"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

sabato 5 luglio 2014

René Guénon, Iniziazione e realizzazione spirituale - XV - Sul preteso «orgoglio intellettuale»

René Guénon
Iniziazione e realizzazione spirituale 

XV - Sul preteso «orgoglio intellettuale»

Nel capitolo precedente, dedicato al nuovo atteggiamento che certi ambienti religiosi hanno assunto nei confronti dell’esoterismo, dicevamo che negli scritti riferentisi a quest’ordine di cose si introducono di tanto in tanto, e come incidentalmente, certe insinuazioni malevole le quali, se non rispondessero a ben definite intenzioni, si accorderebbero piuttosto male con l’ammissione stessa dell’esoterismo, sia pure unicamente in linea di principio.
Tra queste insinuazioni ve n’è una sulla quale ci pare utile ritornare più particolareggiatamente: ci riferiamo al rimprovero d’«orgoglio intellettuale», tutt’altro che nuovo certamente, ma che una volta di più ricompare, e, fatto singolare, coinvolge sempre di preferenza gli aderenti alle dottrine esoteriche più autenticamente tradizionali; bisogna dunque concludere che questi ultimi sono ritenuti più pericolosi dei falsificatori di tutte le risme? Certamente è possibile, e del resto, in casi simili, i falsificatori in questione vengono senza dubbio ritenuti gente da trattare con riguardo poiché, come abbiamo segnalato, servono a creare le più spiacevoli confusioni, e quindi sono degli ausiliari, certamente involontari ma non per questo meno utili, di quella nuova «tattica» che si è creduto opportuno adottare per far fronte alle circostanze.
L’espressione «orgoglio intellettuale» è evidentemente contraddittoria in sé stessa, perché, se le parole hanno ancora un significato definito (ma noi siamo talvolta propensi a dubitare che ciò sia vero per la maggioranza dei nostri contemporanei), l’orgoglio non può che appartenere alla sfera prettamente sentimentale. In un certo senso, si potrebbe pensare che esista una connessione fra l’orgoglio e la ragione perché questa appartiene, al pari del sentimento, al dominio individuale, e quindi possono sempre esistere reazioni reciproche fra l’uno e l’altra; ma come può esser possibile una cosa del genere per l’intellettualità pura, che è essenzialmente sopraindividuale? E dal momento che è di esoterismo che si tratta per ipotesi, è evidente che non la ragione, bensì l’intelletto trascendente ha da essere in causa, sia direttamente, nel caso di una vera realizzazione metafisica ed iniziatica, sia indirettamente, ma in modo non meno reale, nel caso di una conoscenza ancora semplicemente teorica, poiché, nella fattispecie, si tratta sempre di un genere di cose che la ragione non è in grado di raggiungere. È per questo, d’altronde, che i razionalisti sono sempre così accaniti a negarne l’esistenza; l’esoterismo li imbarazza, così come imbarazza gli exoteristi religiosi più esclusivisti, benché naturalmente per motivi diversi; ma, motivi a parte, ci troviamo di fronte ad una «confluenza» assai curiosa.
In fondo il rimprovero in questione può sembrare soprattutto ispirato dalla mania ugualitaria dell’uomo moderno, che non può sopportare niente che superi il cosiddetto livello «medio»; ma la cosa più stupefacente è vedere della gente che si appoggia ad una tradizione, sia pure soltanto exotericamente, e che condivide tuttavia certi pregiudizi che sono indice d’una mentalità nettamente antitradizionale. Ciò prova con sicurezza quanto gravemente essi siano influenzati dallo spirito moderno, anche se probabilmente non se ne rendono conto; e questa è un’altra di quelle contraddizioni che così spesso dobbiamo constatare oggigiorno, pur meravigliandoci che in generale passino così inosservate. Ma la contraddizione diviene ancor più netta quando la si trova, non più soltanto fra coloro che sono risoluti a non ammettere nient’altro all’infuori dell’exoterismo e lo dichiarano espressamente, ma anche, com’è il caso qui, fra coloro i quali sembrano accettare un certo esoterismo, quali che siano d’altronde il valore e l’autenticità che gli riconoscono, perché in definitiva dovrebbero almeno sentire che lo stesso rimprovero potrebbe esser formulato anche nei loro confronti dagli exoteristi intransigenti. Bisogna forse concludere che la loro pretesa all’esoterismo non è altro che una maschera. e che essa ha soprattutto lo scopo di far rientrare nel comun denominatore del «gregge» coloro che potrebbero esser tentati di uscirne se non si pensasse a trovare un mezzo per sviarli dall’esoterismo vero? Se così fosse, bisogna convenire che tutto si spiegherebbe molto bene: l’accusa d’«orgoglio intellettuale» avrebbe la funzione di una specie di spauracchio, mentre, in pari tempo, la presentazione di uno pseudo-esoterismo darebbe alle loro aspirazioni una soddisfazione illusoria e perfettamente inoffensiva; ancora una volta bisogna saperne ben poco della mentalità di certi ambienti per rifiutare di credere alla verosimiglianza d’una ipotesi del genere.
Possiamo ora andare un po’ più a fondo delle cose per quanto riguarda il preteso «orgoglio intellettuale»: sarebbe un orgoglio veramente singolare quello che giunge a negare qualsiasi valore all’individualità facendola apparire come rigorosamente nulla nei confronti del Principio. In definitiva, questo rimprovero è originato dalla stessa incomprensione per cui talora viene tacciato di egoismo anche l’essere che cerca di raggiungere la Liberazione finale: come si può parlare di egoismo, là ove per definizione l’ego non esiste più? Se non più giusto, sarebbe almeno più logico vedere qualcosa di egoistico nella preoccupazione della «salvezza» (il che non vuol affatto dire ch’essa non sia legittima), o trovare il segno di un certo qual orgoglio nel desiderio di «rendere immortale» la propria individualità, invece di aspirare a superarla; gli exoteristi dovrebbero riflettere su questo punto, e da ciò potrebbe derivare una maggior circospezione a lanciare accuse così sconsiderate. E aggiungiamo ancora, a proposito dell’essere che ottiene la Liberazione, che una realizzazione d’ordine universale come quella, ha conseguenze ben più estese ed effettive che non il comune «altruismo», il quale rappresenta unicamente la preoccupazione per gli interessi d’una semplice collettività, e quindi non esce in alcun modo dalla sfera individuale; nell’ordine sopraindividuale, dove l’«io» non esiste più, non esistono neanche più gli «altri», perché si tratta di un dominio ove tutti gli esseri sono uno, «fusi senza esser confusi», secondo una espressione di Eckhart, e in questo modo realizzano veramente la parola del Cristo: «Che essi siano uno come siamo uno io e il Padre».
Quanto abbiamo detto a proposito dell’orgoglio, vale anche per l’umiltà, la quale, rappresentandone l’aspetto contrario, dev’essere posta esattamente sul suo stesso piano, in quanto il suo carattere è altrettanto sentimentale ed individuale; ma esiste, in tutt’altro ordine, qualcosa che spiritualmente ha ben altro valore dall’umiltà: è la «povertà spirituale» intesa nel suo vero significato, cioè nel senso di riconoscimento della dipendenza totale dell’essere di fronte al Principio; chi mai può averne coscienza più reale e completa se non i veri esoteristi? E diremmo di più: chi mai ai giorni nostri, a parte loro, ne ha ancora veramente coscienza ad un livello qualsiasi? E in un’affermazione come quella, può esserci, anche per gli aderenti ad un exoterismo tradizionale (tranne forse rare eccezioni), qualcosa di più di un semplice verbalismo esteriore? Ne dubitiamo molto, e la ragione profonda è questa: per impiegare i termini della tradizione estremo-orientale, che nel caso in questione sono quelli che si prestano meglio ad esprimere quanto vogliamo dire, l’uomo pienamente «normale» dev’essere yin in rapporto al Principio, ma soltanto ad esso, mentre, a causa della sua situazione «centrale», dev’essere yang in rapporto a tutta la manifestazione; l’uomo decaduto invece, assume un atteggiamento per cui tende a farsi yang nei confronti del Principio (o piuttosto ad illudersi di esserlo, in quanto è chiaro che si tratta unicamente d’un’illusione), e yin nei confronti della manifestazione; ed è in questo modo che hanno avuto origine contemporaneamente l’orgoglio e l’umiltà. Quando la decadenza giunge alla sua ultima fase l’orgoglio conduce infine alla negazione del Principio, e l’umiltà a quella di qualsiasi gerarchia; di queste due negazioni gli exoteristi religiosi rifiutano evidentemente la prima, non solo, ma la respingono veramente con orrore quando essa prende il nome «ateismo»; ma, per contro, troppo spesso abbiamo l’impressione che siano ormai poco lontani dalla seconda[1].



[1] Approfittiamo di quest’occasione per segnalare un rimprovero particolarmente grottesco che ci è stato fatto, e che in definitiva si riferisce ancora allo stesso ordine di idee, cioè all’intrusione del sentimento in un dominio in cui questo non dovrebbe avere accesso; sembra che i nostri scritti abbiano il grave difetto di «mancare di gaiezza»! Che certe cose abbiano o meno il potere di renderci allegri, dipende in ogni caso solo dalle nostre disposizioni individuali, e queste cose, in se stesse, non vi hanno niente a che fare essendo totalmente indipendenti da simili contingenze: tutto ciò quindi non può né deve interessare nessuno; sarebbe perfettamente ridicolo e fuori posto inserire checchessia nell’esposizione di dottrine tradizionali, nei confronti delle quali le individualità, la nostra come qualsiasi altra, non contano assolutamente niente.

Nessun commento:

Posta un commento