Iniziazione e realizzazione spirituale
XV - Sul preteso «orgoglio intellettuale»
Nel capitolo precedente, dedicato al nuovo atteggiamento che
certi ambienti religiosi hanno assunto nei confronti dell’esoterismo, dicevamo
che negli scritti riferentisi a quest’ordine di cose si introducono di tanto in
tanto, e come incidentalmente, certe insinuazioni malevole le quali, se non
rispondessero a ben definite intenzioni, si accorderebbero piuttosto male con
l’ammissione stessa dell’esoterismo, sia pure unicamente in linea di principio.
Tra queste insinuazioni ve n’è una sulla quale ci pare utile ritornare più particolareggiatamente: ci riferiamo al rimprovero d’«orgoglio intellettuale», tutt’altro che nuovo certamente, ma che una volta di più ricompare, e, fatto singolare, coinvolge sempre di preferenza gli aderenti alle dottrine esoteriche più autenticamente tradizionali; bisogna dunque concludere che questi ultimi sono ritenuti più pericolosi dei falsificatori di tutte le risme? Certamente è possibile, e del resto, in casi simili, i falsificatori in questione vengono senza dubbio ritenuti gente da trattare con riguardo poiché, come abbiamo segnalato, servono a creare le più spiacevoli confusioni, e quindi sono degli ausiliari, certamente involontari ma non per questo meno utili, di quella nuova «tattica» che si è creduto opportuno adottare per far fronte alle circostanze.
Tra queste insinuazioni ve n’è una sulla quale ci pare utile ritornare più particolareggiatamente: ci riferiamo al rimprovero d’«orgoglio intellettuale», tutt’altro che nuovo certamente, ma che una volta di più ricompare, e, fatto singolare, coinvolge sempre di preferenza gli aderenti alle dottrine esoteriche più autenticamente tradizionali; bisogna dunque concludere che questi ultimi sono ritenuti più pericolosi dei falsificatori di tutte le risme? Certamente è possibile, e del resto, in casi simili, i falsificatori in questione vengono senza dubbio ritenuti gente da trattare con riguardo poiché, come abbiamo segnalato, servono a creare le più spiacevoli confusioni, e quindi sono degli ausiliari, certamente involontari ma non per questo meno utili, di quella nuova «tattica» che si è creduto opportuno adottare per far fronte alle circostanze.
L’espressione «orgoglio intellettuale» è evidentemente
contraddittoria in sé stessa, perché, se le parole hanno ancora un significato
definito (ma noi siamo talvolta propensi a dubitare che ciò sia vero per la
maggioranza dei nostri contemporanei), l’orgoglio non può che appartenere alla
sfera prettamente sentimentale. In un certo senso, si potrebbe pensare che
esista una connessione fra l’orgoglio e la ragione perché questa appartiene, al
pari del sentimento, al dominio individuale, e quindi possono sempre esistere
reazioni reciproche fra l’uno e l’altra; ma come può esser possibile una cosa
del genere per l’intellettualità pura, che è essenzialmente sopraindividuale? E
dal momento che è di esoterismo che si tratta per ipotesi, è evidente che non
la ragione, bensì l’intelletto trascendente ha da essere in causa, sia
direttamente, nel caso di una vera realizzazione metafisica ed iniziatica, sia
indirettamente, ma in modo non meno reale, nel caso di una conoscenza ancora
semplicemente teorica, poiché, nella fattispecie, si tratta sempre di un genere
di cose che la ragione non è in grado di raggiungere. È per questo, d’altronde,
che i razionalisti sono sempre così accaniti a negarne l’esistenza;
l’esoterismo li imbarazza, così come imbarazza gli exoteristi religiosi più
esclusivisti, benché naturalmente per motivi diversi; ma, motivi a parte, ci
troviamo di fronte ad una «confluenza» assai curiosa.
In fondo il rimprovero in questione può sembrare soprattutto
ispirato dalla mania ugualitaria dell’uomo moderno, che non può sopportare
niente che superi il cosiddetto livello «medio»; ma la cosa più stupefacente è
vedere della gente che si appoggia ad una tradizione, sia pure soltanto
exotericamente, e che condivide tuttavia certi pregiudizi che sono indice d’una
mentalità nettamente antitradizionale. Ciò prova con sicurezza quanto
gravemente essi siano influenzati dallo spirito moderno, anche se probabilmente
non se ne rendono conto; e questa è un’altra di quelle contraddizioni che così
spesso dobbiamo constatare oggigiorno, pur meravigliandoci che in generale
passino così inosservate. Ma la contraddizione diviene ancor più netta quando
la si trova, non più soltanto fra coloro che sono risoluti a non ammettere
nient’altro all’infuori dell’exoterismo e lo dichiarano espressamente, ma
anche, com’è il caso qui, fra coloro i quali sembrano accettare un certo
esoterismo, quali che siano d’altronde il valore e l’autenticità che gli
riconoscono, perché in definitiva dovrebbero almeno sentire che lo stesso
rimprovero potrebbe esser formulato anche nei loro confronti dagli exoteristi
intransigenti. Bisogna forse concludere che la loro pretesa all’esoterismo non
è altro che una maschera. e che essa ha soprattutto lo scopo di far rientrare
nel comun denominatore del «gregge» coloro che potrebbero esser tentati di
uscirne se non si pensasse a trovare un mezzo per sviarli dall’esoterismo vero?
Se così fosse, bisogna convenire che tutto si spiegherebbe molto bene: l’accusa
d’«orgoglio intellettuale» avrebbe la funzione di una specie di spauracchio,
mentre, in pari tempo, la presentazione di uno pseudo-esoterismo darebbe alle
loro aspirazioni una soddisfazione illusoria e perfettamente inoffensiva;
ancora una volta bisogna saperne ben poco della mentalità di certi ambienti per
rifiutare di credere alla verosimiglianza d’una ipotesi del genere.
Possiamo ora andare un po’ più a fondo delle cose per quanto
riguarda il preteso «orgoglio intellettuale»: sarebbe un orgoglio veramente
singolare quello che giunge a negare qualsiasi valore all’individualità
facendola apparire come rigorosamente nulla nei confronti del Principio. In
definitiva, questo rimprovero è originato dalla stessa incomprensione per cui
talora viene tacciato di egoismo anche l’essere che cerca di raggiungere la
Liberazione finale: come si può parlare di egoismo, là ove per definizione
l’ego non esiste più? Se non più giusto, sarebbe almeno più logico vedere
qualcosa di egoistico nella preoccupazione della «salvezza» (il che non vuol
affatto dire ch’essa non sia legittima), o trovare il segno di un certo qual
orgoglio nel desiderio di «rendere immortale» la propria individualità, invece
di aspirare a superarla; gli exoteristi dovrebbero riflettere su questo punto,
e da ciò potrebbe derivare una maggior circospezione a lanciare accuse così
sconsiderate. E aggiungiamo ancora, a proposito dell’essere che ottiene la
Liberazione, che una realizzazione d’ordine universale come quella, ha
conseguenze ben più estese ed effettive che non il comune «altruismo», il quale
rappresenta unicamente la preoccupazione per gli interessi d’una semplice
collettività, e quindi non esce in alcun modo dalla sfera individuale;
nell’ordine sopraindividuale, dove l’«io» non esiste più, non esistono neanche
più gli «altri», perché si tratta di un dominio ove tutti gli esseri sono uno,
«fusi senza esser confusi», secondo una espressione di Eckhart, e in questo
modo realizzano veramente la parola del Cristo: «Che essi siano uno come siamo
uno io e il Padre».
Quanto abbiamo detto a proposito dell’orgoglio, vale anche
per l’umiltà, la quale, rappresentandone l’aspetto contrario, dev’essere posta
esattamente sul suo stesso piano, in quanto il suo carattere è altrettanto
sentimentale ed individuale; ma esiste, in tutt’altro ordine, qualcosa che
spiritualmente ha ben altro valore dall’umiltà: è la «povertà spirituale»
intesa nel suo vero significato, cioè nel senso di riconoscimento della
dipendenza totale dell’essere di fronte al Principio; chi mai può averne
coscienza più reale e completa se non i veri esoteristi? E diremmo di più: chi
mai ai giorni nostri, a parte loro, ne ha ancora veramente coscienza ad un
livello qualsiasi? E in un’affermazione come quella, può esserci, anche per gli
aderenti ad un exoterismo tradizionale (tranne forse rare eccezioni), qualcosa
di più di un semplice verbalismo esteriore? Ne dubitiamo molto, e la ragione
profonda è questa: per impiegare i termini della tradizione estremo-orientale,
che nel caso in questione sono quelli che si prestano meglio ad esprimere
quanto vogliamo dire, l’uomo pienamente «normale» dev’essere yin in rapporto al Principio, ma
soltanto ad esso, mentre, a causa della sua situazione «centrale», dev’essere yang in rapporto a tutta la
manifestazione; l’uomo decaduto invece, assume un atteggiamento per cui tende a
farsi yang nei confronti del
Principio (o piuttosto ad illudersi di esserlo, in quanto è chiaro che si
tratta unicamente d’un’illusione), e yin
nei confronti della manifestazione; ed è in questo modo che hanno avuto origine
contemporaneamente l’orgoglio e l’umiltà. Quando la decadenza giunge alla sua
ultima fase l’orgoglio conduce infine alla negazione del Principio, e l’umiltà
a quella di qualsiasi gerarchia; di queste due negazioni gli exoteristi
religiosi rifiutano evidentemente la prima, non solo, ma la respingono
veramente con orrore quando essa prende il nome «ateismo»; ma, per contro,
troppo spesso abbiamo l’impressione che siano ormai poco lontani dalla seconda[1].
[1] Approfittiamo
di quest’occasione per segnalare un rimprovero particolarmente grottesco che ci
è stato fatto, e che in definitiva si riferisce ancora allo stesso ordine di
idee, cioè all’intrusione del sentimento in un dominio in cui questo non
dovrebbe avere accesso; sembra che i nostri scritti abbiano il grave difetto di
«mancare di gaiezza»! Che certe cose abbiano o meno il potere di renderci
allegri, dipende in ogni caso solo dalle nostre disposizioni individuali, e
queste cose, in se stesse, non vi hanno niente a che fare essendo totalmente
indipendenti da simili contingenze: tutto ciò quindi non può né deve
interessare nessuno; sarebbe perfettamente ridicolo e fuori posto inserire
checchessia nell’esposizione di dottrine tradizionali, nei confronti delle
quali le individualità, la nostra come qualsiasi altra, non contano
assolutamente niente.
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