René Guénon
Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi
35. La confussione tra psichico e spirituale
Quel che abbiamo detto a proposito di certe spiegazioni
psicologiche delle dottrine tradizionali rappresenta un caso particolare di una
confusione molto diffusa nel mondo moderno, la confusione, cioè, tra i due
campi psichico e spirituale; essa, quand’anche non si spinga fino a diventare
sovversione come nel caso della psicanalisi, confondendo lo spirituale con ciò
che di più basso esiste nella sfera psichica, non per questo è meno
estremamente grave in ogni caso.
Si tratta d’altronde, in qualche modo, d’una conseguenza naturale del fatto che gli Occidentali già da molto tempo non sanno più distinguere tra «anima» e «spirito» (e il dualismo cartesiano ha certamente le sue colpe sotto questo riguardo, confondendo come fa in una sola cosa tutto quel che non è corpo, e denominando questa cosa vaga e mal definita con l’uno o l’altro termine indifferentemente); di conseguenza questa confusione si manifesta ad ogni piè sospinto nello stesso linguaggio di tutti i giorni. Il termine «spirito», attribuito volgarmente ad «entità» psichiche che non hanno certamente niente di «spirituale», e la stessa denominazione dello «spiritismo» che da ciò è derivata, per non parlare di quell’altro errore che fa chiamar «spirito» quel che in realtà non è nient’altro che il «mentale», saranno esempi sufficienti di quanto stiamo affermando.
Si tratta d’altronde, in qualche modo, d’una conseguenza naturale del fatto che gli Occidentali già da molto tempo non sanno più distinguere tra «anima» e «spirito» (e il dualismo cartesiano ha certamente le sue colpe sotto questo riguardo, confondendo come fa in una sola cosa tutto quel che non è corpo, e denominando questa cosa vaga e mal definita con l’uno o l’altro termine indifferentemente); di conseguenza questa confusione si manifesta ad ogni piè sospinto nello stesso linguaggio di tutti i giorni. Il termine «spirito», attribuito volgarmente ad «entità» psichiche che non hanno certamente niente di «spirituale», e la stessa denominazione dello «spiritismo» che da ciò è derivata, per non parlare di quell’altro errore che fa chiamar «spirito» quel che in realtà non è nient’altro che il «mentale», saranno esempi sufficienti di quanto stiamo affermando.
Sono fin troppo facili
da vedere le conseguenze incresciose che possono aver origine da un simile
stato di cose: propagare questa confusione, soprattutto nelle condizioni
attuali, significa, si voglia o no, indurre degli esseri a perdersi
irrimediabilmente nel caos del «mondo
intermedio», e
conseguentemente, anche se spesso in modo incosciente, servire da strumento
alle forze «sataniche» che dirigono quella che è stata da noi chiamata la «contro-iniziazione».
È qui il caso di ben precisare le cose per evitare ogni
malinteso: non si può dire che uno sviluppo delle possibilità di un essere,
anche in un ordine poco elevato come quello che costituisce il campo psichico,
sia in sé essenzialmente «malefico»; ciò che occorre non dimenticare è che
questo campo è per eccellenza quello delle illusioni, e quel che importa è
saper sempre situare ogni cosa al posto che normalmente le compete; in altri
termini, tutto dipende dall’uso che di tale sviluppo sarà fatto, e innanzi
tutto è necessario esaminare se esso è inteso come fine a se stesso, oppure al
contrario come semplice mezzo in vista d’un fine di ordine superiore. Di fatto,
qualunque cosa può, a seconda delle circostanze d’ogni caso particolare,
servire come occasione o «supporto» per chi si immette nella via che dovrà
condurlo a una «realizzazione» spirituale; ciò è soprattutto vero al principio,
a causa della diversità delle nature individuali, l’influenza delle quali è in
quel momento al suo apice, ma tali condizioni permangono, almeno fino ad un
certo punto, fintanto che i confini dell’individualità non siano stati
completamente superati. Sennonché, d’altro canto, qualsiasi cosa può
altrettanto bene essere un ostacolo, invece di un «supporto», se l’essere vi si
arresta lasciandosi illudere e sviare da certe apparenze di «realizzazione» che
non hanno alcun valore in sé, non essendo che risultati meramente accidentali e
contingenti, se ancora si possono considerare risultati da un qualsiasi punto
di vista; questo pericolo di sviamento esiste sempre, per l’appunto,
fintantoché si permanga nell’ordine delle possibilità solamente individuali, ed
è per di più in rapporto con le possibilità psichiche che esso è
incontestabilmente più grande, e ciò tanto maggiormente, questo è ovvio, in
quanto tali possibilità sono di un ordine più basso.
Il pericolo è certo molto meno grave quando si tratta di
possibilità di carattere semplicemente corporeo e fisiologico; si può citare a
questo punto, come esempio, l’errore di taluni Occidentali i quali, come dicevamo
in precedenza, credono che lo Yoga, o
per lo meno quel poco che essi conoscono dei suoi procedimenti preliminari, sia
una sorta di metodo di «cultura fisica»; in casi come questo, il solo rischio
che si corre è di ottenere, attraverso «pratiche» compiute sconsideratamente e
senza controllo, un risultato del tutto opposto a quello che si perseguiva, e
di rovinare la propria salute credendo di migliorarla. Tutto ciò non ci
interessa affatto se non in quanto si tratta di una grossolana deviazione nell’impiego
di tali «pratiche» le quali, in realtà, sono fatte per un uso del tutto
diverso, il più possibile discosto dal campo fisiologico, e le cui
ripercussioni naturali su quest’ultimo costituiscono un semplice «accidente» al
quale non è assolutamente il caso di annettere la minima importanza. È tuttavia
opportuno aggiungere che queste stesse «pratiche» possono anche avere,
all’insaputa degli ignoranti che vi si dedicano come ad una «ginnastica»
qualsiasi, ripercussioni sulle modalità sottili dell’individuo, ciò che di
fatto ne aumenta notevolmente il pericolo: in tal modo è possibile, senza che
se ne sia neppure coscienti, aprire la porta ad influenze d’ogni genere (e
naturalmente saranno sempre quelle di qualità più bassa ad approfittarne prima
delle altre), contro le quali si sarà tanto meno al riparo in quanto spesso non
si sospetta neppure che esistano, e che a maggior ragione si è incapaci di
discernerne la vera natura; ma, per lo meno, in tal caso non c’è alcuna pretesa
«spirituale».
Le cose vanno invece ben diversamente in quei casi nei quali
interviene la confusione dello psichico propriamente detto con lo spirituale,
confusione che si presenta del resto sotto due forme inverse: nella prima lo
spirituale è ridotto allo psichico, ed è quanto accade in particolare per il
genere di spiegazioni psicologiche delle quali abbiamo detto; nella seconda, al
contrario, lo psichico è assunto come spirituale, e l’esempio più volgare di
ciò è lo spiritismo, quantunque le altre forme più complesse di «neospiritualismo»
procedano tutte anch’esse da questo stesso errore. In entrambi i casi, in
definitiva, è sempre lo spirituale ad essere disconosciuto, ma mentre il primo
concerne coloro che lo negano in modo puro e semplice, per lo meno di fatto
anche se non sempre in maniera esplicita, il secondo riguarda coloro che in tal
modo si creano l’illusione di una falsa spiritualità, ed è proprio quest’ultimo
caso che al presente ci interessa in modo particolare. La ragione per la quale
tanta gente si lascia sviare da questa illusione è in fondo piuttosto semplice:
alcuni di essi ricercano soprattutto i cosiddetti «poteri», vale a dire, sotto
questa o quella forma, la produzione di «fenomeni» più o meno straordinari;
altri si sforzano di «centrare» la loro coscienza su certi «prolungamenti»
inferiori dell’individualità umana, prendendoli a torto per stati superiori
semplicemente perché sfuggono alle limitazioni entro cui si rinchiude
abitualmente l’attività dell’uomo «medio», limitazioni le quali, nello stato
che corrisponde al punto di vista profano dell’epoca attuale, sono quelle di
quanto si è convenuto di chiamare la «vita ordinaria», nella quale non
interviene alcuna possibilità di carattere extracorporeo. Anche per questi
ultimi, però, è l’attrazione per il «fenomeno», cioè tutto ben sommato la
tendenza «sperimentale» propria dello spirito moderno, ad essere nella maggior
parte dei casi alla radice dell’errore: quelli che coloro di cui parliamo
vogliono infatti ottenere sono sempre risultati che siano in qualche modo
«sensibili», perché è questo che essi credono essere una «realizzazione»;
sennonché ciò equivale di fatto a dire che tutto quel che è veramente di ordine
spirituale sfugge loro interamente, che essi non riescono neppure a concepirlo
per quanto lontanamente e che, mancando totalmente di «qualificazione» sotto
questo riguardo, molto meglio per loro sarebbe se si accontentassero di
rimanere rinchiusi nella banale e mediocre sicurezza della «vita ordinaria».
Naturalmente, con ciò non vogliamo affatto negare la realtà dei «fenomeni» in
questione in quanto tali; essi sono anche troppo reali, si potrebbe dire, e con
ciò stesso tanto più pericolosi; quel che contestiamo formalmente sono il loro
valore ed il loro interesse, soprattutto dal punto di vista d’uno sviluppo spirituale,
ed è proprio in questo senso che l’illusione agisce. E ancora, se non si
trattasse che di una semplice perdita di tempo e di energie, il male non
sarebbe poi così grande; sennonché, in generale, l’essere che si lega a queste
cose diviene poi incapace di liberarsene e di procedere al di là di esse, ed in
tal modo è irrimediabilmente deviato; è ben conosciuto, in tutte le tradizioni
orientali, il caso di tali individui che, diventati semplici produttori di
«fenomeni», non perverranno mai alla minima spiritualità. Ma c’è di più: in
queste circostanze può verificarsi il caso di una specie di sviluppo «alla
rovescia», il quale non soltanto non porta ad alcuna acquisizione valida, ma
allontana sempre più dalla «realizzazione» spirituale, fino a che l’essere non
sia definitivamente sviato in quei «prolungamenti» inferiori della sua
individualità ai quali abbiamo accennato poc’anzi, e per il cui tramite può
soltanto venire in contatto con ciò che è «infraumano»; la sua situazione sarà
allora senza uscita, o per lo meno gliene si aprirà una sola, vale a dire la
«disintegrazione» totale del suo essere cosciente; in questo caso si tratta
propriamente, per l’individuo, dell’equivalente di quella che è la dissoluzione
finale per l’insieme del «cosmo» manifestato.
Da questo punto di vista, più ancora che da qualsiasi altro,
occorre perciò diffidare di ogni richiamo al «subconscio», all’«istinto»,
all’«intuizione» infrarazionale, o anche a una «forza vitale» più o meno mal
definita, in una parola a tutte quelle cose vaghe ed oscure che la filosofia e
la psicologia più recenti tendono ad esaltare, le quali portano più o meno
direttamente a una presa di contatto con gli stati inferiori. A maggior ragione
occorrerà guardarsi, con vigilanza estrema (poiché le cose in questione sanno
assumere fin troppo bene i travestimenti più insidiosi), da tutto ciò che
potrebbe indurre l’essere a «fondersi» – noi diremmo più volentieri e più
esattamente a «confondersi» o anche a «dissolversi» – in una sorta di
«coscienza cosmica», esclusiva d’ogni «trascendenza» e perciò di ogni
spiritualità effettiva; è questa la conseguenza ultima di tutti quegli errori
antimetafisici che, sotto il loro aspetto più particolarmente filosofico, sono
individuati con termini come «panteismo»,
«immanentismo» e «naturalismo», cose del resto strettamente connesse,
conseguenza di fronte alla quale certa gente sicuramente si ritrarrebbe se
potesse sapere veramente di che cosa parla. Cose come queste, infatti, sono il
segno che la spiritualità è intesa letteralmente «alla rovescia», sostituendo
ad essa quel che ne è veramente l’inverso, giacché portano inevitabilmente alla
sua perdita definitiva, ed è in ciò che consiste il «satanismo» vero e proprio;
che quest’ultimo sia consapevole o inconsapevole, a seconda dei casi, influisce
del resto ben paco sui risultati; né bisogna dimenticare che il «satanismo
inconsapevole» di certa gente, più numerosa che mai nella nostra epoca di
disordine estendentesi in tutti i campi, non è in fondo che uno strumento al
servizio del «satanismo consapevole» dei rappresentanti della
«contro-iniziazione». In un’altra occasione abbiamo avuto l’opportunità di
segnalare il simbolismo iniziatico di una «navigazione» che si effettua
sull’Oceano, il quale raffigura il campo psichico, e che occorre attraversare
evitandone tutti i pericoli per giungere alla meta;[1] ma
che cosa si potrà dire di chi si tuffa nel bel mezzo di questo Oceano con la
sola aspirazione di annegarvi? È questo, con la più grande esattezza, il
significato di quella pretesa «fusione» con una «coscienza cosmica» la quale è
in realtà solo l’insieme confuso e indistinto di tutte le influenze psichiche
che, per quanto diversamente possano pensarla alcuni, non hanno certo
assolutamente niente in comune con le influenze spirituali, quand’anche accada
che le imitino più o meno imperfettamente in qualcuna delle loro manifestazioni
esteriori (giacché è questo il campo in cui la «contraffazione» si esercita in
tutta la sua ampiezza, ciò che spiega come le manifestazioni «fenomeniche» non
possano mai provare nulla di per se stesse, potendo essere assolutamente simili
nel caso di un santo e nel caso di uno stregone). Coloro che commettono questo
errore fatale dimenticano, o più semplicemente ignorano, la distinzione tra
«Acque superiori» e «Acque inferiori»; invece di elevarsi verso l’Oceano
superiore, essi si precipitano negli abissi dell’Oceano inferiore; invece di
concentrare tutte le loro potenzialità per dirigerle verso il mondo informale,
il quale è il solo che possa dirsi «spirituale», le disperdono nella diversità
indefinitamente mutevole e sfuggente delle forme della manifestazione sottile
(la quale è ciò che corrisponde nel modo più esatto possibile al concetto della
«realtà» bergsoniana), senza sospettare che quanto scambiano per una pienezza
di «vita» non è di fatto che il regno della morte e della dissoluzione senza
ritorno.
[1] Cfr. Le
Roi du Monde, cit., pp. 86-87 (pp. 99-100 dell’ediz. italiana) e Autorité spirituelle et pouvoir temporel,
cit., pp. 140-144 (pp. 133-136 dell’ediz. italiana).
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