"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

martedì 15 luglio 2014

René Guénon, Iniziazione e realizzazione spirituale - XX - Guru ed upaguru

René Guénon 
Iniziazione e realizzazione spirituale

XX - Guru ed upaguru

Se spesse volte si parla della funzione del Guru o del Maestro spirituale (il che beninteso non vuol affatto dire che chi ne parla ne abbia sempre un’esatta comprensione), v’è un’altra nozione che, al contrario, passa generalmente sotto silenzio: ci riferiamo a quel concetto che nella tradizione indù viene espresso col termine Upaguru.
Con esso bisogna intendere qualsiasi essere, l’incontro con il quale rappresenta l’occasione od il punto di partenza d’un certo sviluppo spirituale; e, in linea generale, non è affatto necessario che questo stesso essere sia cosciente della funzione che in tal modo svolge.
Del resto, se noi qui parliamo di un essere, potremmo benissimo parlare di una cosa, o anche di una circostanza qualunque che provochi lo stesso effetto; si ritorna in definitiva a quanto sovente abbiamo affermato e cioè che, secondo i casi, qualsiasi cosa può agire a questo proposito da «causa occasionale»; va da sé che questa non è una causa nel vero senso della parola, ma che la causa vera risiede nella natura stessa di colui sul quale si esercita quest’azione, come lo dimostra il fatto che ciò che su di lui ha un simile effetto può benissimo non averne alcuno per un altro. Aggiungiamo che, intesi così, gli upaguru possono naturalmente essere molteplici nel corso di uno stesso sviluppo spirituale, in quanto ognuno di loro non ha che una funzione transitoria e non può agire efficacemente che ad un momento determinato, al di fuori del quale il suo intervento non avrebbe maggiore importanza di quella che hanno la maggior parte delle cose che tutti i momenti ci si presentano, e che noi consideriamo come più o meno indifferenti.
La denominazione upaguru indica ch’egli non ha se non una funzione accessoria e subordinata, la quale in fondo potrebbe esser considerata ausiliaria di quella del Guru vero e proprio; questi, in effetti, deve saper utilizzare tutte le circostanze favorevoli allo sviluppo dei suoi discepoli, conformemente alle possibilità ed alle particolari attitudini di ciascuno, nonché, se è realmente un Maestro spirituale nel vero senso della parola, provocarne talora lui stesso la manifestazione al momento voluto. Si potrebbe quindi dire che in certo qual modo non si tratta che di «prolungamenti» del Guru, così come i diversi strumenti o mezzi impiegati da un essere per esercitare o amplificare la propria azione sono altrettanti prolungamenti di lui stesso; di conseguenza appare evidente che, in questo modo, non solo la funzione specifica del Guru non è affatto diminuita, ma al contrario, dato che l’indefinita varietà delle contingenze consente sempre di trovare qualche corrispondenza con le nature individuali, essa vi trova la possibilità di estrinsecarsi nel modo più completo e più adatto alla natura di ciascun discepolo.
Quel che veniamo dicendo è applicabile al caso che si può definire normale, o che tale dovrebbe essere per quanto riguarda il processo iniziatico, cioè quello che implica la presenza effettiva di un Guru umano; prima di passare a considerazioni d’altro genere, analogamente applicabili ai casi che di fatto possono esistere al di fuori dei summenzionati, è opportuno fare ancora un’altra osservazione. Allorché l’iniziazione propriamente detta viene conferita da chi non possiede le qualità richieste per svolgere la funzione di Maestro spirituale, e che per conseguenza agisce unicamente come «trasmettitore» dell’influenza inerente al rito che compie, un iniziatore del genere può altresì essere assimilato specificatamente ad un upaguru, il quale allora, come tale, assume un’importanza del tutto particolare e in certo qual modo unica nel suo genere, poiché è il suo intervento a determinare realmente la «seconda nascita», e ciò anche se l’iniziazione è destinata a rimanere semplicemente virtuale. Questo è anche il solo caso in cui l’upaguru deve necessariamente aver coscienza della sua funzione, almeno ad un certo livello; aggiungiamo questa restrizione perché, quando sono in causa organizzazioni iniziatiche più o meno degenerate e in declino, può succedere che l’iniziatore ignori la vera natura di quel che trasmette, e non abbia neanche idea dell’efficacia inerente ai riti, il che, come abbiamo spiegato in altre occasioni, non impedisce affatto a questi di essere valevoli se sono effettuati regolarmente e nelle condizioni volute. Soltanto, è fuori questione che, in mancanza di un Guru, l’iniziazione ricevuta a questo modo rischia fortemente di non diventare mai effettiva, a parte casi d’eccezione di cui parleremo forse un’altra volta; tutto quello che ci limitiamo a dire per il momento a questo proposito è che, anche se teoricamente non si tratta di un’impossibilità in senso assoluto, la cosa è di fatto altrettanto rara quanto lo è un riallacciamento iniziatico ottenuto al di fuori dei procedimenti ordinari, per cui in definitiva è di scarsa utilità prenderla in considerazione quando ci si voglia attenere a quel che è suscettibile di più estesa applicazione.
Ciò detto, ritorniamo a considerare gli upaguru in generale, perché, nei loro confronti, resta ancora da precisare un significato più profondo di quelli sin qui segnalati; lo stesso Guru umano infatti, non è in definitiva che la rappresentazione esteriorizzata e come «materializzata» del vero «Guru interiore», e se la sua funzione risulta necessaria, ciò è dovuto al fatto che l’iniziato, finché non è pervenuto ad un certo grado di sviluppo spirituale, è incapace di entrare direttamente in comunicazione cosciente con quest’ultimo. Che ci sia o no un Guru umano, il Guru interiore è presente sempre, in tutti i casi, dato che egli è una cosa sola con il «Sé» vero e proprio; e, in definitiva, è da questo punto di vista che bisogna mettersi se si vogliono capire pienamente le realtà iniziatiche; sotto questo profilo d’altronde, non ci sono più eccezioni sul tipo di quelle cui testé facevamo allusione, ma soltanto modalità diverse secondo le quali si esercita l’azione di questo Guru interiore. Analogamente al Guru umano, ma ad un livello inferiore e per così dire «parzialmente», gli upaguru ne sono manifestazioni; si direbbe che, come tali, sono le apparenze ch’egli riveste per comunicare, nella misura del possibile, con l’essere che ancora non può mettersi in diretto contatto con lui, sicché tale comunicazione non può avvenire se non tramite questi «supporti» esteriori. Ciò permette di capire l’affermazione secondo cui il vecchio, il malato e il monaco, incontrati successivamente dal futuro Buddha, erano forme assunte dai Dêva che volevano dirigerlo verso l’illuminazione, questi stessi Dêva non essendo, nella fattispecie, che aspetti del Guru interiore: e non è con questo che si debba intendere che si trattava di semplici «apparizioni», benché queste siano certamente anche possibili in qualche caso. La realtà individuale dell’essere che svolge la funzione d’un upaguru non è minimamente alterata o distrutta per ciò; se però in certo qual modo appare cancellata di fronte alla realtà d’ordine superiore di cui egli è occasionale e momentaneo supporto, è soltanto nei confronti di colui al quale è particolarmente rivolto il «messaggio», messaggio di cui in tal modo, coscientemente o più spesso inconsciamente, è divenuto portatore.
Ad evitare equivoci, aggiungeremo che bisogna guardarsi dall’interpretare quanto abbiamo detto testé nel senso che le manifestazioni del Guru interiore rappresentino soltanto qualcosa di «soggettivo»; non è affatto così che l’intendiamo, e, dal nostro punto di vista, la «soggettività» altro non è se non la più vana delle illusioni. La realtà superiore di cui parliamo si trova ben al di là del dominio «psicologico», e ad un livello in cui la stessa distinzione dell’«oggettivo» e del «soggettivo» non ha più veramente senso alcuno; qualcuno potrà anche trovare che ciò è sin troppo evidente perché sia il caso di insistervi, ma noi conosciamo troppo bene la mentalità della maggior parte dei nostri contemporanei per non sapere che queste precisazioni sono ben lungi dall’essere superflue; non abbiamo forse visto certa gente che, quando è questione di «Maestro spirituale», arriva a tradurre con «direttore di coscienza»?

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