Lettere di un maestro Sufi*
Lettera 2
*Traduzione: Titus Burckhart, Lettere di un maestro sufi. (Il numero progressivo della Lettera corrisponde all'edizione di riferimento)
La prima cosa che appresi dal mio maestro - Iddio sia soddisfatto di lui
- fu questa: mi caricò di due ceste colme di prugne.
Io le presi in mano anziché pormele sulla nuca, come m’aveva indicato, ma non di meno la cosa mi affliggeva grandemente e mi era così penosa che la mia anima (nafs) si contrasse; essa s’agitava, si umiliava e si turbava oltre misura, a tal segno che quasi ne piangevo per tutte le umiliazioni, il disprezzo e il dispetto che avrei dovuto subire in quella prova (n.d.r. per un giovane letterato di famiglia nobile, come al-’Arabi ad-Darqawi, era molto umiliante accettare la funzione di portatore di frutta e verdura al mercato.
Io le presi in mano anziché pormele sulla nuca, come m’aveva indicato, ma non di meno la cosa mi affliggeva grandemente e mi era così penosa che la mia anima (nafs) si contrasse; essa s’agitava, si umiliava e si turbava oltre misura, a tal segno che quasi ne piangevo per tutte le umiliazioni, il disprezzo e il dispetto che avrei dovuto subire in quella prova (n.d.r. per un giovane letterato di famiglia nobile, come al-’Arabi ad-Darqawi, era molto umiliante accettare la funzione di portatore di frutta e verdura al mercato.
Attraversando la città con il suo carico di prugne, avrebbe
incontrato sia i suoi vecchi professori e colleghi sia i suoi parenti, che non
avrebbero tralasciato di fargli notare la sconvenienza della sua mansione.
Cadute le maschere convenzionali, si manifestano le vere intenzioni degli
uomini.) -, giacché la mia anima non aveva mai accettato una cosa simile nè
piegato la testa, e fino a quel momento ero stato inconsapevole del suo
orgoglio, della sua rivolta e della sua corruzione (n.d.r. Confessione che
evidentemente mira più alla natura della psiche (an-nafs) in genere; in quanto questa si contrappone allo Spirito (ar-rûh), che al carattere particolare
dell’Autore.); ignoravo se fosse orgogliosa o meno, e nessuno tra i teologi di
cui avevo seguito le lezioni - erano numerosi - m’aveva ragguagliato al
proposito. Mentre mi dibattevo in questa perplessità e in questa pena, ecco che
il Maestro, con la sua profonda intuizione, venne verso di me, mi prese le due
ceste dalle mani e me le posò sulla nuca dicendo: “Fa’ in tal modo la prova del
bene per scacciare un po’ d’orgoglio!”. Con queste parole mi aperse la porta
della rettitudine, poiché così appresi a distinguere gli orgogliosi dagli
umili, i seri dai frivoli, i sapienti dagli ignoranti, gli uomini di tradizione
dagli innovatori e quelli che possiedono la scienza e l’applicano da quelli che
si limitano a possederla senza metterla in pratica. In seguito nessun
tradizionalista (sunni) poté più ingannarmi con il suo sapere, né alcun
innovatore con le sue innovazioni; nessun sapiente m’impressionò più con la sua
(sola) scienza, nessuno (falso) asceta con le sue privazioni. Infatti il
maestro - sia Dio soddisfatto di lui - m’aveva insegnato a distinguere la
verità dalla vanità e ciò che è serio dalla farsa; Dio lo ricompensi di ciò e
lo protegga da ogni male!
*Traduzione: Titus Burckhart, Lettere di un maestro sufi. (Il numero progressivo della Lettera corrisponde all'edizione di riferimento)
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