Muhyiddin
Ibn ‘Arabî
5/6 - Digiuno e preghiera rituale[1]
L’Inviato
di Allâh* ha detto: “La preghiera rituale è una luce
(nûr), l’elemosina una prova, la pazienza un bagliore luminoso (diya’un) e il
Corano un argomento in tuo favore o contro di te...”.
Allâh -
che Egli sia glorificato e
magnificato! - ha detto che Egli «colloquia» con colui che compie la preghiera
rituale. Ora, Egli è la Luce. Allâh l’Altissimo colloquia con lui a partire dal
Suo Nome «la Luce», ad esclusione di ogni altro.
Così come la luce scaccia l’oscurità, similmente la preghiera mette fine ad ogni preoccupazione profana. In questo si differenzia dalle altre opere perché ciascuna di esse implica l’abbandono di tutt’altro da sé come lo fa la preghiera. Ecco perché essa è una luce, Allâh fa sapere all’orante che quando Egli colloquia con lui a partire dal Suo Nome «la Luce», resta solo con lui; ogni creatura creatura scompare nella Presenza che accompagna questo colloquio...
Così come la luce scaccia l’oscurità, similmente la preghiera mette fine ad ogni preoccupazione profana. In questo si differenzia dalle altre opere perché ciascuna di esse implica l’abbandono di tutt’altro da sé come lo fa la preghiera. Ecco perché essa è una luce, Allâh fa sapere all’orante che quando Egli colloquia con lui a partire dal Suo Nome «la Luce», resta solo con lui; ogni creatura creatura scompare nella Presenza che accompagna questo colloquio...
Essendo il
sole stesso un «bagliore luminoso»[2], permette
all’essere dotato di vista sensibile di scoprire l’insieme delle cose sulle
quali il suo chiarore si espande; questa «scoperta» (kashf)[3] procede,
non dalla luce, ma dal suo bagliore. La luce non ha altro effetto che scacciare
l’oscurità allorché il suo bagliore provoca la scoperta e l’intuizione. Così
come l’oscurità, la luce è un velo. L’Inviato di Allâh* a detto riguardo al suo
Signore - che sia esaltato! -: “La luce è il Suo Velo”; e ha detto anche: “«Allâh
possiede settanta veli - o settantamila - veli di luce e di tenebre»”. Quando
gli si domandò*: «hai visto il tuo Signore?», egli rispose: «Luce! Come potrò
vederlo?»”. Allo stesso tempo ha dichiarato che la «pazienza», che
corrisponde al digiuno e al pellegrinaggio, è un «bagliore luminoso». In
effetti, rischiara per te ciò che era confuso così come il chiarore della luce
ti permette di percepire le cose.
L’Inviato
di Allâh* ha menzionato una parola del suo Signore - che Egli sia esaltato! -
che dice: «Ogni atto del figlio di Adamo gli appartiene ad
eccezione del digiuno perché questo è Mio e sono Io che ne pago il prezzo».
Egli ha detto anche a qualcuno: “Dedicati al digiuno perché
non ha uguale”. Il digiuno appare così come una qualificazione «samadiana»
esprimente la trascendenza rispetto alla necessità di nutrirsi proprio alla
creatura. Dal momento che il servitore desidera - conformemente all’esigenza
della Legge sacra enunciata dalla parola divina: «Il digiuno
vi è stato prescritto come è stato prescritto a coloro che erano prima di voi»[4] -
rivestire una qualificazione che non appartiene alla sua costituzione vera,
Allâh gli dice: «Il digiuno è Mio» e non tuo,
vale a dire: «Sono Io Colui che non siede per mangiare e bere. Perché è in
questo che consiste il digiuno e perché tu ti ci applichi per il fatto che Io
te l’ho prescritto «sono Io che ne pago il prezzo». È
dunque come se Egli avesse detto: «Sono Io che ne pago il prezzo poiché la
qualificazione di trascendenza riguardo al nutrimento e le bevande Mi coinvolge
necessariamente; tu, al contrario, te ne rivesti allorché essa non corrisponde
al tuo essere vero e non ti appartiene in nessun modo; tu te ne orni nello
stato di digiuno ed essa ti relaziona a Me. La «pazienza» consiste, in effetti,
a trattenere la sua anima e tu l’hai trattenuta su Mio Ordine relativamente ciò
che implica la tua realtà propria in materia di nutrimento e bevande», Ecco
perché Egli ha detto ancora: “Due gioie appartengono al
digiunatore: una quando rompe il digiuno...” questa gioia concerne
unicamente il suo spirito animale, “...l’altra, quando
incontra il suo Signore”: questa gioia concerne la sua «anima parlante»
(nafs nâtiqa) ed il suo «nocciolo Signoriale» (latîfa rabbâniyya)[5] perché il
digiuno porta all’incontro con Allâh, vale a dire alla contemplazione (mushâhada).
Il digiuno
è più perfetto della preghiera rituale perché porta all’incontro di Allâh e la
Sua contemplazione. la preghiera è un colloquio (munâjât), non una
contemplazione. Essa implica necessariamente un velo; Allâh ha detto in
effetti: «Non appartiene alla creatura umana che Allâh
gli parli se non è per ispirazione o dietro a un velo»[6]. È così
che Allâh ha parlato a Mosé ed è per questa ragione che quest’ultimo Gli ha
domandato la Visione. «Colloquiare», è scambiare delle parole. (Ecco perché)
Allâh dice: «Ho diviso la preghiera rituale in due metà tra
Me e il Mi servitore e ciò che domanda è per il Mio servitore; quando il
servitore dice: “Lode ad Allâh il Signore dei mondi”, Allâh dice: “il Mio
servitore Mi ha lodato”, ecc.» Il digiuno, al contrario, non si divide.
Appartiene (interamente) ad Allâh e in nessun modo al servitore. Ancora, il
servitore non riceve il «salario» se non per il fatto che appartiene ad Allâh!
Vi è qui
un segreto sublime, Abbiamo già detto che la «contemplazione» e il «colloquio»
non sono compatibili. In effetti, la contemplazione provoca perplessità e
stupore (baht) allorché la parola porta alla comprensione: quando una
parola si present a te, la tua attenzione si porta su ciò che è detto - poco
importa ciò di cui si tratta - non su colui che parla. Comprendi dunque il Corano
e tu comprenderai al-Furqân[7]! Questa è la
differenza tra la preghiera rituale e il
digiuno... Riguardo a ciò che abbiamo detto a proposito del fatto che Allâh
«paga il prezzo» del digiuno per la gioia che il digiunatore prova al
momento in cui incontra il suo Signore,
il segreto corrispondente si trova nella Parola divina che figura nella sura Yûsuf:
«Colui nella cui borsa sarà trovato servirà Egli stesso
il prezzo».[8]
6[9]
«E certo il dhikr di Allâh è il più grande!»[10] Qualunque
sia l’atto di adorazione praticata dal servitore, quando comporta il dhikr
di Allâh questa è necessariamente «più grande» degli atti e delle parole che
quest’azione comprende in sovrappiù. L’Altissimo ha detto in effetti: «La
preghiera rituale allontana dalla turpitudine e da ciò che è biasimevole;
tuttavia il dhikr di Allâh è il più grande», vale a dire: «quello che è
praticato nella preghiera è «più grande» dei diversi atti che questa comporta.
Se tu pratichi il dhikr di Allâh quando fai la preghiera, Egli è il tuo
Compagno (jâlis) in quest’atto, Egli ha detto che era «il Compagno di colui che Lo menziona (dhakara-Hu)»; ora,
se Egli è il tuo Compagno, allora o tu sei dotato di Vista divina[11] e Lo
contempli (direttamente), o non possiedi
questo dono e Lo contempli per Fede nel fatto che «Egli ti vede». Così come
Allâh non parla alla Sua creatura che «dietro un velo»[12] - e il
velo non è altro che la Sua stessa Parola! - così, non puoi, parlargli
menzionandoti o menzionando un altro, se non dietro un velo; non può essere
altrimenti. In effetti, la contemplazione rende stupiti e muti. Colui che
pratica il dhikr è necessariamente cieco, anche se Dio è Suo Compagno:
ciò che lo rende cieco, è il suo dhikr! Dio per ogni praticante del dhikr,
è un «Compagno invisibile» (jâlisu ghaybin)[13]! Riunisce la contemplazione
(mushâhada) e la parola (kalâm) solo colui che è sotto
l’influenza di una contemplazione immaginaria del suo Signore, indicata dalla
parola «come se tu Lo vedessi» perché vi è là una presenza che si manifesta
nell’immaginazione: In questo stato, il «compagno» è simile a te, questo non è
Colui «cui niente è simile»[14]. tale era
lo stato di Shihâb b. Akhî al-Najîb[15] - che Allâh gli faccia
misericordia! - secondo questa sua parola che mi è stata comunicata in maniera
sicura: «l’uomo può riunire la contemplazione e la parola». Cos’è dunque un
tale gusto iniziatico in confronto a quello del «Realizzato Certificatore» (muhaqqiq)
Abû-l-’Abbâs as-Sayyârî, che fa parte degli uomini menzionati nella Risâla
di Qushayrî? Egli ha detto in effetti: «l’essere dotato di intelletto non ha
mai tratto alcuna gioia dalla contemplazione perché la contemplazione di Dio è
un’estinzione; essa non comporta alcuna gioia». Questo è dunque il gusto
iniziatico in confronto a quello di Shihâb! Comprendi dunque, perché è un puno
sul quale si sbaglia anche la Gente di Allâh che hanno ottenuto i più alti
gradi di realizzazione; che dire di coloro che gli sono inferiori!
Da: Charles-André Gilis, Ibn 'Arabi, Textes sur le jeûne, Al-Bouraq , 1996
[1] Al-Futûhât al-Mekkiyah, capitolo 47, vol. 4, pag. 134-135, 140-143 dell’ediz. O. Yahya) - [Tradotto dall’arabo da Abd ar-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis) in Textes sur le jeûne - ndr].
[2] Allusione al Corano X, 5: «È Lui che ha sancito il sole come un
bagliore luminoso...»
[3] Questo termine si
applica sia al mondo sensibile che a quello delle realtà interiori; appariene
al linguaggio tecnico del Tasawwuf.
[4] Corano, II, 183.
[5] Il termine latîfa
è a volte tradotto con «punto sottile»; si tratta di ciò che è chiamato nelle
altre forme tradizionali il «nocciòlo d’immortalità». L’anima «parlante» è un
equivalente di anima «vivente» (l’antar-yâmî) dell’Induismo.
[6] Corano XIIL, 51.
[7] Lo Shaykh sebra voler
identificare qui il Furqân all’aspetto «comprensibile» del Corano.
[8] Corano, XII, 75.
[9] Al-Futûhât
al-Mekkiyah, capitolo 71, vol. 9, pag. 387-389 dell’ediz. O. Yahya) -
[Tradotto dall’arabo da Abd ar-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis) in Textes
sur le jeûne - ndr].
[10] Cfr. Corano XXIX, 45. Il termine dhikr evoca,
seguendo i contesti, il fatto di «ricordarsi», «menzionare» o di «invocare».
[11] È fatta qui allusione a
due hadîth differenti: il primo è quello secondo il quale
Allâh è Egli stesso l’udito, la vista, ecc. di colui che Egli ama; il secondo
definisce l’ihsân come il fatto di adorare Allâh «come se tu Lo vedessi
perché anche se tu non Lo vedi, Egli ti vede». Sul significato iniziatico di
quest’ultimo, cfr. Il libro dell’estinzione nella conteòplazione.
[12] Corano XIIL, 51.
[13] Allusione all’hadîth qudsi che è stato citato più in
alto.
[14] Nel caso della
preghiera rituale, bisogna distingueree, da una parte, gli atti prescritti che
essa comporta e che appartengono al mondo corporale e sensibile; d’altra parte,
il «colloquio» con Dio: implicante dualità e similitudine, si situa nel mondo
della manifestazione sottile e delle forme dell’immaginazione; infine, la
contemplazione che implica dissimilitudine totale e servitù assoluta: essa è evocata
dalla formula «Allâhu Akbar». Qâshânî interpreta in maniera analoga il
passaggio coranico: «In verità, la preghiera rituale allontana la turpitudine e
ciò che è biasimevole, certo l’invocazione di Allâh è più grande (dhikru-Llâhi
akbar)» perché, secondo il suo commentario, «Si tratta della menzione
dell’Essenza nella Stazione dell’Estinzione pura (aqâm al-fanâ al-mahdi)».
[15] Si tratta di Umar
Suhrawardî.
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