Marius Mora
Antenora*
Antenora*
Il tesoro di una nazione è la sua onestà[1]
Ezra Pound
Nell’Inferno di Dante il Cocito è un lago ghiacciato
reso tale dal vento gelido prodotto dal battito delle ali di Lucifero posto al
suo centro[2]; in
questo caso il
contrappasso[3], che descrive la pena
dei dannati che l’abitano, evoca la loro attitudine da vivi in quanto la
«freddezza» si oppone al calore della Carità[4].
Il Cocito coincide al nono e ultimo Cerchio
dell’Inferno nel quale sono puniti i traditori, tra loro suddivisi in quattro
zone o cerchi concentrici relazionati al genere del loro tradimento. Queste
quattro zone sono la Caina dove sono puniti i traditori dei parenti[5],
l’Antenora dove sono puniti i traditori della Patria e di Partito[6]; la
Tolomea dove sono puniti i traditori degli ospiti[7],
infine la Giudecca dove sono puniti i traditori dei «benefattori»[8]. Vi è
tuttavia da notare che, pur essendo differente il tradimento di questi
peccatori, la pena inflitta è assai simile per le quattro categorie, quasi a
significare una certa corrispondenza che esiste tra le pur differenti colpe o,
come qualche autore giustamente suggerisce, che il tradimento consumato verso
una certa categoria è di fatto estensibile alle altre; così ad esempio, Bruto è
certamente da considerarsi traditore del suo «benefattore», ma al contempo traditore
di un famigliare essendo Cesare, secondo alcune fonti[9], suo
padre, infine traditore della Patria essendo la sua congiura di fatto contro
Roma[10].
La prima osservazione da fare riguarda la pena: anche Lucifero
è condannato alla stessa pena dei peccatori di questa parte dell’Inferno
essendo immerso fino ai fianchi nel ghiaccio che egli stesso genera con le sue
ali; i dannati in questo Cerchio sono tutti immersi nel ghiaccio seppur in
posizioni differenti tra loro[11],
quindi la pena dei traditori è di fatto la stessa di colui che è all’origine stessa
del male[12]. Nell’Inferno lo status che accomuna Satana e i traditori
presuppone, per la legge del contrappasso che governa la Divina Commedia, una
certa corrispondenza del medesimo status da
vivi sulla terra.
L’Antenora della quale ci occupiamo deve il suo nome
ad Antenore, personaggio dell’Iliade, nobile
troiano che avrebbe tradito la Patria
consegnando il «Palladio»
della città, garanzia dell’invincibilità di Troia, nelle mani di Ulisse e
Diomede provocando con questo l’invasione e la sconfitta e avendo in cambio
salva la vita per sé e la sua famiglia[13];
portato all’attualità del tempo di Dante si ritrova il medesimo caso in Tebaldello Zambrasi,
anch’egli nell’Antenora perché
aprì Faenza
mentre si dormia[14].
ovvero aprì le porte della città di Faenza al nemico
durante la notte.
L’Antenora così, come tutto il Cocito, è abitata
dalle anime che hanno tradito ciò che Dante chiama la fede spezial[15], una «fede speciale» che si coltiva solo
verso ciò che è più vicino e prossimo e per ciò stesso intimo a tal punto da
creare un legame che naturalmente e spontaneamente si fonda sulla «fedeltà» tra
le parti, parenti, Patria o Partito, ospiti e maestri e benefattori; fedeltà
che rende, per contrasto, più odiosa la colpa di chi tradisce questa fiducia[16].
Questo riferimento alla fede spezial non
è indifferente o casuale, ma si riferisce a quella particolare idea o
sentimento che si crea grazie al legame patriottico, laddove un’alleanza
risulta naturale, scontata e implicita - pur se non espressa - tra appartenenti
alla stessa Patria. Il termine Patria può apparire generico, ma indica in
realtà la comunanza che esiste tra due individui quando sono messi accanto ad
elementi analoghi, ma differenti. Questi legami possono essere di varia natura,
tuttavia quello più profondo e solidale è senza dubbio la lingua, cui fa
seguito la nascita[17], il
territorio, la tradizione religiosa o sociale, la storia fino ad arrivare al Partito, ovvero
l’appartenenza ad un «gruppo» ristretto quando posto in relazione a quello più
vasto di Patria[18].
Tra i personaggi che Dante incontra nell’Antenora ci
soffermiamo su due in particolare: Gano di Maganza (o Magonza) e il Conte
Ugolino della Gherardesca[19], due
personaggi ai vertici delle rispettive istituzioni temporali, oggi diremmo
governative e istituzionali.
La figura di Gano, appare nella Chanson de
Roland[20], cognato di Carlo Magno è
perciò patrigno di Orlando verso il quale nutre invidia per il suo valore e per
il favore concessogli da Carlo Magno[21]; tornando dall’assedio fallito di Saragoza,
Gano trama contro il figliastro e suggerisce al nemico saraceno[22] le
modalità di un’imboscata che si consumerà presso Roncisvalle, dove Orlando, a
capo della retroguardia, su suggerimento proprio dello stesso Gano, troverà la
morte; durante l’attacco Orlando eviterà, per scongiurare un inutile pericolo
allo zio, di suonare l’Olifante, il corno col quale avrebbe potuto richiamare
l’esercito di Carlo Magno[23];
Gano per questo suo tradimento venne catturato e squartato vivo, tirato dagli
arti da quattro cavalli[24].
Il secondo
personaggio è il conte Ugolino della Gherardesca, nobile e politico toscano di
fede ghibellina, passò alla causa guelfa contro Genova governata dalla parte
avversa. Fu proprio in occasione della battaglia navale della Meloria contro
Genova[25], persa dalla flotta pisana che Ugolino venne
accusato di tradimento in seguito ad una tattica sospetta delle navi del conte
che sembrò un abbandono della battaglia. Alterne vicende che videro lo scontro
dei partiti avversi portarono il capo del partito ghibellino, l’arcivescovo Ruggieri
degli Ubaldini, a imprigionare il conte Ugolino con i figli ed i nipoti nella
torre dei Gualandi dove i primi e infine il conte trovarono la morte per fame[26].
La prigionia del conte Ugolino si presta a differenti
interpretazioni tra le quali una sostiene che, morti i figli, il conte si cibò
dei cadaveri; Dante fa dire a Ugolino affamato:
ambo le man per lo dolor mi morsi»[27]
e i figli risposero:
Padre, assai ci fia men doglia
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
queste misere carni, e tu le spoglia[28]
La controversa leggenda del conte antropofago è conosciuta e
quindi evocata da Dante in questi versi. Alla morte dei figli Dante fa dire al conte:
…ond'io mi diedi,
già cieco, a brancolar sovra
ciascuno
e due dì li chiamai, poi che fur morti
Poscia, più che 'l dolor, poté
'l digiuno[29]
I detrattori della tesi qui esposta affermano che l’ultimo
verso si riferisce alla morte del conte, al contrario chi la sostiene legge in
queste parole la debolezza di Ugolino che cede ai morsi della fame più che al
dolore; altro dato che sosterrebbe questa tesi ripresa e sostenuta da Dante è
la pena che lo vede mangiare il teschio del suo carceriere Ruggieri:
riprese 'l teschio
misero con denti[30]
dal quale si era staccato all'inizio del canto per
raccontare la sua storia:
La bocca sollevò dal fiero
pasto[31].
La legge del contrappasso usata solitamente da Dante qui si
presta a mostrare la figura «antropofaga» del conte Ugolino e in effetti la sua
pena e quella del suo avversario Ruggieri sarebbero ingiustificate senza questo
macabro accadimento storico: al contrario il contrappasso, sempre presente e
necessario in Dante, non troverebbe fondamento[32]. Il
tradimento della Patria si trasforma
in Ugolino nella massima pena come Pater,
mangiare i propri figli incarcerati ingiustamente e se questa fu la colpa, la pena corrisponderà, come illustrato nel
XXXIII canto dell’Inferno, nel mangiare il proprio accusatore. Nella figura esemplare
del conte emerge il tradimento di Giuda, i
figli di Ugolino sono paragonati a Cristo stesso: nell’estremo grido d’aiuto Gaddo,
uno dei figli, chiede al padre: “Padre
mio, ché non m'aiuti?” (XXXIII, 69) come fece Cristo in croce[33],
supplizio evocato per la colpa di Pisa di aver imposto ai figli «tal croce»
(XXXIII, 87); infine è il loro «corpo», diventato cibo, che rappresenta
l’immagine del Corpus Christi.
Patria e Pater si fondono in questa
rappresentazione dando la possibilità di interpretare l’attualità, se non
addirittura la cronaca, con esempi che interessano la vita politica, economica
e sociale che degenerano in un vero e proprio «cannibalismo» del «Padre/Patria»
che si nutre dei propri «figli»; l’importanza e la principialità di tale
supplizio emerge dalla sua primordialità evocata dal mito greco di Kronos/Saturno che divora i «figli» per non cedere loro la
sovranità[34].
Gano e Ugolino si mostrano come esempi, in un certo senso
contrapposti, di un «microcosmo» che si riverbera nel «macrocosmo» e viceversa; il tradimento del primo prende avvio da
un «vizio individuale» e si riverbera in uno squilibrio sociale, il secondo
prende avvio da una «vizio sociale» e si riverbera con una tragedia consumata
nella sfera individuale.
∴
Dante incontra nell’Inferno anime di personaggi ancora
viventi; questo avviene per certi uomini destinati alla dannazione che hanno
commutata immediatamente la loro azione in pena; sono trasferiti all’Inferno a
scontare la condanna e nel mondo il loro corpo viene mantenuto in vita da un «diavolo»
fino al suo termine fissato[35]. Nel Cocito descritto da Dante è il caso di
Branca Doria ancora vivo nel tempo in cui Dante compie il suo viaggio
ultraterreno[36]:
in questo caso l’anima di questo dannato, presente nella Tolomea tra i
«traditori degli ospiti», occupava già un posto nell’Inferno mentre il suo
corpo, sulla terra, era mantenuto vivo da un diavolo[37].
Nel caso particolare di Ugolino, secondo la prospettiva che
abbiamo qui illustrato, il padre anticipa la propria pena da vivente, ovvero
mangia i propri figli innocenti così come mangerà il proprio carnefice e
carceriere che ingiustamente imprigionò i figli del conte[38].
Questo particolare riferito al «diavolo» sostituto
dell’individuo condannato, per così dire «per direttissima» nel caso di una
colpa grave quale il tradimento, è della massima importanza qualunque sia
l’interpretazione che si vuole assegnare a questa figura diabolica; certo è che
l’interpretazione iniziatica di tale modalità aiuta a comprendere non tanto le
vicende medievali descritte da Dante, ma la realtà che ci circonda con gli attori
di analoghi tradimenti «in carne e ossa», proprio come quelli che Dante
descrive negli avvenimenti del suo tempo[39].
Il caso più emblematico di questa «modalità» è evidentemente
quello di Giuda, figura del traditore per eccellenza: Satana entra in lui quasi
a identificarsi con l’uomo a confermare quanto dicevamo più in alto
relativamente allo status che, in
questo Cerchio, accomuna Satana e i traditori; Giuda, nel Vangelo di Giovanni, è posseduto da Satana nel momento in
cui concepisce il tradimento, “E
allora, dopo quel boccone, Satana entrò in lui”[40] riconosciuto
perciò da Gesù stesso, “Eppure uno di voi è un diavolo!”[41].
Così come nella lettura della Commedia di Dante la
descrizione di determinati eventi può apparire abnorme, altrettanto nella lettura
dell’attualità può risultare inverosimile pensare a «tradimenti» analoghi da
parte di politici o dirigenti istituzionali[42].
Eppure abbiamo portato due esempi tipici di questo tradimento, tanto reali
quanto drammatici; il primo è una figura quasi leggendaria la cui «mostruosità»
è giustificata dalla speranza che appartenga al mondo della fantasia; il
secondo al contrario è un personaggio vivo nella mente di Dante e noto nella
cronaca della sua gioventù. Ciò nonostante il primo è, alla luce dell’analisi
degli avvenimenti, assai più verosimile; il suo tradimento si consuma mosso,
tutto sommato, solo da un vizio, l’invidia: invidia che non soppesa la gravità
del suo gesto, invidia di un singolo individuo che si contrappone alla morte
del figlio/figlioccio e alla messa in pericolo di un Impero. Il secondo,
invece, patisce la sua pena in vita, i tradimenti verso la «Patria» vengono
ripagati con la negazione estrema della «paternità», ovvero l’antropofagia
filiale.
Nel IX cerchio inoltre è possibile osservare da parte di
Dante, un cambiamento di comportamento degno di essere rilevato. In altre parti
dell’Inferno che precedono l’arrivo nel Cocito, Dante ha provato in più
occasioni pietà per i dannati che ha incontrato, è il caso ad esempio di Paolo
e Francesca anch’essi coinvolti in una storia di tradimento; qui nel Cocito, al
contrario, rifiuta di mostrare pietà perché dopo l’avvertimento di Virgilio, ha
compreso che la giustizia divina deve fare il suo corso mentre la sua pietà
corrisponderebbe ad un’opposizione alla volontà di Dio; in questo Dante
riconosce che la giusta attitudine è assecondare la pena in quanto corrisponde
alla natura propria della condizione del dannato. Dante, incontrando Branca
Doria che gli chiede di aprirgli gli occhi chiusi dalle lacrime gelate, rifiuta
l’atto di carità giustificando che “cortesia fu lui esser
villano”[43],
il che significa che, in
realtà, il suo comportamento «villano» rispettando la natura della pena è pragmaticamente
e, ancorché prima dottrinalmente, conforme alla volonta divina
.
∴
Per chi interpretasse la Divina Commedia non solo come opera
letteraria o storica ma come descrizione di un cammino iniziatico ed espressione
dello svolgersi dell’intero ciclo umano, la collocazione dell’Antenora e gli
eventi che caratterizzano questa particolare fase dell’attuale ciclo – eventi
che non hanno la necessità di essere soprannaturali ma si incarnano
effettivamente nella storia più o meno conosciuta e vissuta nei fatti e nelle
persone che vi partecipano - appariranno ancor più significativi ed evocativi
sulla natura stessa di tali eventi e dei rispettivi attori; la particolare
natura del tradimento della Patria, così come descritto più in alto, porta a
considerare tale azione non più come un tradimento circoscritto, bensì un
tradimento dell'uomo nel suo complesso
in quanto estendibile, di fatto, a tutte le categorie a cui può
indirizzarsi, famiglia, parenti, ospiti, benefattori e ciò che, in termini spirituali, a queste
corrisponde necessariamente in se stessi e nella vita di ognuno di noi.
* N.d.R.: riceviamo da un lettore e pubblichiamo cogliendo l'opportunità dell'occasione odierna, 25 maggio 2014.
* N.d.R.: riceviamo da un lettore e pubblichiamo cogliendo l'opportunità dell'occasione odierna, 25 maggio 2014.
[1] Dal
latino honestus, connesso e derivato da honos «onore»; è la
qualità di una persona che agisce con lealtà, rettitudine, sincerità e
trasparenza.
[2] Inferno 31, 142-143; è Anteo che prende Dante e Virgilio e
chinandosi li posa nel Cocito:
Ma lievemente
al fondo che divora
Lucifero con Giuda, ci sposò;
[3] Nella Divina
Commedia la dottrina del contrappasso (contra e patior,
«patire il contrario») descrive con le forme che le
sono proprie la dottrina delle «azioni e reazioni concordanti» della tradizione
Taoista il cui trattato di riferimento (Taishang ganying pian) è stato tradotto in italiano: cfr Matgioi,
Il libro delle azioni e reazioni
concordanti, in Rivista di Studi Tradizionali n° 90; Fabio Zanello (a cura di), Taoismo
segreto. Scritti sapienziali di antichi Maestri, il curatore
propone anche diferenti traduzioni del titolo: Libro delle Sanzioni oppure Libro
delle Ricompense e delle Pene dell'Altissimo; in inglese: T'ai-shang Kan-Ying P'ien, Treatise of the Exalted One on Response and Retribution (translated
from the Chinese by Teitaro Suzuki and Dr. Paul Carus), The Open Court
Publishing Co., London, 1906. Uno dei primi passaggi del trattato recita: “La
contropartita delle azioni di ogni uomo è infatti benefica o malefica, in
proporzione al valore di quelle azioni, così come l'ombra accompagna sempre i
corpi solidi”; nel Vangelo tale dottrina è sintetizzata dall’affermazione “Di
chi spada ferisce di spada perisce” (Qui gladio
ferit gladio perit, Giovanni 18, 13)
mentre in altre forme tradizionali, tra le quali quella nella tradizione
islamica, si ritrova nella «legge del taglione» (lex talionis) per certi
versi analoga alla dottrina taoista.
[4] La Carità sarà associata al calore precisamente
quando Dante la incontrerà impersonificata nel paradiso terrestre sulla sommità
del monte del Purgatorio.
[5] Inferno
XXXII, le anime sono punite immerse nel ghiaccio fino alla testa
con il viso rivolto verso il basso.
[6] In
questa definizione il termine «Partito» non ha connotazioni esclusivamente
politiche ma dev’essere preso in senso lato ovvero come gruppo o organizzazione
che riunisce individui che partecipano una stessa idea, uno stesso progetto o
fine; dal punto di vista iniziatico ad esempio, può esprimere l’organizzazione
attorno alla quale si riuniscono coloro che condividono la stessa Via
spirituale.
[7] Inferno
XXXIII, qui le anime sono immerse nel ghiaccio con il capo riverso, nel loro
particolare caso il freddo fa congelare le lacrime negli occhi in modo da non
poter esprimere il dolore con il pianto. Secondo il commento di Iacopo, figlio
di Dante, la colpa è di colui che «servendo tradisce il servito», ovvero di
chi, fingendo di fare del bene, tradisce il beneficiato.
[8] Inferno
XXXIV, qui le anime sono immerse completamente del ghiaccio in
posizioni differenti in relazione al particolare tradimento consumato. Il tradimento d’amore sembrerebbe per Dante
meno grave del tradimento di cui si parla nel IX Cerchio: infatti Dante canta
le vicende di Paolo e Francesca nel II Cerchio descritto nel V canto.
[9] Ad esempio Svetonio scrive nel suo De Vita Caesarum (Liber I Divus Iulius,
LXXXII) che Cesare, nel momento della sua morte per mano di Bruto, abbia
pronunciato in greco la frase «καὶ σύ, τέκνον», (kai su, teknon?) «anche tu, figlio?», tradizione ripresa da Cassio
Dione e giunta fino a Shakespeare.
[10] Non dimentichiamo che la stessa parola
Patria nasce e rimanda proprio al concetto di «paternità».
[11] Ciò che colpisce di tale pena è l’immobilità cui sono
sottoposti i dannati, quindi l’impossibilità di muoversi ad eccezione in certi
casi della testa. Ne L’esoterismo di
Dante (cap. VIII I cicli cosmici) René
Guénon scrive: “Vi si può vedere la prevalenza rispettiva delle due tendenze
contrarie, tamas e sattwa, che abbiamo definito in precedenza: la
prima si manifesta in tutte le forze di contrazione e di condensazione, la
seconda in tutte le forze di espansione e di dilatazione; e troviamo anche, a
questo riguardo, una corrispondenza con le proprietà opposte del caldo e del
freddo: il primo dilata i corpi, il secondo li contrae; per questo motivo
l’ultimo cerchio dell’Inferno è gelato”.
[12] Così
come Satana tradisce all’«inizio» del ciclo umano, Giuda tradisce all’«inizio»
dell’avvento del cristianesimo, Bruto e Cassio all’inizio dell’Impero. Anche per Polibio che ne tratta diffusamente
(Storie, XVIII) il tradimento è posto
come un problema di non facile soluzione: “Chi infatti dev’essere propriamente
considerato un traditore? La risposta è difficile”, la sua risposta è,
esemplificando “chi consegna la propria città [...] per garantire la propria
sicurezza o per procurarsi dei vantaggi personali”, oppure chi lo fa “per
nuocere ai propri avversari politici”.
[13] Ellanico, Hist.
Fragmenta, Servio o
Ditti Cretese, Ephemeris Belli Troiani. Fuggito da Troia, Antenore sarebbe arrivato in Italia e
avrebbe fondato la città di Venezia e/o di Padova dove sorgerebbe (il dubbio è
d’obbligo) la sua tomba, ora una sorta di edicola in stile medievale; secondo
Livio, Antenore fu il capostipite del popolo dei Veneti. Altre leggende lo vedo
fondatore di Chioggia.
[14] Inferno,
XXXII 122. Evento che risale al 1280.
[15] Inferno, XI
63. Cfr. la voce «Antenora» dell’Enciclopedia
Dantesca (1970) a cura di Emilio Bigi.
[16] Theodor Fontane scriveva nel suo Archibald Douglas: “Chi ama la patria è
fedele nel più profondo dell'anima”. Riguardo alla spontaneità e naturalezza di
tale legame cfr. Metastasio: “È istinto di natura / L'amor del
patrio nido. / Amano anch'esse / Le spelonche natìe le fiere istesse”.
[17] Quindi Patria in quanto «Nazione» dal latino
natio.
[18] È
questa la ragione profonda secondo la quale l’unità di una Nazione o, ancor più
evidentemente, l’unione di più Stati (come nel caso dell’Unione Europea) deve
fondarsi in prima istanza sull’unità della lingua, condizione senza la quale
ogni altra modalità, politica e tantomeno economica, potrà supplire.
[19] Ugolino della Gherardesca (1220 –
1289). Oltre ai
sopracitati, nel canto si incontrano l’arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini
antagonista e accusatore del conte Ugolino, Bocca degli Abati, Buoso da Duera,
Tesauro dei Beccheria, Gianni de' Soldanieri, Tebaldello Zambrasi, Tideo,
Menalippo, Gualandi, Sismondi, Lanfranchi, Anselmo della Gherardesca, Gaddo
della Gherardesca, Uguccione della Gherardesca, Brigata della Gherardesca.
[20] Ganellone nella Divina Commedia, Inferno XXXIII, 122. Nella Chanson de Roland I, 12: “Guenes
i vint, ki la traïsun fist” (“On y voit aussi Ganelon, celui qui fit la trahison”).
[21] Gano è paladino del re ovvero comes palatinus «conte di palazzo»,
generalmente è il più importante o tra i più importanti cavalieri presso la
corte di Carlo Magno ed equivalente a ciò che attualmente corrisponde un
Ministro o primo Ministro, infatti il personaggio è ambasciatore dell’Imperatore presso i «Saraceni». Gano sposa Berta la sorella di Carlo Magno,
madre di Orlando orfano del padre Milone.
[22] Si tratta del re Marsilio, nome che
verosimilmente deriva dalla città di Murcia, in arabo Mursiyyah.
[23] Infine Orlando morente suonò il corno che
fece accorrere lo zio nelle cui braccia spirò il nipote.
[24] Nei Racconti di Canterbury di
Chaucer è paragonato a Giuda. Nel
simbolismo massonico il tradimento del «segreto» prevede pene corporali assai
simili a quella descritta: tra tutte le varianti la Guide des Maçons Écossais del 1810 dispone, per il tradimento del
Maestro massone, quanto segue: “Prometto inoltre di adempiere i miei
precedenti obblighi, sotto pena di avere
il corpo aperto in due, una parte a Sud, e l’altra a Nord…”. In questo caso lo
«squartamento» (ovvero la divisione in «quarti») non vuole essere la descrizione
di una pena solo atroce, ma corrisponde a una ragione simbolica. Così come il
compito del Maestro è quella di «riunire ciò che è sparso» che simbolicamente
equivale a riunire in un «centro» ciò che si trova simbolicamente separato ai
quattro punti cardinali, così il suo tradimento si traduce in uno smembramento
che ri-divide l’essere nei «quarti» dello stato precedente alla propria
integrazione iniziatica: perciò simbolicamente indica l’opposizione all’unità
che dal punto di vista microcosmico corrisponde a questa divisione corpora e dal punto di vista macrocosmico alla «divisione
del regno» che si vuole imporre con il tradimento. Tale pratica passa
nell’ordinamento giuridico di molti paesi dell’antichità (Belgio, Inghilterra
ecc.) il drawn and quartered
(«tirato e squartato») era una pratica prevista dal codice penale per reati
legati al tradimento.
[25] La battaglia della Meloria si svolse il 6
agosto 1284.
[26] L’antica torre dei Gualandi fu da allora
chiamata «torre della Fame».
[27] Inferno
XXXIII, 58.
[28] Inferno
XXXIII, 61-63.
[29] Inferno
XXXIII, 72-75.
[30] Inferno
XXXIII, 77.
[31] Inferno XXXIII,
1. Tale figura retorica è confermata dal personaggio Tideo, altro
traditore della Patria, padre di Diomede, che dopo aver ucciso Menalippo
se ne fece portare il capo per divorarlo (Inferno XXXII,
127-132):
e
come 'l pan per fame si manduca,
così
'l sovran li denti a l'altro pose
là
've 'l cervel s'aggiugne con la nuca.
non
altrimenti Tideo si rose
le
tempie a Menalippo per disdegno,
che
quei faceva il teschio e l'altre cose
[32]
Anche in questo caso di antropofagia, come nello «squartamento», la pena assume
una rilevanza simbolica in quanto si tratta di smembramento, ovvero divisione,
di qualcosa che è in sé unito.
[33] Il grido di Gesù sulla
croce è presente in Matteo (27, 46)
"Elì, Elì, lamà sabactàni?" e nella variante in Marco (15, 34) "Eloì, Eloì lamà sabactàni?"
tradotta invariabilmente "Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?".
[34] Come
è noto Zeus, l’ultimo figlio generato
da Rea moglie di Kronos, viene risparmiato perché la madre consegna al padre
una pietra da divorare al posto del figlio. Gli sviluppi del mito hanno
certamente risvolti pertinenti all’argomento qui trattato ma non vogliamo in
questa sede dilungarci sulle implicazioni.
[35] Le anime che si trovano in questa condizione, ovvero
poste direttamente all’Inferno nel momento del loro tradimento, sono speculari
a quelle che al contrario, giungono in Paradiso senza attendere il Giorno del
Giudizio. Nella Divina Commedia è il caso dell’anima di Cacciaguida posta tra
le «anime combattenti» (Paradiso XV
148):
e venni dal martiro a questa pace.
Anche nell’Islâm è presente
la stessa caratteristica; anche in questo caso si tratta principalmente di quei
combattenti - e specificatamente per i combattenti martiri della battaglia di
Badr - per i quali fu espresso l’hadîth: “Giuro
in Colui che nelle mani trattiene l'anima di Muhammad, che Allâh farà entrare
in Paradiso chiunque oggi li combatterà [i nemici] e sarà ucciso soffrendo
nella dura prova e ricercando il piacimento di Allah, procedendo e non
retrocedendo”.
[36] Inferno XXXIII 136-141
Tu ‘l del saper, se tu vien pur mo giuso:
elli è ser Branca Doria, e son più anni
poscia passati ch’el fu sì racchiuso.
Io credo” diss’io lui ”che tu m’inganni;
ché Branca Doria non morì unquanche,
e mangia e bee e dorme e veste panni”
[37] Inferno
XXXIII 129-132
sappie che,
tosto che l'anima trade
come fec'io,
il corpo suo l'è tolto
da un
demonio, che poscia il governa
mentre che 'l tempo suo tutto
sia vòlto.
Inferno XXXIII 145-147
che questi lasciò il diavolo in
sua vece
nel corpo suo,
ed un suo prossimano
che 'l tradimento insieme con
lui fece.
Anche il caso di Carlino de' Pazzi potrebbe appartenere a questa categoria di dannati: il
suo caso nell’Antenora è profetizzato dal fratello Camicione de' Pazzi
(Camiscion) incontrato nella Caina: “sappi ch'i' fu' il Camiscion de' Pazzi; e
aspetto Carlin che mi scagioni”
(Inferno XXXII, 67-69), Carlino è contemporaneo di
Dante e morto nel 1348.
[38] A
conferma dell’estrema gravità del tradimento, si può osservare che la pena
comminata a Ugolino che «addenta» la testa del suo carnefice (“riprese
'l teschio misero co'denti, / che furo a l'osso, come d'un can, forti” Inferno
XXXIII, 77-78) è di fatto un’anticipazione di quella che vede Lucifero
divorare i corpi di coloro che per Dante sono i peggiori traditori, Giuda,
Bruto e Cassio.
[39] Si è
contestata la condanna irrevocabile subita da questi traditori puniti in vita e
sostituiti da un «diavolo». In Dante questo è giustificato dall’ineluttabilità
del tradimento che rimane nel proverbio «Chi ha tradito, tradirà!» sottolineando con questo come
questo genere di «peccato» è tale da escludere ogni genere di «redenzione».
[40] “..et
post buccellam, introivit in eum Satanas”,
Giovanni 13, 27.
[41] Giovanni
6,70.
[42] È
obbligo osservare che la maggior parte dei dannati che Dante incontra nel
Cocito sono suoi contemporanei o personaggi noti e attivi durante la gioventù
del poeta.
[43] Inferno XXXIII, 150.
L'articolo è assolutamente ben fatto e profondo. Le argomentazioni e le relative note, sono perfettamente comprensibili e del tutto condivisibili. Segnalo, per spirito di collaborazione, che il personaggio Branca Doria citato sul finire dell'articolo è "probabilmente" errato e da sostituire con quello di Frate Alberigo.
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