"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

lunedì 20 luglio 2015

'Abd Al-Qâdir al-Jazâ'irî, Il maestro e il discepolo (Mawqîf 195)

'Abd Al-Qâdir al-Jazâ'irî
Il maestro e il discepolo*[1] 

Dio ha detto[2]:
“Mosé dice al suo servitore: Non avrò pace finché non avrò raggiunto la confluenza dei due mari…”[3].
Questo racconto comporta un certo numero di punti riguardanti lo shaykh e il suo discepolo.
1. Anche se ha raggiunto un certo livello di scienza ai suoi occhi e agli occhi dei suoi discepoli e se intende parlare di qualcuno più sapiente di lui, lo shaykh deve andarlo a trovare per aumentare la sua scienza e profittare della sua saggezza. In effetti, quando il Reale informa Mosé, il detentore delle parole della profezia e della missione, che al-Khidr[4] era più sapiente di lui, cerca il mezzo per incontrarlo. Allora Dio gli dona il pesce come segno, dicendogli: “Quando avrai perso il pesce, ritorna sui tuoi passi e allora lo incontrerai”.
Il racconto si trova nella Raccolta della tradizione autentica di al-Bukhârî.
2. Lo shaykh non deve respingere chi viene a domandargli la scienza, anche se conosce la sua mancanza di predisposizione per ciò che domanda. In effetti, al-Khidr, sin dall’inizio del loro incontro, sapeva che Mosé mancava di pazienza, allora gli dice: “Tu non sarai paziente con me”[5]. E, malgrado ciò, non lo allontana.
3. Lo shaykh deve imporre delle condizioni al postulante e concludere con lui un patto, in funzione di quel che pensa essere il suo bene. Ecco perché, al-Khidr dice a Mosé: “Non m’interrogare su niente”[6], ossia, su qualsiasi cosa sia o ti sembri essere in contraddizione con il Reale.
4. Lo shaykh deve concludere un patto anche con colui di cui sa che lo violerà. In effetti, al-Khidr dice a Mosé: “Tu non sarai paziente con me”[7]. E tuttavia, dopo ciò, egli conclude con lui il patto. Dio ha detto: “Quando il tuo Signore trasse una discendenza…”[8]; “Non abbiamo trovato presso la maggior parte di loro alcuna traccia di alleanza”[9].
5. Quando lo shaykh vede che il postulante manca ad una condizione del patto, deve ricordargli la condizione e il patto. E se il discepolo si scusa, accetterà le sue scuse fino a due volte. In effetti, al-Khidr accetta per due volte le scuse di Mosé a proposito della sua dimenticanza.
6. Lo shaykh non respingerà il postulante che, una seconda volta, non rispetta una condizione del patto, senza tuttavia scusarsi, se, malgrado ciò, constata il suo pentimento. Perché Mosé, dopo essersi scusato una prima volta per la sua dimenticanza, non presenta, la seconda volta, nessuna scusa. Tuttavia, egli impone a se stesso un’altra condizione e, allora, al-Khidr l’accoglie.
7. Lo shaykh deve separarsi dal postulante che, per la terza volta, non rispetta la condizione del patto. Ecco perché al-Khidr ha detto: “Ecco il momento della nostra separazione”[10].
8. Il discepolo non deve rinunciare né alla sua pazienza né alla sua costanza e non deve rimettere in questione il patto che lo ha legato allo shaykh, quando è testimone, presso quest’ultimo, di un proposito o di un atto contrario alla verità e al comandamento della Legge. In effetti, l’Inviato di Dio (saws) ha detto, come è menzionato della Raccolta della tradizione autentica” di al-Bukhârî: “Avremmo amato[11] che Mosé fosse stato paziente, perché Dio avrebbe raccontato la loro vicenda”[12]
9. Se il discepolo ha una cattiva opinione dello shaykh, è meglio per lui che lo lasci. Voler rimanere con lui dopo che la fiducia è stata scossa non sarebbe che ipocrisia e pura perdita. Ecco perché l’Inviato di Dio (saws) ha detto: “La terza era a bella posta”, cioè la terza questione di Mosé.
10. Quando lo shaykh decide di separarsi dal suo discepolo, perché quest’ultimo lo contesta, deve spiegare al discepolo quel che disapprova di lui, tanto in parole che in atti. È la ragione per cui al-Khidr dice a Mosé: “Ti do ora la spiegazione di quel che non hai avuto la pazienza di sopportare”[13]. Il discepolo fa veramente prova di pazienza, quando vede nello shaykh ciò di cui egli ignora il fondamento, conservandone la fiducia. Dio gli farà misericordia, togliendo il velo della sua ignoranza. E allora, egli conoscerà la ragione delle parole e degli atti che provengono dallo shaykh; ne vedrà la vera ragione che giudicherà come la verità da cui non potrà deviare.
11. Il discepolo non deve mai dire allo shaykh né “perché!” né “come?”, a proposito di un ordine, di una azione o di una omissione da parte sua. Ecco perché al-Khidr ha detto a Mosé: “Non domandarmi perché ho fatto quel che ho fatto; né perché ho omesso ciò che ho omesso. Dì piuttosto: ecco un aspetto delle cose che io ignoro”.
12. Colui che ha acquisito una scienza al di fuori dei metodi abituali tra le persone deve spiegare come ha fatto, se vi è costretto. È per questo che al-Khidr ha detto: “Non ho fatto questo di mia propria iniziativa[14], ma per obbedire a un ordine divino che mi è arrivato”. Se non costretto a spiegarsi, non è tenuto a indicare il metodo con il quale ha acquisito questa scienza e come l’ha assimilata. Deve spiegare la scienza così acquisita, soltanto se glielo si ordina.
13. Finché il postulante non prova alcun rilassamento nella sua ricerca e non avverte fatica nel suo viaggio mistico, egli è ricercato, portato e desiderato (dal suo Signore). Ma, in seguito, quando sente qualche cosa di tutto ciò, significa che il suo stato è cambiato. In Effetti, l’Inviato di Dio ha fatto il seguente commento che si trova nella Raccolta della tradizione autentica: “Mosé non prova la rilassatezza che quando supera il limite che gli era stato prescritto”[15].
14. Quando un conoscitore di Dio è contestato da uno specialista della Legge che non fa parte della sua via, che non si occupi di lui e non lo rifiuti; ma che si contenti di compiere i suoi obblighi del momento tanto esteriormente quanto interiormente, senza prestargli la minima attenzione. Se no, se è necessario, che dica, come al-Khidr dice a Mosé: “Tu possiedi una scienza che Dio ti ha consegnato e io possiedo una scienza che Dio mi ha consegnato”.
15. Lo specialista della Legge sincero, onesto e stimato deve riprendere il sufi che esternamente è fuori sesto con la Legge, tuttavia, non può farlo che per delle questioni che attengono l’unanimità e non su punti controversi se è convinto della perfezione del sufi in questione nel proprio intimo. Anche Mosé riprende al-Khidr a proposito delle sue apparenti mancanze alla Legge. E tuttavia, non mette in discussione che deve credere nella perfezione e nell’eccellenza della sua scienza, poiché Dio l’ha informato che al-Khidr era più sapiente di lui. Lo specialista della Legge segue una via molto particolare, così a lui spetta di riprendere il sufi; mentre quest’ultimo segue una via assai larga, e non può quindi riprendere lo specialista della Legge. Questo racconto contiene molti altri insegnamenti.

*Mawqîf 195

[1] Lo stesso argomento è trattato in Mawqîf 151.
[2] ‘Abd al-Kader, op. cit., pagg. 81-89.
[3] Corano 18, 60
[4] Iniziatore di Mosé, alla sura 18.
[5] Corano 18, 67
[6] Corano 18, 70
[7] Corano 18, 67
[8] Corano 7, 172
[9] Corano 7, 102
[10] Corano 18, 78
[11] In luogo di wawad-nâ (sic), leggere wadad-nâ, conformemente a MBA.
[12] Al-Bukhârî, Tafsîr al-sûra 18, 2, 4. questa tradizione è citata anche in Mawqîf 151.
[13] Corano 18, 78
[14] Corano 18, 81

[15] Si tratta di una parafrasi di Corano 18, 62.

1 commento:

  1. ‘Abd Al-Qâdir si riferisce al rapporto intercorso tra un maestro e un allievo, entrambi avanti sulla via, ma in realtà le cose assumono aspetti che nel rapporto da lui considerato non rientrano. Non c'è un asservimento da parte dell'allievo al proprio maestro, e non deve esserci perché ci sono maestri indegni di esserlo, e che lo sono perché hanno avuto la funzione di trasmettere l'influenza spirituale a chi, altrimenti, non avrebbe avuto possibilità di essere iniziato. In questi casi l'allievo non ha alcun obbligo verso chi lo ha iniziato.

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