"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

martedì 27 maggio 2014

Liber scalae Machometi - Il Libro della Scala di Maometto

Liber scalae Machometi
Il Libro della Scala di Maometto

1

Qui comincia il libro che in arabo si intitola Halmahereig, che in latino significa: "salire in alto". Maometto lo compose, e gli diede tale nome. Per questo è chiamato così dalle genti. Il libro narra dell'ascesa di Maometto, del modo in cui salì al cielo per mezzo di una scala, come apprenderete da quel che segue. E vide tutte le mirabili cose che Dio gli mostrò, come lui afferma e il libro riporta.
Tale libro fu tradotto dall'arabo in spagnolo dal medico giudeo Abraham per ordine del nobile ed eccellente signore Alfonso, per grazia di Dio re augusto dei Romani, di Castiglia, di Toledo, di Lione, di Galizia, di Siviglia, di Cordova, di Murcia, di Giena e di Algarve, al fine di illustrare la vita e la dottrina di Maometto. Ed Abraham lo divise e lo distinse in capitoli, affinché si potesse più facilmente mostrare il suo contenuto a coloro che erano desiderosi di conoscerlo, e dar loro soddisfazione più pronta.
E come il suddetto libro è stato tradotto dal menzionato Abraham, e suddiviso e distinto in ottantacinque capitoli, così io, Bonaventura da Siena, segretario e scrivano del predetto re, l'ho tradotto, parola per parola, dallo spagnolo in latino per ordine suo, come mi hanno permesso il mio debole ingegno e l'assistenza del mio scarso eloquio, affinché siano noti gli attacchi, indebiti quanto ridicoli, di Maometto contro Cristo, in modo tale che la verità della fede in Cristo, comparata a quelle menzogne, diventi più cara. Infatti la conoscenza delle tenebre rende la luce più gradita, e la natura di ogni cosa appare più evidente se la si pone accanto al suo contrario. E sebbene in questa traduzione io possa aver fallito per incompetenza, e possa esser rimproverato per la rudezza del mio linguaggio, tuttavia, desideroso per quanto mi è stato possibile di obbedire a tutti gli ordini del mio signore, ho assunto questo compito con animo lieto, ed ho compiuto tale versione secondo le mie forze e fedelmente, basandomi sull'esemplare della traduzione anzidetta. E poiché nulla è così lampante che sia superfluo parlarne, poiché di nulla, certo o dubbio che sia, si può mostrare ed approvare la verità, e respingere il contrario, se non con la parola, chiedo venia a chi avrà qualcosa da obiettare se ho comunque tradotto questo libro.
2
Il i capitolo parla di come l'angelo Gabriele andò a Maometto, e di cosa gli disse.
Il ii capitolo parla di una bestia che Gabriele portò a Maometto, sulla quale costui andò al tempio di Gerusalemme.
Il iii capitolo parla di come Maometto, così andando, udì delle voci, e di cosa Gabriele gli disse riguardo ad esse.
Il iv capitolo parla di come Maometto giunse nel tempio anzidetto, e di come pregò e di cosa trovò in esso.
Il v capitolo parla della forma della scala su cui Maometto ascese al cielo.
Il vi capitolo parla di come Maometto, salendo lungo la scala, vide nell'aria un grande angelo, e di cosa quell'angelo disse a Maometto riguardo a lui e al popolo suo.
Il vii capitolo parla di come Maometto capì che quel grande angelo era l'angelo della morte, e di quel che gli chiese, e di quel che l'angelo gli rispose.
L'viii capitolo parla di come l'angelo della morte compie il suo ufficio sulle anime buone e su quelle malvage.
Il ix capitolo parla di come Maometto vide un angelo che aveva figura di gallo e un altro per metà fuoco e per metà neve, e di cosa essi facevano.
Il x capitolo parla di come Maometto vide il tesoriere dell'inferno, e di cosa costui gli disse riguardo al suo popolo.
L'xi capitolo parla di come Maometto chiese al tesoriere anzidetto molteplici cose, e di quello che costui rispose.
Il xii capitolo parla di come Maometto entrò nel primo cielo e di cosa trovò in esso.
Il xiii capitolo parla del secondo cielo.
Il xvii capitolo parla del sesto cielo.
Il xviii capitolo parla del settimo cielo.
Il xix capitolo parla dell'ottavo cielo.
Il xx capitolo parla di come Dio si rivolse a Maometto, e di come costui vide la sua cattedra.
Il xxi capitolo parla di come Maometto vide gli angeli che portano la cattedra di Dio.
Il xxii capitolo parla di come Maometto vide le schiere degli angeli che sono nel cielo ove si trova l'anzidetta cattedra di Dio.
Il xxiii capitolo parla di come Maometto vide gli angeli chiamati Cherubini, e di qual forma essi avevano.
Il xxiv capitolo parla di come Maometto vide tra gli angeli dei fiumi di diverse specie, e monti innevati.
Il xxv capitolo parla di come Maometto vide un grandissimo mare ov'erano angeli, e un cielo circondato di fiumi.
Il xxvi capitolo parla di come Dio fece molteplici mondi e creature di molteplici specie.
Il xxvii capitolo parla di quella terra bianca che Dio fece per sé, e delle creature che vi si trovano.
Il xxviii capitolo parla di come Maometto rivide in un istante tutto quel che prima più diffusamente aveva visto.
Il xxix capitolo parla di come Maometto vide un gallo che era di Dio, e di cosa quel gallo faceva.
Il xxx capitolo parla di come Maometto vide il muro del Paradiso, e di com'era quel muro, e di com'egli vi entrò.
Il xxxi capitolo parla di come Maometto chiese a Gabriele di quel Paradiso, e di cosa gli rispose Gabriele.
Il xxxii capitolo parla di come Maometto chiese a Gabriele quanto la terra distava dal primo cielo, e molte altre cose.
Il xxxiii capitolo parla del Paradiso in cui fu creato Adamo, e dei fiumi che in esso si trovano.
Il xxxiv capitolo parla di tutti i Paradisi, e di come si chiamano, e di molte altre cose.
Il xxxv capitolo parla delle forme delle dame che sono nei Paradisi anzidetti, e di cosa esse fanno.
Il xxxvi capitolo parla della forma di quel Paradiso che si chiama "Genet hanaym".
Il xxxvii capitolo parla della gioia e del bene di quanti stanno nel "Genet hanaym" anzidetto.
Il xxxviii capitolo parla di quello che fanno le gemi che sono nel Paradiso, dopo aver mangiato.
Il xxxix capitolo parla della forma di un albero che è nel Paradiso e che ha nome "Thuba".
Il xl, capitolo parla di un altro albero ove si adunano quelli che stanno in Paradiso per ascoltare le storie che narrano loro gli angeli, e dei segni che Dio manda loro.
Il xli capitolo parla di come Dio si mostrò a quelli che andarono a vederlo, e di quel che disse e donò a loro.
Il xlii capitolo parla di come quelli che vanno in Paradiso trovano delle lettighe, e di come entrano in esse.
Il xliii capitolo parla dei fiumi, dei monti, dei giardini e delle fonti del Paradiso.
Il xliv capitolo parla degli alberi dei Paradisi anzidetti, e delle tende e delle dame che in essi si trovano.
Il xlv capitolo parla di come Maometto trova il tesoriere del Paradiso, e di ciò che costui gli dice e gli mostra.
Il xlvi capitolo parla del fiume che circonda tutti i Paradisi, e delle tende e delle dame che in essi si trovano.
Il xlvii capitolo parla di come gli angeli conducono le dame anzidette ai loro sposi che stanno nel Paradiso.
Il xlviii capitolo parla dell'albero che è tutto un'unica perla, e di una fonte che zampilla ai suoi piedi.
Il xlix capitolo parla di come Maometto ricevette il Corano dalla mano stessa di Dio.
Il l capitolo narra di come Dio diminuì le preghiere che aveva imposto a Maometto.
Il li capitolo parla di come Maometto pregò Dio riguardo ai digiuni imposti, e di come Dio glieli alleviò.
Il lii capitolo parla dei quattro vasi che furono dati da bere a Maometto, e del loro significato.
Il liii capitolo parla di come Maometto fu condotto al Paradiso inferiore, e di cosa trovò in esso.
Il liv capitolo parla di come Maometto vide la prima terra dell'inferno, e di cosa in essa si trovava.
Il lv capitolo parla della seconda terra.
Il lvi capitolo parla della terza terra.
Il lvii capitolo parla della quarta terra.
Il lviii capitolo parla della quinta terra.
Il lix capitolo parla della sesta terra.
Il lx capitolo parla della settima terra.
Il lxi capitolo parla di un pozzo pieno di fuoco che è nei pressi dell'inferno, e di ciò che farà quel fuoco nell'approssimarsi del giorno del giudizio.
Il lxii capitolo parla di come Dio pose lì dove sono le sette terre infernali anzidette.
Il lxiii capitolo parla di come Maometto chiese a Gabriele quali facoltà avranno le cose nel giorno del giudizio, e di cosa gli rispose Gabriele.
Il lxiv capitolo parla di altre domande che Maometto pose a Gabriele sulle sette terre anzidette, e della risposta che ne ebbe.
Il lxv capitolo parla di come Dio manifestò la lealtà, e a chi la donò.
Il lxvi capitolo parla di come nel giorno del giudizio le genti si raduneranno, e di come esse verranno a ricevere il giudizio.
Il lxvii capitolo parla di come Dio giudicherà nel giorno del giudizio.
Il lxviii capitolo parla di come Maometto chiese a Gabriele se il cielo e la terra e tutte le altre cose si tengano a vicenda oppure no, e di cosa Gabriele rispose.
Il lxix capitolo parla di come Maometto chiese a Gabriele se oltre il monte chiamato Kaf ci fossero uomini, e delle molte altre cose che Gabriele rispondendo gli disse.
Il lxx capitolo parla di come Dio divise i suoi doni fra le creature.
Il lxxi capitolo parla di come Maometto vide l'inferno, le porte e le altre cose che in esso si trovano.
Il lxxii capitolo parla di come Gabriele narrò a Maometto il modo in cui son divise le pene dell'inferno.
Il lxxiii capitolo parla della mirabile bestia che Dio si farà venire dinanzi nel giorno del giudizio.
Il lxxiv capitolo parla di quel che Maometto chiese a Gabriele della bestia anzidetta, e delle risposte che ne ebbe.
Il lxxv capitolo parla della risposta che Gabriele diede a Maometto quando costui gli chiese se il giorno del giudizio sarà lungo o breve.
Il lxxvi capitolo parla della forma del ponte Azirat che tutti dovranno varcare, e del modo in cui saranno interrogati coloro che lo varcheranno.
Il lxxvii capitolo parla dei monti che stanno intorno al ponte Azirat anzidetto, e anche dei fiumi di fuoco e delle molte altre cose che ivi si trovano.
Il lxxviii capitolo parla di come il popolo di Maometto è suddiviso in gruppi, e di come quei gruppi passeranno il ponte anzidetto.
Il lxxix capitolo parla di come Maometto vide i peccatori patire nell'inferno diverse specie di tormenti.
L'lxxx capitolo parla di come Gabriele lasciò Maometto e lo raccomandò a Dio, e di come Maometto poi tornò alla sua casa.
L'lxxxi capitolo parla di come Maometto andò alla Moschea per narrare ai Coreisciti quel che aveva visto.
L'lxxxii capitolo parla di come Maometto narrò ai Coreisciti tutto quel che aveva visto, e di come essi gli risposero.
L'lxxxiii capitolo parla di come i Coreisciti misero alla prova Maometto chiedendogli una premonizione su una loro carovana.
L'lxxxiv capitolo parla di come Maometto rispose ai Coreisciti riguardo alla loro carovana, dicendo il vero.
L'lxxxv capitolo parla di come Maometto fece mettere per iscritto tutte le cose anzidette, in questo libro a cui diede nome Halmahereig.

Capitolo I

3
Sappiano tutti coloro che abitano le quattro parti del mondo che sono oriente, occidente, settentrione e mezzogiorno, che vedranno e ascolteranno leggere questo libro prezioso, che io, Maometto figlio di Abdallaha, nativo della città araba della Mecca e nobile coreiscita, mi trovavo una notte, illuminato dalla grazia di Dio, alla Mecca, nella mia casa, e giacevo a fianco della mia sposa di nome Omheni, e vegliavo immerso in meditazioni sulla legge divina. E quando poi presi sonno, subito venne a me l'angelo Gabriele, e mi si rivelò in questa forma: il suo volto era più bianco del latte e della neve e i suoi capelli erano più rossi del più rosso corallo. E aveva sopracciglia ampie, e bocca bellissima e ben formata, e denti bianchi e splendenti; e indossava vesti bianchissime e meravigliosamente ornate di perle e di pietre preziose. E portava due cinture, una sul petto e l'altra intorno ai fianchi, come usano gli uomini; ed esse erano d'oro purissimo, mirabilmente ornate, e ciascuna più alta di un gran palmo. E le sue mani erano rosse come il fuoco, e i piedi e le ali erano più verdi e splendenti di uno smeraldo.
4
Così dunque si presentò a me Gabriele, e mi disse: «Maometto, tu che sei nunzio di Dio, alzati e preparati: affibbiati la cintura, e avvolgiti il capo e il corpo nel tuo bianco mantello, e vieni dietro a me, poiché Dio questa notte vuole mostrarti molti prodigi della sua potenza e molti dei suoi segreti». Avendo udito ciò, subito compresi che era Gabriele colui che mi stava innanzi, e balzai dal letto e mi preparai come mi aveva ordinato. E non appena fui pronto raggiunsi la soglia della mia casa, dove Gabriele mi stava aspettando, e mi genuflessi ornilmente ai suoi piedi.

Capitolo II

5
Dopo che io, Maometto, mi fui inchinato dinanzi Gabriele, come avete appena udito, ecco che guardando io vidi che teneva per le briglie una bestia che aveva portato per me, e il cui nome arabo era Alborak, che in latino significa: "maschio d'anatra o di piccola oca". Tale infatti, era per forma, mentre per dimensioni era più grande di un asino e più piccola di un mulo. Aveva volto umano, crini di perla e criniera di smeraldo; la coda era di rubino, e aveva gli occhi più chiari del sole. I suoi zoccoli e le unghie erano come quelli del cammello, e i suoi colori erano di purissimo splendore. Aveva una sella così magnifica e così riccamente e mirabilmente ornata di perle e di pietre preziose che nessuno saprebbe descriverla. harcione era d'oro purissimo e persino il cuoio non era cuoio, ma la stessa gloria di Dio; e il freno e il pettorale erano di rubini, di topazi e smeraldi, e le staffe di croco. Vidi anche che la bestia era attorniata da angeli che su di lei vigilavano.
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E Gabriele mi disse: «Maometto, sali su questa bestia e cavalcala». E quando mi avvicinai per cavalcarla, essa non volle portarmi. Allora l'angelo gli disse: «Alborak, sta' quieto e tollera che costui ti cavalchi, perché giuro sul nome di Dio che mai un uomo più degno ti ha montato, né mai ti monterà finché il mondo avrà vita». E l'animale disse: «Chi è dunque costui?»; al che Gabriele gli rispose, dicendo: «È Maometto, nunzio di Dio e profeta grandissimo». E non appena l'animale udì questo, si quietò, ed io lo montai, aiutato da Gabriele che mi resse la staffa dicendo: «Va' con la benedizione di Dio, che ti sosterrà e ti guiderà dovunque andrai». E allora Alborak subito si mosse, e avanzava così rapido e senza scosse che nessuna lingua umana sarebbe in grado di esprimerlo. Ed io vidi che i suoi passi erano così lunghi che tra l'uno e l'altro v'era tanta distanza quanta un uomo può coprire con lo sguardo. E si dirigeva verso il tempio di Gerusalemme.

Capitolo III

7
Mentre io, Maometto, come avete inteso da quanto precede, andavo verso il tempio di Gerusalemme sulla bestia anzidetta, Gabriele, l'angelo santo, camminando alla mia destra, mi parlava di molte dilettevoli cose, nell'udir le quali fui non poco allietato. E mentre avanzavamo, e io ascoltavo quel che Gabriele mi narrava, ecco che udii una voce soave chiamarmi, dicendo: «Ah, Maometto». Ma io non volli voltarmi per guardare in direzione della voce, e proseguii senza rispondere. E più avanti, dopo un gran tratto di cammino, udii un'altra voce che mi chiamava forte, dicendo: «Ah Maometto, aspettami». Io non risposi né mi curai di guardare verso il punto da cui la voce era giunta, ma proseguii il mio cammino. E ancora, dopo un lungo tratto di strada, ecco che vidi una donna, più bella d'ogni altra donna mai prima vista, rivestita di tutti i colori che è possibile immaginare, e mi chiamò dolcemente tre volte dicendo: «Ah Maometto, aspettami!». Io l'attesi, ma quando lei si avvicinò e volle parlarmi, la lasciai, non poco sdegnato, e proseguii oltre.
8
E dopo qualche tempo Gabriele mi guardò dicendo: «Maometto, ora so che in te c'è una grande sapienza. Sappi infatti che la prima voce che ti chiamava era la legge giudaica, e se tu le avessi risposto, tutti i tuoi fedeli sarebbero divenuti giudei». E poi mi chiese se sapessi che voce fosse quella che mi aveva chiamato per seconda; ed io gli risposi dicendo: «Lo ignoro, Dio solo lo sa». E Gabriele mi disse: «Sappi che quella voce era la legge dei cristiani: se tu le avessi risposto tutti i tuoi sarebbero divenuti cristiani». Ed io di rimando gli dissi: «Ora che mi hai spiegato chi fossero quelle due donne ti prego di dirmi chi fosse la terza donna, così splendida, che mi ha chiamato per ultima, e che voleva parlarmi». E lui: «Sappi che quella donna rivestita di tutti i colori era il mondo terreno, pieno di ogni delizia. E poiché tu l'hai attesa, sappi che il tuo popolo avrà più conforti e più beni di tutte le altre gemi che furono e saranno. Ma poiché poi l'hai lasciata sdegnato e senza curarti di rispondere, tu sarai senza peccato, più di tutti i profeti fin qui esistiti, e di quelli che in futuro verranno». Poi tacque e mi condusse al tempio anzidetto.
9
E quando fummo davanti alla porta del tempio, mi comandò di scendere vicino a una pietra nera, dove erano soliti scendere i profeti, e così feci, poi Gabriele legò Alborak alla pietra e prendendomi per mano mi condusse nel tempio.

Capitolo IV

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Dopo esser entrato con Gabriele nel tempio, ecco che io, Maometto, vidi nel suo interno tutti i profeti che Dio aveva fatto uscire dalle loro tombe, adunandoli lì affinché mi onorassero. Essi stavano tutti ad attendermi in piedi. E come mi videro, cominciarono tutti a pregare. Allora Gabriele mi disse: «Vieni dinanzi a me, Maometto, e guida tu la preghiera, poiché tu sei il re di tutti i profeti e il signore di tutte le genti ». Ed io, udendo ciò, mi feci avanti e compii due brevi orazioni. Poi mi alzai e subito tutti i profeti mi salutarono e mi tributarono grandi onori, e abbracciandomi mi annunziarono buone novelle sul grandissimo bene che Dio aveva in serbo per me e per tutto il mio popolo. E tutti vollero sapere di me, e non ci fu nessuno che non mostrasse aperto desiderio che Dio mi colmasse di beni e di onori; e a tale fine lo pregarono tutti.

Capitolo V

11
Dopo che io, Maometto, ebbi compiuto in quel tempio le mie preghiere con i profeti lì adunati, e dopo esser stato ricevuto con onore e anche abbracciato da loro, come avete udito, ecco che Gabriele mi prese per mano e mi condusse fuori dal tempio e mi mostrò una scala che scendeva dal primo cielo fino alla terra su cui mi trovavo. E quella scala era la cosa più bella che si fosse mai vista. Essa poggiava su quella pietra presso cui in precedenza ero disceso. I suoi gradini erano fatti come segue: il primo era di rubino, il secondo di smeraldo, il terzo di perla luminosissima e tutti gli altri di pietre preziose, ognuna secondo la sua natura, lavorati con perle e oro purissimo, tanto riccamente che nessun cuore umano sarebbe in grado di concepirlo. Ed era tutta ricoperta di sciamito verde più splendente di uno smeraldo, e circondata di angeli che la custodivano. Ed era così luminosa che a stento la si poteva guardare.
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Gabriele mi prese per mano e sollevandomi da terra mi pose sul primo gradino e mi disse: «Sali, Maometto!». Ed io salii, e lui mi accompagnava, con tutti gli angeli che erano assegnati alla custodia della scala. E Gabriele mi andava dicendo buone novelle sul grandissimo bene che Dio aveva in serbo per me.

Capitolo VI

13
Mentre io, Maometto, salivo con Gabriele lungo la scala di cui sopra vien detto, guardando in alto vidi un grande angelo assiso in trono, il quale reggeva tra le mani una tavola che si stendeva da oriente a occidente. Alla destra di quell'angelo ce n'erano molti altri, coi volti rilucenti come luna piena, per lo splendore della grazia di Dio. E tutti quegli angeli indossavano vesti verdi, più splendenti dello smeraldo, e avevano profumi più soavi del muschio e dell'ambra. E a sinistra c'era una schiera di angeli più neri dell'inchiostro, con gli occhi rosso fuoco, e puzzavano e avevano voci più forti del tuono e il loro aspetto era immensamente spaventoso.
14
E Gabriele mi disse: «Fatti avanti, Maometto, e saluta quel grande angelo, e sappi che occupa un posto eminente al cospetto di Dio». Ed io lo salutai, e l'angelo mi restituì il saluto con un lieve cenno del capo. E osservando meglio mi accorsi che quello guardava alternativamente la tavola e il mondo; e fui molto stupito per il modo con cui obbediva al Signore Dio suo. Allora Gabriele parlò al grande angelo dicendo: «Perché non saluti l'uomo più nobile che esista al mondo?». E l'angelo chiese a Gabriele: «Chi sarà mai costui?». E Gabriele rispose: «È Maometto, nunzio del nostro Dio». Allora l'angelo a Gabriele: «È già stato inviato?». E Gabriele disse: «Sì, non c'è dubbio». E subito l'angelo mi salutò, annunziandomi buone novelle sul grandissimo bene che Dio aveva in serbo per me. E disse ancora che io ero il più alto e il più nobile di tutti ì nunzi di Dio, ed ero di diritto il signore di tutte le genti, e poi mi chiese di pregare con lui. Allora io, inchinatomi, pronunciai due brevi orazioni in ginocchio, poi mi rialzai. E subito quell'angelo e tutti gli altri mi salutarono. Poi quel grande angelo mi disse: «Sappi, Maometto, che il tuo popolo sarà quello che rimarrà come ultimo nel mondo, e durerà più a lungo di tutti gli altri popoli, perché Dio ama molto la tua gente, giacché fugge il male e compie il bene».

Capitolo VII

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Avendo udito quel che di me, Maometto, e del mio popolo aveva detto il grande angelo anzidetto, come avete appena udito, chiesi a Gabriele chi fosse. E Gabriele mi rispose dicendo che era l'angelo della morte. Udito ciò, subito mi avvicinai a lui e gli chiesi: «Tu sei l'angelo della morte?». E lui mi rispose: «Lo sono». Ed allora l'interrogai, pregandolo di dirmi in che modo estraesse le anime dai corpi degli uomini alla loro morte. E lui mi rispose dicendo: «Sappi, Maometto, che dal momento in cui creò Adamo, il primo uomo, e lo pose sopra la terra, Dio mi diede il compito di trarre le anime fuori dai corpi degli uomini fino alla venuta del gran giorno del giudizio, così che nessuno resti vivo, tranne Dio, ed io con Lui. E poi Dio dovrà estrarre l'anima anche a me, così da durare Lui solo per l'eternità». Dette che ebbe tali parole, io gli rivolsi un'altra domanda: «Quando nel medesimo istante muoiono due uomini, uno in oriente e l'altro in occidente, in che modo puoi contemporaneamente estrarre le anime a entrambi?». Ed egli rispose: «Tu non comprendi, Maometto, che tutto il mondo sta al mio cospetto, e che io lo vedo tutto senza che sia possibile nascondermi neppure un soldo. E poiché al mio cospetto, tutto il mondo è meno di nulla, non mi è grave estrarre nello stesso istante due anime una a oriente e l'altra a occidente».
16
E poi gli domandai ancora: «Quando si combattono grandi battaglie, in cui muoiono innumerevoli uomini, come puoi estrarre tante anime insieme?». E lui a me: «Sappi, Maometto, che in tal caso io le chiamo tutte a gran voce, ed esse vengono a me, e così posso coglierle». E ancora gli domandai: «Dimmi, angelo della morte, quando le anime sono al tuo cospetto, come puoi distinguere quali debbano andare in Paradiso e quali all'inferno?». E lui mi rispose: «Maometto, non vedi che i nomi di tutti gli uomini che furono, che sono e che saranno fino alla fine del mondo stanno scritti su questa tavola, con la morte destinata ad ognuno, e col bene e il male che Dio gli avrà riservato secondo i suoi meriti? Per questo so bene chi dovrà andare in Paradiso e chi all'inferno».

Capitolo VIII

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Dopo che quel grande angelo ebbe risposto alle domande che io, Maometto, gli posi, come avete appena udito, quegli mi disse ancora: «Sappi, Maometto, che quando una creatura destinata al Paradiso si approssima alla sua fine, io le invio alcuni di questi angeli che stanno alla mia destra. Ed essi, così splendidi e profumati come sono, parlano in modo soave al moribondo, e gli annunziano buone novelle sulla grande pietà del nostro Dio. E, mentre così parlano, delicatamente gli estraggono l'anima, e poi mela portano, preceduti da uno di loro che viene per avvertirmene. Ed io, così avvertito, tendo la mano destra per cogliere quell'anima, che poi affido all'angelo più bello e profumato di quanti mi stanno intorno. E quell'angelo la prende e la porta di cielo in cielo finché giunge al cospetto di Dio. E subito Dio comanda a un angelo tutto di splendore di porre quell'anima nel gozzo dell'uccello tutto verde che la porterà in Paradiso. E così come ti ho narrato qui giunge l'anima del giusto.
18
«Ma quando è un peccatore ad approssimarsi alla morte, sappi che io gli invio alcuni angeli di quelli che stanno alla mia sinistra, immensamente ripugnanti e spaventosi a vedersi. Ed essi parlano al peccatore con asprezza e lo impauriscono con tremende anticipazioni sul suo destino. E così parlando gli strappano crudelmente l'anima e mela portano. Ed io, tendendo la mano sinistra, l'afferro con violenza, e la consegno al più laido e al più spaventevole degli angeli che mi stanno davanti. E questi, prendendo l'anima, la porta in cielo, male sue porte si serrano dinanzi ad essa, e non la vogliono ricevere, come Dio ha detto nel Corano: "Le porte del cielo non saranno aperte ai peccatori"».

Capitolo IX

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Dopo le cose anzidette io, Maometto, andai oltre, e proseguendo vidi un angelo così immenso che il suo capo giungeva al cielo e i suoi piedi sprofondavano nell'abisso. Quest'angelo aveva chiome fluenti e sparse sulle spalle, e le ali dai colori più vari e più belli che si fossero mai visti. L:angelo aveva forma di gallo. E Dio gli aveva insegnato in quali ore bisognasse pregare. E quando era l'ora della preghiera, scendeva una voce dal cielo, dicendo: «O creatura obbediente a Dio, io ti comando di lodarlo». E subito l'angelo invocava: «Sia benedetto Iddio, il re dei santissimi angeli e delle anime e di tutte le creature». Al che, i galli che sono in terra, udendo ciò che l'angelo aveva detto, immediatamente cantavano all'unisono, in lode a Dio, e dicevano: «Voi, uomini obbedienti a Dio, sorgete a lodarlo, perché Dio è potente su tutte le cose, da Lui stesso create».
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E dopo di questo io proseguii e vidi un angelo di fuoco e di neve, ma era fatto in modo tale che il fuoco non scioglieva la neve, né la neve estingueva il fuoco. E quell'angelo lodando Dio diceva: «Tu sia benedetto, Signore, che in me hai unito il fuoco e la neve. E come in me hai unito il fuoco e la neve, ti prego di degnarti di unire nello stesso modo i cuori delle genti che ti sono obbedienti».
21
E mentre così parlava, vidi un altro angelo, così grande che non oso dir quanto, essendola sua grandezza espressione della potenza di Dio. Ed io mi diressi verso di lui e lo salutai, ma poiché stava pregando non mi rispose. Allora Gabriele gli disse: «Perché non saluti l'uomo più nobile che esista al mondo?». E l'angelo a Gabriele: «Di chi parli?». E Gabriele all'angelo: «Di Maometto, che stai vedendo». E l'angelo domandò: «È già stato inviato?». E Gabriele rispose di sì. Ed ecco che subito quell'angelo e tutti gli altri che in precedenza avevo visto mi salutarono, e mi annunziarono buone novelle sul grandissimo bene che Dio aveva in serbo per me.

Capitolo X

22
Dopo che Gabriele ed io, Maometto, avemmo lasciato quegli angeli, procedemmo nel cammino, finché guardando io vidi un angelo di mirabile grandezza seduto su di un seggio; e teneva tra le mani una colonna così grande che con un sol colpo avrebbe potuto abbattere cielo e terra. E appena Gabriele vide quella colonna cominciò a piangere. Allora io gli dissi: «Perché piangi?». E lui mi rispose: «Maometto, sai tu che angelo è quello?». Ed io dissi: «Non lo so, Dio solo lo sa». Allora Gabriele mi disse: «Sappi, Maometto, che quell'angelo è il tesoriere dell'inferno». Udito ciò, mi diressi verso di lui e gli porsi il saluto, ma lui non mi rispose. E Gabriele gli disse: «Come mai non rispondi all'uomo più nobile inviato sino ad ora?». Allora l'angelo gli domandò: «Chi è costui?». E Gabriele rispose: «E Maometto, grande nunzio di Dio». E l'angelo a lui: «È già stato inviato?». E Gabriele confermò. Allora l'angelo mi porse il saluto e mi disse che quanti del mio popolo andranno all'inferno patiranno meno pene degli altri.

Capitolo XI

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E quando il tesoriere dell'inferno, come avete appena udito, mi ebbe parlato del mio popolo, io, Maometto, guardandolo in viso vidi ch'era molto triste. Allora l'interrogai chiedendogliene la ragione. E lui mi rispose: «Sappi, Maometto, che profondamente mi cruccio per quanti disobbediscono a Dio perché, se non lo volessero, ciò non accadrebbe. È per questo che sono così triste». Allora io gli dissi: «Tu dici il vero, ma ora ti chiedo di rispondere a una mia domanda». E lui disse: «Lo farò volentieri».
24
«Dimmi dunque com'è fatto l'inferno, e come sono fatti gli angeli che vi stanno e che vita vi conducono.» E subito prese a narrare: «Sappi, Maometto, che non appena creò l'inferno, Dio accese su di esso un fuoco che bruciò per settantamila anni, finché quel fuoco divenne tutto rosso. E poi sopra quel fuoco ne accese un altro per un tempo pari a quello, finché divenne tutto bianco. E dopo sopra quel fuoco ne accese un altro che durò per altri settantamila anni, finché divenne tutto nero, e più di ogni altra cosa oscuro. E quel fuoco arde sempre in se stesso con una forza mirabile, ma senza gettare alcuna fiamma. Quanto agli angeli infernali, dei quali domandi, sappi che Dio li ha creati dal fuoco e che nel fuoco si nutrono. E se uscissero dal fuoco per un'ora soltanto, ne morirebbero, non potendo vivere senza di esso: così come i pesci senz'acqua. E come i pesci Dio li fece muti e sordi, e mise nei loro cuori tanta durezza e crudeltà che nessuno varrebbe a ridirlo: essi infatti non sanno far altro che torturare crudelmente e affliggere i peccatori. E Dio li fece muti e sordi affinché non udissero le voci e i lamenti dei peccatori che tormentano. E li fece tanto crudeli affinché, se accadesse loro di vedere in qualche peccatore segni di pentimento, non ne tenessero alcun conto e non ne avessero pietà alcuna. I peccatori, oltre la pena del fuoco dell'inferno, ne hanno un'altra amarissima: perché gli angeli infernali li torturano e li battono ferocemente con enormi magli di ferro, a causa della loro grandissima crudeltà, come dice Dio nel Corano: "Ponemmo nell'inferno i nostri angeli forti e duri e crudeli affinché compissero e osservassero quel che noi comandammo; ed essi ci obbediscono in tutto". E quando il tesoriere mi ebbe riferito tali cose, io e Gabriele lo lasciammo con non poco spavento. E proseguimmo oltre, fino a giungere al primo cielo, che è detto della luna.

Capitolo XII

25
Quando io, Maometto, e Gabriele giungemmo al primo cielo anzidetto, ecco che guardando vedemmo che era tutto di ferro, e che aveva uno spessore corrispondente a cinquecento anni di cammino, e altrettanta distanza lo separava dal secondo cielo. E Gabriele batté ad una porta. E subito venne a noi un angelo così grande che la sua altezza era di mille anni di cammino, e la sua larghezza era altrettanta. E vedemmo che le porte del cielo erano mirabilmente belle, e che gli angeli che le custodivano erano splendidamente e riccamente adorni. Allora Gabriele si avvicinò ad una delle porte per entrare. E allora un angelo gli chiese: «Gabriele, che vuoi, e chi porti con te?». E Gabriele rispose: «Con me porto Maometto, sigillo di tutti i profeti e signore di tutti i nunzi celesti; e vogliamo entrare». E non appena ebbe detto questo, le porte ci furono aperte e noi entrammo.
26
E quando fummo entrati, gli angeli lì radunati mi salutarono e mi annunziarono buone novelle, delle quali non poco mi rallegrai. E mentre mi parlavano, io guardandoli vidi che avevano volti umani e corpi bovini e ali d'aquila. E quegli angeli erano in numero di settantamila, e ognuno aveva settantamila teste, ed ogni testa settantamila corna, ed ogni corno settantamila nodi; e fra un nodo e l'altro c'era una distanza pari a quaranta anni di cammino. E inoltre vidi che in ognuna delle predette teste vi erano settantamila volti e ogni volto aveva settantamila bocche, e ogni bocca settantamila lingue. E ciascuna di quelle lingue conosceva settantamila linguaggi e lodava Dio settantamila volte ogni giorno.
27
E quand'io, Maometto, ebbi veduto tali cose, restandone grandemente stupito, ecco che fra quegli angeli vidi due uomini, che stavano assisi su due seggi di splendore, ed erano bellissimi e mirabili per statura del corpo e per aspetto del volto. Avevano le chiome e le grandi barbe bianche come la neve; e le loro vesti erano di un tale candore che a stento le si poteva guardare; e intorno al capo avevano un grandissimo splendore. E quando li ebbi mirati, chiesi a Gabriele chi fossero. E lui mi rispose dicendo: «Sappi, Maometto, che quello che siede nel seggio più in basso ha nome Yohanna ibn Zacharia, che significa: Giovanni figlio di Zaccaria, ed è uno dei profeti di Dio. E quell'altro che siede più in alto ha nome Yza ibn Marien, che significa: Gesù figlio di Maria. Questo Gesù è lo spirito di Dio e fu generato mediante la sua parola». Ciò udito, andai verso di loro e porsi il saluto. Ed essi domandarono a Gabriele chi fossi; e Gabriele disse loro il mio nome. Allora essi subito mi salutarono e mi annunziarono molte buone novelle sul grandissimo bene che Dio aveva in serbo per me.

Capitolo XIII

28
Dopo che io, Maometto, e Gabriele avemmo visto le cose di cui sopra vien detto, proseguimmo oltre, finché giungemmo al secondo cielo, che era tutto di rame e aveva uno spessore di cinquecento anni di cammino; e altrettanto spazio lo separava dal terzo cielo. Gabriele batté alla sua porta. E subito un angelo venne ad aprirci. Quell'angelo era così grande che la sua testa stava nel settimo cielo e i suoi piedi nel profondo della terra. E l'angelo mi prese per mano e mi fece entrare in quel cielo.
29
Entrati che fummo, io e Gabriele guardammo e vedemmo degli angeli i cui corpi erano settantamila volte più grandi di quelli che avevamo visto nel primo cielo. Ed io andai verso di loro e porsi il saluto. Ed essi chiesero a Gabriele chi fossi, e Gabriele glielo disse. E quelli, udendo il mio nome, si rallegrarono molto e dissero: «Maometto è già stato inviato?». E Gabriele rispose: «È qui». E allora quelli, porgendomi il saluto, mi annunziarono buone novelle del grande amore che Dio nutriva per me, e del grandissimo bene che intendeva farmi.
30
E mentre mi annunziavano tali novelle, ecco che guardando vidi fra loro un uomo bellissimo e mirabilmente formato in ogni sua parte, e nella piena maturità senza esser vecchio, che sedeva su di un seggio di splendore, e aveva chiome e vesti di così abbagliante splendore che a stento le si poteva guardare. Costui era così bello a vedersi che nessuno sarebbe in grado di dirlo, e non appena lo vidi chiesi a Gabriele chi fosse. E Gabriele rispondendo mi disse che era Giuseppe, figlio di Giacobbe. Udito ciò, andai verso di lui e gli porsi il saluto. Allora lui chiese a Gabriele chi fossi. E saputolo, mi salutò molto cortesemente, annunziandomi buone novelle sul gran bene che Dio aveva in serbo per me. E quand'ebbe così parlato lo lasciammo, io e Gabriele, e andammo così oltre che giungemmo al terzo cielo.
31
E quando io, Maometto, e Gabriele giungemmo al terzo cielo anzidetto, vedemmo che era tutto d'argento e che si estendeva per cinquecento anni di cammino, e altrettanta era la distanza fra esso e il quarto cielo. Gabriele si avvicinò alla sua porta e chiamò. E subito venne a noi un angelo che era così grande e forte che avrebbe potuto tenere su di un palmo tutto il mondo, con tutte le cose che contiene, senza neppure accorgersene. E quell'angelo ci aprì la porta e noi entrammo.

Capitolo XIV

32
E quando fummo entrati, ecco che vedemmo molti angeli di mirabile grandezza, che avevano volti bovini e mani di splendore. E tali angeli incessantemente lodavano Dio con grande devozione. E non appena li vidi, porsi loro il saluto. E Gabriele disse loro chi fossi. E loro gli chiesero se ero quel Maometto che doveva essere inviato. Gabriele disse: «È lui». E quelli subito mi salutarono, narrandomi parte del grandissimo bene che Dio aveva in serbo per me; e mentre così parlavano, guardandoli vidi che erano tutti ordinati per schiere e tanto fitti che fra essi non si sarebbe potuto frapporre un sol capello. E tutti tenevano il capo chino a terra per il timore che avevano di Dio. Ed erano così obbedienti che se qualcuno di loro si fosse incamminato verso oriente od occidente, nessuno degli altri si sarebbe mosso finché quello non fosse tornato; né la fila da cui quello si fosse separato si sarebbe per nulla scompaginata. E le schiere anzidette avanzavano in circolo lodando Dio e benedicendo il suo nome.
33
E dopo aver ammirato tali cose, guardai ancora e vidi fra quegli angeli due vecchi su due seggi di splendore, e avevano il capo avvolto in un velo di purissimo splendore e di simil fatta erano le loro vesti. Essi erano d'aspetto la cosa più bella che si fosse mai vista. E dopo averli ammirati a lungo, chiesi a Gabriele chi fossero. E Gabriele mi rispose dicendo che l'uno era Enoc e l'altro Elia, e che Dio li aveva assunti entrambi in alto, ossia in cielo. E vidi ancora che essi, insieme agli angeli, non facevano che lodare devotamente Dio, senza smetter mai di farlo, neppure per un battere di ciglia. Ma nonostante questo Gabriele non rinunciò ad avvicinarsi ed a spiegar loro chi fossi e per quale motivo venissi. Udito ciò, prontamente mi salutarono e mi annunziarono buone novelle sul grandissimo bene che Dio aveva in serbo per me. E quand'ebbero così parlato, io e Gabriele li lasciammo, e proseguimmo finché giungemmo al quarto cielo.

Capitolo XV

34
Dopo che io, Maometto, fui giunto con Gabriele al quarto cielo anzidetto, vidi che era tutto d'oro purissimo e che aveva uno spessore di cinquecento anni di cammino, la stessa distanza che lo separava dal quinto cielo. E Gabriele batté alla porta; e subito venne a noi un angelo così grande che sul pollice della mano destra teneva tutte le acque dolci, e sul pollice della sinistra quelle salate. E quell'angelo era tutto di splendore. E quando Gabriele gli disse che io ero Maometto, subito ci aprì la porta e mi rivolse il saluto, che io gli restituii.
35
E quando fummo entrati, ecco che colà trovammo settantamila angeli, che avevano tutti volti d'aquila, e ognuno di essi aveva settantamila ali, ed ogni ala settantamila penne, ed ogni penna era lunga settantamila cubiti.
36
E mentre guardavo gli angeli anzidetti, osservando notai tra di loro un uomo mirabile d'aspetto, che sedeva su di un seggio di splendore, e che indossava vesti di luminoso splendore, e che in capo aveva un diadema di splendore, così fulgido che a stento lo si poteva guardare. E dopo averlo osservato a lungo, domandai a Gabriele chi fosse. E lui mi rispose che si trattava di Aronne. Allora andai verso di lui e gli porsi il saluto. E lui chiese a Gabriele chi fossi, e Gabriele gli fece il mio nome. E lui, non appena lo seppe, subito mi salutò annunziandomi buone novelle sul bene che Dio aveva in serbo per me, e io ne ebbi una grande letizia. E quando ebbe così parlato, io e Gabriele lo lasciammo, e tanto avanzammo che giungemmo al quinto cielo.

Capitolo XVI

37
Giungendo dunque noi, ossia io, Maometto, e Gabriele, al quinto cielo anzidetto, vedemmo che era tutto di una sola perla, senza alcun difetto e più bianca della neve. Aveva uno spessore di cinquecento anni di cammino, la stessa distanza che lo separava dal sesto cielo. E quando fummo lì giunti, Gabriele chiamò alla porta; e immediatamente venne a noi un angelo tutto di fuoco, che aveva settantamila braccia, ognuna delle quali aveva settantamila mani; e in ogni mano aveva settantamila dita, e ogni dito lodava Dio settantamila volte al giorno. E quell'angelo ci aperse la porta.
38
E come fummo entrati, ecco che trovammo degli angeli dai corpi nobilissimi e dai volti d'avvoltoio, e avevano ali di purissimo splendore. E questi angeli lodavano incessantemente Dio, né finivano mai di lodarlo. Ed io andai verso di loro e li salutai. E non appena Gabriele ebbe detto loro che io ero Maometto, essi mi salutarono e mi dissero una parte del grandissimo onore che Dio intendeva tributarmi.
39
E guardando nuovamente vidi tra loro un uomo bellissimo assiso su un seggio di splendore, e aveva il capo avvolto in un velo di splendore. E teneva in mano una verga, anch'essa di splendore. E, avendolo visto, chiesi a Gabriele chi fosse. E Gabriele mi rispose che era Mosè, colui che parlò a Dio. Udito questo, andai verso di lui e gli porsi il saluto. E dopo che Gabriele gli ebbe detto chi ero, subito Mosè mi restituì il saluto e mi annunziò buone novelle del grandissimo bene che Dio aveva in serbo per me e per il mio popolo. E mi disse anche questo: «Sappi, Maometto, che Dio intende gravare te e il tuo popolo di lunghi digiuni e di non poche orazioni. Ma tu pregalo di rendere più lieve il fardello altrimenti tu e i tuoi non potrete reggerlo. Io stesso e i figli d'Israele già ci trovammo per questo in difficoltà così grandi che non è possibile dire. Ed io chiesi ripetutamente a Dio di alleviarmi il giogo, ma Egli non lo volle mai fare. Ti consiglio dunque di tentar tutto affinché il tuo popolo non sia troppo gravato. Se lo farai, la tua gente ti amerà e ti seguirà ovunque vorrai guidarla. In caso contrario, sappi che non ti ameranno, ed anzi ti avranno in odio e non crederanno ad una delle tue parole». Io, Maometto, giuro per il nome di Dio che non vidi mai un altro uomo che mostrò tanta pietà per il mio popolo quanto Mosè, mio fratello. E dopo di ciò presi congedo da lui, ed io, Maometto, e Gabriele partimmo e ci spingemmo così avanti che raggiungemmo il sesto cielo.

Capitolo XVII

40
Io, Maometto, e Gabriele quando giungemmo al sesto cielo vedemmo che era tutto di smeraldo, di un verde così puro che ogni altra cosa verde ne era superata. E aveva uno spessore di cinquecento anni di cammino, la medesima distanza che lo divideva dal settimo cielo. Gabriele batté alla porta e subito venne a noi un angelo che era settantamila volte più grande degli altri visti prima. La sua grandezza era tale che, se avesse voluto, avrebbe potuto inghiottire cielo e terra senza turbamento alcuno. E quell'angelo, aprendoci la porta, così disse: «Entrate in pace». E noi entrammo.
41
E quando fummo entrati, vedemmo degli angeli settantamila volte più grandi di tutti quelli prima veduti. Essi avevano volti equini ed erano tutti armati; e ognuno di loro aveva settantamila cavalli, e ogni cavallo aveva settantamila selle, che erano tutte di smeraldi, di rubini e di perle incastonate nell'oro e nell'argento. E il cavallo di Gabriele stava fra quelli. Gli angeli erano ordinati per schiere e le loro armi erano così fulgide che a stento si potevano guardare. E io chiesi a Gabriele chi fossero quegli angeli. E lui mi rispose dicendo che erano l'armata di Dio. Udito ciò, subito li salutai. Essi chiesero a Gabriele chi fossi, e lui glielo disse. Allora quelli domandarono: «È dunque già stato inviato Maometto, il grande nunzio di Dio?». E Gabriele rispose: «Lo è». Ed essi senza indugio mi restituirono il saluto e mi annunziarono buone novelle, di cui fui molto lieto. E dopo chiesi a Gabriele perché quegli angeli tenessero i loro cavalli sellati davanti a sé. E lui mi disse: «Sappi, Maometto, che ciò avviene per volere di Dio, poiché se qualcuno dei suoi servi ha bisogno di aiuto, io prendo quanti di questi angeli possono esser necessari, e lo raggiungo. E questi cavalli non vengono mai sferrati, e non hanno altro cibo o bevanda che le lodi al Signore. E tutti questi angeli ti aiuteranno, se necessario, ed io, se mi chiamerai, scenderò con essi a darti man forte».
42
Alla fine del discorso di Gabriele, ecco che io vidi tra quegli angeli un uomo assiso sopra un seggio di splendore; ed era tutto avvolto in vesti anch'esse di splendore, che rilucevano più del sole in estate. Sul capo aveva una corona di luce ed era circondato da angeli che lodavano devotamente Dio insieme a lui. Io chiesi a Gabriele chi fosse, e Gabriele rispose che era Abramo, nunzio e amico di Dio. Udito ciò, andai verso di lui e gli porsi il saluto. E Gabriele gli disse che io ero Maometto. Allora quello subito mi restituì il saluto e mi disse: «Sappi, Maometto, che Dio ti ama molto, ed essendo tu il prediletto fra i suoi nunzi, per amor tuo ama molto anche il tuo popolo. Ti dico che il Paradiso risuona tutto di queste parole: "zokay halla, bille dille ylle balla", che significano: "sia onore e lode a Dio, e a Lui si rendano grazie poiché non c'è altro dio all'infuori di Lui. E non c'è potenza né forza se non quella di Dio altissimo e grande"». Poi Abramo mi chiese di esortare il mio popolo a ripetere frequentemente quelle parole; quanto più le avesse ripetute, tanto più diletto avrebbe avuto in Paradiso. E inoltre mi chiese di annunciare al mio popolo che il Paradiso è fatto come segue: le sue mura sono tutte d'oro purissimo fino ai bastioni, e la parte soprastante è di puro argento, e muschio e non calce tiene connesse le mura. E spiegò anche che quel Paradiso è preparato per me e per tutti quelli che crederanno in me e che si atterranno alla mia legge. E come ebbe detto queste cose, io e Gabriele lo lasciammo, e procedemmo oltre, finché giungemmo al settimo cielo.

Capitolo XVIII

43
E quando io, Maometto, e Gabriele giungemmo al settimo cielo anzidetto, vedemmo che era tutto di un rubino più splendente e più rosso di quanto si possa descrivere. Il suo spessore era di cinquecento anni di cammino, e altrettanta distanza lo separava dall'ottavo cielo. E quando fummo alla sua porta, Gabriele chiamò il guardiano, e subito venne a noi un angelo di cui nessuno potrebbe dir nulla, tranne Dio che l'aveva fatto e creato. E quell'angelo ci apri la porta e noi entrammo.
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E quando fummo entrati ecco che ci apparvero angeli così grandi per dimensioni e così meravigliosi per forma che non potrei dirne nulla, e neppure l'oserei, perché Dio mi proibì di parlare di costoro a qualunque vivente. Solo vi posso dire che tutti tenevano gli occhi rivolti a Dio, e cantavano e gli dicevano lodi con devozione grandissima. E non appena questi angeli mi videro, alzarono straordinariamente le loro voci. Ed il loro canto era così alto e così forte che mi parve che tutti gli angeli, che avevo già visto in tutti i cieli precedenti, fossero al loro confronto mezzo addormentati come partorienti in deliquio; e mi parve che tutti i cieli e tutte le terre dovessero udire quel canto. Allora io, Maometto, e Gabriele con me, cominciammo a piangere per il timore che avevamo di Dio.
45
E mentre così piangevamo, ecco che fra loro si levò l'angelo che era 1'almokaden di quel cielo, che in arabo significa: "colui che chiama i fedeli alla preghiera". E non appena si fu alzato, cominciò a recitare: «balla huha kybar», che significa: "Dio è grande". E ancora disse: «le hille balla hilalla», che significa: "Non v'è altro dio che Dio". E aggiunse: «Haxedu le balla hilalla», che significa: "Attestiamo che Maometto è il suo profeta". E poi disse ancora: «baia lazola haya lalfala», che significa: "Venite alla vostra preghiera e al vostro profitto". E durante la salmodia dell'angelo, Gabriele mi chiamò dicendo: «Fatti avanti, Maometto, e prega, poiché Dio ti ha posto innanzi a tutti gli altri nunzi e al di sopra di tutti coloro che hai visto nei sette cieli, e di cui sopra s'è detto». E come ebbi udito le sue parole, avanzai e mi prosternai sulle braccia e sulle ginocchia, e dissi due brevi orazioni. E subito tutti gli angeli visti nei cieli anzidetti abbassarono il volto e presero a pregare. E quando mi levai, anch'essi si levarono, chiedendo a Dio di concedermi un bene ancor maggiore di quello che aveva in serbo per me, e mi dissero molte buone parole da cui venni grandemente allietato.
46
E mentre mi parlavano, ecco che guardando fra loro vidi un uomo che sedeva su di un seggio di splendore, e che indossava vesti di puro splendore, e sul capo aveva una corona simile al seggio e alle vesti. E anche il suo viso riluceva di purissimo splendore. E quando l'ebbi guardato, chiesi a Gabriele chi fosse. E lui mi rispose che era nostro padre Adamo, il primo tra gli uomini. Ed io subito lo salutai. E lui chiese a Gabriele chi fossi. E Gabriele gli disse che ero Maometto. E subito Adamo mi salutò e mi testimoniò grandi segni di affetto e mi fece molti onori. E dopo disse che Dio voleva tributarmi più beni e più onori di quanti non ne avesse mai tributati a tutti gli altri uomini che erano stati e che saranno, ed aggiunse: «Sappi, Maometto, tu che sei il padre dei miei figli, che il Paradiso è chiuso, e che né profeta né uomo vi entrerà finché tu e il tuo popolo non sarete qui. Dio stesso ha stabilito che fosse così». E dopo aver così parlato venne ad abbracciarmi e ponendomi una mano sul capo, pregò Dio per me con grande fervore e con grande umiltà e devozione. E quand'ebbe finito di pregare, presi congedo da lui, ed io e Gabriele lo lasciammo, e andammo oltre, finché giungemmo all'ottavo cielo.

Capitolo XIX

47
Io, Maometto, e Gabriele ci accorgemmo che l'ottavo cielo anzidetto era tutto un unico topazio, ed era a vedersi la cosa più bella che mai avessero veduto occhi mortali. Esso si estendeva per cinquecento anni di cammino. E Gabriele batté alla sua porta. E subito venne a noi un angelo di luce, il cui chiarore era settantamila volte maggiore di quello del sole. Esso aveva settantamila teste, ed ognuna aveva settantamila volti, ed ogni volto settantamila occhi; e ciascun occhio aveva settantamila pupille, ognuna delle quali tremava settantamila volte al giorno, atterrita dal timore di Dio. Quell'angelo ci apri la porta e noi entrammo.
48
E quando fummo entrati, ci inoltrammo per quel cielo fino a giungere a una barriera fatta di cortine, che separa Dio dagli angeli. E c'erano anche dei cerchi che fungevano da separazione ulteriore. E intorno a quei cerchi c'era una grandissima moltitudine di quegli angeli che sono detti Cherubini. E nessuno, tranne Dio, conosceva il loro numero, né poteva conoscerlo.
Tuttavia posso dirvi che erano in numero centoquarantamila volte maggiore di quello di tutti gli altri angeli che in precedenza avevo visto. E quegli angeli lodavano Dio e null'altro facevano. E come giungemmo presso di loro, Gabriele prese a lodare Dio, ed io feci lo stesso.
49
Dopo queste lodi ci addentrammo nei cerchi e nelle cortine di cui sopra s'è detto. E allora io vidi, osservando, che le cortine della prima separazione erano settanta, tutte di sciamito così rosso e splendente che a stento se ne reggeva la vista. E dopo quelle ce n'erano altre settanta, tutte di sciamito verde più lucente e splendente di ogni cosa esistente. E dopo queste ce n'erano altre settanta, e così procedevano di settanta in settanta, ed erano di ogni concepibile colore, e tutte chiare e luminose come le prime. E dopo aver superato tali cortine ecco che trovammo altre settanta separazioni, tutte di perle più bianche di quanto possa mai esser bianca cosa alcuna. E c'erano altrettante separazioni di rubini, e altrettante di smeraldi. E così le separazioni erano l'una dopo l'altra, di settanta in settanta, tutte di pietre preziose e di tutti i tipi che si possano dire o pensare. E dopo le predette separazioni ne trovammo altre settanta, che erano tutte d'acque. E ce n'erano altrettante di neve; e di grandine, e di nubi, e di tenebre, e di fuoco, e di splendore e altrettante di gloria di Dio. E altrettante di tutti i colori che un uomo sia in grado di concepire. E fra tutte le separazioni si trovavano angeli in così gran numero che nessuno sarebbe in grado di dirlo. E tali angeli andavano e venivano in circolo, e non cessavano mai di lodar Dio.
50
E mentre contemplavo cose tanto mirabili, Gabriele si ritirò e mi lasciò solo.

Capitolo XX

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Pur vedendo che io, Maometto, ero solo, avendomi Gabriele lasciato, nondimeno trassi cuore e ardimento dall'amore di Dio, e andai così oltre che superai tutte le separazioni di cui sopra s'è detto, tranne quella che era rappresentata dalla gloria di Dio. E avvicinandomi ad essa, ecco che udii una voce che mi diceva: «hacrop kodem, ya habibi, ya Muahgmet», che significa: "Avvicinati, Maometto, amico mio". Udendo ciò, mi spinsi ancora più avanti e udii un'altra voce che pronunciava la stessa frase. E fattomi più vicino, udii un'altra voce che mi ripeté quelle parole aggiungendo: «Sappi, Maometto, che tu presso di me sei onorato più di tutti gli altri nunzi e più esaltato di tutte le altre creature da me fatte, siano angeli o uomini o dèmoni». E udendo quella lode e quell'encomio che Dio mi faceva, subito avanzai ancora, avvicinandomi al punto che tra lui e me non rimase che lo spazio di due tiri di balestra. Ed io salutai Dio, e Lui me. E poi Lui mi domandò come si comportava il mio popolo. Ed io gli risposi che gli era molto obbediente. E Lui disse: «Maometto, ti comando di far digiunare il tuo popolo per sessanta giorni ogni anno, e di fargli recitare cinquanta preghiere ogni giorno». E, dopo che ebbe così parlato, io presi congedo da Lui, e tanto andai finché ritrovai Gabriele.
52
E mentre avanzavo in quel cielo ammirando la dimora di Dio, vidi il suo trono, che mi parve così unito al cielo da esser come se il cielo e il trono fossero stati creati insieme. Quel trono era di un tale splendore che nessuno sarebbe in grado di dirlo. E nel trono stavano i quattro elementi, ossia fuoco, aria, acqua e terra. Ed entrambi i mondi, e il Paradiso e l'inferno. Ogni cosa creata da Dio stava dunque nel trono predetto, che splendeva più d'ogni altra splendida cosa mai prima vista. Insieme al trono Dio creò una tavola da scrittura, tanto grande che un uomo a percorrerla impiegherebbe mille anni. Quella tavola era di perla bianchissima, e aveva i bordi di rubino e la parte centrale era fatta di smeraldo. E le lettere scritte su di essa erano di purissimo splendore. E Dio guardava nella tavola cento volte ogni giorno, e ogni volta che guardava, costruiva e distruggeva, creava e uccideva. E ad alcuni conferiva onori e ad altri li toglieva, e alcuni innalzava e altri sprofondava. E giudicava e faceva ogni cosa secondo il proprio volere. Con la predetta tavola Dio creò una splendida penna per scrivere, lunga cinquecento anni di cammino e larga altrettanto. E dopo averla creata Dio le ordinò di scrivere. E la penna domandò: «Che devo scrivere?». E Dio rispose: «Scrivi la mia sapienza e tutte le mie creature, dal principio alla fine del mondo». E subito la penna prese a scrivere. E scrisse ciò che Dio le aveva comandato. La sua scrittura era molto lieve e soave, ed essa scriveva assai veloce. La penna aveva una fessura da cui usciva l'inchiostro. E tutte le cose eran fatte in modo che sembravano esser state create contemporaneamente.

Capitolo XXI

53
Io, Maometto, vi ho già detto più sopra del trono, della penna e della tavola. Ora vi dirò come son fatti e che aspetto hanno gli angeli che portano il trono. Sappiate che gli angeli che portano il trono sulle spalle nacquero insieme ad esso, e che dalle spalle al capo misurano quanto il trono medesimo. E il trono è così grande che nessuno sarebbe in grado di dirlo, se non Dio che lo fece. E ognuno di quegli angeli aveva quattro facce: una davanti, una dietro, una a destra e una a sinistra. E similmente quattro figure: d'uomo, d'aquila, di leone e di toro. E i loro corpi erano tutti pieni d'occhi. E ognuno di loro aveva sei ali: due per volare, due per lodare Dio, e con le due restanti, che erano di fuoco fiammeggiante, si coprivano i volti. Quegli angeli non cessavano di lodar Dio dicendo: «Santo, santo, santo è Dio, della cui gloria son pieni i cieli e la terra. Tu sia lodato e benedetto all'infinito, perché sei Dio, alto, grande e potente. E devi dunque esser benedetto e santificato in tutte le lingue e in tutti i tempi e in tutti i luoghi, dovunque tu sei o sarai».
54
Il trono che quegli angeli reggevano aveva quattro gambe, e ognuna era settantamila volte più lunga della distanza fra il cielo e la terra. E nel trono stanno e il cielo e la terra e il mondo intero. E il mondo sembra così piccolo nel trono, come se fosse un granello di senape sul palmo di un uomo robusto. Gli angeli che portano il trono ignorano quanto siano lontani o vicini a Dio. E tra questi angeli e gli altri che reggono il cielo ci sono tre separazioni: la prima è di settanta cortine tutte di tenebra, la seconda di altre settanta tutte di grandine, la terza di altre settanta, tutte di purissimo splendore. E ognuna di quelle cortine si estendeva per settanta anni di cammino. E altrettanto spazio c'era fra l'una e l'altra. Dio fece tali separazioni; e se non le avesse fatte, tutti gli angeli che lì dimorano sarebbero stati bruciati dal troppo vivo splendore.
55
Quattro sono gli angeli che portano il trono. Ma quando verrà il giorno del giudizio, Dio ne porrà altri quattro, così saranno in otto. E l'angelo che ha figura d'uomo pregherà Dio per gli uomini, perché ne abbia pietà e rimetta a loro i peccati. Quello che ha figura d'aquila pregherà per gli uccelli. Quello che ha figura di leone pregherà per gli animali selvatici; e quello che ha figura di toro pregherà per gli animali domestici.

Capitolo XXII

56
Avendo io, Maometto, e Gabriele visto le cose che vengon narrate più sopra del trono anzidetto, osservando ancora ecco che notai come, nel cielo dov'esso si trova, ci fossero settantamila schiere di angeli, tutte ordinate una appresso all'altra. E tali schiere percorrevano incessantemente il perimetro del cielo, così da incontrarsi nel cammino le une con le altre. E quando si incontravano, gli angeli cantavano assai forte; e tanto alzavano le loro voci nel lodar Dio che tutti i cieli li udivano. E dopo vidi altre settantamila schiere di angeli che stavano tutti in piedi e tenevano le mani dietro il collo. E quando gli angeli anzidetti alzavano le voci, come si è narrato, anche questi levavano le loro, dicendo: «Tu sia benedetto, Dio grande e potente, perché non c'è altro dio all'infuori di te. Tu hai fatto tutte le creature, ed esse ti obbediscono». Poi vidi altre centomila schiere di angeli che stavano in piedi e tenevano le mani sul petto, la destra sopra la sinistra. E tali angeli erano coperti di peli e di piume. E tutti i peli e tutte le piume lodavano Dio in modi infiniti, ognuno diverso dall'altro, e non c'è chi possa ridirlo. E tutti questi angeli erano alati; e la distanza tra l'una e l'altra ala era pari a trecento anni di cammino. E altrettanta distanza c'era dall'orecchio alla spalla, mentre da una spalla all'altra c'erano cinquecento anni di cammino. E dalla caviglia al ginocchio c'erano duecento anni di cammino, mentre il ginocchio da solo si estendeva per cento anni. E dalla parte superiore del ginocchio fino all'anca c'erano trecento anni di cammino, e fra una costa e l'altra duecento. E dal palmo al gomito altrettanto. E anche dal gomito alla spalla c'erano trecento anni di cammino. Le palme delle mani erano così vaste che, se Dio glielo avesse concesso, sarebbero stati in grado di reggere su una mano tutte le montagne del mondo, e sull'altra tutte le pianure, e non se ne sarebbero neppure accorti.
57
E vidi altre meraviglie. Gli angeli che reggono il cielo dove si trova il trono di cui sopra s'è detto hanno un'altezza di duecentosettantatremila anni di cammino. I loro piedi sono lunghi settemila anni di cammino. E ognuno aveva tante facce e tanti occhi che nessuno potrebbe dirne o concepirne il numero, tranne Dio che li aveva fatti. E quando questi angeli vogliono portare il cielo si mettono in ginocchio; e gli altri angeli li esortano a dire: «le halille zohani lille bilie», che significa: "Non c'è altro dio che Dio. Egli è potente sopra tutte le cose". E dopo aver così detto, subito quegli angeli si alzano in piedi. E sono così alti che coi piedi penetrano tutti i cieli e la terra fino al vento che sta sotto di essa, per uno spazio pari a cinquecento anni di cammino. Tutti questi angeli lodano Dio in molteplici modi, e incessantemente lo lodano dicendo: «le hilella helalla», che significa: "Non c'è altro dio che Dio, il santo, il buono, il grande e il potente sopra ogni cosa". E dopo averlo così lodato, pregano Dio per tutte le creature. E in special modo per gli uomini e le donne che credono in lui e obbediscono ai suoi comandamenti.

Capitolo XXIII

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Dopo aver visto le cose di cui sopra vien riferito, io, Maometto, e Gabriele discendemmo al settimo cielo, dove c'erano gli angeli che sono chiamati Cherubini. E quando fummo lì giunti, io guardai e vidi che quegli angeli erano così numerosi come nessuno sarebbe stato in grado di dire, tranne Dio che li aveva fatti. E tutti lodavano Dio, e lodandolo alzavano a tal punto le loro voci che se la gente del mondo ne udisse anche una soltanto morirebbe per lo spavento causato da quel suono. E quegli angeli eran fatti in modo tale che nessuno assomigliava ad un altro, né per aspetto, né per favella, né in alcun membro. E, nel lodar Dio, la lode di ognuno di loro era diversa da quella di ogni altro. Ed eran così obbedienti a Dio che dopo esser stati creati nessuno di loro aveva mai volto il capo a guardare il compagno, ma tutti tenevano la testa china a terra per il timore che avevano di lui, e perché gli erano soggetti in tutto e devoti. Fra quelli vidi anche settantamila schiere di angeli che erano ancor più grandi degli altri. Le loro dimensioni erano tali che col capo penetravano nel settimo cielo, e coi piedi sprofondavano nell'abisso. E fra queste schiere ne vidi nove, una appresso all'altra, ognuna novanta volte maggiore dell'altra. Negli angeli di queste nove schiere non v'era spazio fra il capo e le spalle, ed eran così somiglianti in tutto che non esisteva differenza tra loro, e fra l'una e l'altra di tali schiere v'era una distanza pari a cinquantamila anni di cammino.

Capitolo XXIV

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E dopo aver ammirato le cose suddette, io, Maometto, nuovamente guardai e vidi che quelle nove schiere di angeli, di cui vi ho parlato, si intrecciavano vicendevolmente, entrando l'una nell'altra, come le misure che usano i cambisti. E fra quelle schiere scorreva un fiume d'acqua di cui nessuno conosce la fonte e la foce, se non Dio che l'ha fatto. Le sue acque erano così limpide e chiare e risplendenti che nessuno osava guardarle, temendo, guardandole, di poter perdere la vista. E oltre a quel fiume ve n'era un altro, grandissimo, tutto di tenebre, le più assolute e oscure che Dio avesse mai fatto o creato. E dopo questo fiume ve n'era un altro tutto di fuoco, che incessantemente ardeva in se stesso. Il suo ardore era così forte e grande che nessuno sarebbe in grado di concepirlo. E dopo i fiumi c'erano montagne grandissime, fatte soltanto di neve, così candide che a stento le si poteva guardare.
60
E dopo quelle montagne di neve c'era il gran mare che passa tutte le sette terre, di cui sentirete parlare più avanti. Questo mare è tutto popolato di angeli che vi stanno e vi dimorano; e sono così alti che l'acqua gli arriva appena alle anche. E questi angeli nel giorno del giudizio pregheranno Dio per i pesci del mare e di tutte le altre acque. E sebbene siano molto amici di Dio, ignorano quel che c'è sul fondo del mare, benché vi poggino sopra i piedi. E con la testa toccano il cielo in cui si trova il trono di Dio, di cui già vi ho detto. Sono così obbedienti a Dio che di notte e di giorno non cessano di lodarlo dicendo: «Tu sia benedetto, Dio, che sei circondato di cortine, di nuvole, d'acque, di tenebre, di fuoco, di mare e di splendore».

Capitolo XXV

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Quando io, Maometto, ebbi veduto tali cose, osservando notai che dopo quel gran mare di cui vi ho parlato ce n'era un altro grandissimo, tutto d'acque così mirabilmente chiare che la loro chiarità superava quella di tutte le cose che sono in terra. In questo mare vidi molti angeli che, stando sempre ritti, non cessano di lodare Dio e di dire: «le hille halalla», che significa: "Non c'è altro dio all'infuori di Dio". Essi continuano a ripetere questo da quando furono creati, e fino al giorno del giudizio non cesseranno di ripeterlo. E questi angeli sono così fittamente ordinati per schiere che sembrano quasi il muro posto a baluardo di una città o di una rocca. Vidi anche qualcosa di grandemente mirabile, ossia che il cielo in cui questi angeli stavano era circondato da quattro grandi fiumi, uno dei quali era di tale chiarità da sopravanzare ogni altra cosa chiara, tranne Dio. L'altro era di acque più bianche del latte e della neve e d'ogni altra cosa che sia bianca sulla terra. Quell'acqua era così trasparente che ciò che stava sul fondo lo si poteva vedere come se lo si tenesse in mano, e la sua profondità era tale che nessuno potrebbe nominarla. La rena di questo fiume era di pietre preziose, di tutte le specie concepibili da mente umana. E da questo fiume nascevano gli altri fiumi del Paradiso. E oltre ad esso ve n'era un altro tutto di neve, talmente bianco che nessuno osava guardarlo, per il terrore di essere accecato. E dopo tale fiume di neve ve n'era un altro, tutto di acque così chiare, così salubri e così dolci che è impossibile dirlo. E questo fiume era popolato di angeli che, stando ritti, andavano e venivano lodando Dio in molteplici forme. E sebbene guardassi gli angeli, i fiumi e le altre cose anzidette, non perdevo mai di vista il cielo dove si trova il trono di Dio, di cui vi ho parlato.
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Vidi ancora questo di mirabile: nel cielo in cui si trova il trono di Dio le lingue sono centoquarantamila volte più numerose di quelle di tutte le creature di tutti i cieli e di tutte le terre. E tutte queste lingue di notte e di giorno incessantemente lodano Dio. E ognuna di esse lo loda in ogni sorta di linguaggio, e benedice il suo nome e la sua potenza.

Capitolo XXVI

63
Dopo che io, Maometto, ebbi visto quanto più sopra vi ho narrato, e voi avete udito, appresi e conobbi che Dio aveva fatto diciottomila mondi, uno dei quali è quello in cui siamo. E con essi Dio creò mille specie di creature, oltre agli uomini, e ai demoni, e ai fantasmi, e a Gog e Magog che sono tra gli uomini e i demoni. Nessuno può conoscere il numero di queste creature, tranne Dio che le ha create. Di queste mille specie, quattrocento sono terrestri e seicento marine.
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E anche senza di loro i cieli sono tutti a tal punto popolati di angeli che io, Maometto, giuro, per il Dio che mise un'anima nel mio corpo, che sono tanto fittamente e strettamente uniti da non potervi frapporre un solo capello. Alcuni di questi angeli stanno in piedi, altri sono seduti, altri ancora giacciono bocconi. E tutti pregano e lodano Dio, e tremano ed agitano le ali per il timore che ne hanno. E non gli disobbediscono neppure con un battito di ciglia.

Capitolo XXVII

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Dopo che io, Maometto, lasciai gli angeli di cui vi ho appena parlato, ecco che Gabriele mi condusse ad una terra che Dio aveva riservato a sé e che era tutta bianca. La sua bianchezza era di purissimo splendore, ed era tutta popolata di creature fatte da Dio. E tali creature erano di così numerose specie da non potersi dire né concepire. E tutte erano obbedienti a Dio e non gli disobbedivano neppure per il tempo necessario ad aprire e chiuder la bocca; e lo lodavano incessantemente in tutti i modi che potevano e sapevano.
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E se qualcuno mi chiedesse se tali creature erano figli d'Adamo, risponderei che esse non sapevano neppure se Dio avesse creato Adamo oppure no. E se ancora mi si volesse chiedere se erano di genere diabolico, risponderei che esse ignoravano persino se Dio avesse creato il diavolo oppure no. E se qualcuno m'interrogasse con insistenza, dicendo: "Nunzio di Dio, che creature sono mai queste, che non sono né umane né diaboliche?", gli risponderei in questo modo, e di tali creature direi: "Voi non sapete nulla di loro, e io non vi dirò nulla, perché Dio me lo ha proibito e contro il suo divieto non oso andare". E, dopo aver visto tali cose, partii da quel luogo e proseguii il mio cammino.

Capitolo XXVIII

67
Dopo che io, Maometto, ebbi veduto la terra bianca e le creature che la popolavano, come sopra vien detto, ecco che lo spirito di Dio mi condusse per tutti i cieli, e tutto quel che in precedenza avevo visto, egli me lo fece rivedere in un istante. E mi guidò sino a Gabriele, e sino all'angelo Raffaele, che per mandato divino era sceso per condurmi nelle sette terre che circondano la terra bianca anzidetta, e per mostrarmi ciò che là si trova.
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E quando fui così disceso trovai un angelo di mirabile grandezza, che ha nome Ankocrofin. Quell'angelo teneva in mano una penna tutta di splendore, che era lunga cinquecento anni di cammino. E quella penna aveva una fessura, e dalla fessura scorreva un inchiostro tutto di splendore. E quella penna conosceva settantamila lingue che nessun altro intendeva al di fuori dell'angelo Ankocrofin. E costui ne conosceva altrettante non conosciute da altri se non dalla penna medesima. Sia benedetto Dio che fece e creò le cose secondo il suo volere.

Capitolo XXIX

69
Dopo che io, Maometto, ebbi visto quel che sopra ho detto, Gabriele e Raffaele mi mostrarono un gallo che apparteneva a Dio. Quel gallo era talmente grande che teneva il capo e la cresta nel cielo, dove si trovano Dio e la sua cattedra, e le zampe le teneva nel profondo della settima terra, di cui udirete in seguito. Che dirvi del suo aspetto? Dio lo fece come a lui piacque. Quel gallo era uno degli angeli di Dio, ma nonostante questo non sapeva dove Dio fosse. Altro non faceva che lodar sempre Dio e nelle sue lodi diceva: «Tu sia benedetto, Signore Iddio, ovunque tu sia». E quel gallo aveva ali così grandi che, quando le apriva, con esse penetrava in tutti i cieli e in tutte le terre che si trovano da oriente ad occidente. A metà della notte apre le ali e le agita dicendo: «le halla hilalla», che significa: "Non c'è altro dio al di fuori di Dio". E subito, al suo canto, tutti i galli terrestri agitano come lui le ali e cantando lodano Dio. E quando quel gallo angelico tace, tacciono tutti. E all'approssimarsi dell'aurora, esso nuovamente fa quel che aveva fatto a metà della notte. E aggiunge, nel suo canto: «Che tu sia benedetto, Dio grande e potente, tu che sei il Signore di tutti i cieli e di tutte le terre». E tutti i galli ripetono quel che lui ha detto. E lo fanno ogni volta che quel gallo canta. E io osservai l'aspetto del gallo, e vidi che aveva le grandi penne di sopra così mirabilmente bianche che il loro candore non era dicibile. E le sue piume di sotto erano così verdi che il loro verdeggiare non si poteva dire né concepire. E così grande era il mio diletto nel contemplare quel verde che non potevo saziarmene in alcun modo.
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E quando smisi di guardare il gallo anzidetto, vidi un angelo che stava di fronte a Dio, mirabile a vedersi. Il suo corpo era infatti metà neve e metà fuoco ardente. Ed era fatto in modo tale che la neve non estingueva il fuoco, né il fuoco scioglieva la neve. Quest'angelo sta sempre innanzi a Dio, ritto in piedi, e dice: «Che tu sia benedetto, Dio alto e potente, che impedisci al calore del fuoco di sciogliere la neve, e al gelo della neve di spegnere il fuoco». E diceva anche: «Signore Iddio, che hai così unito la neve e il fuoco, io ti prego affinché ti degni di unire allo stesso modo i cuori dei tuoi servi affinché ti possano servire ancor meglio». E intorno a quest'angelo ne vidi molti altri, che pregavano Dio a voce alta; e il loro numero era così grande che nessuno potrebbe dirlo o pensarlo. Tutti questi angeli tenevano il capo eretto, e guardavano fisso dinanzi a sé, né più in alto né più in basso, per il timore che avevano di Dio.

Capitolo XXX

71
E dopo aver visto le cose anzidette, io e Gabriele tanto andammo che giungemmo al gran muro del Paradiso. E lì giunti, io guardai e vidi che le grandi pietre quadrate di quel muro erano d'oro e d'argento, inframmezzate ad altre di rubino. Quel muro era di tale e tanto splendore che a stento lo si poteva guardare. E vidi che la calce, con cui erano connesse le pietre, era tutta mescolata con muschio ed ambra ed acqua di rose, per cui profumava in un modo indicibile. E guardai ancora, chiedendomi se qualcuno dei viventi fosse in grado di dire l'altezza di quel muro, e vidi con chiarezza che nessuno può dirla o concepirla, tranne Dio che l'ha fatto.
72
Ed io domandai a Gabriele: «Cos'è quel che vedo»; e lui mi rispose dicendo: «Sappi, nunzio di Dio, che queste son le mura e le torri del Paradiso; e ti giuro per il nome di Dio che finora non è mai salito nessuno su queste mura e su queste torri, né angelo né demonio né fantasma, perché sono custodite da creature che ne impediscono la vista. Tu, Maometto, sei il primo degli uomini che le vedrà; e inoltre ti dico che al di là di questo Paradiso c'è un giardino che in arabo ha nome "Genet halkolde", che significa: "Paradiso durevole"; e riguardo a quello che si dice sull'unicità del Paradiso, sappi che questo risponde al vero, non essendo il Paradiso altro che diletto; ma Dio ha distinto il diletto in molte forme, e ne fa parte ai suoi secondo i meriti di ognuno. Dio vuole che tu conosca e veda in quali forme ha distinto il diletto, e quali ha scelto per te e per il tuo popolo. E il giardino di cui ti ho parlato, che ha nome " Paradiso durevole", Dio lo ha fatto con le proprie mani, a te riservandolo. E tra questo Paradiso e Dio non ci sono che due cortine. Ed è il più nobile e il più prezioso di tutti i Paradisi. Vieni avanti, che te lo mostro».
73
E dopo che m'ebbe detto tali cose, io m'inchinai e andai con lui finché giungemmo ad una porta, e quando fu a quella porta Gabriele chiamò, e subito vennero i custodi e chiesero chi fossimo. E Gabriele disse loro il suo nome ed essi domandarono: «Chi è quello che sta con te?», e lui rispose: «È Maometto, il nunzio di Dio». Udito ciò, essi domandarono: «È già stato inviato?». E Gabriele disse: «È qui». E subito le porte ci furono aperte, e noi entrammo.

Capitolo XXXI

74
Mentre io, Maometto, entravo con Gabriele nel Paradiso guardai e vidi che era la cosa più bella che cuore umano possa concepire. E domandai a Gabriele quali fossero le sue dimensioni. Al che lui mi rispose: «Sappi, Maometto, che quando creò il Paradiso, Dio lo fece largo come il cielo e la terra; e quanto alla lunghezza, nessuno la conosce, se non Dio che lo ha fatto».
75
Al che io gli domandai: «Dimmi, Gabriele, quando cielo e terra muteranno, che sarà di questo Paradiso?». E lui mi rispose: «Sappi, nunzio di Dio, che quando il Signore nel giorno del giudizio muterà e cielo e terra, il luogo in cui ora si trova questo Paradiso si trasformerà in aria. E allora Dio trarrà di sua mano questo Paradiso e con esso un altro che si chiama Heden, ed è il giardino dove fu creato Adamo. E questi due Paradisi trarranno dietro a sé tutti gli altri. Lo spazio che Dio riserverà a questi Paradisi avrà l'ampiezza del cielo e della terra. E dopo che così saranno stati tratti, fra questi Paradisi e la cattedra di Dio non ci saranno che la sua gloria e il suo splendore, che nessuno conosce tranne lui. E in quello splendore dimoreranno tutti gli angeli, con il medesimo agio con cui ora stanno in tutti i cieli. E da quel giorno tale splendore si diffonderà per ogni dove, e sarà tanto grande che la sua grandezza, a somiglianza della potenza di Dio, non avrà misura né termine. Sia benedetto Dio, alto e potente su tutto».
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E quando Gabriele mi ebbe così parlato, io gli chiesi di dirmi in che modo fosse fatto il giardino anzidetto, che ha nome Heden, e che dimensioni avesse. E lui mi rispose: «Sappi, Maometto, che quando creò quel giardino, Dio fu largo in ogni cosa che vi pose. E poi nello stesso giardino ne creò un altro che si chiama Generi; e che sta fra cielo e terra, oltre il luogo da cui sorge il sole. E dopo aver fatto questo giardino, Dio lo innalzò ad una altezza di seicentosessantatré anni di cammino».

Capitolo XXXII

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Dopo che io, Maometto, ebbi inteso quel che Gabriele mi aveva riferito, gli chiesi se potessi conoscere quale distanza vi fosse fra la terra e il primo cielo. E lui mi rispose: «Sappi, Maometto, che dal primo cielo alla terra vi è una distanza pari a seicentosessantatré anni di cammino. E questo senza dubbio è secondo la parola di Dio nel Corano, dove si dice: "Noi distingueremo e divideremo tutto quel che c'è dalla terra fino al primo cielo, e fino al cielo in cui si trova il nostro trono"».
78
E poi gli domandai quale fosse la distanza fra il cielo in cui si trova il trono di Dio e la terra. E lui mi rispose che dal cielo dove si trova il trono di Dio fino alla terra la distanza è pari ad un cammino di cinquantamila dei nostri anni e mesi e giorni. E gli chiesi se colà vi fosse giorno o notte. E lui mi disse che non vi è giorno né notte, che non vi è sole né luna né stelle; ma che vi è tale e tanto splendore che, rispetto ad esso, il chiarore del sole è come la luce di una stella rispetto a quella del sole.
79
E avendomi Gabriele detto tali cose, riflettei nel mio cuore e conobbi con chiarezza che ogni cielo aveva uno spessore di mille anni di cammino; e che altrettanto spazio separava un cielo dall'altro. E inoltre conobbi che, comprendendo tutti i cieli e le cortine e le separazioni anzidetti, lo spazio totale era di quarantaduemila anni di cammino.

Capitolo XXXIII

80
Io, Maometto, nunzio di Dio, rendo noto a tutti coloro che credono in Lui e desiderano la gloria celeste, che l'aspetto di quel Paradiso che Gabriele mostrò a me per primo e in cui fu creato Adamo, era tale che esso, verso la parte ad oriente, da cui sorge il sole, era tutto pieno di alberi che incessantemente facevano ombra ovunque, secondo il volgersi dell'astro.
81
E poi vidi anche che nella terra del Paradiso v'era un gran fiume da cui nascono tutti i fiumi che scorrono per il mondo. Questo attraversa l'Egitto e si chiama Nilo, in latino Fisone. E lungo il suo percorso nella terra del Paradiso è tutto di miele, ma quando lascia quella terra si muta in acqua. E dopo questo fiume ne vidi un altro grandissimo che ha nome Addehilla, in latino Eufrate. Tale fiume, quando scorre nella terra del Paradiso, è tutto di latte, così bianco che è impossibile a dirsi, ma subito si muta in acqua quando esce da quella terra. E ancora, dopo questo, vidi un altro fiume assai grande che ha nome Gayan, in latino Gyon, che lungo il suo corso nella terra del Paradiso è tutto di vino, ma che subito si muta in acqua quando esce da quella terra. E dopo questo ne vidi un altro molto grande che ha nome Targa, in latino Tigri. Tale fiume è tutto di un'acqua così chiara e così dolce che non si può concepire. E questi fiumi si dipartono come segue: il fiume di miele corre verso oriente, quello di latte verso occidente, quello di vino verso mezzogiorno e quello d'acqua verso settentrione.
82
E dopo aver visto i fiumi che ho detto, guardai e vidi che sopra la porta del Paradiso, verso l'interno, stava scritto: "Io sono Dio e non c'è altro dio all'infuori di me. E tutti gli uomini che diranno "le halla hilalla Muahgmet razur Halla", che significa: "Non c'è altro dio all'infuori di Dio, e Maometto è il suo profeta", qualunque peccato avranno commesso non entreranno all'inferno né patiranno alcuna pena".

Capitolo XXXIV

83
E dopo aver visto tutte le cose sopra narrate, io, Maometto, andai per tutti i Paradisi. E mentre vagavo guardandomi intorno, vidi che i Paradisi erano fatti in modi diversi e che ognuno era più bello degli altri. Questo fece Dio per conferire più grazia e più onore a chi gli sarà più diletto. Ed imparai i nomi dei Paradisi, e dirò anche a voi il nome di ognuno. Sappiate che il primo, dove fu creato Adamo e di cui vi ho parlato, si chiama Heden, il secondo Daralgelel, il terzo Daralzerem, il quarto Genet halmaulz, il quinto Genet halkolde, il sesto Genet halfardauz e il settimo Genet hanaym. Quest'ultimo è come la rocca dei Paradisi: infatti è il più alto, e da esso tutti gli altri sono visibili. Anche Dio va su quel monte quando vuole vedere i Paradisi, ed allora esso è la Sua casa.
84
In questo Paradiso vidi anche due grandissime colonne: una di smeraldo e l'altra di rubino. Le loro dimensioni nessuno le conosce tranne Dio. Ma a voi posso dire che dall'una all'altra vi è tanto spazio quanto da oriente a occidente. E quello che si trova in mezzo è tutto di splendore. E queste due colonne stanno all'ingresso del Paradiso di Dio di cui s'è detto.
85
Gli altri Paradisi sono tutti di splendore. E in essi vi è un gran numero di città e di castelli, e sono tutti di splendore. E anche i palazzi, le case, le sale, i saloni e tutte le cose che si trovano in quelle città e in quei castelli sono di splendore. E inoltre vi sono alberi così numerosi e di specie così diverse, che nessuno sarebbe in grado di dirlo e similmente per la varietà dei frutti che fanno. Sono infatti più belli dei rubini, degli smeraldi e delle altre pietre preziose, e più profumati d'ogni cosa che si possa immaginare. E per questi giardini scorrono fiumi di così diversi colori che nessuno è in grado di dirlo, né meditarlo in cuor suo. E tutti profumano meravigliosamente. E sulle rive di quei fiumi ci sono così numerose tende, e di fogge così diverse, e tante case così belle e così nobili e di così mirabili forme che nessun cuore umano potrebbe concepirlo. E tutte sono di purissimo splendore.

Capitolo XXXV

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Dopo che io, Maometto, ebbi visto tutte le cose di cui vi ho parlato più sopra e che voi avete appreso, osservando ancora notai che negli attendamenti e nelle case che si trovavano sulle rive dei fiumi v'erano le dame più avvenenti e più pure, e dagli occhi più belli e dagli sguardi più amorosi che cuore umano sia in grado di concepire. E tutte sono di purissimo splendore. Le loro teste sono ornate di perle e di pietre preziose, e sopra hanno un copricapo di splendore. Ed anche le loro vesti sono tutte di splendore. E portano cinture di muschio e d'ambra con pietre preziose e perle, che profumano così soavemente che anche un uomo gravemente infermo, aspirando il loro profumo, odorandole, dovrebbe guarire.
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Quelle dame siedono ordinate una appresso all'altra e paiono le creature più belle del mondo. Esse innalzano le loro voci e cantano così perfettamente, così chiaramente e così dolcemente, che tutte le altre voci e gli strumenti che si possano dire e immaginare non valgono nulla se paragonati al loro canto mirabile. E cantando dicono: «Noi siamo vergini eterne, non possiamo morire e per sempre resteremo donzelle senza macchia, né ira, né cattivo pensiero. Noi siamo feconde di gioia ed eccellenti per bellezza, perché la nostra bellezza è senza fine. Noi siamo assegnate a uomini d'onore, ai servitori obbedienti del Dio nostro. Ah! come sono fortunati quelli che a noi sono promessi, e a cui noi siamo promesse». E mentre così cantavano, ecco che intesi che ripetevano anche le parole di Dio, che nel Corano dice: «Noi creammo vergini amorose, che amano mirabilmente i loro promessi». Osservai anche il loro aspetto, e così vidi che mentre cantavano erano visibili i loro denti che erano più bianchi d'ogni perla e della neve. E le loro bocche erano così belle e vermiglie che nessun rubino può esser paragonato ad esse.
88
Oueste dame nutrono un amore profondo per quelli che sono a loro promessi, e per nessun altro. Non sanno chi dovrà essere, ne ignorano persino il nome, secondo la parola di Dio nel Corano, ove dice: «Noi le facemmo così vereconde che esse non levano gli occhi che sui loro mariti, né vi è alcun uomo che osi avvicinarsi ad altra donna che non sia la propria moglie; e neppure il diavolo stesso lo oserebbe». E, per quante volte i mariti si uniranno ad esse, le troveranno sempre vergini come lo erano all'inizio. E ogni dama porta scritto in petto il nome dell'amico; e questi, a propria volta, il nome dell'amica. La scritta del promesso dice: «Io sono il tuo innamorato e non ti cambierò mai con nessun'altra». E la scritta della promessa era reciproca nei confronti di lui. E vidi inoltre che i cuori, e i fegati e il midollo dell'ossa, sia delle donne che degli uomini, erano esternamente visibili, com'è visibile un filo in un'ampolla di cristallo. E così nessuno di loro può fare o meditare in cuore qualcosa senza esser visto dall'altro.
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Ognuna delle dame predette indossa settantamila mantelli, l'uno sull'altro, e tali mantelli hanno la foggia di quelle vesti dalle maniche ampie che portano i chierici quando entrano in chiesa per celebrarvi 1'Offizio. E sono tutti di oro purissimo e mirabilmente intessuti dei più diversi colori. E quelle dame li indossano con gran disinvoltura, come se fossero vesti leggere.

Capitolo XXXVI

90
Io, Maometto, voglio che tutti coloro che leggeranno questo libro sappiano in che modo son fatti i Paradisi di cui vi ho parlato, e com'è ciascuno di essi. E per primo vi dirò di quel Genet hanaym, che è la casa che Dio ha nei Paradisi ed è più alto di tutti gli altri, come avete udito in precedenza. Genet hanaym vuol dire "giardino completamente ricolmo di ogni delizia che cuore umano possa concepire". I muri di questo Paradiso sono tutti di rubino; e parimenti le torri e le case all'interno, ma i letti e i giacigli, e le scale per cui si accede alle terrazze, e tutto il vasellame, e le porte delle case sono di perla. E all'interno vi sono donzelle amorevolissime, centomila volte più belle e gioiose delle altre di cui vi ho fatto menzione in precedenza. E vi sono attendamenti, alcuni dei quali di rubini, altri di smeraldi, altri di perle e di pietre preziose d'ogni natura, che sono le cose più belle e più meravigliosamente allestite che cuore umano possa concepire. Questi attendamenti son posti presso a fonti da cui sgorgano acque e vini d'ogni colore e sapore che si possa concepire. E vi sono dolci canti e donzelle mirabili, che siedono sotto gli alberi che si trovano lì, tutti di pietre preziose, come i loro frutti, che sono più dolci e più sapidi d'ogni altra cosa. E vi sono strumenti musicali, tanto soavi e piacevoli a udirsi che nessun cuore umano varrebbe a concepirli. E in questo giardino ve ne sono altri due, il primo dei quali è tutto circondato, dall'interno e dall'esterno, di pietre preziose; e l'altro d'oro vermiglio purissimo, troppo bello a vedersi. Il giardino di cui vi ho parlato, che ha nome Hanaym, è tutto fatto di gradoni, che sono in numero di cento. E questi gradoni sono fatti in modo tale che ognuno di essi ha una altezza di duecentocinquanta anni di cammino, e una pari larghezza. E uno è d'oro, un altro d'argento, un altro di rubino, un altro di smeraldo, un altro di perla; e tutti e cento sono fatti in tal modo. E la calce, con cui sono connessi i gradoni, è tutta di muschio e d'ambra e profuma meravigliosamente.
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E questo è il luogo che Dio preparò per quelli che credono in Lui. E Dio nel giorno del giudizio dirà loro: "Venite, amici miei, varcate virilmente l'Azirat halmukazin. E prendete codesto Paradiso, e dividetelo fra voi, secondo i meriti di ognuno perché codesto Paradiso, e le case, e gli alberi, e tutto ciò che in esso si trova io lo feci per voi, e a vostro vantaggio; e tutte queste cose sono colme della mia grazia e della mia gloria, e in eterno dureranno".

Capitolo XXXVII

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E io, Maometto, figlio di Abdallaha, nunzio di Dio, aggiungo questo: colui che si trova sul gradone inferiore del Paradiso di Dio di cui s'è detto, può disporre di uno spazio corrispondente a cinquecento anni di cammino; e Dio gli dona cinquecento donne come mogli e quattromila vergini fra cui scegliere quante spose a lui piacerà, e altre ottomila donne non vergini affinché lo servano in tutto. E la sua diletta, quando vorrà abbracciarlo, verrà spontaneamente a lui. E la loro unione sarà tale che, sin quando lui l'amerà, lei non potrà separarsi da lui, né lui da lei.
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E avranno di fronte una mensa imbandita che non farà mai mancar loro né cibi né bevande ad essi graditi, poiché con la stessa rapidità con cui porranno le mani alla mensa essi saranno saziati, come per aver mangiato tutti i cibi del mondo. E saranno generosi nel bere, come se gli togliessero il bicchiere di bocca. E ogni giorno, verrà un angelo a portar loro cento mantelli d'oro, perché se ne vestano, e domanderà: "È Dio che vi manda questo dono. Lo gradite?". Ed essi risponderanno dicendo: "Ci è più gradito di ogni cosa che abbiamo mai vista".
94
E se li prenderà il desiderio di andare nel Paradiso chiamato Genet halkolde, di cui avete già inteso parlare, per ammirare i suoi alberi e per gustare i loro frutti, subito verrà a loro un angelo che li guiderà in quel Paradiso, e dirà al primo albero che incontreranno: "Datemi vostre vivande per i servi di Dio". E subito quell'albero darà loro settantamila scodelle di cibi preparati con tanta varietà di carni e di volatili che nessun cuore umano potrebbe concepirlo. E sappiate che i volatili non avranno né penne né piume né ossa, e non saranno né lessi né arrosto; e saranno così gustosi da sembrar conditi con burro e miele; e profumeranno di muschio e di ambra. E di questi cibi loro mangeranno due volte al giorno e a volontà, a pranzo e a cena. E l'ultimo boccone sarà per loro gustoso come il primo. E se tutto questo non bastasse, Dio manderà loro dal cielo ancora altri doni, attraverso i suoi angeli.

Capitolo XXXVIII

95
Sappiano le genti che vedranno questo libro che quando i servi di Dio avranno mangiato, come sopra vien detto, il cibo che avranno ingerito si trasformerà nel loro ventre in vapore, e uscirà come sudore. E quel sudore profumerà più soavemente del muschio.
96
E subito gli angeli apriranno una postierla del Paradiso che conduce in un altro giardino mirabile. E all'ingresso di questo giardino, dalla parte maggiore, vi è un albero così grande che nessuno varrebbe a descriverlo. E ai piedi di quest'albero sgorgano due fonti più belle e più chiare di quanto cuore umano possa concepire. E quelli che entrano nel Paradiso si accostano ad una di queste fonti e bevono. E bevendo si purificano di tutto quel che hanno mangiato, e non ne resta nulla. E poi si accostano all'altra fonte, e si bagnano nelle sue acque, e dopo le abluzioni fanno le loro preghiere. E la grazia di Dio scende su di loro. E dopo questo fanno ritorno in Paradiso. E giungendo presso la porta, il custode domanda loro: «Siete purificati?». Ed essi rispondono: «Lo siamo». E subito il custode apre loro la porta ed essi entrano.
97
E una volta entrati, vi trovano fanciulli di una bellezza indicibile, poiché il loro pallore è simile a perle bianchissime, e il loro rossore a quello delle rose. Questi fanciulli vagano per il Paradiso giocando, come giocano i fanciulli in questo mondo. Essi conoscono dall'aspetto e per nome tutti coloro che entrano nel Paradiso. E quando qualcuno entra in Paradiso, gli si fa incontro uno di questi fanciulli e gli dice: «Benvenuto, amico mio, ecco che ti reco buone novelle». E nessuno entra senza che uno di questi fanciulli gli dica: «Sappi che Dio ha preparato per te molte vergini, le più belle del mondo, ed anche molte schiave e molte dimore di bellezza indicibile». E colui che ha ricevuto dal fanciullo queste buone novelle, subito risponde: «Sia lode e gloria a Dio, e tu sia benedetto per avermi recato queste novelle». Dopo tali parole, il fanciullo subito si allontana da lui, e va da quella delle donne che lui sa esser la diletta da colui che viene, e le annuncia che sta per divenire sua sposa. E quella risponde al fanciullo dicendo: «Tu l'hai visto?». E il fanciullo le risponde: «L'ho visto». Allora lei senza indugio ringrazia Dio e benedice il fanciullo che le ha portato la buona novella. E lei ne ha una felicità così grande che a stento si può concepire. E immediatamente va alla porta per vedere se l'annuncio risponda al vero.
98
E quando colui che viene si avvicina e vede i muri della sua casa, che sono tutti di perle e di pietre preziose, guardando la loro parte superiore rischia di perdere la vista per il grande splendore. E sappiate che molti già l'avrebbero perduta, se non fosse che Dio non lo permette, poiché un tale splendore è superiore a quello del lampo quando tuona forte. E dopo aver guardato in alto, costui volge il volto verso il basso e vede le vergini che sta per prender come spose. E vede le cortine e i drappi intessuti d'oro che sono stesi lungo la sala; e similmente i letti e i giacigli, che son tutti di perle, di rubini e di smeraldi e son ricoperti di sciamito e d'altri panni serici dai colori diversi. E dopo aver veduto tali cose, senza indugio esclama: «Sia benedetto Dio che ci ha donato tutto questo. Infatti noi non l'avremmo, se non per sua grande grazia e per la verità che Maometto, il suo nunzio, ci ha mostrato e fatto conoscere, dicendo che noi avremmo ereditato il Paradiso».

Capitolo XXXIX

99
Io, Maometto, ancora desidero che le genti sappiano come nel Paradiso vi sia un albero denominato in arabo Thuba, che significa: "Albero della gioia e del piacere". E quest'albero è alla base così grande che un uomo sul cavallo migliore e più veloce del mondo che corresse senza tregua, non riuscirebbe a farne il giro in cento anni. E la base di quest'albero è tutta di rubino, e la terra su cui è piantato è tutta di muschio e d'ambra, più bianca della neve, e profuma in modo ineffabile. Ma è anche frammista alla canfora, per mitigare l'odore troppo penetrante dell'ambra e del muschio. 1 rami di quest'albero sono tutti di smeraldo, e le sue foglie di sciamito; e i fiori sono drappi d'oro più belli di quanto sia possibile dire. E i suoi frutti sono come perle, e grandissimi, al punto che se uno di essi fosse qui nel mondo, basterebbe a saziare cento uomini per un anno. Questi frutti sono più bianchi della neve e più chiari del cristallo e d'ogni altra cosa esistente, e il loro sapore è come di zenzero e miele mescolati fra loro. E l'erba del prato che sta intorno all'albero è tutta di zafferano verde, e soavemente profuma.
100
E ai piedi di quell'albero sgorgano molte fonti, tutte di vino, che scorrono in fiumi per il Paradiso. E di questi vini alcuni sono più bianchi e più chiari dell'acqua, altri più rossi e più scintillanti del rubino. Ed essi sono così spiritosi e sapidi che nessuno dei viventi lo può esprimere. E ci sono anche vini di altre due qualità: alcuni sono piuttosto acerbi di gusto, e nel colore tendono al verde; gli altri sono gialli e risplendenti come il topazio, e di tale maturità e forza all'assaggio che nessun uomo varrebbe ad esprimerlo. Erano queste le quattro fonti principali; ma fra di esse ve n'erano numerose altre, tutte di vino e di tante varietà di colori e di sapori da non potersi neppure concepire.

Capitolo XL

101
Dopo che io, Maometto, ebbi visto l'albero anzidetto, il cui nome è Thuba, guardai ancora e ne vidi un altro che è fra i più belli e più memorabili del Paradiso. Sotto di esso stanno seduti e raccolti tutti gli abitanti del Paradiso, e ascoltano le favole e le storie che narra loro un angelo che non ha nessun altro compito al di fuori di quello.
102
E mentre osservavo l'angelo narrante ecco che vidi venire una foltissima schiera di angeli, che venivano tutti a dorso di cammello. E i cammelli avevano tutti finimenti d'oro intorno al collo e i loro musi sembravano candele ardenti. II loro pelo era serico e bianco‑vermiglio, e pareva la cosa più bella che io avessi visto da gran tempo. Erano di natura mansueta, e così bene addestrati da non aver bisogno di alcuna punizione. Nessuna fatica che fosse loro richiesta li poteva sfiancare. E questi cammelli, dietro il dorso dei cavalieri, portavano anche oro e argento, perle ed altre pietre preziose di tutte le specie.
103
E quando gli angeli giunsero al luogo in cui si trovavano quelli che ascoltavano le favole e le storie anzidette, scaricarono i cammelli, e donarono loro da parte di Dio tutte le gioie che avevano portato, e poi li salutarono dicendo: «Montate su questi cammelli e andate da Dio, perché Lui vuole vedervi, e vuole che voi lo vediate; e vuole parlarvi, e vuole che voi gli parliate. Lui vi testimonia più pietà e vi rende più onore di quanto non abbia mai fatto sin qui». E subito ognuno di quelli prese a cavalcare il suo cammello; e andavano tutti l'uno appresso all'altro così bene ordinati ed uniti, che i loro cammelli procedevano di pari passo, e nessuno metteva il muso o una zampa davanti ad un altro. E quando incontravano uno degli alberi del Paradiso, subito quello si piegava e si abbassava sino a terra, come se lì non ci fosse nulla, affinché non trovassero alcun impedimento al loro passaggio, e affinché nessuno dovesse precedere l'altro, o separarsi dagli altri. E così giunsero sino a Dio, e furono al suo cospetto. Lui scoprì il suo volto bellissimo, grande e onorato su tutti, e si mostrò loro. E subito essi si inginocchiarono e umilmente lo salutarono dicendo: «Tu sei la pace, che da te nasce, e a te per diritto sono conferiti onore e nobiltà».

Capitolo XLI

104
E ai suoi servi che venivano al suo cospetto in Paradiso, come avete udito in quanto precede, Dio rispose: «Sopra di voi siano la mia pace e la mia pietà e la mia salute, poiché mia è la pace, e da me nasce; e miei per diritto sono l'onore e la nobiltà senza fine. E siano i benvenuti i miei servi e i miei amici che custodirono la mia legge e il mio precetto, ed ebbero timore di me ancora prima di vedermi». Ed essi gli dissero: «Noi giuriamo, per la tua gloria e la tua grande nobiltà e sublimità, di non poterti servire secondo la tua grande pietà e potenza, ma ti preghiamo che tu ci permetta di prostrarci ai tuoi piedi, per pregare e lodare il tuo nome santissimo».
105
E il Signore disse loro: «Non lo farete, io vi ho già esentato da ogni pena, e dal dovere della preghiera, e da qualunque altra cosa gravosa; e ho donato alle vostre anime il riposo. Ed ecco che viene il tempo di donarvi quel che vi promisi. Chiedete dunque quel che più vi aggrada, e scegliete: tutto vi sarà concesso. E non vi largirò secondo i vostri meriti ma secondo la mia larghezza e la mia sublimità e la mia misericordia. Chiedete dunque con fiducia». E come ebbe parlato così, subito essi gli risposero dicendo: «Signore, molti uomini ebbero grandi piaceri e diletti carnali, e noi rinunciammo a tutto questo per te, e dunque in cambio ti chiediamo tutto il bene del mondo, da quando cominciò ad essere fino alla sua fine». E Dio rispose: «Avete chiesto poco, assai meno del vostro diritto e di quanto avete meritato. Ciò che chiedete ve lo concedo tutto. In più vi dono quello che siete in procinto di vedere».
106
Ed essi, guardando, videro molti castelli, le cui mura e tutte le torri e gli appartamenti e le sale e le camere ed ogni altro luogo erano d'oro e d'argento, di rubini e di smeraldi e di ogni altra pietra preziosa, e parimenti di perle di tutti i colori che un uomo sia in grado di concepire. E le sale erano tappezzate di veli d'oro e di seta d'ogni colore, e i verdi erano più verdi e splendenti d'ogni smeraldo, e i rossi più rossi e splendenti di tutti i rubini. E similmente per ogni altro colore. Il loro splendore era così grande e forte che se Dio non l'avesse impedito nessuno avrebbe potuto guardarli senza perdere la vista, poiché erano tutti più chiari e splendenti del sole.

Capitolo XLII

107
Dopo che io, Maometto, ebbi visto quel che vien riferito più sopra, osservando meglio notai quei fanciulli di cui vi ho detto che andavano giocando per il Paradiso. E ogni fanciullo conduceva quattro palafreni magnifici, e sopra ognuno di questi c'era una portantina più ricca e più bella di quanto possa concepire cuore umano. E sopra ogni portantina c'era un piccolo castello di splendore e di pietre preziose, così mirabilmente lavorato da non potersi immaginare. E all'interno di ogni castello c'era una cavità, come una conchiglia o un guscio di tartaruga, fatta di rubini, di smeraldi e di perle. E in ogni nicchia c'era un altare. E sopra quell'altare sedeva un angelo, circondato da molti altri che erano della famiglia e della casa di Dio. E tali angeli erano in attesa di quelli che venivano in Paradiso, per accoglierli e riceverli con onore. E quando quelli giunsero in Paradiso e furono accanto alle predette portantine, gli angeli li salutarono e comandarono loro da parte di Dio di entrare in esse. E quelli subito entrarono. E i fanciulli di cui avete già udito li condussero ai dilettevoli giardini del Paradiso.
108
E non appena vi giunsero si trovarono dinanzi le Alkazara, che significa: "le regge". E li fecero smontare. E gli angeli, smontando come loro, li fecero entrare nelle magioni anzidette, e prendendoli per mano sedettero con loro ed incominciarono a conversare e a scherzare e a ridere così leggiadramente e così forte che quel riso si sentiva da lungi. E dopo aver fatto ciò per gran tempo, gli angeli dissero a quelli: «Amici, noi giuriamo per la sublimità e l'onore di Dio che mai, da quando fummo creati, ridemmo e scherzammo così, né mai aprimmo la bocca e muovemmo la lingua se non per lodare il Signore Iddio nostro. E se abbiamo riso e scherzato con voi, è stato per amor vostro, e per farvi onore». E dopo aver detto questo, dissero ancora: «Dio vi conceda di godere del bene che vi ha fatto». Ciò detto, presero congedo da loro, e partirono. E dopo la partenza degli angeli quelli rimasero, ciascuno in casa propria; e trovarono un bene centomila volte maggiore di quello che avevano in precedenza sperato, e chiesto a Dio di dar loro.

Capitolo XLIII

109
Mentre io, Maometto, osservavo le dimore e le altre cose di cui sopra vien detto, guardando ancora vidi che ogni dimora aveva una postierla, per la quale si andava ad uno dei fiumi. E ho detto uno, perché vi sono molti fiumi con diverse caratteristiche. Ma quelli di cui vi parlo sono bellissimi e chiarissimi e mirabilmente estesi. E su entrambe le sponde si trovano le montagne del Paradiso, tutte fatte dello zaffiro più bello del mondo. E in tali montagne ci sono giacimenti d'oro e d'argento e di pietre preziose di ogni specie che 'esista. E quei minerali passano attraverso fessure e s'immettono nel fiume anzidetto, la cui rena è dunque fatta di pietre preziose. Lo zaffiro di cui son fatte le montagne di cui sopra vien detto è così trasparente che dall'esterno si può vedere che cosa c'è dentro; e questo è dalla parte del fiume. E in quelle montagne ci sono molte altre aperture, che conducono a giardini; e questo è dalla parte opposta. E per quelle aperture si va nei quattro giardini del Paradiso. Due di essi sono vastissimi, e in ognuno sgorgano due fonti grandissime e belle. E in quei giardini ci sono moltissimi alberi, ed ognuno di essi dona frutti che tolgono la sete, di cento varietà tutte diverse tra loro. Gli altri due giardini non sono così ampi, ed in entrambi sgorga una fonte non così grande come quelle di cui sopra s'è detto, e però bellissima e chiara.

Capitolo XLIV

110
Io, Maometto, dopo aver visto i fiumi, i monti, i giardini e le fonti di cui sopra s'è detto, guardai ancora e vidi che in tali giardini c'erano di quegli alberi che son detti palme e melograni, ed erano così grandi e belli che nessuno saprebbe esprimerlo. E i frutti di questi alberi, se gustati, hanno il sapore di tutti i frutti più prelibati del mondo.
111
E quando quelli del Paradiso vengono in questi giardini, trovano sotto gli alberi di cui sopra s'è detto le tende più ricche e più belle che cuore umano possa concepire. E in quelle tende dimorano delle vergini che in arabo si chiamano Halkories, che significa: "le elette e le protette di Dio", poiché sono così ben custodite che nessuno osa avvicinarle, foss'anche il demonio in persona, se non quelli cui sono promesse. Che dirvi della loro bellezza? Nessun uomo può dirne né meditarne in cuor suo. E quelle vergini siedono sulle stoffe più ricche del mondo. E quando coloro cui sono promesse giungono, esse si alzano per accoglierli con grandi onori e poi nuovamente si siedono con quelli.
112
E non appena sono così seduti, Dio viene a visitarli in compagnia di molti angeli, e dice loro: «Avete trovato quel che vi promisi?». Ed essi rispondono dicendo: «Sì, Signore, in virtù della tua grande grazia». E poi Dio domanda loro: «Che vi sembra della mia ricompensa a coloro che mi servono? Siete contenti di ciò che ho fatto per voi?». Ed essi così rispondono: «Se tu sei contento di noi, noi siamo contenti di ciò che tu hai fatto per noi». Ed ancora Dio dice loro: «Io son ben contento di voi, e per questo siete entrati nella mia casa e vi ho parlato e vi ho mostrato il mio volto, e voi avete abbracciato i miei angeli. E sappiate che i doni che vi ho fatto non vi saranno mai rinfacciati né tolti». Ed essi rispondono in coro: «Che tu sia benedetto Signore Iddio nostro, e sia grazie a te per averci donato il gaudio eterno, che è senza pena e fatica».

Capitolo XLV

113
Quando io, Maometto, ebbi visto quel che vien narrato più sopra, mi meravigliai molto, e col cuore colmo di una grandissima gioia benedissi Dio per il gran bene che faceva a quelli che lo servivano. E dopo, guardando coloro che servivano nel Paradiso, vidi che erano bellissimi, e quanto è impossibile a dirsi. E vidi inoltre, assiso su un seggio di splendore, un angelo così grande e bello che è impossibile a dirsi. Era circondato da altri angeli che gli stavano ritti d'intorno per servirlo. Io chiesi a Gabriele chi fosse quel grande angelo. E lui mi rispose dicendo che era il tesoriere del Paradiso e che si chiamava Ridohan. Udito ciò, andai verso di lui e gli porsi il saluto. E lui chiese a Gabriele chi fossi; e Gabriele gli disse il mio nome e il mio stato. E subito l'angelo mi restituì il saluto e mi accolse con effusioni e gran gioia, chiedendomi cosa volessi. Ed io gli risposi che volevo vedere tutti i Paradisi. E senza indugiare lui mi prese per mano e mi condusse per tutti i Paradisi.
114
E mi mostrò i fiumi, gli alberi, i castelli, le regge e le terrazze ed ogni cosa che si trovava nei Paradisi. E tutto splendeva di un chiarore purissimo, al punto che per il fulgore quasi persi la vista. Ridohan mi mostrava ogni cosa che Dio aveva preparato per donarla ai suoi amici. E mi mostrò quelle dimore che erano tutte d'oro e d'argento, di rubini e di smeraldi, di perle e di ogni altra pietra preziosa, ed erano tutte di purissimo splendore. E dopo mi mostrò le montagne da cui sono circondati i Paradisi: e vidi i pascoli e i prati e i boschi che erano in esse, così belli e ubertosi che nessun cuore umano potrebbe concepirlo. E fra quei monti v'erano dei recinti tutti di muratura, e ogni recinto si estendeva per uno spazio pari a cinquecento anni di cammino. E in quei recinti v'erano cavalli e cavalle di tutti i colori, e più belli d'ogni cosa che occhio umano avesse mai visto. E non appena mi avvicinai ad essi per vederli meglio, subito presero a correre per lo spavento. E mentre così correvano, con gli zoccoli sollevavano una terra che era tutta muschio ed ambra; e aveva un profumo così forte e buono che i recinti ne erano tutti ricolmi. E poi Ridohan mi condusse ad una voliera tutta affollata d'uccelli, che erano verdi e gialli e d'ogni altro colore. Ed erano straordinariamente grandi e profumati. E non appena mi avvicinai a loro, tentarono di alzarsi in volo e invece mi caddero dinanzi. E allora dalle loro ali uscì tanto muschio e tanta ambra che la voliera fu tutta ricolma di profumo e di soavità. E poi mi mostrò delle case che erano tutte d'oro e d'argento e di pietre preziose. E in quelle case vi erano sedie e letti e giacigli così belli e ricchi che mai occhi umani videro nulla di paragonabile, né orecchi ne udirono parlare. Sia benedetto Dio che fece e creò tali cose secondo il suo volere.

Capitolo XLVI

115
Dopo che Ridohan, il tesoriere del Paradiso, mi ebbe mostrato quel che sopra vien detto, mi condusse ancora avanti e mi mostrò un fiume che ha nome Alketynon. Tale fiume ha una larghezza pari a cinquecento anni di cammino; ma quanto alla lunghezza, nessuno la conosce, se non Dio che lo fece. Questo è quel fiume che circonda tutti i Paradisi. E come lo vidi, fui grandemente stupito dalla sua larghezza e dalla sua lunghezza.
116
Ma lo fui ancor di più, quando sulle rive di quel fiume vidi allestite molte tende, così grandi che sarebbe troppo arduo descriverle. Quelle tende erano tutte di tessuto dorato e di sciamito, così chiaro e trasparente che la vista lo trapassava facilmente, come se si trattasse di topazi e smeraldi. E di simil fatta erano le sedie e i drappi di cui erano arredate le tende. In quelle tende nascono spontaneamente, perché così piace a Dio, delle dame che in arabo sono dette Halkoralen, che significa: "dame mirabili", e senza alcun dubbio lo sono. Infatti son così grandi che un loro sopracciglio ha le dimensioni dell'arcobaleno che appare in cielo fra le nuvole. E la loro bellezza è tale che non può essere detta. I loro corpi emanano una luce che è più difficile da sostenersi di quella del sole. Quelle tende sono tutte chiuse e senza aperture visibili; le dame di cui sopra s'è detto nascono spontaneamente, come l'erba quando spunta dalla terra. E dopo esser nate e formate si coprono di capelli che son più belli e splendenti di quanto possa esprimere lingua mortale. E in seguito crescono al punto di toccare la sommità delle tende.
117
E dopo che le dame hanno raggiunto una tale statura, subito le tende prendono a muoversi un poco, e da questo gli angeli incaricati della loro custodia si avvedono che le dame sono cresciute come dovevano. E allora uno di quegli angeli viene alla tenda che ondeggia e trova una dama cresciuta nel modo dovuto, come sopra vi ho detto. E vi trova anche vesti d'oro e di perle e di pietre preziose, fatte e preparate per la dama, affinché se ne abbigli. Tali vesti son così belle e ricche che nessun cuore umano varrebbe a concepirle. E alla dama nella tenda l'angelo dice: «Vieni con me, che intendo condurti in un castello del Paradiso di cui sono custode». E subito quella dama, guardandosi intorno, vede i vestiti d'oro e di seta, i più belli del mondo, esattamente della sua taglia, e senza indugio li indossa.

Capitolo XLVII

118
E non appena la predetta dama si è così rivestita, subito l'angelo che deve condurla al castello del Paradiso, di cui è custode, come in precedenza avete appreso, la prende per mano e dopo averla fatta uscire dalla tenda la porta al suo castello, che risplende da una distanza di cinquecento anni di cammino. E durante il cammino, la dama recita una preghiera, il cui principio in arabo suona così: «Kadabafla hum halmuminina», che significa: "Ben fortunati sono quelli che credono". E poi prosegue fino al termine della preghiera, che è molto lunga. E quando l'ha finita, soggiunge: «Ah, quant'è fortunato colui che è nella grazia di Dio, come noi». E l'angelo domanda: «Signora, sai da chi ti conduco?». Ed ella risponde. «Certo. So da chi mi conduci, e so il suo nome, e di chi è figlio, e in qual punto del Paradiso dimora». Gli angeli predetti non hanno altro compito che accompagnare le dame nate nelle tende da coloro che debbono esser i loro sposi in Paradiso, come vi ho già riferito.
119
E ci fu chi mi chiese: «Maometto, nunzio di Dio, come possono quelle dame conoscere i nomi dei loro futuri sposi, giacché nessuno glieli ha detti?». E io risposi dicendo: «Sappiate, amici, che li conoscono da Dio, e vi dirò in che modo. Se uno dei credenti in Dio desidera mangiare uno dei frutti del Paradiso, subito l'albero che lo produce gli appare dinanzi col frutto desiderato, e gli dice: "Mangia, amico di Dio!". E il credente chiede all'albero: "Dimmi, o albero, come sapevi che avevo voglia di mangiare dei tuoi frutti?". E l'albero gli risponde: "Colui che mi creò per te, melo ha fatto conoscere". E io, Maometto, ho persino visto che se uno che sta in Paradiso ha in bocca un frutto, e gli prende d'improvviso la voglia di un frutto di un'altra specie, subito il frutto che sta mangiando muta il suo gusto e assume quello desiderato. E tutto questo in virtù della potenza divina».
120
E quando qualcuno giunge in Paradiso tutti coloro che già vi stanno escono ad incontrarlo e lo accolgono con grande gioia ed esultanza, come noi facciamo con un parente o un amico che ritorni da un pellegrinaggio o da un lungo viaggio. E la sposa e i famigliari che avrà in Paradiso proveranno un desiderio ben più vivo di vederlo di quanto non ne avesse la sua famiglia nel mondo.

Capitolo XLVIII

121
Avendo io, Maometto, nunzio di Dio, veduto le grandi meraviglie di cui vi ho parlato, e avendo a lungo contemplato i Paradisi e le dame di cui avete udito in precedenza, Gabriele e Ridohan, che stavano al mio fianco, mi condussero in un luogo che ha nome Zaderat halmouta, che significa: "luogo spazioso", e mi mostrarono un albero così grande e bello che a stento si potrebbe descriverlo. Tale albero era fatto di un'unica perla mirabilmente bianca. Ed era così bella che la sua bellezza superava ogni altra bellezza, tranne quella di Dio e dei suoi angeli. E tutte le sue foglie, e anche i suoi fiori e i suoi frutti erano similmente belli. E i suoi frutti avevano ogni buon sapore che cuore umano possa concepire.
122
E ai piedi di quell'albero sgorgava una fonte d'acque più trasparenti e chiare d'ogni altra cosa, e più dolci del miele. Ed io chiesi a Gabriele che fonte fosse quella. E Gabriele mi rispose dicendo che era la fonte chiamata Halkaufkar, che significa: "fonte di grazia perfetta". E soggiunse: «Sappi, Maometto, che solo per te e per tuo uso Dio creò questa fonte. E così ti rese più grazie e ti esaltò maggiormente di ogni altro profeta che già fu o che verrà, perché tale fonte non volle darla ad altri che a te, per cui puoi ben chiamarti, sopra ogni altro, profeta e nunzio di Dio». E dopo questo, mi chiese licenza dicendo: «Maometto, io ti lascio, perché non posso più accompagnarti. Dio vuole che tu giunga da solo sino a Lui, e vuole anche parlarti in segreto prima che tu ritorni; e perciò tu andrai; va' dunque con la grazia di Dio nostro, e sappi che tu per concessione di Dio sei il signore di tutti quelli che sono nel mondo». E dopo tali parole mi abbracciò, e sia lui che Ridohan se ne andarono; ed io procedetti da solo, secondo la volontà di Dio.

Capitolo XLIX

123
Avendomi Gabriele e Ridohan lasciato solo, come avete udito più sopra, io, Maometto, nunzio di Dio, tornai per quella via da cui prima ero venuto; e tanto andai che giunsi alle cortine che si trovavano presso Dio. E come fui lì, le cortine incominciarono ad alzarsi, e non appena ne superavo una, la seguente si sollevava da sola, senza che nessuno vi ponesse mano. E tutto questo avveniva per la potenza di Dio, la cui grandezza è tale che nessuno può concepirla, né conoscerne compiutamente l'inizio e la fine. E così procedendo attraverso quelle cortine, tanto mi inoltrai che fra Dio e me non ne rimanevano che due, e la prima era di tenebre e l'altra dello splendore della sua potenza.
124
E mentre le contemplavo, ecco che udii da oltre le cortine una voce pronunciare le parole del Corano, là dove si inizia a dire: «hamina harazul bine unzila ylay», che significa: "il nunzio ha creduto a tutto ciò che gli fu rivelato". E dopo che fu recitata sino alla fine l'orazione, che era molto lunga, Dio mi disse: «Maometto, prendi questa rivelazione del Corano, che io ti dono e concedo. Esso tratta dei miei tesori del Paradiso, che superano tutti gli altri tesori dell'universo». E dopo che mi ebbe così parlato, io presi il Libro dalla sua mano e Lo ringraziai per il dono che mi aveva fatto. E fra Lui e me non vi erano né angeli né uomini né altro, se non Lui ed io, l'uno di fronte all'altro.
125
E dopo mi disse: «Maometto, che devono sapere le genti del mondo sulle questioni e sulle adunanze celesti?». Ed io gli risposi dicendo: «Signore, non so dirlo». E Dio mi disse: «Maometto, avvicinati a me». E subito si alzarono le cortine che stavano in mezzo; e allora Dio mi tolse la vista dagli occhi e mela ridonò al cuore, e così Lo vidi col cuore, non più con gli occhi. E poi disse: «Maometto, avvicinati maggiormente a me». E tanto mi avvicinai che fra Lui e me non v'era una distanza superiore a due lanci di balestra. E mi pose la mano sul capo, e io avvertii nel mio cuore il suo gelo. E m'infuse all'istante ogni scienza, e così seppi tutte le cose che sono, che furono e che saranno in futuro. E poi mi domandò un'altra volta: «Maometto, che deve sapere la gente del mondo sulle questioni e sulle adunanze celesti?». Ed io risposi dicendo: «Signore, devono badare alla parola scritta nel Corano: "haldaraiet vhalkafora"». E allora Dio mi chiese: «Che significa "vhalkafo

(qui finisce  il testo)

Tratto da: http://www.classicitaliani.it/dante/critica/Maometto_scala.htm
Edizione di riferimento: Il libro della scala di Maometto - Traduzione di Roberto Rossi Testa, Note al testo e postfazione di Carlo Saccone, Mondadori ed., Milano 1991-1997 - trad. da Liber scalae Machometi.

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