"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

venerdì 11 luglio 2014

René Guénon, Iniziazione e realizzazione spirituale - XVIII - Le tre vie e le forme iniziatiche

René Guénon
Iniziazione e realizzazione spirituale

XVIII - Le tre vie e le forme iniziatiche

È noto che la tradizione indù distingue tre «vie» (mârga) conosciute rispettivamente come Karma, Bhakti e Jnâna; non ritorneremo sulla definizione di questi termini, che dobbiamo supporre sufficientemente conosciuta dai nostri lettori; vogliamo però precisare subito che dal momento che ad essi corrispondono tre forme di yoga, ciò implica essenzialmente che tutti hanno, o sono suscettibili d’avere, un significato propriamente iniziatico[1].
Dev’essere ben chiaro, d’altronde, che qualsiasi distinzione di questo genere ha sempre necessariamente un certo carattere «schematico» ed alquanto teorico, poiché di fatto le «vie» variano indefinitamente per adeguarsi alla diversità delle nature individuali, sicché, anche in una classificazione molto generica come questa, si tratta solo di predominanza d’uno degli elementi in rapporto agli altri, senza che questi ultimi ne siano mai esclusi del tutto.
Questo caso è analogo a quello dei tre guna: gli esseri vengono classificati in base al guna che in essi predomina, ma è chiaro che la natura d’ogni essere manifestato comporta ugualmente tutti e tre i guna, anche se in proporzioni diverse, non potendo essere diversamente per tutto ciò che proviene da Prakriti. L’accostamento che facciamo fra questi due casi è d’altronde qualcosa di più che un semplice paragone, ed è tanto più giustificato in quanto, realmente, una certa correlazione esiste fra l’uno e l’altro: in effetti, lo Jnâna-mârga è evidentemente quello che meglio conviene agli esseri di natura «sattwica», mentre il Bhakti-mârga e il Karma-mârga sono più adatti a quelli la cui natura è prevalentemente «rajasica», naturalmente con le dovute sfumature; in un certo senso si potrebbe dire che l’ultimo presenta qualcosa di più vicino a tamas che non l’altro, benché non convenga spingere troppo in là queste considerazioni, in quanto è evidente che gli esseri di natura «tamasica» non sono affatto qualificati per seguire una qualsivoglia via iniziatica.
A parte quest’ultima riserva, non è men vero che esiste un rapporto tra i caratteri rispettivi dei tre mârga e gli elementi costitutivi dell’essere ripartiti secondo la tema «spirito, anima, corpo»[2]: la Conoscenza pura è, in se stessa, d’ordine essenzialmente sopraindividuale, e cioè in definitiva spirituale come l’intelletto trascendente da cui deriva; il carattere nettamente psichico di Bakti è evidente, mentre Karma, in tutte le sue modalità, comporta necessariamente una certa attività d’ordine corporeo, per cui, quali che siano le trasposizioni di cui questi termini sono suscettibili, qualcosa di questa natura originale deve sempre inevitabilmente ritrovarvisi. Ciò conferma pienamente quanto dicevamo della corrispondenza con i guna: la via «jnânica», in queste condizioni, può evidentemente convenire solo agli esseri in cui predomina la tendenza ascendente di sattwa e che, proprio per questo, sono predisposti a mirare direttamente alla realizzazione degli stati superiori, piuttosto che attardarsi ad uno sviluppo dettagliato delle possibilità individuali; le altre due vie, per contro, fanno dapprima appello ad elementi prettamente individuali, non fosse altro che per trasformarli alla fine in qualcosa che appartiene ad un ordine superiore; ciò è conforme alla natura di rajas, tendenza che produce l’espansione dell’essere appunto a livello dell’individualità, la quale, non lo si dimentichi, è costituita dall’insieme degli elementi psichico e corporeo. Da quanto abbiamo detto, risulta inoltre immediatamente che la via «Jnânica» riguarda in particolare i «grandi misteri», e le vie «bhaktica» e «karmica» i «piccoli misteri»; in altre parole, solamente mediante Jnâna è possibile pervenire allo scopo finale, mentre Bhakti e Karma hanno piuttosto una funzione «preparatoria», dato che le vie corrispondenti conducono soltanto fino ad un certo punto, ma rendono possibile il conseguimento della Conoscenza a chi, direttamente e senza una preparazione del genere, non ne sarebbe capace. D’altra parte è fuori causa che non può esistere iniziazione effettiva, sia pure ai primi stadi, senza una parte più o meno considerevole di conoscenza reale, anche quando, nei mezzi da essa utilizzati, l’«accento» cade soprattutto sull’uno o sull’altro dei due elementi «bhaktico» e «karmico»; ma teniamo a sottolineare che in ogni caso, al di là dei limiti dello stato individuale, non può più esservi che una sola ed unica via, che necessariamente è quella della Conoscenza pura. Un’altra conseguenza da tener presente è che, a causa della connessione delle due vie «bhaktica» e «karmica» con l’ordine delle possibilità individuali e con il dominio dei «piccoli misteri», la distinzione tra loro è molto meno netta di quanto non lo sia fra esse e la via «jnânica», e ciò naturalmente dovrà in certo qual modo riflettersi nei rapporti tra le corrispondenti forme iniziatiche; ritorneremo del resto su questo punto nel seguito della presente esposizione.
Queste considerazioni ci portano a prendere in esame anche un’altra relazione, quella che si ha, in linea generale, fra i tre mârga e le tre caste «nate due volte»; che debba esistere una relazione del genere è evidente, in quanto la distinzione delle caste non è altro che una classificazione degli esseri secondo le loro nature individuali, ed è precisamente per adattarsi alla diversità di queste nature che si ha una pluralità di vie. I Brâhmani, essendo di natura «sattwica», sono particolarmente qualificati per lo Jnâna-mârga, ed è detto espressamente che essi devono mirare il più direttamente possibile al possesso degli stati superiori dell’essere; la loro funzione, d’altronde, anche nella società tradizionale, è prima di tutto ed essenzialmente una funzione di conoscenza. Le altre due caste invece, la cui natura è principalmente «rajasica», svolgono funzioni che, in se stesse, non superano il livello individuale e sono orientate verso l’attività esteriore[3]: quelle degli Kshatriya corrispondono a quel che si può chiamare lo «psichismo» della collettività, mentre quelle dei Vaishya hanno per oggetto le diverse necessità dell’ordine corporeo; da questo, e da quanto abbiamo detto in precedenza, risulta che gli Kshatriya devono esser soprattutto qualificati per il Bhakti-mârga e i Vaishya per il Karma-mârga, ed in effetti è ciò che si può constatare nelle forme iniziatiche a loro rispettivamente destinate. Vi è tuttavia un’importante osservazione da fare a questo proposito: se si intende il Karma-mârga nel senso più esteso, esso si definisce con lo swadharma, cioè con l’adempimento da parte di ciascun essere di quella funzione che è conforme alla sua natura; si potrebbe allora prenderne in considerazione l’applicazione a tutte le caste, salvo che allora questo termine sarebbe manifestamente improprio per quel che riguarda i Brâhmani, la cui funzione è in realtà al di là del dominio dell’azione; si potrebbe tuttavia applicarlo, anche se con modalità diverse, sia al caso degli Kshatriya che a quello dei Vaishya, e ciò può rappresentare un esempio delle difficoltà che si incontrano, come dicevamo prima, a separare in modo netto quel che conviene agli uni e agli altri, e difatti è noto come la Bhagavadgîtâ esponga un Karma-yoga specificamente adatto all’uso degli Kshatriya. Non è men vero tuttavia che, se si prendono i termini in senso stretto, le iniziazioni degli Kshatriya presentano nell’insieme un carattere soprattutto «bhaktico» e quelle dei Vaishya un carattere soprattutto «karmico», cosa che verrà tra breve maggiormente chiarita con un esempio preso dalle forme iniziatiche dello stesso mondo occidentale.
Va da sé, in effetti, che quando parliamo di caste riferendoci in primo luogo alla tradizione indù per comodità d’esposizione, e perché nella fattispecie, essa ci fornisce la terminologia più adeguata, quel che ne diciamo è analogamente estendibile a tutto ciò che altrove, in una forma o nell’altra, corrisponde a queste caste, poiché le grandi categorie in cui sono divisibili le nature individuali degli esseri umani sono sempre e dovunque le medesime, per il fatto stesso che, se le si riconduce al loro principio, esse non sono altro che una risultante del rispettivo predominio dei diversi guna, cosa evidentemente applicabile all’intera umanità come caso particolare di una legge valevole per tutto l’insieme della manifestazione universale. La sola notevole differenza si rivela nella proporzione, maggiore o minore a seconda delle condizioni di tempo o di luogo, di uomini appartenenti a ciascuna categoria, i quali, se qualificati a ricevere un’iniziazione, saranno di conseguenza suscettibili di seguire una o l’altra delle vie corrispondenti[4]; ma può succedere, in casi estremi, che qualcuna di queste vie cessi praticamente di esistere in un ambiente determinato, se il numero di quelli che sarebbero idonei a seguirle è divenuto insufficiente a consentire il perdurare d’una forma iniziatica distinta[5]. Ciò si è verificato specialmente in occidente, dove ormai da lungo tempo le disposizioni alla conoscenza sono diventate vieppiù rare e meno sviluppate che non la tendenza all’azione, per cui si può dire che nell’insieme del mondo occidentale, e persino in ciò che ne costituisce l’élite, rajas ha di gran lunga la meglio su sattwa; e infatti, anche risalendo al Medio Evo, non si trovano tracce precise di forme iniziatiche propriamente «jnâniche», che di norma avrebbero dovuto corrispondere ad un’iniziazione sacerdotale: a tal punto, che anche quelle organizzazioni iniziatiche che a quel tempo erano in più stretto rapporto con certi Ordini religiosi, avevano pur sempre un carattere «bhaktico» molto accentuato, per quanto è possibile giudicare dai modi d’espressione più abitualmente impiegati da quei loro membri che lasciarono opere scritte. A quell’epoca per contro si trova, da una parte l’iniziazione cavalleresca, il cui carattere dominante è evidentemente «bhaktico»[6], e dall’altra le iniziazioni artigianali che erano «karmiche» in senso stretto, essendo essenzialmente basate sull’esercizio effettivo di un mestiere. Va da sé che la prima era un’iniziazione per Kshatriya, e le seconde erano iniziazioni per Vaishya, se si assume la designazione delle caste secondo il significato da noi appena spiegato; ed aggiungeremo che i legami che di fatto esistettero quasi sempre fra queste due categorie, come spesso abbiamo avuto occasione di segnalare, sono una conferma di quanto dicevamo prima a proposito dell’impossibilità di separarle completamente. Più tardi, anche le forme «bhaktiche» disparvero, e le sole iniziazioni che ancora sussistono attualmente in Occidente sono iniziazioni di mestiere, o che tali erano all’origine; anche se in seguito a circostanze particolari la pratica del mestiere non è più richiesta come condizione necessaria (ciò che del resto è da considerare come un declino, se non come un vero e proprio processo di decadenza), questo fatto non toglie evidentemente nulla al loro carattere essenziale.
Ora, se è un fatto incontestabile che in Occidente esistono soltanto più forme iniziatiche definibili come «karmiche», bisogna riconoscere che ciò ha dato origine ad interpretazioni non sempre esenti, sotto molti punti di vista, da equivoci e confusioni; ed è appunto quanto ci resta da esaminare per mettere a punto le cose nel miglior modo possibile. In primo luogo, certuni hanno immaginato che, a causa del loro carattere «karmico», le iniziazioni occidentali siano in certo qual modo in opposizione con le iniziazioni orientali, le quali, a loro modo di vedere, sarebbero tutte prettamente «jnâniche»[7]; ciò è del tutto inesatto in quanto, per la verità, in Oriente coesistono tutte le categorie di forme iniziatiche, com’è d’altronde sufficientemente provato dagli insegnamenti della tradizione indù a proposito dei tre mârga; se accade invece che in Occidente ne esista soltanto più una, gli è che qui le possibilità di questo genere si trovano ridotte al minimo. Che la predominanza vieppiù esclusiva della tendenza all’azione esteriore rappresenti una delle cause principali di questo stato di fatto, è fuor di dubbio; ma non è men vero che, a dispetto dell’aggravarsi di questa tendenza, la possibilità d’iniziazione sussiste, e sostenere una tesi contraria implica un grave equivoco circa il reale significato della via «karmica», come vedremo più precisamente fra breve. Inoltre, è inammissibile voler fare in certo qual modo una questione di principio di qualcosa che è soltanto l’effetto di una situazione contingente, e considerare le cose come se ogni forma iniziatica occidentale dovesse necessariamente essere di tipo «karmico» solo perché è occidentale; crediamo non sia necessario insistere oltre su questo argomento perché, dopo tutto quello che già abbiamo detto, dovrebbe essere abbastanza chiaro che una visione del genere non può corrispondere alla realtà, la quale, d’altronde, è evidentemente ben più complessa di quel che si può supporre.
Un altro punto molto importante è questo: quando il termine Karma si applica ad una via o ad una forma iniziatica, dev’essere inteso prima di tutto nel senso tecnico di «azione rituale»; a questo proposito è facile capire che qualsiasi iniziazione presenta un certo lato «karmico», in quanto qualsiasi iniziazione implica la pratica di particolari riti; questo corrisponde d’altronde a quanto abbiamo detto circa l’impossibilità che l’una o l’altra delle tre vie esista allo stato puro. Inoltre, al di fuori dei riti propriamente detti, qualsiasi azione, per essere realmente «normale», cioè conforme all’«ordine», dev’essere «ritualizzata», e questo avviene effettivamente, come spesso abbiamo spiegato, solo in una civiltà integralmente tradizionale; anche nei casi che si potrebbero definire «misti», in cui cioè la presenza di un certo processo di degenerazione conduce ad introdurre il punto di vista profano e a dargli un posto più o meno esteso nell’attività umana, quanto sopra rimane pur sempre vero, almeno per tutte quelle azioni che sono in rapporto con l’iniziazione, e in particolare per quelle che riguardano la pratica del mestiere nelle iniziazioni artigianali[8]. Ciò è evidentemente quanto mai lontano dall’idea che di una via «karmica» si fa chi è convinto che, se un’organizzazione iniziatica presenta questo carattere, deve prestarsi più o meno direttamente ad un’azione esteriore e del tutto profana, come lo sono inevitabilmente, specie nelle condizioni del mondo moderno, le attività «sociali» di qualsiasi genere. La ragione che di solito viene invocata a sostegno di tale tesi, è che un’organizzazione del genere ha il dovere di contribuire al miglioramento dell’umanità nel suo insieme; l’intenzione può essere in se stessa molto lodevole, ma il modo di considerarne la realizzazione, anche se la si spoglia delle illusioni «progressiste» cui troppo spesso è associata, non è per ciò meno erronea. Invero, non è detto che un’organizzazione iniziatica non possa proporre a se stessa, secondariamente, uno scopo del genere, «per sovrappiù» in certo qual modo, e alla condizione di non confonderlo mai con quello che è il suo scopo proprio ed essenziale; ma allora, per esercitare un’influenza sull’ambiente esterno, bisognerà ch’essa metta in opera mezzi del tutto diversi da quelli che senza dubbio vengono ritenuti i soli possibili, mezzi d’ordine molto più «sottile», ma anche dotati di ben altra efficacia. Sostenere il contrario significa in definitiva misconoscere totalmente il valore di quella che talvolta abbiamo denominato «azione di presenza»; e quest’errore, nell’ordine iniziatico, è paragonabile, nell’ordine exoterico, a quello così diffuso ai giorni nostri, circa la funzione degli Ordini contemplativi; in fondo, sia in un caso che nell’altro, ci troviamo di fronte alle conseguenze di quella mentalità specificamente moderna, per cui tutto ciò che non appare esternamente e non cade sotto i sensi è come se non esistesse.
Aggiungeremo ancora, mentre siamo in argomento, che esistono anche molti equivoci sulla natura delle altre due vie, ma soprattutto sulla via «bhaktica», perché, per quanto riguarda la via «jnânica», è in ogni caso troppo difficile confondere la Conoscenza pura, o anche solo le scienze tradizionali che ne derivano e che fanno propriamente parte del dominio dei «piccoli misteri», con le speculazioni della filosofia e della scienza profana. A causa del suo carattere strettamente trascendente, è molto più facile ignorare del tutto questa via che non snaturarla con false concezioni; e anche i tentativi, effettuati da certi orientalisti, di farla passare per una filosofia, tentativi che non lasciano sussistere assolutamente niente dell’essenziale e riducono tutto ai vani simulacri dell’«astrazione», non dimostrano di fatto che ignoranza pura e semplice, e sono troppo distanti dalla verità per potersi imporre a chiunque abbia la minima nozione di cose iniziatiche. Per quanto riguarda Bhakti, il caso è ben diverso, e gli errori provengono soprattutto da una confusione del senso iniziatico di questo termine col suo senso exoterico, che d’altronde assume quasi inevitabilmente, agli occhi Occidentali, un aspetto specificamente religioso e più o meno «mistico», che nelle tradizioni orientali non ha ragione di essere: tutto ciò non ha assolutamente niente in comune con l’iniziazione, e, se effettivamente non si trattasse d’altro, è evidente che non potrebbe esistere un Bhakti yoga; ma questo ci riconduce ancora una volta alla questione del misticismo e alle sue essenziali differenze dall’iniziazione.



[1] Diciamo «sono suscettibili di avere» in quanto esse possono comportare anche un senso exoterico, che per altro non è evidentemente in causa quando si ha a che fare con lo yoga; naturalmente il senso iniziatico ne è una trasposizione in un ordine superiore.
[2] Anche in una corrispondenza del genere non è il caso di vedere niente di esclusivo, perché ogni via iniziatica, per essere realmente valevole, implica necessariamente una partecipazione dell’essere tutto intero.
[3] Diciamo «in se stesse» perché esse possono essere trasformate da un’iniziazione che le prenda per supporto.
[4] Per non complicare inutilmente la nostra esposizione, non facciamo intervenire qui la considerazione delle anomalie le quali, all’epoca attuale e soprattutto in occidente, derivano dal «miscuglio delle caste», dalla sempre crescente difficoltà di determinare esattamente la natura di ogni uomo, e dal fatto che la maggior parte degli uomini non svolge più la funzione realmente conveniente alla propria natura.
[5] Segnaliamo per inciso che, in casi del genere, coloro i quali sono ancora qualificati per una di queste vie possono essere obbligati a «rifugiarsi», se ci si passa l’espressione, presso organizzazioni le cui forme iniziatiche non erano inizialmente fatte per essi, inconveniente che può d’altronde essere attenuato mediante una specie di «adattamento» effettuato all’interno di queste stesse organizzazioni.
[6] Un carattere analogo avevano altre iniziazioni come quella dei Fedeli d’Amore, il cui nome lo indica espressamente, benché l’elemento «jnânico» sembri qui aver avuto uno sviluppo maggiore che non nell’iniziazione cavalleresca, con la quale d’altronde essa aveva rapporti assai stretti.
[7] Si osservi che, secondo questo genere di concezioni, l’esistenza di iniziazioni «bhaktiche» è completamente ignorata o tenuta in non cale.
[8] Si potrebbe dire che in questi casi, «karmico» è quasi sinonimo di «operativo», intendendo naturalmente quest’ultimo termine nel suo vero significato, quello cioè sul quale sovente abbiamo avuto occasione di insistere.

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