Regole della Tarîqa Hâmidiya (Qanûn tarîqa l-sâda l-Hâmidiyya bi-l-diyar al-Misriya)*
Regole della Tarîqa Hâmidiya
(Qanûn tariqa l-sâda l-Hâmidiyya
bi-l-diyar al-Misriya)
di Seyyid Salâma
Hasan er-Râdi
«Prima parte. I principi del tarîq (metodo) della confraternita».
§ 1. Le Genti della Via hanno come Fine
di tendere alla conoscenza di Allah (ma’rifah) e di conseguire la Sua Soddisfazione, ottemperare
al dovere dell’adorazione (‘ubûdiyah) e realizzare i diritti della signoria
(rubûbiyah).
§ 2. La nostra tarîqah si fonda sul Libro e sulla Sunnah,
escludendo ogni innovazione riprovevole per la legge divina.
§ 3. Lo sforzo delle anime nel lavoro
assegnato fa parte dei principi del nostro tarîq.
§ 4. Praticare l’umiltà, che
è l’attitudine fondamentale del faqîr, fa parte del nostro tarîq.
§ 5. La sottomissione a Dio (taslîm)
è il marchio distintivo del nostro tarîq.
§ 6. La sopportazione dell’ingiuria (adhâ)
purifica l’essenza del faqîr e illumina la sua sostanza.
§ 7. Il ricordo di Allah (dhikr), il più sovente possibile, è il
nutrimento dei cuori.
§ 8. La recitazione del Corano
costituisce un avvicinamento ad Allah, una luce e una misericordia.
§ 9. Acquisire la necessaria scienza
esteriore è un dovere per ciascun faqîr.
§ 10. Rispettare i musulmani
e ricercare le loro benedizioni sono pratiche che rivelano la soddisfazione di
Allah l’Altissimo (onorare i musulmani e implorare su di loro la benedizione
sono cose che piacciono a Dio, Egli è Grande!)
§ 11. La compagnia dei ricchi
indurisce i cuori.
§ 12. Il rifiuto degli
eccessi è un principio della nostra Via[2].
§ 13. L’amore reciproco, la
visita ai confratelli la carità sono principi del nostro tarîq.
§ 14. La semplicità del cuore e la buona
opinione in Allah e nei Suoi adoratori fanno parte del nostro tarîq[3].
§ 15. Raccomandare il bene e vietare il
male, con bontà e tenerezza (cfr. Corano 3:113).
§ 16. Aiutare i poveri e mostrare benevolenza
con loro, sia materialmente che spiritualmente, nella misura del possibile[4].
§ 17. Che l’uomo riscontri in sé stesso
la manchevolezza.
§ 18. Non si deve obbedienza a una
creatura nel caso di ribellione al Creatore[5].
§ 19. L’uomo deve essere misericordioso
nei confronti di suo fratello, senza discutere con lui, ne divenire suo
avversario. Non lo insulterà e non lo calunnierà, non lo invidierà, nè gli
mentirà e gli nuocerà. Sarà umile con lui, gli parlerà con dolcezza, lo
consiglierà con benevolenza, senza disprezzo. Che lo aiuti nella lotta contro
la sua anima e il suo avversario (shaytân) senza mai
allearsi con loro contro di lui. (L’uomo deve essere misericordioso verso suo
fratello, non contraddirlo, ne diventare suo avversario. Che non lo insulti,
non lo calunni, non lo invidi, non gli menta, ne lo offenda. Che gli parli con
dolcezza, lo consigli amichevolmente, senza sprezzo, che lo aiuti nella lotta
contro la sua bassa anima (nafs),
contro le passioni e il demonio e non divenga mai alleato di questi contro di
lui.
§ 20. Occorre cercare di essere frugali e
non desiderare i beni degli altri; se si dona qualche cosa ciò non deve
avvenire per la ricerca di una ricompensa, salvo che questa sia offerta
liberamente e senza essere stata richiesta.
§ 21. Chiunque sia ricollegato al tarîq deve essere fedele alla sua religione. Non si parlerà senza sapere.
Non si riferirà una parola distorta o cose di questo genere. Mentre al
contrario si stabilirà ciò di cui si può parlare per non cadere in ciò che è
illecito (harâm) e nell’ignoranza nei
riguardi della gente.
§ 22. L’umiltà e la dignità
devono costituire l’ornamento spirituale del faqîr: che eviti di
moltiplicare risate e scherzi per attirare i cuori e conquistare la simpatia
della gente, o per essere da loro almeno considerato[6].
§ 23. Diffidare dell’anima passionale (nafs). Diffida di quello che ti propone,
fino a che non conoscerai la verità.
§ 24. Che ciascun membro della nostra
tarîqah che si pronuncia sulle verità essenziali (haqâ’iq), lo faccia basandosi sul Libro e sulla Sunnah[7].
§ 25. A nessuno della nostra tarîqah è permesso di parlare riguardo
alla “dimora” (hulûl
letteralmente incarnazione, n.d.r.), all’ “unione ipostatica” (ittihad),
alla definizione delle modalità di Dio (jihah),
o anche sul fatto che Dio il Vero è anche la creatura (‘ayn el-khalq) e sulla parola (maqâlah)
d’al-Hallâj[8].
§ 26. Non è consentito a nessuno di
essere un “libero pensatore” ahl al-ibâha
che pretende di abolire i doveri e dichiarare leciti gli atti vietati, perché
ciò è proprio della miscredenza (zandaqah);
molte persone vi sono cadute dopo aver mirato la più eccelsa santità (wilâyah)[9].
§ 27. È vietato dedicarsi alla magia (sihr) e a tutto ciò che gli è simile
perché queste cose allontanano da Dio.
§ 28. Non è permesso allo Shaykh di
disporre del patrimonio di un discepolo (tilmîdh) ordinandogli di
vendere le sue proprietà per impossessarsi del prezzo o inducendolo a cedergli
i suoi beni, come fanno senza scrupoli le persone prive di morale.
§ 29. Non è permesso allo Shaykh ordinare
al suo discepolo cose che potrebbero arrecargli danno, come trascorrere in
inverno la notte su un tetto vestito con un abito inadeguato, o restare in
piedi nell’acqua durante la notte o ancora fare il dhikr su un muro.
§ 30. È vietato agli uomini imitare le
donne e alle donne imitare gli uomini.
§ 31. È vietato partecipare alle riunioni
dei “folli di Dio” (majâdhib), mantenere relazioni con loro ed imitarli.
§ 32. È vietato al discepolo compiere
lunghi viaggi senza l’autorizzazione dello Shaykh.
§ 33. È vietato a chi ha un mestiere
abbandonarlo senza l’autorizzazione del suo Shaykh.
§ 34. È assolutamente vietato ai membri
del nostro tarîq scrivere,
senza la nostra autorizzazione, una preghiera (da’wa), un’invocazione (wird), un “corpo
rituale” (wazifa) da recitare ai
discepoli o ad altre persone durante le riunioni (hadra).
§ 35. È vietato, salva l’autorizzazione
dello Shaykh, recitare per strada ad alta voce le formule in uso alla Shâdhiliyya.
§ 36. È vietato abbandonarsi a
comportamenti biasimevoli come la mendicità, l’abbigliamento lacero e altre
cose di questo genere, senza l’autorizzazione dello Shaykh.
§ 37. Divieto per ogni khalîfa (capo
della comunità) e a maggior ragione per chi insegna (yolaqqin) la
dottrina della tarîqa, di
comunicare al suo discepolo dei nomi divini non arabi, di ordinargli un ritiro
nella khawa (nella cella di clausura), di assegnargli delle preghiere
come la Jaliludiyya o la Barhatiyya, di fargli recitare durante
la notte ad esempio diecimila nomi (divini) o qualunque altra cosa simile. Ne
sarà responsabile così come delle conseguenze che ne deriveranno.
§ 38. È
assolutamente vietato utilizzare il tamburello, i piatti, gli strumenti a corde
e tutto ciò che è loro simile, così come il tamburo, la darabokka, il
flauto nay, durante le riunioni o nelle processioni.
§ 39. È
vietato far passare sugli uomini dei cavalli o altre cose che ricordino la dawsa.
§ 40. Non si
deve favorire la bassa anima (nafs): la Grazia di Dio è lontana da
quanti lo fanno.
§ 41. Non si
deve tener conto delle lamentele degli uomini né dei loro vanti.
§ 42. È
vietato mangiare insetti, cactus (sobbâr) e vetro, ferirsi con una spada
o con uno spillo e inghiottire fuoco: tutto ciò è prestidigitazione e i membri
del tarîq se ne astengono.
§ 43. È
consentita la visita alle tombe dei Santi, ma si deve evitare di visitare gli Shuyukh viventi, salvo che questo avvenga per consultarli riguardo a un dubbio del
proprio Shaykh o del proprio tarîq.
§ 96. Il cantore (qawwâl) è il
coppiere dei sufi (faqîr).
§ 97. Mentre canta, il cantore deve avere
un cuore puro e volto a Dio affinché il suo canto esca dal suo cuore e brilli
su di lui la luce del compiacimento.
Seyyid Salâma Hasan Râdi
Presentazione
Il testo che proponiamo
è un estratto della regola della Tariqa Hâmidiyah dello Seyyid Salâma Hasan er-Râdi, Qanûn
tariqa l-sâda l-Hâmidiyya bi-l-diyar al-Misriya (Il Cairo, ristampa del 1965), presentata da Ernst Bannerth nel
suo articolo “Aspetti umani della Shadhiliyya in Egitto”, pubblicato nel numero
11 della rivista Mélanges
dell’Istituto domenicano di studi orientali del Cairo (Dar al-Maaref, Il
Caire – 1972).
È stata richiamata
la nostra attenzione perché al tempo stesso il soggetto trattato è del tutto
coerente con le motivazioni de Le Porteur de Savoir* e anche per queste
annotazioni dell’autore:
«Si avverte in
questo piccolo libro l’influenza del pensiero del filosofo al-Fârâbî, il cui
trattato Al-Madina l-fadila fu
pubblicato al Cairo nel 1906 (cfr. P. 77 du Kitâb ârâ ahl-madina
l-fadila : ihtiyaj al-insân ilâ l-ijtimâ’ wal-ta’âwon, il bisogno, per l’uomo dell’attività
sociale e dell’associazione). Anche questo libro comincia con una trattazione
antropologica e prosegue con l’esame dell’anima e delle creature spirituali e
della vita comunitaria degli uomini (cfr. Dieterci, Der Musterstaat
von Al-Fârâbî, chap. 26 ss, Leide, 1906). Râdî non menziona quest’opera, ma
ne ha la stessa concezione, adattata al suo metodo spirituale.
Non desta
stupore che René Guénon, convertito all’Islam nel 1912 (Abd al-Halîm Mahmûd, p. 11) sia divenuto
membro di questa confraternita (Abd al-Halîm Mahmûd, p. 11) ».
Anche lasciando
all’autore di queste righe la responsabilità di queste affermazioni e della sua
conclusione, ci sembra che questo lavoro possa trovare posto qui.
Sotto l’aspetto
formale, segnaliamo che abbiamo ridotto le nostre citazioni alle sole regole
della tarîqah, lasciando da parte, almeno per il momento, le note
dell’autore dell’articolo.
Avendo avuto
recentemente la disponibilità del testo arabo del Qânûn, abbiamo deciso di
provare a migliorare la traduzione quando possibile[1].
(Mohammed Abd as-Salâm, redattore di Le Porteur de Savoir)
* Tratto dal sito: http://leporteurdesavoir.fr
[1] In questo caso, abbiamo fatto figurare in nota la traduzione originale.
[2] Il rifiuto dell’ipocrisia è un principio del nostro tarîq.
[3] Semplicità di cuore e fiducia in Dio e nei suoi adoratori.
[4] Aiutare i poveri e mostrarsi benevolo verso di loro, sia materialmente che spiritualmente, e questo il più possibile.
[5] Non obbedire mai a una creatura nel caso di ribellione al Creatore.
[6] L’umiltà e la dignità devono fornire l’ornamento spirituale al faqîr: che eviti di ridere frequentemente e lo scherzo per attirare i cuori e guadagnare la simpatia della gente o per essere da loro almeno considerato.
[7] Chi del nostro tarîq tratta delle “verità” haqâiq, si conformi al Libro e alla Sunnah.
[8] A nessuno del nostro tarîq è permessa l’“incarnazione” holûl, ne l’“unione ipostatica” ittihâd, panthéisme, ne la definizione delle modalità di Dio jiha, ne che Dio Vero è uguale alla creatura, ne la parola maqâla d’al-Hallâj.
[9] Non è consentito ad alcuno del nostro tarîq di essere un “libero pensatore” ahl al-ibâha che pretenda di abolire i doveri e dichiari ammissibili gli atti proibiti perché questo è proprio della miscredenza zandaqa e molte persone vi sono cadute dopo aver mirato la più eccelsa santità wilâya.
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