"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

venerdì 10 luglio 2015

Titus Burckhardt, Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam, II - Fondamenti dottrinali - Gli Archetipi

Titus Burckhardt
Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam 

II - Fondamenti dottrinali 
Gli Archetipi
Le «Possibilità principiali» o «essenze immutabili» (al-a'yân ath-thâbitah), pur essendo contenute nella non-distinzione dell'Essenza divina, sono anche, in quanto si riflettono nell'Intelletto universale, le «idee» o archetipi che Platone, nella parabola della caverna, paragona agli oggetti reali di cui i prigiomeri scorgono soltanto l'ombra proiettata sulle pareti dello speco.
In questo senso, cioè in quanto fanno propria la teoria degli archetipi, tutti i sufì sono necessariamente platonici. Peraltro la dottrina degli archetipi concorda con quella dell'Onniscienza divina, come è dimostrato dal sufi persiano Nûr ad-din 'Abd ar-Rahmân Jâmî nel libro Lawâih[1] «...la vera essenza di ogni cosa, seppure non manifestata, si trova sempre nell'abisso interiore dell'Essere reale, mentre le sue qualità sensibili sono visibili all'esterno.
È infatti impossibile che le Idee divine racchiuse nel mondo intelligibile siano evanescenti; (pretendere che i contenuti della Scienza divina siano evanescenti) implicherebbe l'ateismo...» (capitolo XXII).
Gli argomenti di taluni filosofi contro l'esistenza delle «idee» di Platone cadono nel nulla quando si comprende che queste «idee» o archetipi non hanno «esistenza», come scrive Ibn 'Arabî, cioè non hanno la natura di sostanze discinte, e che costituiscono soltanto delle possibilità inerenti all'«Intelletto», e inerenti in senso principiale all'Essenza divina. Del resto, tutta la disputa filosofica sugli «universali» deriva da una confusione tra  gli archetipi e i loro riflessi puramente mentali. Le idee generali, in quanto forme mentali, sono evidentemente soltanto pure astrazioni; ma tale costatazione non scalfisce minimamente gli archetipi o «idee» di Platone, dato che queste sono semplicemente possibilità o disposizioni intellettuali, possibilità che le «astrazioni» presuppongono e senza le quali non avrebbero alcuna verità intrinseca. Negare le «essenze immutabili», fonte di ogni conoscenza relativa, equivarrebbe a negare lo spazio col pretesto che non vi è forma spaziale. Difatti gli archetipi non si manifestano mai come tali, né nell'ordine sensibile né nell'ordine mentale; eppure ad essi si riconduce principialmente tutto ciò che è racchiuso in questi due ordini. Quando si cerca di afferrarli, indietreggiano davanti alla visione distintiva; si possono conoscere solo intuitivamente, sia muovendo dai loro simboli, sia per identificazione con l'Essenza divina.
Specifichiamo che l'espressione coranica dhikr significa «reminiscenza» nel senso platonico di conoscenza riflessa degli archetipi, tenendo presente che la parola dhikr vuoi dire letteralmente «menzione»; cosi, per esempio, il passo coranico: idhkurûnî adhkurkum (II, 152), si può tradurre: «Ricordatevi di Me, lo Mi ricorderò di voi», o: «MenzionateMi, Io vi menzionerò». È d'altronde con una «menzione» interiore che si evoca un ricordo; d'altra parte la trasposizione dal passato all’ordine principiale è conforme al simbolismo generale delle lingue semitiche: il passato remoto, in arabo, si. usa per espritnere l'azione atemporale di Dio. L'ambivalenza della parola dhikr ha una funzione importante nel linguaggio dei sufì, poiché riconduce l'«evocazione» delle Realtà essenziali al sitnbolismo sonoro delle formule d'«incantamento» o d'«invocazione» (dhikr)[2]. Dhikr indica del resto ogni forma di concentrazione sulla Presenza divina; il «ricordo» - o la «menzione» - supremo non è che l'identificazione con il Verbo divino, l'Archetipo degli archetipi.
È ovvio che la «reminiscenza» sufica, come la «reminiscenza» (μνημη) platonica non è di natura psicologica, bensì eminentemente intellettuale. Proprio per questo d'altronde i suoi ausili possono essere di natura elementare e soprattutto corporei; non vi è nulla di piu falso che considerare i metodi incantatori come una forma di adorazione piu «limitata» e dunque meno «cosciente», per esempio, della preghiera libera. Vi è un legame di analogia a rovescio tra l'ordine cosmico piu elementare e l'ordine spirituale piu elevato, e proprio per questo i mezzi che aiutano a trasformare la coscienza nello Spirito non-formale sono in rapporto con i grandi ritmi della natura, i moti degli astri, le onde del mare o l'ansima dell'amore e dell'agonia.



[1] Oriental Translation Fund N.S., vol. XVI, traduzione in inglese dal persiano di E.H. Whinfield e Mirza Muhammad Kazvîni. Questo libro, che è soprattutto un commento de La Sagesse des Prophètes di Ibn 'Arabî, può essere considerato come un riassunto della metafisica sufica. Nella traduzione la parola 'ayn (plurale a'yân) è talora tradotta «sostanza», il che si presta a molteplici confusioni; perciò preferiamo tradurla «essenza» o «possibilità principiale». Il termine arabo ha anche il significato di «occhio», «fonte», «essenza individuale».
[2] Analoghe al Mantra-Yoga (japa) degli Indù.

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