"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

mercoledì 8 luglio 2015

Titus Burckhardt, Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam, II - Fondamenti dottrinali - La Creazione

Titus Burckhardt
Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam 

II - Fondamenti dottrinali 
La Creazione
«Eccoti la prova della Sua onnipotenza,
che sia lodato: Egli si cela a te per mezzo di quanto
non ha esistenza al di fuori di Lui» .
(lbn Atâ’illâh al-Iskandarî. Hikam).

L'idea di creazione, che è comune alle tre religioni monotcistiche[1], contraddice apparentemente quella dell'Unità essenziale di tutti gli esseri, perché la creatio ex nihilo sembra negare la pre-esistenza delle possibilità nell'Essenza divina e conseguentemente anche la loro sussistenza in Essa, mentre l'Idea di manifestazione, come è insegnata dall'Induismo, pone in relazione gli esseri relativi con l'Essenza assoluta come altrettanti riflessi con la loro fonte luminosa.
Tuttavia, le due concezioni - o i due simbolismi – si avvicinano l'una all'altra se si considera che il significato metafisica del «nulla» ('udum), dove il Creatore «attinge» le cose, non può che essere quello della «non-esistenza», cioè di non-manifestazione o di stato principiale: poiché le possibilità contenute in modo principiate nell'Essenza divina non vi sono distinte come tali prima del loro dispiegamento in modo relativo, esse non sono neppure «esistenti» (mawjûd), dato che l'esistenza implica già una prima condizione ed una distinzione virtuale del «conoscente» e del «conosciuto». Quanto all'atto del «creare», secondo il significato dell'espressione araba khalaqa, è sinonimo eli «attribuire ad ogni cosa la propria misura», il che, trasposto nell'ordine metafisico, corrisponde alla prima determinazione (ta'ayyun) delle possibilità nell'Intelletto divino. Secondo questo significato della parola khalq, la «creazione» può essere considerata come precedente logicamente la «produzione all'esistenza» (ijâd) di queste stesse possibilità; la cosmogonia può essere cosi descritta: Dio «concepisce» prima le possibilità suscettibili di manifestazione in uno stato di perfetta simultaneità, attribuendo ad ognuna la sua «capacità» (qadr) di svilupparsi in modo relativo, poi le fa esistere[2] manifestandoSi (zahara) in esse. Dio, nella Sua qualità eli Creatore (Khâliq), opera quindi una scelta delle possibilità da manifestare. Cosi appare la creazione in quanto riferita alla Persona (an-Nafs) divina, concepita in analogia con la persona umana e indicata con attributi quali il Giudizio (al-hukm), la Volontà (al-irâdah) e l'Azione (al-fi’l); l'antropomorfismo di tali espressioni è solo un'«allusione» (ishârah) e non una limitazione della prospettiva menzionata. Esiste tuttavia una prospettiva metafisica piu ampia, che considera le cose in virtù dell'infinità dell'Essenza divina: rispetto all'Infinito, tutte le possibilità sono quelle che sono eternamente; cioè, nella Conoscenza divina, tutte le possibilità sono contenute cosi come sono, con ciò che ognuna di esse comporta di attualità permanente o relativa, e la scelta delle possibilità di manifestazione coincide perciò con la loro stessa natura; oppure secondo un aspetto complementare del precedente, l'Essere divino si manifesta Egli stesso secondo tutti i modi possibili[3] e non vi è limite alle possibilità divine.
In qualunque modo si voglia considerarlo, il mondo è in realtà la manifestazione di Dio a stesso, come afferma la sentenza sacra (hadîth qudsî)[4] che riconduce l'idea di creazione a quella di Conoscenza: «Ero un tesoro nascosto; ho voluto essere conosciuto (o: conoscere), e ho creato il mondo». Nel medesimo significato, i sufì paragonano l'Universo ad un insieme di specchi nei quali l'Essenza infinita si contempla in molteplici forme, o che riflettono a differenti livelli l'irradiazione (at-tajallî) dell'Essere unico; gli specchi simboleggiano le possibilità dell'Essenza (adh-Dhât) di autodeterminarsi, possibilità che Essa comporta in modo supremo in virtù della sua infinità (Kamâl); è questo almeno il significato puramente principiale degli specchi, giacché essi hanno anche il significato cosmologico di sostanze ricettive (qawâbil) rispetto all'Atto puro (al-Amr). In ambedue i casi si è in presenza di una polarità che nondimeno s'integra nell'Unità, dato che i due termini opposti si riconducono da un lato all'Essere divino (al-Wujûd), che altro non è se non la prima affermazione, perfetta e incondizionata, dell'Essenza (adh-Dhât)[5], e dall'altro, alle «possibilità principiali» (al-a'yan ath-thâbitah) che si riducono ugualmente all'Essenza, di cui sono soltanto «determinazioni» o «relazioni» (nisab) «non esistenti in quanto tali benché permanenti» (lbn 'Arabî, La Sagesse des Prophètes, cap. su Henoch).
Occorre comprendere bene che questa opposizione puramente logica dell'Essere e delle « possibilità principiali» non riguarda assolutamente entità cosmiche distinte, ma rappresenta in un certo senso una chiave speculativa per la reintegrazione di tutte le dualità possibili nell'Unità dell'Essenza; essa corrisponde nondimeno ad una precisa realtà metafisica. Quanto al simbolismo che vi si ricollega e che presenta l'Essere divino come una fonte di luce la cui «effusione» o «traboccamento» (al-fayd) si spande sulle possibilità, paragonate allo spazio tenebroso[6], non deve essere inteso come un’emanazione sostanziale, infatti l'Essere non può evidentemente uscire da sé stesso, poiché nulla è al di fuori di lui. L'essere rivela l'Essenza per affermazione, mentre le possibilità principiali si riconducono ad Essa in un certo senso, per negazione, giacché non sono altro che limitazioni, almeno nella misura in cui vengono staccate logicamente dall'Essere. «In verità, tutte le possibilità (mumkinât) si riducono in senso principiale alla non-esistenza ('udum)», scrive Ibn 'Arabî ne La Sagesse des Prophètes, «e non vi è Essere (o Esistenza) all'infuori dell'Essere di Dio, che sia lodato, (che si rivela) nelle ‘forme’ degli stati che derivano dalle possibilità come sono in sé stesse, nelle loro determinazioni essenziali» (capitolo su Giacobbe).
Tale distinzione tra l'Essere e le possibilità principiali o essenze immutabili, distinzione al limite del concepibile e che sfocia sull'Infinità divina, permette di considerare la manifestazione universale secondo due relazioni complementari, quella delle «autodeterminazioni» o «soggettivazioni» (ta'ayyunât) dell'Essenza e quella delle «rivelazioni» (tajalliyât) divine che appaiono nelle prime. L'Essere è concepito per integrazione, di modo che si riveli unico in ogni possibilità manifestata e solo in tutto, mentre le possibilità come tali fondano la diversità senza mai staccarsi essenzialmente
dall'Uno. Se la distinzione metafisica che abbiamo cosi stabilito è indiscutibile, e se può essere definita con espressioni logiche, tuttavia non si pone sul piano razionale; difatti la coincidenza dell'Essere (Wujûd) e delle possibilità principiali (a'yân) - che, secondo Ibn 'Arabî, «non hanno mai sentito il profumo dell'esistenza» - è altrettanto paradossale di quella dell'«esistenza» (Wujûd) e dell'«assenza» ('udum), e in ciò precisamente si esprime la «vacuità» delle cose - come dicono i Buddhisti - e contemporaneamente la loro natura di puri simboli.



[1] Usiamo il termine convenzionale in mancanza di meglio, giacché ogni autentica tradizione riconosce un unico principio supremo.
[2] Cosi il nome divino di Creatore (al-Khâliq) è ritenuto gerarchicamente superiore a quello di Produttore (al-Bâri), e questo è, a sua volta, superiore al nome di Colui-che-dà-la-forma (al-Muçawwir) - è l'ordine secondo cui i tre Nomi sono elencati nel Corano (LI X, 23) - giacché la forma è secondaria rispetto all'esistenza. Ciò dimostra, del resto, che la prima «determinazione» delle possibilità, secondo il significato metafisico del verbo khalaqa, non è formale.
[3] Conformemente a ciò, ogni «teoria della conoscenza» si riduce a due «definizioni» complementari ugualmente valide: o le cose appaiono in una conoscenza unica, presente in modo principiale in ogni essere, oppure ogni essere individuale «soggettiva» a suo modo un Essere unico e universale. Senza unicità di principio, non vi è alcuna conosccoza; lbn 'Arabî crive nelle Futûhât al-Mekkiyah che le essenze individuali (al-a'yân) si riflettono nell'Essere (al-Wujûd) divino, oppure che l'Essere divino si riflette nelle essenze individuali, secondo il punto di vista che si adotta.
[4] Sentenza del Profeta d'ispirazione divina.
[5] In stessa, l'Essenza è sottratta ad ogni determinazione, anche a quella dell'Essere (Wujûd); cioè Essa è contemporaneamente Essere e Non-Essere (Wujûd wa 'Udum) .
[6] Luce e spazio sono i due simboli piu diretti dell'Essere e della Possibilità.

Nessun commento:

Posta un commento