"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

lunedì 26 marzo 2018

Guénon René, Considerazioni sull'Iniziazione - XXXVI - Iniziazione e «servizio»

René Guénon
Considerazioni sull'Iniziazione

XXXVI - Iniziazione e «servizio»

Fra le caratteristiche delle organizzazioni pseudo-iniziatiche moderne forse non ce n’è una che sia più generalizzata e più sorprendente di quella costituita dal fatto di attribuire un valore esoterico e iniziatico a considerazioni che un senso più o meno accettabile possono realmente averlo soltanto nell’ambito exoterico; simile confusione, che bene s’accorda con l’uso di quelle immagini tratte dalla «vita ordinaria» di cui abbiamo trattato in precedenza, è del resto in qualche modo inevitabile da parte di profani che, volendo farsi passare per quel che non sono, hanno la pretesa di parlare di cose che non conoscono e di cui naturalmente si fanno un’idea che è a misura di quel che sono in grado di capire. 

Non meno naturalmente, le considerazioni di questo tipo sulle quali costoro insistono maggiormente sono sempre consonanti con le tendenze che predominano nell’epoca attuale, e le seguono persino nelle loro variazioni più o meno secondarie; ci si potrebbe chiedere, a tal proposito, come il fatto di subire in questo modo l’influsso del mondo profano possa conciliarsi con la minima pretesa iniziatica; ma è scontato che gli interessati non si accorgono assolutamente di quel che c’è di contraddittorio in un atteggiamento del genere. Sarebbe facile fare il nome di organizzazioni di questo tipo che al loro inizio davano l’illusione di una qualche sorta di intellettualità, perlomeno a chi non andasse al fondo delle cose, e in seguito hanno finito con il limitarsi sempre più alle peggiori banalità sentimentali; ed è evidente che questo prevalere del sentimentalismo non fa che corrispondere a quel che si può constatare altresì, al presente, nel «mondo esterno». Sia da una parte che dall’altra si incontrano del resto esattamente le stesse formule tanto vuote quanto magniloquenti, formule che sono l’effetto di quelle «suggestioni» alle quali facevamo allusione prima, anche se coloro che se ne servono non sono certo sempre personalmente consapevoli degli scopi a cui tendono tutte queste cose; e l’aspetto ridicolo che esse prendono agli occhi di chiunque sappia sia pur poco riflettere, assume proporzioni anche maggiori nel caso in cui esse servano per parodie di esoterismo. Tale apparenza di ridicolo è del resto un vero e proprio «marchio» delle influenze che agiscono realmente dietro tutto ciò, quand’anche coloro che vi obbediscono siano ben lontani dal sospettarlo; non vogliamo però qui dilungarci su queste osservazioni d’ordine generale; quel che intendiamo invece è soltanto prendere in esame un caso che ci sembra particolarmente significativo, e che per di più si riconduce in certo qual modo a quel che dicevamo poco fa a proposito della «passività».
Nella speciale fraseologia delle organizzazioni in questione ci sono alcune parole che ritornano uniformemente con insistenza sempre crescente: queste parole sono «servizio» e «servitori»; esse si ritrovano sempre più frequentemente dappertutto e a ogni proposito; si tratta di una specie di ossessione, ed è legittimo chiedersi a quale tipo di «suggestione» possano questa volta corrispondere. È indubbio che in questo loro uso entri in parte la mania occidentale dell’«umiltà», o per lo meno, per parlare più esattamente, della sua esibizione esteriore, giacché la realtà può essere assai diversa, come quando – negli stessi ambienti – le dispute più violente e più cariche d’odio si accompagnano a grandi discorsi sulla «fraternità universale». Va da sé, d’altronde, che in questo caso si tratta di un’«umiltà» tutta «laica» e «democratica», in perfetto accordo con un «ideale» che consiste, non nell’elevare l’inferiore nella misura in cui ne sia capace, ma nell’abbassare – al contrario – il superiore al suo livello; è chiaro, infatti, che occorre essere compenetrati da questo «ideale» moderno, essenzialmente antigerarchico, per non accorgersi di quanto c’è di sgradevole in espressioni simili, anche se può capitare che le intenzioni che soggiacciono a esse siano del tutto lodevoli di per se stesse; indubbiamente bisognerebbe – sotto questo profilo – distinguere tra le applicazioni diversissime che possono esserne fatte, ma quel che qui ci importa è esclusivamente lo stato d’animo che le parole usate tradiscono.
A ogni buon conto, se queste considerazioni generali sono ugualmente valide in tutti i casi, esse non sono sufficienti quando si tratti più in particolare di pseudo-iniziazione; esiste in questo caso, in più, una confusione dovuta da un lato alla preponderanza che i moderni attribuiscono all’azione, e dall’altro a quella che essi assegnano al punto di vista sociale, fattori che li spingono a immaginare che queste cose debbano intervenire anche in un ambito con il quale esse non hanno nulla a che fare. Per uno di quegli strani capovolgimenti di ogni ordine normale ai quali è abituata la nostra epoca, le attività più esteriori finiscono con l’essere ritenute condizioni essenziali dell’iniziazione, a volte addirittura come il suo stesso scopo, giacché, per quanto incredibile ciò possa essere, c’è qualcuno che nell’iniziazione non vede altro che un mezzo per meglio «servire»; e – si noti bene – la circostanza aggravante, in questo caso, è che tali attività sono di fatto concepite nel modo più profano, private come sono del carattere tradizionale, anche se naturalmente del tutto exoterico, che potrebbero per lo meno rivestire se fossero intese secondo un punto di vista religioso; sennonché, tra la religione e il semplice moralismo «umanitario» che è caratteristico degli pesudo-iniziati d’ogni categoria vi è sicuramente un bel po’ di differenza!
Sotto un altro aspetto, è incontestabile che il sentimentalismo, in tutte le sue forme, disponga sempre a una certa «passività»; è attraverso questa constatazione che ci riportiamo alla questione da noi trattata in precedenza, ed è altresì per sua virtù che si trova, molto probabilmente, la principale ragion d’essere della «suggestione» che stiamo prendendo in esame ora, e in tutti i casi quella che la rende particolarmente pericolosa. In effetti, a forza di ripetere a qualcuno che deve «servire» qualunque cosa, fossero anche vaghe entità «ideali», si finisce con il provocare in lui disposizioni tali da renderlo disposto a «servire» di fatto, quando gli se ne presenterà l’occasione, tutto quel che pretenderà di incarnare simili entità, o di rappresentarle in maniera più positiva; e gli ordini che potrà riceverne, quale ne sia il carattere, e quand’anche si tratti delle peggiori stravaganze, troveranno in lui allora l’obbedienza di un vero «servitore». Si comprenderà senza fatica come questo sia uno dei mezzi migliori che sia possibile escogitare per preparare strumenti che la contro-iniziazione potrà utilizzare a suo piacimento; e, per sovrammercato, esso ha inoltre il vantaggio di essere uno dei meno compromettenti, poiché la «suggestione», in casi del genere, può benissimo venire esercitata da illusi qualsiasi, ovverosia da altri strumenti incoscienti, senza che coloro che li dirigono a loro insaputa abbiano mai bisogno di apparire direttamente.
E non ci si venga a obiettare che dov’è questione di «servizio» si potrebbe in fin dei conti trattare di quella che la tradizione indù chiamerebbe una via di bhakti; nonostante la presenza dell’elemento sentimentale che quest’ultima implica in certa misura (senza però che tale elemento degeneri mai in «sentimentalismo») essa è tutta un’altra cosa; e anche quando si voglia rendere bhakti, in qualche lingua occidentale, con «devozione», come si fa nella maggior parte dei casi, anche se si tratta al massimo di un’accezione derivata e se il significato principale ed essenziale di tale parola è in realtà quello di «partecipazione», come indicato da Ananda K. Coomaraswamy, «devozione» non vuol dire «servizio», o, per lo meno, si tratterà esclusivamente di «servizio divino» e non – come dicevamo poco fa – «servizio» a favore di chicchessia o di qualsivoglia cosa. Quanto al «servizio» di un guru, se proprio si voglia usare questo termine, là dove la cosa esiste, esso va inteso – è il caso di ripeterlo – soltanto a titolo di disciplina preparatoria, concernente esclusivamente quelli che potrebbero esser detti gli «aspiranti», e non assolutamente coloro che siano già arrivati a un’iniziazione effettiva; e questo mostra nuovamente come il carattere di alta finalità spirituale così stranamente attribuito dagli pseudo-iniziati al «servizio» sia ben lontano dall’essere reale. E per finire, visto che occorre sforzarsi di prevedere tutte le obiezioni possibili, per quanto riguarda i legami che esistono tra i membri di un’organizzazione iniziatica, evidentemente non si può attribuire il nome di «servizio» all’aiuto che il superiore porta in quanto tale all’inferiore, né più genericamente a rapporti nel corso dei quali la duplice gerarchia dei gradi e delle funzioni – sulla quale torneremo nuovamente in seguito – deve essere sempre rigorosamente osservata.
Non ci dilungheremo di più su questo argomento, tutto sommato piuttosto sgradevole; sennonché abbiamo creduto che fosse necessario – vedendo a quanti «servizi» diversi e sospetti la gente è oggi invitata da tutte le parti – segnalare il pericolo che si nasconde dietro a tutto questo, e dire il più chiaramente possibile come stiano a tal proposito veramente le cose. Per concludere in due parole aggiungeremo soltanto questo: l’iniziato non ha da essere un «servitore», o, per lo meno, non ha da esserlo se non nei confronti della Verità[1].




[1]
In arabo el-Haqq il quale è – occorre non dimenticarlo – uno dei principali nomi divini.

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