Muhyiddin Ibn ‘Arabî
9 - Il mese di Ramadân[1]
Muslim riferisce, da Abu Hurayra, questo hadîth dell’Inviato di Allâh*: “Quando arriva Ramadân, le porte del Paradiso sono spalancate e quelle del Fuoco ermeticamente chiuse mentre i demoni sono incatenati”. Nasa’i aggiunge nella sua raccolta “…e ogni notte una voce riecheggia: «tu che ricerchi il bene, approfittane e tu che ricerchi il male, astieniti!»”; è quel che riferisce Nasa’i da ‘Arjafa che lo ha appreso da un Compagno del Profeta* che lo aveva saputo lui stesso da quest’ultimo.
Con l’arrivo del «Ramadân», l’inizio del digiuno, Allâh apre le porte del Paradiso. Il Paradiso, è il velo (sitr)[2]. Il digiuno attiene a quelle opere «velate», che Allâh l’Altissimo è il solo a conoscere poiché consiste nell’abbandono di un atto (tark). Non si tratta di un atto esistenziato (wujudi) visibile agli sguardi e che si possa compiere con membra del corpo: il digiuno è velato per tutti salvo Allâh. Allâh l’Altissimo è il solo a conoscere la sua presenza presso il digiunatore. Il digiunatore è colui che viene definito tale dalla Legge sacra, non colui che ha fame.
E Allâh «chiude ermeticamente le porte del Fuoco»: quest’ultimo si rivolge allora contro se stesso, il suo calore raddoppia, le sue braci si divorano l’un l’altra. Così per il digiunatore: quando digiuna, le porte del fuoco della sua modalità naturale (tabi’a)[3] sono chiuse. Il digiuno genera allora un nuovo calore per l’assenza di fattori rinfrescanti. Il digiunatore ne prova una sofferenza interiore; raddoppia il suo desiderio di avere dei cibi che immagina gli porterebbero conforto. Il fuoco del suo desiderio s’intensifica per la chiusura della porta[4] che gli permette di ottenere cibo e bevanda.
«E i demoni sono incatenati», cioè l’allontanamento[5]. Il digiunatore è vicino ad Allâh per la qualità «samadaniana»; dedicandosi a un’opera di adorazione che «non ha simili», egli si avvicina a Colui che è qualificato con «niente Gli è simile». Ora, per colui che possiede questa qualificazione, i demoni sono incatenati. In effetti, secondo un racconto tradizionale (khabar): «i demoni circolano presso i Figli d’Adamo “come il sangue”[6]. Impedisci loro di circolare per mezzo della fame e la sete»; questi aiutano l’uomo a resistere a quel che il demone vuole da lui: che egli agisca a modo suo e in modo eccessivo, al di là di quel che è ammesso dalla Legge.
Sappi ancora – che Allâh ti insegni una Scienza «da Noi Proveniente»[7] e ti doni in ogni cosa una saggezza e un potere (hikmatan wa-hukman) – che «Ramadân» è uno dei Nomi di Allâh l’Altissimo: si tratta di as-Samad. Una tradizione profetica menziona questo punto: Ahmad b. ‘Adiyyin al-Jurjani riferisce un hadîth autentico (najih)[8] trasmesso da Abu Ma’-shar secondo Sa’id al-Muqbiri, che lo ha sentito da Abu Hurayra, secondo il quale l’Inviato di Allâh* ha detto: “Non dite «Ramadân» perché Ramadân è uno dei Nomi di Allâh l’Altissimo”. Ha dispetto della debolezza ricavabile dalla presenza, in questa catena di trasmissione, di Abu Ma’shar, i sapienti specializzati dicono che questo hadîth deve essere considerato autentico e che conviene prenderlo in considerazione: che Allâh sia soddisfatto di loro! Ciò perché Allâh l’Altissimo ha detto: «il mese di Ramadân»[9] e non semplicemente Ramadân; e ancora: «Chi tra voi ha la visione del mese, che digiuni»[10] e non «la visione di Ramadân». Lo hadîth di Abu Ma’shar si trova anche confermato poiché alla parola dei sapienti, secondo la quale deve essere ritenuto valido a dispetto della sua debolezza, si aggiunge l’appoggio del Corano.
Allâh ha reso il digiuno «che non ha simili» obbligatorio in modo incondizionato unicamente in questo mese, al quale Egli – gloria alla Sua Trascendenza! – ha dato uno dei Suoi Nomi. Dal momento che questo mese non ha simili perché nessun mese dell’anno porta uno dei Nomi con cui Allâh ha chiamato Se Stesso ad eccezione di «Ramadân»; si tratta di un nome d’elezione, applicato ad un mese ben determinato. Tale non è il caso di Rajab ha dispetto del fatto che il Profeta* ha detto che era «il mese sacro di Allâh» (shahr Allâh al-muharram), perché tutti i mesi sono in realtà dei mesi di Allâh: la qualificazione particolare di Rajab si riferisce unicamente al fatto che si tratta di uno dei mesi sacri[11].
Infine, Allâh l’Altisimo ha rivelato il Corano in questo mese durante la migliore delle notti, chiamata la «Notte del Valore»; Egli lo ha rivelato «come una guida per gli uomini; (Egli ha anche rivelato) «delle indicazioni evidenti tratte dalla guida e il Libro discriminatore»[12] in quanto Egli è «Ramadân»; d’altro canto, in quanto Egli è «La Notte del Valore»[13], Egli lo ha rivelato come «un Libro esplicito», vale a dire che Egli ha reso evidente che si tratta di un Libro. Tra il fatto di essere un Libro[14], un Corano o un Discriminatore (Furqan), vi sono dei gradi ben distinti che conoscono i Sapienti per Allâh.
Se l’Inviato di Allâh* ha interdetto di dire «Ramadân, è a causa della Parola «niente Gli è simile». In effetti, se lo si chiamasse (il mese del digiuno) «Ramadân», Allâh avrebbe un simile nei confronti di questo Nome. Il termine «mese» è aggiunto per negare l’esistenza di una similitudine più precisamente in ciò che concerne «l’ordine mensile», di modo che «niente Gli è simile» rimane, anche da questo punto di vista, al grado che è il suo.
Allâh ha reso il digiuno di questo mese obbligatorio e ha raccomandato di fare delle veglie: comporta uno stato di digiuno (sawn) e uno stato di rottura del digiuno (fitr) perché comprende la notte così come il giorno. Il Nome «Ramadân» si applica al mese in questi due stati e rimane ben distinto da «Ramadân» in quanto Nome di Allâh l’Altissimo: il digiuno che appartiene ad Allâh non implica alcuna rottura, a differenza del nostro che si conclude in un limite temporale corrispondente alla sparizione del giorno, all’arrivo della notte e al tramonto del sole. Il digiuno non si applica a Dio allo stesso modo che alle creature.
È raccomandata la veglia nelle sue notti in vista della Sua manifestazione teofanica (tajalli) «il giorno in cui gli uomini saranno in piedi (yaqumu) davanti al Signore dei mondi»[15]. Benché questa manifestazione si opera per Allâh in ogni notte dell’anno, essa non è comparabile in Ramadân, al momento in cui i digiunatori rompono il loro digiuno, a ciò che essa è nei confronti di coloro che mangiano senza aver digiunato: per i primi, vi è rottura a seguito di un «abbandono» prescritto dalla Legge e descritto come «non avente di simili»; quanto al secondo, essi non sono designati come coloro «che mangiano» (akil). Per il digiunatore, la rottura è una apertura (shaqq)[16] delle viscere per il cibo; egli le apre facendo circolare cibo e bevanda dopo che sono state «bloccate» dal suo digiuno, conformemente alla sua parola “…impedite la loro circolazione con la fame e la sete”[17].
La veglia ha luogo di notte perché essa risulta da una forza che anima chi veglia e che ha la sua origine nel cibo. Vi è qui una correlazione con l’invisibilità (ghayb): la forza che risulta dal nutrimento è invisibile perché è una conseguenza che sfugge all’ordine sensibile. Il Ramadân comporta dunque il digiuno così come la rottura, la veglia così come il suo contrario; ciò perché è detto in una tradizione profetica: «Che nessuno tra voi dica: ho vegliato o ho digiunato per tutto il Ramadân». Colui che riferisce questa parola aggiunge: «Non so se così dicendo ha voluto riprovare ogni forma di eccesso (tazkiya) o se ha voluto semplicemente dire che non si può sfuggire ad un certo sonno o assopimento», l’esclusione si applica allora esclusivamente alla veglia della notte, non al digiuno del giorno[18]. Questo hadîth è riferito da Abu Dawud dopo che Abu Bakr lo ha ascoltato dall’Inviato di Allâh*. Del resto, la rottura (fitr) corrisponde qui unicamente alla sparizione (del giorno), all’arrivo (della notte) e al tramonto (del sole), poco importa che il digiunatore si metta allora a mangiare o meno.
Da: Charles-André Gilis, Ibn 'Arabi, Textes sur le jeûne, Al-Bouraq , 1996
[1] Al-Futûhât al-Mekkiyah, capitolo 71, vol. 9, pag. 113 dell’ediz. O. Yahya - [Tradotto dall’arabo da Abd ar-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis) in Textes sur le jeûne - ndr].
[2] Il termine janna (Paradiso) appartiene a una radice che ha il senso primo di «coprire», «velare». La parole junna (scudo), che interviene nello Hadîth profetico sul digiuno, deriva, anch’esso, dalla stessa radice.
[3] Nella cosmologia akbariana, il fuoco corrisponde alla vita «naturale» dell’essere contingente.
[4] Si noterà questa assimilazione della bocca a una «porta», che si ritrova in altre forme tradizionali.
[5] Questo simbolismo è sostenuto dal fatto che la parola jahannam (Géhenna) ha il senso primo di «cavità profonda».
[6] Espressione araba che significa «essere una seconda natura».
[7] Questa allusione a Corano XVIII,65 sottolinea il carattere «ispirato» dei dati trasmessi qui.
[8] Questa lettura ci pare preferibile a quella adottata da O.Yahya.
[9] Corano II, 185.
[10] Corano, II.185.
[11] Si sa che i mesi sacri sono quattro. Rajab presenta, oltre la particolarità evidenziata qui da Ibn Arabi, quella di essere «isolato» quando gli altri tre (Dhu-l-Qa’da, Dhu-l-Hijja e Muharram) si succedono senza interruzione.
[12] Corano, II, 185.
[13] La Notte del Valore è una designazione del Centro del Mondo (Cf. Le Coran et la fonction d’Hermès, pagg. 185-191). Alla stregua di Ramadân, essa appare qui come un Nome divino. Il «Livre Esplicite» (al-Kitab al-Mubin) ne è un altro poiché include nel giuramento iniziale della Sura del Fumo (cf. Corano, XIVL,1-2) e che l’Altissimo non giura mai se non per Se Stesso.
[14] La nozione di «Libro» presenta un rapporto evidente con la «Notte del Destino» alla quale fa allusione il versetto 3 della stessa sura e che è in realtà identica alla Notte del Valore (Laylat-al-Qadr). Il «Libro del Mondo» esprime, in effetti, l’aspetto «determinato» della manifestazione universale.
[15] Corano XIIIC, 6. Questo aspetto dell’insegnamento akbariano si appoggia sul fatto che qiyam (veglia) è la stessa radice di yaqumu.
[16] Il termine fitr, utilizzato per designare la rottura del digiuno, è un nome (ism) corrispondente al masdar «fatr» che significa «il fatto di separare». Il senso di fatr è spiegato abitualmente tramite quello di shaqq che designa, in modo più preciso, l’azione di «fare irruzione» e di «fendere» ciò che era bloccato.
[17] Cf. supra [il capitolo sulla Sulla Fame].
[18] Questa interpretazione sembra confermata dal seguito del testo. Si potrà comprendere quindi, che, anche se il «cuore veglia» durante il sonno, vi è sempre un assopimento apparente di modo che la «veglia continua» è in realtà impossibile. Per contro, il digiuno continuo è possibile nel caso, assai eccezionale, dove è Dio stesso «che nutre e dà da bere».
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