tra porta ampia della
perdizione e porta stretta della salvezza, nulla di peccaminoso si trova
dipinto nelle sale attraversate dal poeta al di là della porta ampia; anzi molti
dei personaggi raffigurati sono stati grandi e virtuosi, ed egli si accorge che
anche Dante è particolarmente onorato in quel mondo grande e festoso.
Proseguendo, il poeta entra in un bellissimo giardino, sempre contro il parere
della donna che comunque non cessa di accompagnarlo, ed è qui che a un certo
momento, colpito da contrizione, è finalmente disponibile a seguire la sua
Guida, prendendo su di sé il carico di pena che questo comporta, e pur “non
sappiendo a che termine mai si dovesse finire”.[20]
Infine, dopo un lungo periodo di servitù
amorosa, stupefatto e felice il poeta si trova finalmente ad abbracciare la
donna, ma essa deve lasciarlo per affidarlo a un’altra, che di fatto è lei
stessa, la Guida che il Boccaccio si trova di fronte, reale, al risveglio dalla
sua visione.
Le
due vie nel medioevo
Dante e Boccaccio non hanno certo
inventato il tema delle due vie o vite, che ha origini remote. La riflessione
medievale su questo tema prendeva le mosse da Platone[21] e dall’Ethica nicomachea[22]
di Aristotele, con la sua distinzione tra praxis
(= azione) e theoría (=
contemplazione); è ai fini di quest’ultima che per Aristotele “l’uomo deve
farsi immortale, nella misura del possibile, per vivere secondo la parte più elevata
che è in lui”.[23]
Sono qui riconoscibili i concetti illustrati da Ierocle nel suo commento ai Versi aurei attribuiti a Pitagora, e
l’origine pitagorica della distinzione tra le due vite è stata affermata anche
da Cicerone.[24]
Boezio, autore conosciuto e amato da Dante, nella sua Consolatio Philosophiae aveva descritto sulla veste della Filosofia,
immaginata come una donna, una scala verticale avente un pi greco alla base e una theta
al vertice, corrispondenti appunto alle iniziali di praxis e theoría,[25] e aveva
improntato gran parte di quest’opera al tema delle due vite. Tale tema, a ben vedere,
era adombrato anche nella regola dei Benedettini: l’espressione ora et labora, anche se posteriore a S.
Benedetto, è senza dubbio in linea con la Regula
da lui fissata, e sembra riecheggiare la distinzione dei Romani tra otium (tempo dedicato allo studio e alla
devozione) e negotium (tempo dedicato
alle attività esteriori). Dante conosceva sicuramente anche la trattazione
sulle due vite fatta da S. Gregorio Magno,[26] e la
sua interpretazione in tal senso delle figure di Lia e Rachele nell’Antico Testamento,
e di Marta e Maria nel Nuovo; né di certo ignorava l’identica interpretazione
di queste figure data da Gioacchino da Fiore, che anzi aveva sostenuto che il
tema delle due vie ricorre nella sacra scrittura ogni volta che vengono
nominati due uomini o due donne.[27]
S. Tommaso, nei capitoli della Summa theologiae relativi alle due vite,[28] più volte
aveva richiamato i testi di S. Gregorio, oltre all’Ethica aristotelica. Secondo
le limpide espressioni dell’Aquinate “la vita attiva e la contemplativa si
distinguono secondo le diverse propensioni di uomini che si applicano a diversi
fini, il primo dei quali è il dirigere l’attenzione alla verità, che è il fine
della vita contemplativa, l’altro l’applicarsi alle opere esteriori, rispetto
al quale è ordinata la vita attiva”.[29]
Platone aveva messo in relazione il
genere di vita praticato con la tripartizione dell’anima (razionale, irascibile
e concupiscibile); perciò la contemplazione era attribuita eminentemente ai
chierici e ai monaci, la cui vita esprime soprattutto l’anima razionale, e
l’attività alla casta cavalleresco-nobiliare, la cui vita esprime prevalentemente
l’anima irascibile (ma anche al terzo stato, la cui vita esprime più che altro
l’anima concupiscibile).[30] Si
conferma perciò, in Dante come più generalmente nel pensiero medievale,
l’esistenza di una polarità che può essere così schematizzata: ‘prassi –
teorìa’; ‘azione – contemplazione’; ‘nobiltà – clero’, e quindi anche ‘imperium
– sacerdotium’. Però il tema delle due vie assume qui un significato particolare,
che dobbiamo ulteriormente approfondire; possiamo prendere le mosse dal
poemetto di Boccaccio, esaminando ora la polarità ‘via ampia - via stretta’,
che nel poemetto è particolarmente enfatizzata.
La
via ampia e la via stretta, la via della destra e quella della sinistra
Numerosi testi della tradizione ebraica[31] e
cristiana[32]
concordano nel descrivere una porta o via ampia, di perdizione e di morte, e
una stretta, di salvezza e di vita. Dobbiamo giungere a Clemente d’Alessandria
(vissuto all’incirca nel 150-215 d.C.) per incontrare, in ambito cristiano, un
altro significato da dare alle due vie: la via ampia rappresenta l’ortodossìa
con la sua prassi devozionale, e quella stretta un percorso spirituale, da
Clemente identificato con la via regia citata nell’Antico Testamento, che
dell’ortodossìa rappresenta la prassi più interiore; si tratta di una via iniziatica
che – senza uscire dall’alveo della tradizione apostolica - conduce alla contemplazione
del Mistero divino.[33] Le due
vie saranno concepite nello stesso modo dall’esoterismo islamico, nel quale
alla Sharica (=grande via), che rappresenta l’osservanza prevalentemente
esteriore dell’ortodossìa, si giustapporrà la tariqa (=sentiero) della verità
essenziale, più interiore e riservata agli iniziati.[34] Numerosi
passi di Clemente, sui quali non è necessario soffermarci in questa sede,
stabiliscono all’interno della via iniziatica una distinzione di livelli;
adottando il linguaggio dei culti misterici, Clemente distingue infatti tra
Piccoli e Grandi Misteri. Sono stati dunque formulati diversi aspetti di
‘larghezza’ e ‘strettezza’ del percorso, che possiamo così riassumere: la porta
o via della perdizione è ampia, quella della salvezza è stretta; quest’ultima può
introdurre a una via relativamente ampia, che è la vita condotta
nell’osservanza e nell’ortodossìa, e una più ristretta, iniziatica (e
presumibilmente è in questo senso che la polarità tra via ampia e via stretta
deve essere intesa nel poemetto di Boccaccio); nella via iniziatica, a sua
volta, c’è una via dei Piccoli Misteri (corrispondente alla vita attiva, intesa
in un’accezione più elevata), e una che può essere denominata dei Grandi
Misteri (alla cui realizzazione tende la vita contemplativa, secondo la
trasposizione iniziatica di questo termine). A noi sembra che tutti questi
ordini di significato siano rappresentati nella Commedia. Ricordiamo anzitutto
che l’accesso all’Inferno avviene per una grande porta spalancata,[35] il che
non crea alcun problema rispetto alla più comune interpretazione della porta
ampia e della via ampia come percorso di perdizione. La via stretta è invece
quella del Purgatorio, che a un primo livello sta a rappresentare la via della
salvezza,[36]
e a un secondo livello di significato la via iniziatica (più precisamente, come
vedremo, la via dei Piccoli Misteri).
Nella stessa chiave di lettura è notevole
che il senso di rotazione nella discesa agli inferi e nell’ascesa del ‘santo
monte’ sia stato più volte specificato da Dante. La discesa verso sinistra
(cioè in senso orario) è attestata da numerosi passi dell’Inferno;[37] l’ascesa
del Purgatorio si effettua invece sempre salendo a mano destra, cioè in senso
antiorario.[38]
Vediamo in questo, ancora una volta, raffigurate le due vie, della sinistra e
della destra, che qui sono chiaramente correlate al tema escatologico della
perdizione e della salvezza; esse richiamano al tempo stesso le due vie dell’al
di là descritte nel VI libro dell’Eneide, e il tema evangelico della destinazione
delle ‘pecore’ e dei ‘capri’, rispettivamente alla destra e alla sinistra di Cristo
dopo il Giudizio universale.[39] Accanto
a queste non mancano nel poema altre allusioni, una delle quali, a nostro
avviso, riguarda il “folle volo” di Ulisse, che di necessità doveva concludersi
disastrosamente, perché l’eroe procedeva “dal lato mancino”, avendo volto la
poppa “nel mattino”:[40] la sua
nave dava le spalle alla direzione dalla quale il Sole sorge a illuminare il
mondo, mentre un percorso spirituale deve procedere dall’ombra verso la luce, e
l’Occidente non può rappresentarne simbolicamente la meta. Che l’itinerario del
Purgatorio sia la via stretta alla quale si accede da una porta stretta si
desume non solo dalle corrispondenze del poemetto del Boccaccio, ma anche dalle
parole stesse di Dante. La strettezza del percorso, e la sua ripidezza, sono
infatti affermate fin dall’inizio dell’erto e angusto percorso, per il quale il
Poeta deve introdursi in una fenditura del ‘santo monte’:
“Maggiore
aperta molte volte impruna
con
una forcatella di sue spine
l’uom
de la villa quando l’uva imbruna,
che
non la calla onde salìne
lo
duca mio, e io appresso, soli,
...
Noi
salavam per entro ‘l sasso rotto,
e
d’ogne lato ne stringea lo stremo,
e
piedi e man volea il suol di sotto”.[41]
L’angustia di questo percorso è
confermata più volte nella cantica del Purgatorio,[42] e si
desume anche dal verso X, 16, nel quale il sentiero è chiamato “cruna”. Anche
sulla sua ripidezza è opportuno fare qualche considerazione.
La
ripida via della purificazione
Boccaccio, nel già citato poemetto, dice
che la via stretta è “nel salir molesta”.[43] Dante,
nello IV canto del Purgatorio, fa
affermazioni simili, e dice che per riuscire a percorrerla occorre essere mossi
da una grande volontà, ed essere condotti da una guida che incoraggi ed
illumini:
“qui
convien ch’om voli;
dico
con l’ale snelle e con le piume
del
gran disio, di retro a quel [= Virgilio] condotto
che
speranza mi dava e facea lume.”[44]
Sempre nello stesso canto, il Poeta
apprende da Virgilio che la salita del monte si farà sempre più leggera; giunto
alla fine, Dante si accorgerà di andare senza sforzo, come una nave che segua
la corrente;[45]
ciò non dipenderà da una minor pendenza della salita, ma dal fatto che Dante
sarà alleggerito, ad ogni cerchio del Purgatorio,
di uno dei peccati capitali. Non tutta l’ascesa per la via stretta del Purgatorio
è tracciata da un percorso obbligato nelle fenditure della roccia, ma vi saranno
anche, oltre a delle scalinate, degli spazi ampi, che permetteranno una visuale
del livello raggiunto, ma non faciliteranno per questo il percorso, perché a quel
punto vi sarà incertezza sulla direzione da prendere. Sempre nel IV canto del Purgatorio, che appare ricco di
istruzioni ‘tecniche’ relative al percorso, Virgilio ammaestra Dante sulla
condotta da tenere in questi casi (mai tornare verso il basso, dirigersi sempre
in alto, seguendo il maestro, nella fiducia che un aiuto soprannaturale giunga
a dare indicazioni):
“Nessun
tuo passo caggia;
pur
su al monte dietro a me acquista,
fin
che n’appaia alcuna scorta saggia”.[46]
Se riportiamo queste allegorie al tema di
un percorso iniziatico, (e dunque a un livello di interpretazione per il quale,
come dicevamo, l’ascesa del ‘santo monte’ si presenta come una via più stretta
rispetto a quella della vita attiva nel senso ordinario del termine) vediamo
come Dante ne illustri, in questo canto, sia le difficoltà, sia i mezzi
necessari per effettuarlo, che sono rappresentati dalla corrispondenza tra una
precisa e forte intenzione dell’uomo, e l’aiuto divino in termini di
illuminazione: il tutto sotto la guida e il conforto di un Maestro, che rappresenta
come un mediatore tra l’uno e l’altro dei mezzi suddetti. Il programma dell’ascesa
del ‘santo monte’ somiglia dunque a quello tracciato da S. Isidoro per la vita
attiva: “nella vita attiva si debbono anzitutto annientare tutti i vizi
mediante le buone opere per poter trapassare, in quella contemplativa, a
contemplare Dio con il vertice della mente già [reso] puro”.[47] Ma in
qual modo avverrà la purificazione di Dante? Ne diamo qui solo un breve
accenno.
L’ascesa del Purgatorio comporta per
Dante analogie, ma anche differenze, con la purificazione delle anime sulle
sette cornici del ‘santo monte’. Le anime purganti debbono soggiornare su
ciascun cerchio del Purgatorio per un periodo proporzionato all’entità delle
loro colpe; esse passano via via al cerchio superiore espiando tutti i peccati
capitali finché non possono librarsi verso il Paradiso.[48] Come è
noto, la purificazione delle anime del Purgatorio avviene nella Commedia
mediante una pena che assume forma contraria rispetto alla colpa da espiare:
“l’anima del purgatorio è veramente contrita delle sue colpe, odia il peccato,
e avvertiamo in essa un capovolgimento per cui essa esercita ormai, in atto o
in tendenza, la virtù opposta a quello che fu il suo difetto caratteristico”.[49] Per
Dante invece i peccati da purificare, secondo il livello di significato che
stiamo esaminando, non vanno intesi in senso morale, ma come vere e proprie
macchie e deformità che deturpano lo specchio della mente e impediscono il
raggiungimento di stati più elevati di conoscenza e di felicità, e per questo
il sentiero della purificazione corrisponde anche a una psicoterapia nel senso
più pieno del termine. Come osserva T. Burckhardt, diversamente dalle anime
penitenti che soggiornano sul monte, Dante “sale senza dover soffrire una sola
delle pene con cui altri debbono espiare i loro errori, eppure gli angeli
cancellano di cerchio in cerchio i segni del peccato dalla sua fronte… Dante non
procede per la via del merito attivo ma, per grazia particolare, per quella
della conoscenza”.[50] Per il
momento non possiamo approfondire ulteriormente questa interpretazione
dell’ascesa del Purgatorio, che naturalmente non contraddice quella morale,
usualmente fornita dai commenti, per la quale una via di purificazione richiede
il pentimento da un lato, il perdono divino dall’altro, e Virgilio rappresenta
la ragione umana come termine di mezzo.
Piccoli
e Grandi Misteri – Le porte del Sole.
Come scrive M. Pallis, “tutte le
tradizioni sono d’accordo nel riconoscere che la Vita Attiva è preminentemente
uno strumento adatto a reintegrare l’essere [...nella] condizione di normalità,
comunemente nota come ‘stato primordiale’ o stato di Adamo prima della caduta
[corrispondente quindi al Paradiso Terrestre]. L’esercizio della Vita Attiva
nella sua pienezza ci conduce alla Vita Contemplativa... Al limite estremo,
dopo che avrà dato tutto quello di cui è capace, anch’essa deve essere negata,
subendo la morte nel fuoco della pura Contemplazione che è tanto il suo principio
quanto la sua fine, la sua alfa e il suo omega”.[51]
È facile riconoscere un preciso rapporto
tra queste ultime parti del percorso e l’ascesa ai cieli descritta nella
cantica del Paradiso, coronata dalla suprema contemplazione che ha luogo nel
canto finale della Commedia; ecco dunque sintetizzata la corrispondenza della
polarità ‘Piccoli Misteri - Grandi Misteri’ con quella ‘Paradiso terrestre -
Paradiso celeste’, polarità, quest’ultima, che il Poeta ha descritto nel De
monarchia come culmine, rispettivamente, della vita attiva e della vita
contemplativa.[52]
Diciamo questo sempre tenendo conto dei vari livelli di significato, per i
quali queste due stazioni del percorso indicano, al contempo, i termini delle
due vite intese nel loro significato più ordinario. Si comprende ormai perché
le due vie o vite siano indicate solo allusivamente nella Commedia, se ammettiamo
che esse, oltre al significato letterale, abbiano soprattutto il significato di
vie iniziatiche, come tali attinenti per natura al mistero, che quindi è
normale indicare copertamente per motivi simbolici, quand’anche non vi siano
esigenze contingenti di segretezza. E nel momento storico del quale ci stiamo
occupando (l’Inferno fu probabilmente pubblicato nel 1314[53]), una
tremenda persecuzione si era effettivamente abbattuta sui Templari e sui loro
affiliati. Perciò il John ritenne che la lupa che impediva la salita al
‘dilettoso monte’ di Sion, sede dei Templari, rappresentasse la Curia romana
che aveva avallato la persecuzione dell’Ordine.
Questa fase del percorso doveva dunque
avvenire nella clandestinità, e secondo il John il monte del Purgatorio non è
altro che un’immagine speculare del Sion, e la piana del Paradiso terrestre ha
una struttura che ricalca quella della spianata del Tempio.[54]
Per riassumere ora quanto abbiamo detto,
richiamandoci dunque alla stratificazione di significati implicita nel tema
delle due vie, noi riteniamo che l’interpretazione del Pascoli circa i percorsi
copertamente indicati da Dante debba essere integrata come segue. E’ vero che
Dante si richiama alla distinzione tra una vita virtuosa (attiva) e una che si
prefigge uno scopo contemplativo, ed è pure vero che anche quest’ultimo deve
essere preparato da una prassi che è una vera e propria vita attiva; è vero che
il fine della prima è la felicità raggiungibile, per quanto possibile, in
questo mondo, e della seconda la felicità nell’altro. Ma se ci si limitasse a quest’ordine
del tutto esteriore di significato risulterebbe incomprensibile la copertura e
la simbolizzazione che ne viene fatta nella Commedia. Un secondo ordine di
significati, stratificato sopra a questo, indica con la porta ampia la prassi
religiosa ordinaria, devozionale, e con quella stretta una via interiore e
iniziatica. Un terzo ordine di significato identifica alla vita attiva le
iniziazioni (cavalleresche, di mestiere, e simili) il cui fine è la
realizzazione di quello che nel linguaggio misterico corrisponde al livello dei
Piccoli Misteri, mentre alla vita contemplativa corrispondono iniziazioni
‘sacerdotali’, il cui culmine è rappresentato dai Grandi Misteri.
Alle due vie intese in senso iniziatico
si possono far corrispondere “le chiavi, una
d’oro e l’altra d’argento” del dio, in grado di disserrare due porte,
“quelle dei ‘grandi misteri’ e dei ‘piccoli misteri’ ”.[55] Il
simbolismo delle chiavi, come è noto, è presente anche in Dante, che le
attribuisce al guardiano della porta del Purgatorio. Nel passaggio di questa
porta, comunemente identificato con la Confessione, il Rossetti ha ravvisato un
rituale iniziatico,[56] e in
effetti le domande poste dal guardiano sono coerenti con una simile
interpretazione, mentre risulterebbero del tutto fuori luogo se fossero
formulate preliminarmente al Sacramento penitenziale. Ciò suggerisce, a nostro
parere, che nell’ ‘Angelo portinaio’ il Poeta abbia potuto adombrare la figura
di Giano - dio degli accessi in ogni senso – o meglio la funzione rappresentata
dal nume detentore delle chiavi (o di chiave e scettro, secondo una variante
del mito che Dante ha potuto conoscere dalle prime pagine dei Fasti di Ovidio).
Come scrive R. Guénon, “Giano è il
‘Maestro delle due vie’ alle quali danno accesso le due porte solstiziali, le
due vie di destra e di sinistra... che i pitagorici rappresentavano con la
lettera Y, e che anche il mito d’Ercole tra la virtù e il vizio raffigurava,
sotto una forma exoterica. Sono quelle due stesse vie che la tradizione induista,
dal canto suo, designa come ‘la via degli dei’ (dêva-jâna) e ‘la via degli antenati’ (pitri-jâna)... Infine, queste
due vie sono anche... le porte... dei cieli e degli inferi”.[57] Molte
antiche tradizioni identificavano queste porte con le ‘porte del sole’ o porte
solstiziali, cioè i punti in cui l’eclittica tocca i tropici del Cancro e del Capricorno.
Infatti il Sole, il cui apparente percorso si proietta sull’eclittica, sembra arrestarsi
proprio in questi punti, quasi fosse in procinto di entrare e di uscire dai limiti
determinati dai tropici: “i due ‘punti d’arresto’ del cammino solare... devono corrispondere
ai due termini estremi della manifestazione... Se si vuole applicare ciò più
particolarmente a un ciclo di manifestazione individuale, come quello dell’esistenza
nello stato umano, si potrà comprendere facilmente perché le due porte
solstiziali siano designate tradizionalmente come ‘la porta degli uomini’ e ‘la
porta degli dei’. La ‘porta degli uomini’, corrispondente al solstizio d’estate
e al segno zodiacale del Cancro, è l’ingresso nella manifestazione individuale;
la ‘porta degli dei’, corrispondente altresì al solstizio d’inverno e al segno
zodiacale del Capricorno, è l’uscita da questa stessa manifestazione e il
passaggio agli stati superiori”.[58] Il
Benini che, come dicevamo, situa il percorso di Dante sul piano dell’eclittica,
ne aveva intuito il senso simbolico: “nel Commentario del sogno di Scipione,
opera di Macrobio familiare ai dotti del Trecento, era cenno dell’antica credenza
che per il Cancro e il Capricorno, le due porte del Sole, scendessero le anime
dal cielo in terra e dalla terra risalissero al cielo, alla sede della loro immortalità”.[59]
I
due fiumi dell’Eden
Il tema delle due vie riemerge per
l’ultima volta quando Dante giunge, sulla vetta del Purgatorio, al Paradiso
Terrestre, dove una si compie e l’altra inizia. Qui si trova una sorgente che
dà luogo a due fiumi, dei quali perciò il Poeta può ormai vedere la comune
origine:
“...
Eufratès e Tigri
veder
mi parve uscir d’una fontana,
e,
quasi amici, dipartirsi pigri”.[60]
I nomi di questi fiumi sono Letè ed
Eunoè, e la loro acqua produce, rispettivamente, la dimenticanza del peccato, e
il ricordo del bene fatto.[61] Nella ricerca
delle fonti letterarie dei due fiumi del Paradiso Terrestre gli studiosi hanno indicato
il libro VI dell’Eneide, il Libro della scala, le opere di Isidoro di Siviglia,
etc.; interessanti paralleli possono essere fatti col tema dei due fiumi nel
mondo ellenico, in particolare con la dottrina orfica e con la consultazione
dell’oracolo di Trofonio:[62] in
questi ambiti le due sorgenti rimandano palesemente al tema delle due vie.
Nella chiave di lettura che abbiamo adottato, dobbiamo soffermarci sul
significato non solo morale da attribuire ai due fiumi del Paradiso Terrestre.
Letè (= oblìo, dimenticanza) non è solo il fiume del definitivo lavacro dei
peccati, ma anche quello del compimento del percorso dei Piccoli Misteri: dopo
aver bevuto dalle sue acque, non resta nel Poeta la benché minima traccia dei
vizi che ha sanato salendo il monte del Purgatorio, il che viene espresso
simbolicamente dalla dimenticanza. Il secondo fiume, non descritto nell’Eneide,
ma presente nelle fonti greche col nome di Mnemosyne (che richiama il senso
superiore del ricordo, secondo la tradizione platonica), riceve il nome di
Eunoè dal Poeta fiorentino. È perciò, come dice il nome stesso, il fiume della
benevolenza, ma anche della retta conoscenza, e quindi del risveglio a una
conoscenza di ordine superiore: da esso si apre l’accesso ai Grandi Misteri.
Anche nel percorso dei Grandi Misteri avranno luogo fenomeni di dimenticanza,
il cui significato, come avremo modo di vedere, sarà però completamente
diverso.
Tratto da: www.edizioniorientamento.it
Tratto da: www.edizioniorientamento.it
[1] Purgatorio II, 91-92.
[2] Inferno I, 2.
[3] Convivio IV, XXIV.
[4] Cfr. U. Foscolo Discorso sul testo e su le opinioni diverse prevalenti intorno alla storia e alla emedazione critica della Commedia di Dante, in: Studi su Dante, Le Monnier, Firenze, 1979, I, cap. CLXXXV; R.L. John, Dante, Sprinter-Verlag, Vienna, 1946, cap. XXI.
[5] Cfr. Geremia, 5, 6.
[6] Cfr. Le Type indien du Lucifer chez le Dante, Giornale Dantesco, 3/2, 1895, pp. 49-58.
[7] Secondo il Benini, si tratterebbe invece di una proiezione della Gerusalemme celeste, collocata simbolicamente a livello della catena montuosa comprendente il Sinai, l’Oreb e il Paran, che alcune concezioni geografiche del medioevo localizzavano sull’eclittica (cfr. Dante tra gli splendori de’ suoi enigmi risolti, ried. Ed. dell’Ateneo, Roma, 1952, pp. 12-14, 55-56 e 67-91). Il viaggio di Dante verrebbe così a collocarsi sul diametro dell’eclittica: l’accesso all’Inferno avverrebbe in corrispondenza del tropico del Cancro, mentre l’ascesa ai cieli si verificherebbe a partire da quello del Capricorno, il che, come vedremo tra breve, riveste un interessante significato simbolico.
[8] Inferno I, 77 (cfr. anche II, 120: “il bel monte”).
[9] I, 91.
[10] Cfr. Serie di aneddoti, Verona, 1785-1806, II, p. 25 ss.
[11] Cfr. op. cit., CLXVI.
[12] Ci siamo soffermati su queste vicende nel nostro articolo La visione apocalittica di Dante – I, Perennia Verba, 4, 2000, pp. 107-137.
[13] Inferno I, 120.
[14] Ibid., 77.
[15] Cfr. Prose, Mondadori, Milano, 1952, II, II (Scritti danteschi), pp. 905-926.
[16] Convivio IV, XVII.
[17] Cfr. Purgatorio XXVII, 108: “lei lo vedere e me l’oprare appaga”.
[18] Siamo naturalmente debitori, per molte delle considerazioni che faremo, dell’opera di R. Guénon L’ésotérisme de Dante (ried. Gallimard, Parigi, 1957), che non richiameremo espressamente per evitare un eccesso di note.
[19] L’amorosa visione II, 32-33; 38-39; 44; 64-65.
[20] Ibid., XLVI, 7-8.
[21] Cfr. Repubblica IX, VII-VIII.
[22] X, 7-9; cfr. anche Ethica eudemia I, 1215a.
[23] Ibid., X, 7..
[24] cfr. Tusculanae disputationes, V, 3, 8-9.
[25] È interessante notare che queste due lettere greche, soprattutto se maiuscole, hanno forma rispettivamente quadrata e circolare, raffigurando perciò, secondo un simbolismo universalmente diffuso, il mondo terrestre e quello celeste, ai quali in effetti si riferiscono rispettivamente la vita attiva e quella contemplativa. Per inciso è paradossale, ma corrisponde in toto alla mentalità del mondo moderno, il fatto che oggi si ritenga comunemente che la theoría debba precedere la praxis.
[26] Cfr. Homiliarum in Ezechielem liber II, Homilia II, 7-14; Moralium liber VII, VI, 37.
[27] Cfr. Enchiridion super Apocalypsim, 228-229; Expositio in Apocalypsim XIX. In particolare Gioacchino si riferisce alle figure di Pietro e Giovanni.
[28] IIa IIae, qu. 179-182.
[29] Ibid., qu. 181 art. 1.
[30] Cfr. Platone, Repubblica, cit. Si vedano anche le considerazioni fatte nel nostro articolo: La dottrina teologico-politica di Dante e la struttura sociale medievale, Perennia Verba, 1, 1997, pp. 73-113.
[31] Cfr., ad es., Deuteronomio, 30, 15-18; Proverbi, 4, 10-19; Geremia, 21, 8-9.
[32] Cfr. Matteo, 7, 13-14; la Didachè; l’Epistola di Barnaba e la c.d. Doctrina Apostolorum (databili al I o al II secolo d.C.).
[33] Cfr. Stromata IV 2 4.1-5.3.
[34] Cfr. R. Guénon, Aperçus sur l’ésotérisme islamique et le taoïsme, Gallimard, Parigi,
1973,
p. 13.
[36] Nel Convivio (cfr. IV, XII) vengono pure menzionati due cammini per i quali l’anima giunge alla sua meta o si perde, a seconda che si rivolga al sommo Bene o alla molteplicità dei beni terreni: il paragone è con la strada che porta da una città a un’altra, e con quella che va in direzione opposta. Oltre a questi due cammini “de li quali uno è veracissimo e l’altro fallacissimo” ce ne sono naturalmente molti altri, meno veraci e meno fallaci.
[37] Cfr. X, 133-136; XIV, 124-127; XVIII, 19-21; XXIX, 52-53; XXXI, 81-84.
[38] Cfr. Purgatorio XI, 49-51, e XXV, 109-110. Ricordiamo che nell’emisfero australe, dove è localizzata da Dante la montagna del Purgatorio, il senso antiorario è quello percorso dal Sole e dalle stelle: salendo ‘verso destra’ Dante asseconda la rotazione delle anime penitenti, e al tempo stesso si pone con loro in sintonia con i moti del Cielo.
[39] Nell’Inferno si riscontrano due eccezioni, nelle quali Virgilio e il Poeta si dirigono per un breve tratto verso destra (cfr. IX, 132-133 e XVII, 28-30), interpretate da B. Cerchio come anticipazioni della principale rettificazione che si verifica al centro della terra, quando Dante si capovolge per passare nell’altro emisfero (cfr. L’esoterismo di Dante, Ed. Mediterranee, Roma, 1988, pp. 106-115). È questo capovolgimento che trasforma la via della sinistra in una via della destra, il che attiene però a un diverso contesto simbolico sul quale avremo modo di tornare.
[40] Inferno XVI, 124-126. Notiamo che Dante assume l’Ovest a sinistra e l’Est a destra, come nella cartografia moderna; ci si poteva invece aspettare che per l’abitudine medievale all’orientamento verso Est - della preghiera, delle chiese e delle carte geografiche - fosse il Nord a trovarsi a sinistra e il Sud a destra, come già era stato per gli Ebrei. Il fatto che Dante si discosti qui dalla più comune prassi medievale potrebbe sottintendere un particolare valore dato alla direzione del Nord, che meriterebbe un particolare approfondimento.
[41] Cioè: molte volte il contadino, quando l’uva comincia a maturare, riempie con una piccola inforcata di spine un’apertura (nella siepe) maggiore di quella del sentiero per il quale salì la mia guida, ed io dietro a lui, soli... Noi salivamo dentro la fenditura della roccia, i cui bordi ci stringevano da entrambi i lati, e la cui pendenza richiedeva l’uso sia dei piedi che delle mani (Purgatorio IV, 19-33).
[42] Cfr. ad es. XII, 108; XXV, 7-9.
[43] Op. cit. II, 66.
[44] 27-30.
[45] Cfr. 88-95. Esiodo aveva parlato negli stessi termini: “Della malvagità, se ne ottiene quanta se ne vuole: piana è la via, e vicinissima a noi. Invece, di fronte alla virtù, gli dei immortali hanno posto il sudore. Lungo, arduo, è il sentiero che vi conduce, e scosceso fin dall’inizio. Ma quando uno giunge alla cima, eccolo allora agevole, per difficile che sia”(Le opere e i giorni, 287-292).
[46] Ibid., 37-39.
[47] Sententiarum libri tres XV.
[48] Cfr. Purgatorio, XX-XXI.
[49] M. Porena, commento a: La Divina Commedia, Zanichelli, Bologna, 1981; cfr. anche G. Rossetti, La Beatrice di Dante, ried. Atanòr, Roma, 1988, p. 101.
[50] Zu Dantes ‘Divina Commedia’ (trad. it. Riflessioni sulla ‘Divina Commedia’ di Dante, in: Scienza moderna e saggezza tradizionale, Borla, Torino, 1968, p. 140).
[51] The lotus and the cross (trad. it. Il loto e la croce, Borla, Torino, 1960, pp. 153-172); cfr. anche N. Dallaporta, Introduzione ad una valutazione iniziatico-metafisica del Paradiso di Dante, Atti e memorie dell’Accademia Patavina di Scienze, Lettere ed Arti, 1976-77, LXXXIX, III, pp. 19-48.
[52] Cfr. III, XV. Cfr. anche G. Rossetti: “l’Alighieri... adombrò la vita pratica nel Purgatorio, e la teoretica nel Paradiso... l’azione dee precedere la contemplazione” (op. cit., p. 369).
[53] Cfr. G. Petrocchi, Biografia – Attività politica e letteraria, in: AA.VV., Enciclopedia Dantesca, Roma, 1984, VI, p. 46.
[54] Di fatto, la Commedia è ambientata nel 1300 o nel 1301, molto prima della persecuzione dei Templari, alla quale Dante allude sempre, nel poema, come a un evento futuro. Se già dal 1300 Dante aveva potuto constatare l’ostilità della ‘lupa’ verso l’Ordine, e soprattutto verso ciò che l’Ordine e le sue emanazioni potevano rappresentare in tema di dottrina teologico-politica (cfr., la nostra op. cit.), non si comprende come la ‘lupa’ potesse impedire l’accesso all’Ordine, che ancora godeva di libertà e di privilegi. Il John si è sicuramente accostato alla soluzione dell’enigma, ma restano molti punti da chiarire.
[55] R. Guénon Symboles fondamentaux de la Science Sacrée, Gallimard, Parigi, 1962, p. 252.
[56] Cfr. op. cit., VII, III.
[57] Symboles fondamentaux de la Science Sacrée, cit., pp. 150-151. Si potrebbero aggiungere anche le rappresentazioni dell’amor sacro e dell’amor profano, così frequenti nel Rinascimento.
[58] Ibid., pp. 152-153.
[59] Op. cit. p. 13.
[60] Purgatorio XXXIII, 112-114.
[61] Cfr. Purgatorio XXVIII, 121-133.
[62] Cfr. B. Cerchio, op.
cit., pp. 164-169; M. Gabriele, Sul
significato dell’arte nelle forme simboliche, Conoscenza Religiosa, 3,
1977, p. 209; M. Detienne Les maîtres de vérité
dans la Grèce archaïque, Libraire F. Maspero, Parigi, 1967, cap. 2. Molti
di questi temi, incluso quello delle vie della destra e della sinistra, sono
presenti anche nel racconto di Er, nella Repubblica
di Platone (cfr. XIII-XVI).
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