"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

lunedì 14 luglio 2014

Ibn ‘Arabî, Le regole di convenienza (spirituale) dei Santi e dei Califfi

Ibn ‘Arabî
Le regole di convenienza (spirituale) dei Santi e dei Califfi

Il segno distintivo dei Santi di Allâh (awliyâ Allah) è che si ricordano di Allâh per il semplice fatto di vederlo; è questo un effetto della loro realizzazione spirituale che non corrisponde ad altro che alla pura servitù (‘ubûdiyya) che nessuna signoria può alterare: questo è il comportamento che conviene anche a te (âdâbu-ka)[1].
In compenso, ogni carattere che per loro comporta qualche traccia di signoria, rileva delle regole di convenienza per il Califfato, non di quelle che concernono la Santità. Il Santo aiuta (altri), ma non ricerca la vittoria per sé stesso, mentre il Califfo riunisce i due aspetti. Peraltro l’ordine temporale comporta sempre delle opposizioni (alle regole tradizionali). Quando si manifestano, il Santo non fa mostra alcuna  di indulgenza, perché qualora lo facesse, non sarebbero più Santo; per lui nulla deve mai prevalere sulle esigenze divine perché egli è solo tutto dedito ad Allâh. Il Califfo invece è “per Dio” in certi momenti e “per il mondo” in altri[2]; in quei momenti egli difende gelosamente le prerogative divine, negli altri si preoccupa prima di tutto del mondo e chiede perdono per coloro che si oppongono, la dove il Santo difenderebbe scrupolosamente (i diritti divini). I Santi sono i “solitari” (mufarradûn) incaricati[3] da Allâh di applicare le regole di convenienza che convengano a Lui Stesso.
Quanto al Califfo, alle volte dice: “Io lo farò più di settanta volte”[4] mentre altre volte egli rivolge (a Dio) delle invocazioni accusando (le tribù ribelli); quale differenza fra i due stati! Gli stati sono mutevoli[5] per il Califfo, non per il Santo. Il Santo non accusa mai; il Califfo talvolta si, in ragione della mutevolezza dei suoi stati: se formula un’accusa, poi la nega, a dispetto della sua sincerità iniziale. Le maniere dei Santi sono quelle degli spiriti angelici[6]. Considera Gabriele –su di Lui la Pace!-: prende la forma del mare e si precipita nella bocca del Faraone per impedirgli di formulare il Tawhîd; cerca di anticiparlo per difendere gelosamente le prerogative divine, ben sapendo che il Faraone aveva la scienza che non vi è “altra divinità che Allâh”[7]. Infine il Faraone ebbe la meglio e la sua lingua pronunciò la formula del Tawhîd, così come Allâh ci insegna nel Libro incomparabile. Il Califfo al contrario, dice a suo zio: “Dimmela nell’orecchio[8]; grazie ad essa testimonierò in tuo favore presso Allâh”, e ciò mentre suo zio rifiutava![9] Che differenza fra l’una e l’altra situazione in cui il Califfo[10] dice: “Mio Signore non lasciare che sulla superfice della terra vi rimanga alcun miscredente…” (Cor 71:26). Magari se si fosse lasciato loro tempo, si sarebbero potuti pentire e forse ci sarebbero stati fra i loro discendenti dei credenti in Allâh che avrebbero “rinfrescato” con la Fede “gli occhi” dei credenti!
Le convenienze proprie ai Santi consistono anche nel testimoniare riguardo a “coloro che sono incorsi nella Collera divina”[11], una collera senza possibilità di appello e allo stesso tempo riguardo a coloro che contribuiscono alla Soddisfazione divina, una soddisfazione senza pentimenti: le regole di convenienza che qui si applicano sono quelle che convengono a Dio, e ciò che Dio rende attuale è assolutamente necessario. Le convenienze proprie ai Califfi invece, alcune volte consistono nell’essere soddisfatti di coloro che sono l’oggetto della Soddisfazione divina, talaltre nel perdonare a coloro che sono incorsi nella Collera e talvolta anche nell’adirarsi[12]. Questa è la ragione per cui Egli ha parlato in modo specifico dei Santi nella sua Parola “Hai conosciuto i Miei Santi…?”[13]. In realtà i Califfi sono anche dei Santi-protettori[14] dei Nomi divini, mentre i Santi sono unicamente i Suoi “protettori” per Lui: i Santi sono i “protettori di Allâh”, mentre i Califfi sono i “protettori dei Nomi divini”.
* Ibn ‘Arabî, Estratto dal capitolo 45 delle Futûhât. Traduzione e note di Charles-André Gilis, Les sept étendards du califat, p.118-120, chap. XV: «Califat et réalisation descendante»


[1] La nozione della “convenienza” è protagonista di tutto questo capitolo che ha come titolo: “Sulla Condiscendenza (degnazione): hai conosciuto i Miei Santi che ho educato secondo le mie regole di cortesia (âdâbî)?” Qui la signoria è opposta unicamente alla `ubûdiyya. Gli attribute signoriali non possono “macchiare” la Servitù assoluta ('ubûda) del Califfo Supremo che “possiede la mashî'a (Volontà universale) al suo grado perfetto” (Cf. supra, chap. III, p. 31-32 ; chap. VI, p. 51 ; et infra, chap. XXXII, p. 245). 
[2] Da cui la sua funzione di “intermediario” di “intercessore”. 
[3] Tawallâ, dalla stessa radice di walî. La menzione di un “incarico” affidato al walî indica che si tratta di una “discesa”, mentre lo stato di “solitario” mostra che questa discesa è imperfetta e incompiuta. 
[4] Allusione a Corano 9:80: “Che tu chieda perdono per loro o che tu non lo chieda: anche se tu chiederai per loro pordono settanta volte, Allâh non perdonerà loro”. Quando questo versetto fu rivelato, il Profeta –su di Lui la Grazia e la Pace- esclamò: “Per Allâh! Chiederò perdono più di settanta volte!”. Ibn ‘Arabi si riferisce a questa parola come esempio delle “regole di convenienza” proprie del Califfo. 
[5] Takhtalifu 'alay-hi. Altro chiarimento etimologico della funzione califfale. In effetti, la radice verbale da cui deriva il termine khalîfa comporta un’“ottava forma” che ha il senso di “differire”, “essere variabile”.
[6] Questa precisazione stabilisce nettamente la superiorità del Califfo sul Santo, comparandola implicitamente a quella di Adamo sugli Angeli.
[7] Su questo punto cfr. Il Corano e la funzione di Hermès, il “dodicesimo Tawhîd”.
[8] Si tratta ugualmente della formula del Tawhîd.
[9] La superiorità del Califfo è sottolineata in questo caso con la sua identificazione col Profeta –su di Lui la Grazia e la Pace- che pronunciò queste parole allorché suo il zio e protettore Abû Talib era sul punto di morire.
[10] Questa volta si tratta di Noé che secondo il Corano, rivolse a Dio questa preghiera la cui formulazione è qui criticata da Ibn ‘Arabi per l’inosservanza delle regole che si convengono alla funzione califfale. In relazione al Califfo supremo che è il nostro Signore Muhammad –che Allâh diffonda su di Lui la Sua Grazia unitiva e la Sua Pace- i Profeti precedenti sono considerati alla stregua degli Angeli e dei santi.
[11] Allusione a Corano 1:7
[12] Questa alternanza illustra il legame che unisce il Califfato alla mashî’a (Volontà Universale). Ricordiamo che Ibn ‘Arabi considera al-Khalîfa come un Nome divino allo stesso modo che al-Walî.
[13] Allusione al titolo del capitolo

[14] La parola walî ha anche il significato di “protettore”. Le Cheikh al-Akbar in questo passaggio utilizza il vocabolo nel suo doppio significato.

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