Carmela
Crescenti
Il profeta Idrîs
Dice Tabari: “Idrîs era nativo dell’India, ma viveva
nello Yemen”.
Già queste scarne indicazioni sulle origini di un Profeta di cui non si parla spesso possono farci riflettere se ci poniamo da un punto di vista tradizionale ed esoterico; è noto infatti che la designazione dell’India denota la derivazione primordiale e l’ancestralità polare della Tradizione, mentre la penisola arabica indica piuttosto una zona mediana di passaggio delle linee che da Est vanno verso Ovest e da Nord verso Sud considerando la posizione dello Yemen in rapporto alla penisola stessa.
Ma l’epoca in cui si colloca tale Profeta,
assolutamente non specificata dalle fonti di riferimento, è anch’essa ancestrale, precedente Abramo e Noè, posta fra questi ed Adamo e quindi
prima della confusione babelica delle lingue.
Dice il Corano “ E
nel Libro ricorda Idris che fu un giusto, un Profeta - e lo elevammo ad altissimo luogo.” (XIX Sura di
Maria 56-57) ed ancora: “E rammenta Ismaele e Idris e Dhû’l-Kifl, che
furono tutti fra i perseveranti. E li facemmo entrare nella Nostra
Misericordia: per vero essi sono ora fra gl’integri
virtuosi” (XXI Sura dei Profeti 85-86).
Queste due menzioni coraniche sono molto sintetiche
in rapporto alle narrazioni dei commentatori; due in particolare, quella di Tabari[1]
e quella di Kisa’i[2]
sono concordi nel riportarci diversi particolari della sua vita e il racconto
di come Idrîs conobbe l’Inferno e il Paradiso e di come riuscì a tornarvi e rimanervi.
Ascoltiamone la narrazione dall’afflato mitico.
“Idrîs, della discendenza di Set[3], fu il primo uomo che posò il calamo sulla carta da
scrittura. Sapeva cucire e praticava il mestiere di sarto, ma nonostante fosse
molto abile in vari lavori, era costantemente intento ad adorare Dio, giorno e
notte. Lavorava di giorno e pregava di notte e leggeva i libri di Adamo,
anzichè dormire.
Passò dieci anni in adorazione dopodichè l’angelo
della morte desiderò legarsi in amicizia con lui. Gli
si presentò in forma d’uomo e gli disse: “Sono l’angelo della morte e desidero
legarmi in amicizia con te. A causa dello straordinario omaggio
che hai reso a Dio puoi farmi una richiesta che io possa soddisfare”. Idrîs gli
disse allora: “Toglimi l’anima.” Ma l’angelo rispose:
“Non è per questo che sono venuto, la tua vita non è ancora giunta al suo
termine.” Idrîs, però, riprese: “D’accordo, ma toglimi l’anima solo per qualche
istante; se mi resterà ancora tempo da vivere Dio me la restituirà.” L’angelo
della morte rispose: “Senza ordine di Dio non posso fare ciò che mi chiedi.”
Idrîs si rivolse allora direttamente a Dio che esaudì la sua preghiera e disse
all’angelo della morte di
concedere al Suo servitore ciò che gli aveva richiesto. Così
‘Izrâ’îl tolse l’anima ad Idrîs e nello stesso istante Dio gliela
restituì, permettendogli di godere del tempo che gli restava da vivere. Idrîs
ricominciò a servire ed adorare Dio e l’angelo della
morte divenne suo amico ed andò spesso a fargli visita.
Passarono gli anni ed un
giorno Idrîs chiese all’angelo suo amico di fargli vedere l’inferno, ma come per l’altra volta, l’angelo
rispose che senza ordine di Dio non poteva farlo. Così Idrîs si rivolse
nuovamente a Dio che gli concesse di soddisfare la sua richiesta. L’angelo
della morte sollevò Idrîs e gli mostrò i sette ordini
dell’inferno uno ad uno, facendogli vedere in ciascuno i castighi inflitti ad
ogni sorta di peccatori. Poi lo riportò dove l’aveva
preso. Ma Idrîs gli rivolse un’ulteriore richiesta:
quella di mostrargli il Paradiso di Dio, così come aveva potuto fargli vedere
l’Inferno. Anche questa volta l’angelo rispose che senza ordine di Dio non
poteva far nulla di simile ed Idrîs rivolse nuovamente
a Dio la sua richiesta che gli accordò di soddisfarla anche questa volta. Fu
così che ‘Izrâ’îl, portò Idrîs in Paradiso dove trovarono
sulla porta Ridwan, l’angelo guardiano, che si rifiutò di farli entrare
dicendo: “Tu sei un essere umano e nessun uomo può entrare in paradiso senza
prima aver provato la morte.” Ma Idrîs rispose: “La morte mi è stata fatta
provare, l’anima mortale mi ha abbandonato; l’anima che ora
ho in me deve restare in eterno perchè Dio mi ha resuscitato. L’angelo della
morte rese testimonianza della verità delle parole di
Idrîs e Ridwân si lasciò smuovere, ma disse che nulla poteva fare senza
l’ordine di Dio. Dio allora ordinò a Ridwân di aprire la porta del paradiso e di consentire a
Idrîs di entrare.
Prima che entrassero in paradiso Ridwân
disse loro: “Finchè le creature non saranno riunite nel luogo dell’Ultimo
giudizio non è possibile entrare in Paradiso, entra tuttavia, per l’ordine di
Dio, ma dopo uscirai.” Idrîs così fece, vi entrò per
un po’, vi rimase qualche tempo, poi uscì per rispetto a quanto aveva detto
Ridwân; ma dopo tornò indietro e disse: “Ho dimenticato lì una cosa, devo
rientrare”. Ridwân gli disse: “Non ti permetterò di
rientrare in Paradiso”, ma Idrîs controbattè e disse: “Sono profeta, Dio mi ha
rivelato trenta libri e li ho scritti e finora non mi sono mai ribellato a Dio.
Nei libri che mi ha rivelato mi ha promesso il
Paradiso e se bisogna provare la morte per entrarvi, ebbene io l’ho provata e
Dio mi ha resuscitato, se bisogna aver veduto l’Inferno, ebbene l’ho veduto.
Ora son giunto in Paradiso ed è la mia casa, Dio me l’ha promesso, perciò ora
che sono entrato non ne uscirò affatto.” Seguirono
allora lunghe discussioni tra Idrîs e Ridwân per questo fatto, finchè giunse
l’ordine di Dio e Ridwân non si oppose più all’entrata di Idrîs in Paradiso,
che vi restò e vi è tutt’ora.”[4]
Il racconto di Kisa’i, ancor
più ricco di particolari e di dialoghi, riporta anche di come Idrîs fu
incaricato di recare il messaggio divino presso i giganti, figli di Caino e di
come, per far ciò, divise il suo tempo settimamanale: tre giorni per la
missione di insegnamento e quattro per l’adorazione di Dio[5].
Ma al di là di queste due
narrazioni, i cui elementi simbolici essenziali rimandano con tutta evidenza
alla descrizione delle tappe del viaggio spirituale ed iniziatico, è ancora fin
dai primi racconti islamici che si ritrova l’identificazione di Idrîs con l’Enoch
biblico, a proposito del quale è ben noto il passaggio che lo riconosce come
asceso al cielo: “Piacque Enoch al
Signore e non fu più trovato perchè il signore lo portò via” (Genesi V 24)
e lo stesso racconto dell’incontro con l’angelo della morte e del viaggio verso
il Paradiso è presente nell’apocrifo Libro di Enoch composto verso il II secolo
a.C. di cui esiste una completa versione in etiopico[6].
Filone di Alessandria ha spiegato il passo biblico
sia in senso allegorico, sia in senso simbolico:
“Dio è creatore soltanto di
uomini buoni e saggi. Sono questi un’accolta che si è privata tutta e volontariamente del
possesso di abbondanti beni esteriori e ha trascurato ciò che è gradito alla
carne. Sono atleti sani e vigorosi, coloro che hanno
fortificato il corpo, la parte servile, per contrapporla all’anima. Sono invece
pallidi, sfatti ed in qualche modo rinsecchiti quelli
che si sono formati con lo studio, perchè hanno messo al servizio delle forze
psichiche le loro energie fisiche e, per essere precisi, si sono ridotti ad
un’unica forma, quella dell’anima, come fossero pensieri incorporei. E’
naturale che l’elemento terreno si logori e si dissolva, quando lo spirito ha
prescelto di rendersi gradito a Dio con tutte le proprie risorse. Questo tipo
di uomini è raro e si stenta a trovarlo, ma non è impossibile che esista, ne è
prova l’oracolo pronunciato a proposito di Enoch: “Piacque Enoch al Signore e non fu trovato”. In ulteriori
punti, attenendosi alla lettera del testo sacro, Filone esprime le sue due interpretazioni:
dapprima afferma che il passo si riferisce al filosofo come “amante della
sapienza” che, pur esistendo, rimane nascosto agli uomini mortali in virtù del
suo dedicarsi alla conoscenza. Poi aggiunge a proposito del “fu portato via” che ciò rimanda al
“mutar sede” e al percorrere “come un emigrante” la via che dalla vita mortale
porta all’immortale.[7]
Analoghe spiegazioni sono ripercorribili sulla base
del testo Coranico ove il Profeta Idrîs, è designato come “siddîq”, sopra tradotto con “giusto” ma che con più diretta
pertinenza semantica può esser riportato come
“veridico” o “sincero” o “portatore della verià” secondo le valenze di
significato della radice trilittera SDQ che in arabo si riferisce all’esser
vero e sincero in qualcosa e al “realizzare” cioè al compiere qualcosa,
riconoscendone la verità.
Accanto all’identificazione con l’Enoch
biblico, d’altra parte, v’è anche la presenza di Idrîs nella genealogia di
Hermes e l’ascrizione a lui delle origini di molte delle scienze ermetiche note
alla tradizione islamica: dall’astrologia all’alchimia, dalle arti divinatorie
come la geomanzia[8] e la za’irgia[9],
alle arti applicate e di mestiere.
Ibn ‘Arabi lo descrive come
“il profeta dei filosofi” e sulla base delle indicazioni date da lui e dagli
altri che pongono Idrîs alle origini dell’ermetismo, sono state di recente
messe in luce molte questioni riguardanti la sua “funzione polare”, ossia il
legame di questo Profeta con il Centro supremo della gerarchia iniziatica. Si indica con l’espressione “Centro supremo” una gerarchia
iniziatica incaricata eminentemente del “tasarruf”
ossia del governo esoterico degli affari del mondo e tale gerarchia può essere
considerata sotto due aspetti: uno pontificale di collegamento tra condizione
umana e stati superiori dell’essere fino al Principio Supremo, ed uno regale,
volto a stabilire le leggi che governano lo stato umano preso in sé per sé,
nella totalità ciclica di tale stato individuale.
Michel Valsan, uno dei maggiori espositori
contemporanei dell’insegnamento tradizionale ha posto l’ermetismo tra le forme
tradizionali ridotte ad un punto di vista cosmologico,
per effetto delle vicissitudini cicliche e dunque nel dominio normale dei
“piccoli misteri” sottolineando il carattere subordinato del Centro spirituale di
riferimento, rispetto a quello assiale “primordiale” indicato come Centro
spirituale supremo.
Questa condizione di subordinazione è comprovata dal
fatto che l’ermetismo era tanto incorporato nell’esoterismo islamico quanto
nell’esoterismo cristiano del Medio Evo; tuttavia pur limitandosi ai piccoli
misteri, la sua collocazione fra le tradizioni di
carattere “sapienziale” o “intellettuale” gli permetteva di avere una specifica
funzione di mediazione. Ed in effetti, pur
essendo una tradizione specifica per
i popoli non compresi nella filiazione abramica, di carattere “religioso”, si
applicava di fatto ai popoli della stessa area di influenza quali i “Gentili”
(secondo la prospettiva ebraico-cristiana) ed i “non-arabi” (secondo quella
islamica), continuando a manifestarsi negli Ordini di cavalleria comuni ad
entrambe le tradizioni, cristiana ed islamica, costituendo quindi una testimonianza del
ruolo di legame dell’Occidente latino con il Vicino Oriente e venendo perciò ad
avere una funzione analoga a quella più ampia propria della tradizione islamica, alla quale il
ruolo di mediazione tra Oriente ed Occidente pertiene in modo più diretto.
Nell’esoterismo islamico il Centro supremo è
assimilato per analogia alla Ka’aba della Mecca, considerato come il “Tempio
della Tradizione primordiale”, la cui prima costruzione, infatti, risale
tradizionalmente ad Adamo, che ebbe istruzioni divine su come costruirla, istruzioni veicolate dalle indicazioni dell’arcangelo
Gabriele.
Sulla base delle stesse indicazioni analogiche, la
gerarchia che è associata alla Ka’aba è rappresentata dai quattro profeti
“viventi”, ossia quelli che la tradizione indica come “non toccati” dalla morte
corporea: ‘Isâ (Gesù), Idrîs (Enoch), Ilyas (Elia) e Khidr
, rappresentati simbolicamente come quattro pilastri (awtâd) di questo tempio e come manifestazioni differenziate di un
Principio Unico, il Verbo Universale, che la tradizione islamica identifica al
Profeta Muhammad nella sua qualificazione di “Uomo Perfetto” (al-insân al-kâmil). Si dice inoltre che
uno di questi quattro profeti viventi è designato come “Polo del mondo umano” (qutb al-’âlam al-insaniyy), mentre altri
due fra loro sono considerati in rapporto al primo come i due “Imâm”, ossia le “guide” che lo
affiancano nella sua funzione di reggitore dello stato umano.
Considerando l’ermetismo nella sua configurazione di
“arte regale” (ars regia) vediamo
allora che tale funzione viene ad essere attribuita
proprio ad Idrîs, qualificato, in tal caso, come “Polo degli spiriti umani” (qutb al-arwâh al-insâniyya) e che i due Imâm rappresentanti i due
aspetti complementari del “Rigore” e della “Misericordia” vengono ad esser
identificati rispettivamente con Elia ed il Khidr, dato che la
collocazione simbolica di ‘Isâ si riferisce ad una più specifica posizione
“assiale” per la sua qualità di Spirito procedente dall’Essenza, secondo il
dettato coranico “Il Cristo Gesù, figlio
di Maria, non è che un Messaggero di Dio, il Suo Verbo, che Egli depose in
Maria, uno Spirito da Lui emanato” (“Rûhu
min-Hu”) (IV, Sura delle donne,171). Tale posizione “assiale”, in rapporto
alla dimensione dell’”ampiezza” espressa dal Polo “umano” e dai due “imâm” configura allora, in una
prospettiva espressiva di “geometria sacra”, l’”esaltazione” propria del
“Signore delle Scienze spirituali”, mentre è invece in corrispondenza alle
scienze e alle arti “umane” che si può collocare Idrîs, cominciando da
quell’attribuzione dell’origine della scrittura e passando attraverso le varie
scienze ed arti esoteriche di cui s’è fatta menzione,
alla distinzione dello scibile quale era nota nel Medio Evo in scienze ed arti
liberali complementari di quelle servili.
E’ altresì in questa prospettiva esoterica e
“regale” della dottrina dei Poli, che ‘Isâ rappresenta l’autorità sacerdotale, Idrîs
il potere regale ed Elia ed il Khidr la doppia
forza cosmica del “solve et coagula” della Tradizione ermetica.
Rispetto a ciò la funzione ed
il ruolo del Profeta Muhammad si risolve nella sua realtà simbolica di
realizzazione sintetica di tutti questi aspetti e come manifestazione diretta,
al centro del nostro mondo individuale umano, dello Spirito Universale, mentre
la funzione di Idrîs-Hermes appare così contemporaneamente come suprema in seno
all’ordine totale e come centrale in rapporto allo stato umano, pur rimanendo
subordinata a quella del Verbo Profetico di cui egli non è che un
rappresentante in uno stato particolare d’esistenza.[10]
Articolo pubblicato sulla rivista “Idea, il Giornale del Pensiero”. Ed. Gei
[1] Ed. Zotenberg, t.I, pp. 95-99
[2] Ed. Eisenberg, pp. 82 sgg.
[3] Il Set di cui si tratta è il figlio che
Adamo ebbe in compensazione della perdita di Abele, da non confondersi con il
Seth della tradizione egizia.Cfr. Genesi 4,25
[4] Adattamento della
traduzione italiana di Tabari: i Profeti e i Re, ed.Guanda,
pp. 19-22
[5] Cfr. The
tales of the Prophets Of al-Kisa’i, Boston, 1978, pp.88-91
[6] Di cui esiste una
traduzione in francese: M.François Martin, Livre Apocryphe d’Hénoch, Parigi, 1906
[7] Cfr. Filone Tutti i trattati del Commentario
allegorico alla bibbia a c. di Roberto Radice, Rusconi, Milano, 1994, pp.
358, 1021, 1056
[8] Geomanzia:
procedimento divinatorio attuato mediante lettura della disposizione di grani
di sabbia sul terreno.
[9] Za’irgia:
arte divinatoria derivata dalla “scienza delle lettere” (ilm al-hurûf) consistente
nell’utilizzo di particolari tavole cifrate.
[10] Per maggiori indicazioni
cfr.: Ch.A. Gilis Le
Maitre de l’or, in Vers la Tradition, 1998, N.72, pp.3-6
Nessun commento:
Posta un commento