Titus Burckhardt
Introduzione
alle dottrine esoteriche dell’Islam
II - Fondamenti dottrinali
Gli aspetti dell'Unità
Gli aspetti dell'Unità
La dottrina islamica è interamente
contenuta nel Tawhîd, l'«affermazione dell'Unità divina». Per la maggior parte
dei credenti questa affermazione è l'asse evidente e semplice della religione;
per il contemplativo è la porta che si apre sulla realtà essenziale.
L'apparente semplicità razionale dell'Unirà divina si differenzia nello spirito del contemplativo via via che vi penetra; i diversi aspetti che l'Unità logicamente comporta andranno man mano approfondendosi finché le loro opposizioni non potranno piu essere conciliare unicamente per mezzo del pensiero discorsivo, pensiero che essi spingeranno ai limiti estremi, consentendo cosi allo spirito una sintesi che si pone al di là di ogni concezione formale. Questo vuol dire che soltanto l'intuizione non-formale accede all'Unità[1].
L'apparente semplicità razionale dell'Unirà divina si differenzia nello spirito del contemplativo via via che vi penetra; i diversi aspetti che l'Unità logicamente comporta andranno man mano approfondendosi finché le loro opposizioni non potranno piu essere conciliare unicamente per mezzo del pensiero discorsivo, pensiero che essi spingeranno ai limiti estremi, consentendo cosi allo spirito una sintesi che si pone al di là di ogni concezione formale. Questo vuol dire che soltanto l'intuizione non-formale accede all'Unità[1].
È la formula fondamentale dell'Islam, la «testimonianza»
(shahâdah)
che «non vi è divinità, fuorché la Divinità» (la ilaha ill-Allâh), che
«definisce», per cosi dire, l'Unità divina. Questa formula deve tradursi cosi e
non, come generalmente si usa, con: «non v'è dio tranne Allâh», dal momento che
è opportuno mantenere per essa l'aspetto di pleonasma o di paradosso: la prima
parte - chiamata «lo spogliamento» (as-salb) o la «negazione» (an-nafy)
- nega in modo generico la stessa nozione di divinità (ilâh)
che la seconda parte - «l'affermazione» (al-ithhât) – afferma
isolandola; in altre parole, l'intera formula postula un'idea – quella di
divinità - che essa nega al tempo stesso come genere; ciò è esattamente l'opposto
di una «definizione», dato che definire una cosa significa non solo determinare
la «differenza specifica», ma nel contempo ridurla al «genere prossimo», dunque
a concezioni generali; ora, come attesta la shahâdah, la Divinità viene «definita» proprio dal fatto che la Sua realtà
sfugge ad ogni categoria. Questo paradosso è analogo a quello delle formule
taoiste: «La via che si può percorrere non è la vera Via», e «Il nome che può
essere pronunciato non è il vero Nome»[2]; qui,
come nella «testimonianza» islamica, un'idea viene provvisoriamente proposta al
pensiero, poi sottratta a tutte le categorie di esso.
La formula «non vi è divinità, fuorché La
Divinità», contiene simultaneamente due significati apparentemente opposti: da
un lato, opera una distinzione tra altro-da-Dio e Dio Stesso, e dall'altro riconduce
il primo al secondo. Essa esprime quindi contemporaneamente la distinzione piu
fondamentale e l'identità essenziale e riassume cosi l'intera metafisica.
Secondo tale «testimonianza», Dio è
distinto da tutto, e nulla può esserGli paragonato, poiché tra realtà
paragonabili vi è comunanza di
natura o uguaglianza di condizione, mentre La Divinità trascende l'una e
l'altra. La perfetta incomparabilità esige che nulla possa essere paragonato
con l'incomparabile, sotto qualsivoglia aspetto e questo è come dire che nulla
esiste di fronte alla Realtà divina, di modo che ogni cosa si annulla in Essa: «Dio
era e nessuna cosa era con Lui; e Egli è ora quale era» (hadîth qudsî)[3].
In tal modo l'estrema «lontananza» (Tanzîh)
deve implicare il suo contrario: poiché nulla può opporsi a Dio - si
tratterebbe infatti di un'altra «divinità» (ilâh) - ogni realtà non
può che essere un riflesso della Realtà divina; cosi, ogni significato che si
voglia attribuire all'espressione ilâh (divinità) sarà trasposto in
divinis: «non vi è
realtà, fuorché La Realtà», «non vi è forza, fuorché La Forza», «non vi è verità, fuorché La Verità»[4].
Non bisogna sforzarsi di concepire Dio
abbassandoLo al livello delle cose; al contrario, le cose si riassorbono in Dio
dal momento in cui si riconoscono le qualità essenziali da cui sono costituite[5].
***
I maestri sufì chiamano l'Unità
indivisibile al-Ahadiyah, che
deriva da ahad, «uno», e
l'apparizione dell'Unità nei suoi aspetti universali al-Wâhidiyah, derivante da wâhid, «unico», e che traduciamo con
«Unicità».
L'Unità suprema e incomparabile è senza
«aspetti»; non può essere conosciuta contemporaneamente al mondo, vale a dire
che è oggetto solo della Conoscenza divina e indiffereoziata. L'Unicità (al-Wâhidiyah),
invece, è in un certo modo in correlazione con l'Universo; in essa
l'Universo appare in modo divino: in ognuno dei suoi aspetti, che sono
innumerevoli, Dio si rivela in modo unico, e tutti si inseriscono nell'unica
Natura divina[6].
La distinzione tra Unità e Unicità divine è analoga alla distinzione vedantica tra
Brahma
nirguna («Brahman al
di là della qualificazione») e Brahma saguna («Brahman qualificato»).
Logicamente, l'unità è al tempo stesso
indifferenziata e principio di distinzione. In quanto unità indivisibile, nel
significato di al-Ahadiyah, corrisponde
a ciò che gli Indu indicano con «Non-Dualità» (advaïta); in quanto
unicità, nel significato di al-Wâhidiyah, è il contenuto positivo di ogni
distinzione, poiché ogni essere si distingue più per la sua unità intrinseca
che soltanto per la sua limitazione. Del resto, le cose si distinguono per le
loro qualità, e queste, nella misura in cui sono positive, possono trasporsi
nell'universale, secondo la formula: «non vi è perfezione, fuorché La
Perfezione (divina)»; ora, le Qualità universali si collegano all'Unicità
divina, poiché sono, per così dire, «aspetti» possibili dell'Essenza divina
immanente al mondo. Rispetto all'Essere unico che si manifesta in esse, possono
paragonarsi a raggi emananti dal Principio, da cui non si staccano mai, e che
illuminano tutte le possibilità relative. Esse sono, in un certo senso, i «contenuti
increati» delle cose create, e per il loro tramite la Divinità è accessibile,
permanendo il fatto tuttavia che l'Essenza suprema (adh-Dhât)[7],
nella quale le loro realtà distinte coincidono, rimane inaccessibile movendo
dal relativo; il loro dispiegarsi è simboleggiato dal sole, di cui si vedono i
raggi, ma che non può esser guardato direttamente a causa del suo splendore
accecante.
Non bisogna dimenticare che gli aspetti
principiati dell'Essere sono anche le modalità fondamentali della conoscenza;
le Qualità universali sono quindi nell'Intelletto come sono nell'Essenza; sotto
entrambi gli aspetti si possono paragonare ai diversi colori contenuti nella
luce bianca. La sua bianchezza è d'altronde veramente un'assenza di colore, il
che è analogo al fatto che l'Essenza, sintelizzante tutte le Qualità (çifât),
non può essere conosciuta sullo stesso piano di queste ultime.
Per il mentale, le Qualità perfette si
presentano come idee astratte; per l'intuizjone, che «assapora» l'essenza delle
cose, esse sono piu reali delle cose stesse. Tutto ciò che i sufì insegnano a
proposito delle Qualità divine, viene affermato dai contemplativi ortodossi
riguardo alle «Energie» divine (ενεργεια),
da essi considerate ugualmente come increate, ma immanenti al mondo: esse
non possono essere separate dall'Essenza (ουσια) che manifestano, e ne sono
tuttavia distinte, il che può concepirsi solo in virtu di un'intuizione che «distingue
la Natura divina pur unendola, e la unisce mediante distinzione», come dice san
Gregorio Palamas; la medesima verità è espressa nella formula sufìca che definisce
la relazione tra le Qualità e Dio: «Né Lui, né altro da Lui» (la huwa
wa lâ ghayruhu). L'Essenza,
dice san Gregorio Palamas, è «incomunicabile, indivisibile ed ineffabile, e
oltrepassa ogni nome e ogni intellezione»; non si manifesta mai «al di fuori
della propria ipseità»; tuttavia la Sua stessa natura implica «un atto
sovratemporale» di rivelazione grazie al quale diventa
in un certo modo accessibile alla
creatura, nel senso che quest'ultima «si unisce alla divinità nelle Sue
Energie»[8].
Le Qualità divine, ciascuna delle quali è
unica, sono una moltitudine indefinita. Quanto ai Nomi divini, essi sono necessariamente
in numero limitato, non essendo altro che le Qualità sintetizzate in alcuni
tipi fondamentali e «promulgate» dalla sacra Scrittura quali «mezzi di grazia»
suscettibili d'essere «invocati». Ma i sufi parlano di «Nomi divini» indicando
in tal modo tutte le possibilità o essenze universali contenute nell'Essenza
divina immanente al mondo; e questa terminologia è solo lm prolungamento del
simbolismo coranico: nel Corano, Dio si rivela per mezzo dei Suoi nomi, così come
si manifesta nell'universo attraverso le Sue qualità perfette[9].
Considerati quali determinazioni, i Nomi
o le Qualità sono «relazioni universali» (nisab
kulliyah) «non-esistenti» in sé stesse, quindi «virtuali» e permanenti
nell'Essenza. Esse sono manifestate, cioè conosciute in modo distintivo solo
nella misura in cui i loro termini impliciti, come l'attivo e il passivo, si
determinano; questo vuoi dire che le Qualità o i Nomi divini «esistono» solo nella misura in cui il mondo «esiste». D'altra
parte, tutte le qualità del mondo si riducono
logicamente alle Qualità universali, cioè a pure relazioni[10].
[1] Nella contemplazione
cristiana, l'Unità divina si dispiega nelle Tre lpostasi della Trinità. La
differenza con la contcmplazione sufica sta nel fatto che, per il contemplativo
cristiano, le Tre lpostasi sono considerate subito come Realtà ultime.
All'inizio, esse sono, è vero, soltanto un «mistero» inaccessibile al pensiero,
giacché solo l'Unità della Natura divina può essere assentita direttamente; in
seguito, le Tre «Persone» diventano evidenti, con le loro relazioni reciproche,
e da questa diversità indivisa in Dio l'intuizione - con la contemplazione - si
innalza infine sino alla Natura una - «Un solo Dio perché un solo Padre»,
dicevano i Padri greci - Natura inaccessibile ad ogni unificazione puramente
razionale.
[2] Prime parole del Tao tei king.
[3] Parole del Profeta
d'ispirazione divina.
[4] Cfr. Frithjof Schuon, Shahâdah e Fâtihah, in Le Voile d'Isis, numero di luglio 1933,
Paris.
[5] È la prospettiva del simbolismo
(Tashbîh),
complementare a quella del Tanzîh.
[6] Si possono concepire
diversi ternari nell'Unicità divina, giacché il ternaro è, del resto, fra i
numeri, l'«immagine» più immediata dell'Unità; nondimeno, nessun temario
considerato dal sufismo è rigorosamente analogo alla Trinità cristiana che è,
invece, logicamente in relazione con la discesa del Verbo eterno, contemplata
secondo una prospettiva che costituisce l'originalità intellettuale del
Cristianesimo.
[7] Indichiamo con la
parola Essenza - che usiamo come l'equivalente dell'espressione araba adh-Dhât - non solo il polo attivo
dell'Esistenza universale, come quando si contrappone l'«essenza» alla
«sostanza» cosmiche, ma anche la Realtà assoluta e indefinita in quanto si
«contrappone», per la sua trascendenza, all'Essere e a fortiori all'Universo.
[8] «La dottrina ascetica e
teologica di san Gregorio Palamas» del monaco Wassilij del monastero
Panthaleimon sul monte Athos, tradotta in tedesco dal padre Ugolino Landvogt,
O.E.S.A., Würzburg, 1939.
[9] Nel linguaggio sufico, i Nomi divini, come ausili di
invocazione, indicano quindi al tempo stesso ciò che la Scolastica chiama «presenza
d'immensità» - corrispondente piu particolarmente alle Qualità - e «presenza d'abitazione»;
la prima si riferisce all'immanenza universale di Dio nel mondo, la seconda alla
Sua «presenza reale» nei sacramenti e nella visione contemplativa. Sulla teoria
sufica delle Presenze (Hadarât) divine, vedasi il capitolo
«L'Unione», pag. 72.
[10] Alcuni maestri sufi considerano un aspetto divino intenuedio
tra l'Unità c I'Unicità, che chiamano Solitudine (Wahdah) divina. In esso le possibilità di distinzione o di manifestazione sono «concepite» in modo
principiale senza essere realmente dispiegate. La Solitudine divina comporta in
Sé stessa quattro «aspetti» principiali: la Conoscenza (al-'Ilm), la Coscienza (ash-Shuhûd),
la Luce (an-Nûr) e l'Essere (al-Wujûd); l'idea di «coscienza»
va trasposta al di là dell'aspetto psicologico; è la qualità di testimonio (shahîd).
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