Muhyiddîn
Ibn ‘Arabî
10 -
Commentario dei versetti relativi al digiuno del mese di Ramadân[1]
Ah! Se l’uomo potesse intravedere la Stazione dopo la quale l’Altissimo lo chiama al digiuno quando dice: «O voi che credete…»[2], e che è lui solo che è chiamato[3] da questo appello collettivo. L’Inviato di Allâh* ha detto in effetti: “Vi è un’elemosina[4] a carico di ciascuna delle vostre falangi”; egli ha stabilito una costrizione collettiva nella testa di un solo uomo.
Se è così anche per le sue vene (e per le parti nascoste del corpo) a fortiori sarà così per le sue membra (e le sue facoltà) esteriori: il suo udito, la sua vista, la sua lingua, la sua mano, il suo ventre, il suo piede, il suo organo genitale e il suo cuore, che sono i componenti principali della sua apparenza.
Ogni membro è in realtà invitato a un digiuno che gli è proprio e a una astinenza nei confronti di ciò che gli è interdetto dalla Sua Parola: «…il digiuno vi è stato prescritto…», di modo che non è più possibile agire secondo la propria volontà. Allâh ti invita dunque nella tua qualità di credente a partire dalla Stazione della Saggezza universale affinché tu ti applichi a fare ciò che Egli ti chiede con la scienza di ciò che Egli vuole da te in questa opera di adorazione (che è il digiuno); è perché Egli dice «il digiuno vi è stato prescritto», vale a dire l’astensione da tutto ciò di cui l’assolvimento o meno vi è stato interdetto «…come è stato prescritto a coloro che erano prima di voi…», cioè il digiuno come tale, benché possa trattarsi anche del digiuno di Ramadân propriamente detto, come credono alcuni, tenuto conto del fatto che «coloro che erano prima di voi» tra le Genti del Libro ne hanno aumentato la durata fino a estenderla a cinquanta giorni: questa è una delle cose che hanno alterato. «Come è stato prescritto», cioè reso obbligatorio, «a coloro che erano prima di voi», coloro che vi hanno preceduto in questa condizione (di digiunatori), allorché voi siete venuti dopo di loro. «…forse diverrete timorati…», ossia prenderete il digiuno come una protezione; in effetti, il Profeta* ci ha insegnato che «il digiuno è uno scudo»: è lì la protezione di cui è questione in questo versetto. Non si può prendere come protezione se non se ne fa un’opera di adorazione; il digiuno appartiene a Dio per la sua trascendenza ma, in quanto opera di adorazione, è per il servitore uno scudo e una protezione che gli impedisce di emettere la minima pretesa nei confronti di ciò che appartiene ad Allâh e non a se stesso: non avendo simili, il digiuno appartiene a Colui «che non ha simili»; cioè ad Allâh, e non è a te stesso che appartiene il digiuno.
Ha detto in seguito: «…dei giorni numerati…»; «giorni» intende senza alcun dubbio la prima menzione del termine kutiba («è stato prescritto») perché ignoriamo ciò che è stato prescritto a coloro che erano prima di noi: è stato prescritto un solo giorno – è il caso di Ashura – o di più (ayyam)? Ciò che è stato prescritto a noi, è il digiuno di un mese, e il mese non può contare che ventinove o trenta giorni, secondo il conteggio relativo alla visione del crescente (hilal)[5]. Ora, (la forma della parola) al-ayyam[6] si applica esclusivamente ai numeri dal 3 al 10. La lettera del Corano concorda dunque perfettamente con ciò che ci ha insegnato l’Inviato di Allâh* a proposito del numero del giorno del mese (di Ramadân); ha detto in effetti: «il mese è come questo…», facendo un gesto della mano significante «dieci giorni»; poi ha aggiunto: «…e come questo…», cioè ancora dieci giorni, «…e come questo», lasciando questa volta un pollice chiuso, vale a dire nove giorni. Se, la seconda volta, non ha chiuso il pollice, è per significare nuovamente dieci giorni. In effetti, l’Altissimo aveva detto «dei giorni numerati»; il Legislatore conta dunque i giorni del mese per dozzine in modo da non invalidare la menzione (coranica) degli ayyam, in conformità con la Parola di Allâh l’Altissimo. Egli ha agito così diversamente da come aveva fatto con Aisha a proposito dell’annullamento del matrimonio (al-ila); aveva detto allora: «può darsi che il mese sia di ventinove giorni», e non «come questo e questo» come fece per il mese di Ramadân. Questo conferma che ha voluto esprimersi in conformità con ciò che l’Altissimo aveva menzionato nel suo Libro[7].
Egli ha detto in seguito: «…quanto a colui tra voi che è malato o in viaggio, (che egli digiuni) un numero di altri giorni (ayyamin)…». Qui ancora, Egli ha menzionato dei «giorni», facendo allusione con (le parole) «tra voi», a coloro cui si rivolgeva la Sua esortazione, cioè coloro che credono; «malato», cioè impedito da Dio; «o in viaggio»: ci sono le Genti del viaggio iniziatico (suluk) nella Via di Allâh, le Stazioni (maqamat) e gli stati spirituali (ahwal)[8]. Il termine safar ha la sua origine in isfar[9], termine che contiene l’idea di rendere visibile, manifesto (zuhur). Serve a designare il viaggio perché questo svela il carattere degli uomini. Ciò che la «Stazione» e lo «stato» svelano agli iniziati[10] in questo cammino, è che l’azione non appartiene loro, benché la compiano. Allâh è il solo Agente (‘amil) in essi; è la Sua Parola: «Tu non hai lanciato quando hai lanciato, ma Allâh ha lanciato»[11]; «un numero di altri giorni», cioè nel «tempo velato» (fi waqt al-hijab): essi sono «altri» perché la costrizione legale possa trovare un supporto temporale che li renda obbligatori[12]. Questa questione è stata affrontata precedentemente; non c’è che da riferirsi a quel che abbiamo scritto[13].
Egli ha detto in seguito: «…e, a carico di coloro che hanno la capacità di digiunare, una compensazione: il nutrimento di un povero. Colui che, usando la sua libertà, compie un bene, ciò è un bene per lui e che voi digiuniate è un bene per voi: se voi lo sapeste!...», cioè: colui che ha la capacità di digiunare, Gli abbiamo dato la scelta tra il digiuno e il nutrimento (di un povero). (L’Altissimo) è dunque passato, per ciò che concerne colui che è sottomesso alla costrizione, da uno statuto di obbligazione determinata[14] a uno statuto di obbligazione indeterminata, benché la scelta (del servitore) sia limitata. Allâh sapeva bene come si sarebbe comportato! È per questo che Egli ha lasciato la scelta: nessuno dei due termini (dell’alternativa) essendo obbligatorio per se stesso, quello che (il servitore) avrà scelto lo sarà stato in virtù di una libera scelta poiché avrebbe ben potuto scegliere l’altro. Tuttavia Allâh ha reso il digiuno preferibile perché Gli appartiene, di modo che (l’uomo) realizza l’Attributo di «digiuno» che, tra le modalità di adorazione, «non ha simili»[15]. Se tu ribatti che il fatto di nutrire è egualmente un Attributo divino perché Egli è «Colui che dà il nutrimento», noi rispondiamo che questa idea sarebbe stata effettivamente possibile se Egli non avesse unito la facoltà di nutrire (un povero) all’idea di compensazione collegando (grammaticalmente, nel testo coranico) la prima alla seconda. (Egli si è dunque espresso) come colui che è sottomesso alla costrizione aveva l’obbligo di digiunare! Ora, tanto secondo le convenienze che secondo la realtà vera, niente è obbligatorio per Allâh, ad eccezione di ciò che Egli ha reso obbligatorio a Se Stesso: colui che è sottomesso allo statuto d’obbligazione ne è, in effetti, prigioniero e rimane sotto la sua potenza![16]. Qui, la compensazione è stata precisata: è il fatto di nutrire. Allâh ha dunque avuto in vista il digiuno e l’ha stabilito come un bene per te perché si tratta di un Attributo che gli è proprio. Non vedi che Egli ha detto: «E noi l’abbiamo esonerato per mezzo di una vittima sublime»[17]: dell’impresa della morte. «Se voi sapeste»: senza dubbio la particella in ha qui un senso di negazione[18]; cioè: «voi non sapeste che il digiuno è migliore del fatto di nutrire se Io non ve l’avessi fatto conoscere». Può anche darsi che il senso sia: «Se cercate di sapere qual è il miglior termine di scelta che Io vi ho lasciato, Io ve lo insegno», vale a dire i ranghi rispettivi del digiuno e del fatto di nutrire.
Ha detto in seguito: «…Il mese di Ramadân…», di questo Nome divino che è «Ramadân», mese che Egli ha legato ad Allâh[19] l’Altissimo a partire dal Suo Nome «Ramadân», Nome strano e singolare; «…nel quale il Corano è stato rivelato…», ossia: il Corano è sceso per il digiuno di questo mese ad esclusione di ogni altro; «…come una guida…». Il Corano, è la sintesi (jam’). È perché Egli ti ha unito a Lui[20] nell’Attributo di «samadaniyya» che è il digiuno. Per la sua trascendenza, colui che appartiene ad Allâh che ha detto: «il digiuno è Mio»; ossia, in quanto opera di adorazione, è a te che appartiene. «Come una guida»: vale a dire una esposizione evidente; «per gli uomini»: a misura della loro capacità e della comprensione che è stata loro elargita perché ciascuno ne possiede, in quest’opera di adorazione, una certa parte (shurban). «…e delle indicazioni evidenti (bayyinat)…»: ogni essere ha una evidenza che gli è propria, a misura della comprensione del Discorso divino; «…tratti dalla Guida…», che è il Chiarimento (totale: tibyan)[21] divino; «…così che la Discriminazione (Furqan)…»: dopo averti unito a Lui per mezzo del «Corano», Egli ti «discrimina», affinché tu ti distingui da Lui a mezzo del “Libro discriminatore», perché se tu sei «tu», egli è «Lui» in ossequio ha ciò che è stato detto, ossia che tu fai uso di una cosa che appartiene a Lui e che è il digiuno. Questo gli appartiene dal punto di vista della sua trascendenza allorché è un opera che non ha simili. Il Signore è così distinto dal servitore, dopo che sono stati associati tutti e due nel nome del «digiuno».
«…Chi tra voi ha la visione del mese, che digiuni…», ossia: colui tra voi che ha una reputazione[22] secondo la comunità delle persone, che egli digiuni a questo riguardo; che egli limiti la sua anima in questa fama, che la domini per mezzo dell’umiliazione e della dipendenza di modo che la sua gioia sia intensa al momento della rottura.
«…Colui che è malato…», in stato di squilibrio (ma’ilan») perché la malattia è uno squilibrio, o di imprigionamento del malato perché il malato è prigioniero di Dio, «…o in viaggio…», avanzando tra i Nomi divini per conoscerne il «gusto iniziatico» (dhawq), o ancora andando da Lui verso le creature[23], «…che egli digiuni uno stesso numero di giorni…»: dei giorni fissati, senza aggiungere e senza sottrarli. «…Allâh vuole per voi la facilità (al-yusra)…» esortandovi alla dolcezza nel compimento della costrizione legale «…e Egli non vuole per voi la difficoltà…», vale a dire ciò che per voi è insopportabile, confermando con ciò quest’altra Parola: «Non c’è del disagio a vostro carico nella Religione»[24]. In oltre, Egli ha determinato qui al-yusra per mezzo dell’alif e della lam[25], facendo allusione così alla «facilità» menzionata, questa volta in modo indeterminato, nella Sura «Non ti abbiamo aperto il petto»; vale a dire: tale è la facilità che Io voglio per voi, quella della Parola: «In verità, con la difficoltà, c’è una facilità (yusram)…», ciò che vuol dire: nella difficoltà del viaggio, vi è ugualmente la facilità di non digiunare; «…Poi, quando tu avrai terminato…» con la malattia e il viaggio «…fissa…» la tua anima nell’opera di adorazione che è il digiuno, vale a dire «compila!»; «…e rivolgiti ardentemente verso il tuo Signore» per domandare il Suo aiuto. Il nostro Maestro Abu Madyan – che Allâh gli faccia misericordia! – diceva a proposito di questo versetto: «quando avrai terminato con le creature, fissa (o stabilisci) il tuo cuore nella contemplazione del Tutto-Misericordioso e dirigiti ardentemente verso il tuo Signore per ogni giorno; vale a dire, quando tu pratichi un’opera di adorazione, non occupare la tua anima al momento di terminarla dicendo: “Ah! Se soltanto essa potesse essere già teminata!”»
«…e compite il numero (prescritto)…»: per la visione del crescente o il compimento dei trenta giorni; «…e magnificate Allâh…»: testimoniate della Sua Grandezza e che essa appartenga soltanto a Lui; non glieLa disputate, perché essa non conviene che a Lui – gloria alla Sua Trascendenza! Magnificatela in rapporto a ogni qualificazione di facilità o di difficoltà, perché Egli ha detto a proposito del rinnovamento[26] «e ciò è per Lui assai facile». Egli sa perfettamente ciò che dice; abbi riguardo per le tue interpretazioni perché dovrai risponderne: magnificaLe in rapporto a queste ultime! «…per avervi guidati…», cioè vi abbiamo dato la riuscita nel compimento delle Sue prescrizioni e avervi mostrato chiaramente la vostra parte di ciò che a Lui spetta – che Egli sia esaltato! «…forse sarete riconoscenti…»: egli ha fatto di tutto ciò una grazia di cui dovete ringraziarLo; possiamo in effetti ricevere di più, ciò che è la prova più evidente del nostro stato di «lacuna». La riconoscenza (shukr) è un Attributo divino perché «llâh è Riconoscente, Sapiente»[27]. Per questo Attributo, per il fatto che Egli è Lui-stesso Riconoscente, Egli chiede sempre di più; Egli ha detto in effetti: «E se voi siete riconoscenti, Io vi donerò di più»[28]; Egli ci ha così indicato ciò che ci assicura la riconoscenza, affinché si accrescano le nostre opere!
«…E se i Miei servitori ti interrogano su Me…», per il fatto che tu[29] sei il «guardiano della porta», «…in verità, Io sono Prossimo…» in quel che Noi[30] abbiamo in comune con loro: la riconoscenza e il digiuno che «Mi appartiene». Abbiamo ordinato di digiunare facendo loro sapere che a Noi, e non a loro, che esso appartiene. Colui che se ne riveste indossa una cosa che Ci è propria (khass) e fa parte delle Genti dell’Elezione (ahl al-ikhtisas), così come «le Genti del Corano sono le Genti di Allâh e la Sua Élite (khassatu-Hu)»[31]; «…Io rispondo all’appello di colui che mi invoca…» secondo una visione sottile (basira) «…quando Mi chiama…», cioè: così come Noi ti abbiamo fatto chiamare gli uomini «ad Allâh secondo una visione sottile -basira -»[32], così Noi diamo a colui che Ci invoca una visione sottile per il fatto che Gli rispondiamo, almeno finché non dice: «Egli non mi risponde!»; «…che essi rispondono al Mio Appello (fa-l-yastajibu ly)…», ossia quando li chiamo alla Mia obbedienza e alla Mia adorazione, perché «non ho creato i Jinns e gli Uomini se non perché Mi adorino»[33]; Io li convoco per bocca dei Miei Inviati così come nei Libri rivelati con i quali li ho inviati verso loro. (Allâh) ha rafforzato il termine istijaba con la sin[34] perché Egli conosce il nostro rifiuto e la nostra ripugnanza a risponderGli; «…per Me (lî)…», cioè: a causa Mia (solo); non fate questo nella speranza di ottenere ciò che è presso di Me[35], perché voi sarete allora i servitori della Mia Grazia, non i servitori di Me Stesso. Essi sono in effetti i Miei servitori «volenti o nolenti»[36]; essi non possono sottrarsi a questo! «…e che essi credano in Me…»: che essi abbiano fede nella risposta che offro loro quando Mi invocano; che essi abbiano fede in Me, non in se stessi. Colui che ha fede in se stesso e non in Allâh, la sua fede non comporta che Mi ripaghi; al contrario, se è in Me che crede, fa perfettamente ciò che deve e dà a ogni cosa il giusto peso: è colui che ha fede nei dati tradizionali nel loro insieme, allorché colui che ha fede in se stesso crede unicamente nelle prove di cui dispone. È in ciò che Io ordino di avere fede contraddice le prove razionali e oscilla tra l’analogia (tashbih) e la trascendenza (tanzih). Colui che ha fede in se stesso crede in certe cose e non in altre; egli non le respinge ma le interpreta (ta’wilan). Colui che interpreta ha fede nella sua ragione (‘aql) e non in Me. Colui che nel suo foro interiore pretende di essere più sapiente di Me a proposito di Me stesso non Mi conosce e non crede in Me; è un servitore che Mi taccia di essere mentitore in ciò che Mi sono attribuito, e che Ho espresso nel migliore dei modi. Quando lo interpella, egli risponde: ho voluto rispettare la trascendenza. In realtà, la sua attitudine procede dall’astuzia dell’anima, dalla coscienza del proprio valore (‘izza) dalla sua volontà d’indipendenza, dal suo rifiuto di conformarsi. «…forse essi saranno ben diretti…», vale a dire: seguiranno la buona direzione (rushd) come lo fanno quelli che riescono, coloro che li seguono appena la percepiscono. (Dio) li conduce così alla felicità eterna: questa è la risposta di Dio quando Lo invocano, così che il termine del loro cammino che rallegra le loro anime e rende loro permesso ciò che era interdetto durante il digiuno, dopo l’inizio del giorno fino alla sua fine[37].
Egli ha detto in seguito: «…Egli vi ha permesso, la notte del digiuno…», ossia la notte si conclude il vostro digiuno, non quella al mattino della quale siete in stato di digiuno, perché si tratta di una particolarità che vi accompagna fino alla notte della Festa e della Rottura del digiuno (‘id al-Fitr). Se la «notte del digiuno» evocata in questo versetto si riferisce al giorno successivo, essa non concerne la notte della festa, poiché al mattino del giorno che segue voi non digiunate e che, se voi digiunaste, voi sareste disubbidienti. Al contrario, questa particolarità non ha senso per la prima notte di Ramadân poiché il nutrimento e le altre cose interdette (durante la notte) restano permesse e che non vi è quindi alcun cambiamento di statuto: ciò perché, attribuiamo la notte di cui si tratta al giorno che precede[38]; «…ar-rafatha…», vale a dire l’unione sessuale (jima’) «…con le vostre donne (ila nisa’i-kum)[39]…». Egli ha impiegato il termine nisa’ – non ha detto «vostre spose» o qualcosa di simile – perché il termine contiene una idea di «ritardo»: in effetti, la possibilità (hukm) dell’unione sessuale è stata «ritardata» durante il tempo del digiuno fino alla notte; quando essa arriva, l’interdizione ha fine. È dunque come se Egli dicesse «fino a ciò (che diventa possibile ciò) che è stato ritardato per voi e per esse», che si tratti delle vostre spose o delle vostre concubine, almeno di quelle con le quali l’unione sessuale è permessa; «…esse sono un vestito per voi e voi siete un vestito per loro…», vale a dire che vi è tra voi una autentica correlazione (munasaba), ciò che non è il caso per ciò di cui Noi vi abbiamo rivestito nel vostro digiuno quando voi vi siete qualificati per mezzo di un attributo che «Mi appartiene» e che è il digiuno. Voi non siete un vestito per Me nella Mia Parola: «il cuore del Mio servitore Mi contiene» e Io non sono un vestito per voi nella Mia Parola: Allâh «circonda ogni cosa»[40] perché il vestito avvolge ciò che esso copre e lo nasconde[41]. «…Allâh sapeva che avreste fatto torto a voi stessi…» a causa della testimonianza che Ho potuto portare contro voi dal fatto che avete accettato il «Deposito di Fiducia» quando Ve l’ho proposto; Avevo detto allora di colui che lo aveva accettato[42]: «In verità, esso è assai ingiusto e assai ignorante»: «assai ingiusto» nei confronti della sua anima perché l’ha caricata di una cosa di cui ignorava, al momento della sua accettazione, ciò che comportava la scienza di Allâh che lo riguardava; e «assai ignorante» del valore reale di questo Deposito e del biasimo in cui sarebbe incorso colui che lo avesse tradito. Come l’«assai ignorante» è cieco, che non sa trovare la sua strada, né dove né come mettere il piede, Egli ha detto: «Allâh sapeva che voi vi sareste fatti torto» del fatto delle proibizioni di cui voi siete diventati l’oggetto; «…Egli vi ha tuttavia offerto la Sua Grazia…», vale a dire che Egli è tornato (taba) verso voi; «…Egli vi ha esentati…», ossia per il poco che Egli vi ha reso lecito durante il periodo della rottura dell’interdizione, che è la notte. Noi diciamo «il poco» poiché l’interdizione delle relazioni sessuali sussiste senza contesto per colui che fa il ritiro nella moschea – allora i pareri sono condivisi – e anche per colui che pratica il digiuno continuo (al-muwasil); «…in questo momento, avvicinatevi quindi a loro…», vale a dire durante il periodo di Ramadân dove il digiuno è rotto[43], «…e aspirate a ciò che Allâh Vi ha prescritto…»: ricercate ciò che Allâh ha ingiunto nei vostri riguardi, prendere consapevolezza di tutto ciò che Egli ha menzionato il questo versetto e operate in conseguenza; «…mangiate e bevete…»: Egli ti ordina di dare alla tua anima ciò che le spetta, e che è a tuo carico, per ciò che concerne il mangiare e il bere «…finché diventi evidente per voi (la distinzione) del filo bianco…» che è l’arretramento della notte «…per (l’apparire) dell’alba…»: l’irruzione del chiarore all’orizzonte.
«…In seguito, compite completamente il digiuno fino alla notte. E non avvicinatevi alle vostre donne allorché fate il ritiro nelle moschee…»: l’interdizione dell’unione sessuale sussiste in questo caso; così quella che riguarda il mangiare e il bere nei casi di coloro che desiderano praticare il digiuno continuo (wisal). Egli ha detto in effetti – che Allâh diffonda su lui la Sua Grazia unitiva e la Sua Pace! - : «Che colui che pratica il digiuno continuo lo persegua fino alle prime luci dell’alba (sahar)», vale a dire il momento in cui la luce e le tenebre sono mescolate, quello dove appare la «coda del lupo»: tra le due albe, quella che si estende all’orizzonte e quella che si leva[44]. (Si riferisce che) l’Inviato di Allâh* ha praticato con i suoi Compagni un digiuno ininterrotto di due giorni, poi essi videro il crescente[45]. «…tali sono i limiti fissati da Allâh…», quelli che Vi ha ordinato di rispettare; «…non vi avvicinate…»: non guardate ciò che è al di là! Vi è qui una scienza nascosta (ghamid)[46] che conosce, solo, colui che ha ricevuto il gusto per effetto di una sollecitudine divina, come Khidr e altri, perché un piede può scivolare dopo essere stato fermo, e voi ne provereste del male. «…In questo modo, Allâh espone i Suoi Segni chiaramente…», cioè i Suoi «indicatori» (dala’il), «…agli uomini…», con delle suggestioni (ishara) che servono loro di ricordo,
«…forse diverrete timorati»: prenderanno questi indicatori come una protezione[47] contro il conformismo (taqlid) e l’ignoranza; il «conformista» non possiede, in effetti, né evidenza da parte del suo Signore né prova. (Allâh) ha dato in oltre (a queste ultime parole) un senso di speranza perché chi ha ricevuto un «indicatore» non arriva forzatamente a ciò che indica e colui che ha ottenuto una scienza non riesce necessariamente a operare di conseguenza, nel caso in cui si tratta di una scienza di cui la finalità è precisamente l’azione.
Da: Charles-André Gilis, Ibn 'Arabi, Textes sur le jeûne, Al-Bouraq , 1996
[1] Al-Futûhât al-Mekkiyah, capitolo 71, vol. 9, pagg. 264-279 dell’ediz. O. Yahya) - [Tradotto dall’arabo da Abd ar-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis) in Textes sur le jeûne - ndr].
[2] Il testo dei versetti
coranici qui commentati (Corano, II, 183-187) è stampato in
italico.
[3] Mukhatab;
questa lettura sembra meglio convenire al contesto immediato ma si potrebbe
anche leggere mukhatib, cioè «e che solo lui che è
chiamato da questo appello collettivo», (cf. un po’ più in alto, pag. 262
dell’ediz. O. Yahya: «Dio non ti esorta (khataba-ka)
che a partire da te stesso, egli non ti esorta che tramite te»
[4] L’accostamento operato
qui dallo Sceikh si giustifica tanto più che il digiuno può essere considerato
come un’ “elemosina” del corpo.
[5] L’inizio del mese
lunare è normalmente determinato, non con un calcolo astronomico, ma dalla
visione della luna. Il termine shahr, utilizzato per
designare questo tipo di mese in arabo, evoca la manifestazione di una realtà
di ordine sensibile (la visione del crescente) rivestendo un carattere
«pubblico». Il calcolo non interviene che a titolo ausiliario, quando lo stato
del cielo rende la visione diretta impossibile.
[6] Si tratta del plurale
di yawm (giorno).
[7] C’è qui un segno
profetico d’adab, vale a dire di rispetto delle
convenienze tradizionali.
[8] Queste due nozioni
appartengono alla terminologia tecnica del Tasawwuf
(cf. Etudes Traditionnelles, 1962, pagg. 173-180).
[9] La radice s-f-r evoca essenzialmente l’idea di «svelamento».
[10] Rijal.
Questo termine tecnico si riferisce più specialmente alla realizzazione dei
«Piccoli Misteri». (cf. la nota di M.Valsan nel Livre
d’enseignement par les formules indicatives des Gens inspirés, pag.
71-72).
[11] Corano VIII,17
[12] «Altri» non ha dunque
qui il senso di «differenti» ma quello di «simili» poiché questi giorni sono
assimilati ai primi.
[13] Cf. in particolare, Futûhât, vol. 9, pagg. 185-186 dell’ediz. O.Yahya.
[14] Questo statuto è
enunciato dal kutiba iniziale del primo versetto.
[15] Questa analogia fa
chiaramente apparire il digiuno come la realizzazione di un Attributo divino.
[16] Lo Scheikh al-Akbar si
esprime qui in modo assai ellittico, tenuto conto del carattere insolito e
«audace» della dottrina che espone: poiché il digiuno è un Attributo divino e
che appartiene ad Allâh in modo esclusivo, la sua trascendenza manifesta
l’Indipendenza e la Libertà divine; la natura stessa del digiuno interdice
dunque che il suo statuto legale possa essere quello dell’obbligazione, se ciò
non è in virtù del potere sovrano che l’Altissimo possiede di Sottomettere Se
Stesso a un tale statuto. Il digiuno conserva nondimeno, per il servitore, un
certo carattere costrittivo che risulta dall’obbligo in cui si trova di
preferire ciò che è meglio per lui, cioè, all’occorrenza, di realizzare la sua
propria natura divina.
[17] Corano XXXVII, 107
[18] Piuttosto che il senso
di «condizione» che riveste d’abitudine.
[19] Ogni Nome divino è, in
realtà, una designazione dell’Essenza. La diversità dei significati non ha
senso che per l’essere contingente.
[20] I termini Qur’an (Corano) e Furqan rivestono
qui un senso propriamente iniziatico. Il significato di «sintesi» tradizionalmente
collegato al primo designa l’«unione» a Dio realizzata, non nella modalità
d’ittihad, ma per l’estinzione dell’essere propria del servitore che appare
così come la manifestazione di una Teofania esenziale. Per contro, il termine Furqan si riferisce a una prospettiva dove la realtà
propria del servitore è nuovamente considerata come tale.
[21] In riferimento a Corano XVI, 89.
[22] Fi-s-sifati-lmashhura.
Allusione al fatto che la radice della parola shahr evoca prima di tutto l’idea
di «notorietà».
[23] Il digiuno è, per
natura, una partecipazione alla Libertà divina. La realizzazione del Nome
divino Ramadân implica un equilibrio e una stabilità
incompatibilità con lo stato di malattia o di viaggio. Infine, la
«realizzazione discendente» è simbolizzata non dal digiuno ma dalla sua
rottura.
[24] Cf. Corano, XXII,79. Si tratta del
Culto assiale e della «Regola» o Religione di Abramo.
[25] Ossia dell’articolo
determinativo: al Secondo lo schaykh, questa
determinazione rinvia a Corano 94, 5-6 dove i termini: «In
verità, con la difficoltà c’è la facilità» sono ripetute due volte. Commenta in
seguito i versetti 7 e 8.
[26] Si tratta del
rinnovamento della creazione; cf. Corano, 30,27.
[27] Corano,IV, 147.
[28] Corano, XIV, 7.
[29] Si tratta del
Profeta*.
[30] Nel commentario, il
Pronome divino della prima persona è messo al plurale.
[31] Il testo citato qui è quello di un Hadîth
menzionato da Tirmidhi. I termini khass, ikhtisas e khassatu che figurano
in questo passaggio sono tutte e tre della stessa radice.
[32] Allusione a Corano, XII, 108. Si tratta, anche
qui, dell’Inviato di Allâh*.
[33] Corano, LI, 56.
[34] Vale a dire la sin
della 10a forma verbale (impiegata di preferenza alla 4a) di cui il termine istijaba è il masdar. La 10a
forma comporta un senso di «questua» o di «ricerca».
[35] Ossia i Tesori divini
(cf. Corano, XV, 21): «Non vi sono cose
di cui i “Tesori” non siano presso Noi». Questa sfumatura dell’interpretazione
akbariana mette in rilievo l’eccellenza e la trascendenza del digiuno.
[36] Corano, XIII, 15.
[37] Si sottolinea questa
analogia tra la rottura del digiuno e la felicità eterna.
[38] Contrariamente alla
prospettiva abituale dove la notte precede il giorno corrispondente.
[39] Letteralmente: «fino
a» vostre donne. Questa sfumatura porta lo Scheikh a dare al termine nisa’, abitualmente tradotto con
«donne», il significato di «cosa ritardata», che corrisponde effettivamente al
senso primo della radice n-s-a.
[40] Corano,XIL, 45.
[41] L’Identità Suprema,
simbolizzata dal digiuno, non può affatto essere assimilata a una unione dei
complementari.
[42] Cioè l’Uomo creato a
immagine di Dio e incline, per questo fatto, a dimenticare la sua contingenza e
a presumere dalle sue forze. Accettando il Deposito di Fiducia, allorché in
assenza dell’Ordine divino niente lo obbligava, egli assume sulla terra una
funzione divina e ricopre un carattere sacro che lo sottomette alle
interdizioni e alle ristrettezze», cf. Corano, XXXIII, 72.
[43] Vale a dire la notte.
[44] Gli Arabi distinguono
la prima alba (al-fajr
al-awwal)
dalla seconda (al-fajr
ath-thani).
La prima è detta «menzognera» perché è ancora mescolata alle tenebre e resta
dubbiosa; si chiama anche fajr mustatil, ossia l’alba che si
«allunga» all’orizzonte perché, come spiega più avanti Ibn Arabi, si tratta di
una luce indiretta che risulta da un certo «riflesso» dei raggi solari sulla
superficie del mare. Per contro, la seconda alba è chiamata mustatir:
è quella di cui la luce sale all’orizzonte come un uccello che apre le sue ali.
L’alba «menzognera» è comparata alla «coda del lupo» (dhanab
as-sirhani) perché la si confonde, in questo chiarore indistinto, con
quella di un cane; il lupo approfitta di questo momento per impadronirsi delle
sue prede. Il tempo compreso tra queste due albe è il sahar:
è quello in cui conviene prendere il suhûr, parola della stessa radice che designa il
«pasto dell’alba».
[45] Si tratta, sembra,
della visione del crescente che segna la fine del mese di Ramadân (cf. l’indicazione data nello stesso
capitolo, vol. 9, pag. 322 dell’edizione O.Yahya).
[46] La scienza delle
verità nascoste non è quella delle Legislazioni sacre. Queste ultime devono
tuttavia essere seguite e rispettate, tanto più che esse sono il supporto
normale della realizzazione.
[47] Il legame tra il
«timore pio» (taqwa) e l’idea di protezione è stata
indicata sopra (cf. supra, nota 2 pag. 162 [dal cap. “Definizione di digiuno”].
Le isharat o «indicazioni mute» sono dei «segni di
riconoscimento» utilizzati per la trasmissione di certe scienze propriamente
iniziatiche; esse sfuggono al controllo della ragione individuale e procedono
da una ispirazione diretta.
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