René Guénon
Considerazioni sull'Iniziazione
XXXI - Sull’insegnamento iniziatico
Dobbiamo tornare nuovamente sui caratteri che sono propri dell’insegnamento iniziatico, caratteri secondo i quali esso si distingue profondamente da qualsiasi insegnamento profano; si tratterà qui di quella che può esser detta l’esteriorità di tale insegnamento, ovverosia dei mezzi d’espressione attraverso i quali esso può venir trasmesso in una certa misura e fino a un certo punto, a titolo di preparazione al lavoro puramente interiore in grazia del quale l’iniziazione, da virtuale che era alla sua partenza, diventerà più o meno completamente effettiva.
Molta gente, che non si rende conto di quel che dev’essere realmente l’insegnamento iniziatico, non vede in esso nulla più, quale particolarità degna di nota, dell’uso del simbolismo; se è verissimo che quest’ultimo riveste in essa una funzione essenziale, occorre però sapere perché le cose stiano così; ora, costoro, esaminandole in modo del tutto superficiale e fermandosi alle apparenze e alle forme esteriori non comprendono assolutamente la ragion d’essere e ‑ si potrebbe dire ‑ financo la necessità del simbolismo, simbolismo che, in tali condizioni, non possono che trovare strano e per lo meno inutile. Essi pensano in effetti che la dottrina iniziatica non sia altro, in fondo, se non una filosofia come le altre, forse un po’ diversa, certo, nei suoi metodi, ma a ogni buon conto niente di più, giacché la loro mentalità è siffatta da renderli incapaci di concepire null’altro; ora, per le ragioni che abbiamo esposto in precedenza, è ben certo che la filosofia non ha nulla a che vedere con il simbolismo, e in un certo qual senso gli si oppone addirittura. Quelli stessi che, nonostante questo abbaglio, acconsentiranno comunque a riconoscere all’insegnamento di una dottrina simile un qualche valore sotto questo o quel profilo, e per motivi qualsiasi, che abitualmente di iniziatico non hanno nulla, anche loro non potranno mai riuscire se non a pensarlo al massimo come una specie di prolungamento dell’insegnamento profano, una sorta di complemento dell’«educazione» ordinaria, a uso di una élite relativa[1]. Ora, forse è ancor meglio che si neghi totalmente il suo valore ‑ cosa che equivale in fondo a ignorarlo in modo puro e semplice ‑ piuttosto che lo si sminuisca in questo modo, e troppo spesso si presenti sotto il suo nome e in suo luogo l’espressione di modi di vedere qualsivogliano, più o meno coordinati, su ogni sorta di cose che, in realtà, non sono iniziatiche né in se stesse, né per il modo in cui vengono trattate; tutto ciò costituisce quella deviazione del lavoro «speculativo» alla quale abbiamo già fatto allusione.
Esiste anche un’altra maniera di intendere l’insegnamento iniziatico, maniera che è non meno falsa della precedente, anche se in apparenza esattamente opposta: è quella che consiste nel volerlo contrapporre all’insegnamento profano, quasi che esso si situasse in certo qual modo allo stesso livello, attribuendogli come oggetto una certa scienza particolare, più o meno vagamente definita, in tutte le occasioni posta in contraddizione e in conflitto con le altre scienze, anche se sempre dichiarata superiore a queste ultime per ipotesi e senza che le ragioni ne siano mai nettamente messe in chiaro. Questo modo di vedere è soprattutto quello degli occultisti e di altri pseudo-iniziati, i quali però sono in realtà lontani dal dispregiare l’insegnamento profano tanto quanto dicono, giacché da esso prendono non pochi imprestiti più o meno mascherati, e per di più, tale loro atteggiamento di opposizione non va molto d’accordo con la costante preoccupazione che mettono in mostra, sotto un altro riguardo, di trovare dei punti di accordo tra la dottrina tradizionale ‑ o di quella che ritengono sia tale ‑ e le scienze moderne; in fondo, quel che è vero è che opposizione e confronto presuppongono che si tratti di cose della stessa natura. Qui siamo di fronte a un duplice errore: da un lato, è la confusione della conoscenza iniziatica con lo studio di una scienza tradizionale più o meno secondaria (sia essa la magia o qualunque altra cosa di tal genere), e, dall’altro, l’ignoranza di quel che costituisce la differenza essenziale tra il punto di vista delle scienze tradizionali e quello delle scienze profane; sennonché, dopo tutto quel che abbiamo già detto, non è il caso di insistere ulteriormente su questo argomento.
Ora, se l’insegnamento iniziatico non è né il prolungamento dell’insegnamento profano, come vorrebbero gli uni, né la sua antitesi, come sostengono gli altri, se non costituisce né un sistema filosofico né una scienza speciale, la ragione ne è che esso in realtà ha una natura del tutto diversa; non è però il caso di cercare di fornirne una definizione in modo proprio, perché questo equivarrebbe nuovamente a deformarlo in modo inevitabile. L’uso costante del simbolismo nella trasmissione di questo insegnamento può già bastare per fare intravedere che le cose stanno così quando si ammetta, com’è semplicemente logico fare senza eppure andare più a fondo nella questione, che un modo di espressione del tutto differente dal linguaggio comune deve esser fatto per esprimere idee anch’esse diverse da quelle che esprime quest’ultimo, e concezioni che non si lasciano tradurre integralmente da parole, concezioni per le quali occorre un linguaggio meno circoscritto, più universale, in quanto sono anch’esse di un genere più universale. Bisogna inoltre aggiungere che, se le concezioni iniziatiche sono essenzialmente diverse alle concezioni profane, è per il fatto che procedono innanzi tutto da una mentalità diversa da quella da cui discendono queste ultime[2], dalle quali differiscono più per il punto di vista dal quale prendono in considerazione il loro oggetto che dall’oggetto esaminato; d’altronde così è necessariamente dal momento che questo oggetto non può essere «specialistico», perché se fosse tale ciò equivarrebbe a pretendere di imporre alla conoscenza iniziatica una limitazione che è incompatibile con la sua stessa natura.
È di conseguenza facile ammettere che, da un lato, tutto quel che può essere preso in considerazione dal punto di vista profano può esserlo anche ‑ ma allora in modo totalmente diverso e con un’altra comprensione ‑ dal punto di vista iniziatico (giacché, come spesso abbiamo detto, in realtà non esiste una sfera profana alla quale per loro natura propria appartengano certe cose, ma solo un punto di vista profano, punto di vista che in fondo non è che un modo illegittimo e deviato di vedere le cose)[3], mentre, da un altro lato, ci sono cose che sfuggono totalmente a ogni punto di vista profano[4] e sono esclusivamente proprie al solo ambito iniziatico.
Che il simbolismo ‑ il quale è in qualche modo la forma sensibile di ogni insegnamento iniziatico ‑ sia in effetti realmente un linguaggio più universale che non i linguaggi comuni, è cosa che abbiamo già spiegato in precedenza, e non ha luogo di dubitarne un solo istante se si pensa soltanto che ogni simbolo è capace di interpretazioni multiple, che non entrano minimamente in conflitto tra di loro, ma si completano al contrario le une con le altre, e sono tutte ugualmente vere quantunque discendano da punti di vista differenti; e se le cose così stanno, è evidentemente perché il simbolo è meno l’espressione di un’idea precisamente definita e delimitata (al modo delle idee «chiare e distinte» della filosofia cartesiana, ritenute integralmente esprimibili da parole) di quanto non sia la rappresentazione sintetica e schematica di tutto un insieme di idee e concezioni che ciascuno potrà afferrare secondo le sue proprie attitudini intellettuali e nella misura in cui sia preparato alla loro comprensione. Di conseguenza, il simbolo, a chi riuscirà a penetrare il suo significato profondo, potrà far concepire incomparabilmente di più di tutto quel che è possibile esprimere direttamente; è per questa ragione che esso è il solo mezzo adatto a trasmettere ‑ per quanto si possa ‑ tutto quell’inesprimibile che costituisce l’ambito vero e proprio dell’iniziazione, o meglio, per parlare più rigorosamente, a deporre le concezioni di quest’ordine, in germe, nell’intelletto dell’iniziato, il quale dovrà poi farle passare dalla potenza all’atto, e svilupparle ed elaborarle con il suo lavoro personale, giacché nessuno può fare null’altro che non sia prepararlo a tale lavoro, tracciando per lui, con formule appropriate, il piano che competerà a lui di realizzare in se stesso per giungere al possesso effettivo di quell’iniziazione che dall’esterno ha ricevuto solo virtualmente. E non bisogna dimenticare, inoltre, che se l’iniziazione simbolica, la quale non è che la base e il supporto dell’iniziazione effettiva, è necessariamente la sola che possa venir conferita esteriormente, essa può essere almeno conservata e trasmessa anche da chi non ne comprenda né il significato né la portata; è sufficiente che i simboli siano conservati inalterati perché siano sempre capaci di risvegliare, in colui che ne è atto, tutte le concezioni di cui raffigurano la sintesi. È in ciò ‑ lo ricordiamo ancora una volta ‑ che risiede il vero segreto iniziatico, che è per sua natura inviolabile e si difende da solo contro la curiosità dei profani, e del quale il segreto relativo di certi segni esteriori è solamente una raffigurazione simbolica; tale segreto ciascuno potrà penetrarlo di più o di meno secondo l’ampiezza del suo orizzonte intellettuale, ma quand’anche l’abbia penetrato integralmente non potrà mai comunicare effettivamente a un altro quel che ne avrà compreso egli stesso; potrà al massimo aiutare a giungere a tale comprensione quei soli che ne sono attualmente capaci.
Questo non impedisce assolutamente che le forme sensibili che sono in uso per la trasmissione dell’iniziazione esteriore e simbolica abbiano ‑ anche al di fuori della loro funzione essenziale di supporto e veicolo dell’influenza spirituale ‑ il loro valore proprio in quanto mezzo di insegnamento; a tal riguardo, può esser rilevato (e ciò ci riconduce alla connessione intima che c’è tra il simbolo e il rito) che esse traducono i simboli fondamentali in gesti, assumendo tale parola nel senso più ampio, come da noi fatto precedentemente, e che ‑ in tal modo ‑ esse fanno in certa qual maniera «vivere» all’iniziato l’insegnamento che gli è proposto[5], che è il modo più adeguato e il più generalmente applicabile di preparargliene l’assimilazione, giacché tutte le manifestazioni dell’individualità umana si traducono necessariamente, nelle sue attuali condizioni di esistenza, in modi diversi dell’attività vitale. Non è però il caso, con questo, che si pretenda di fare della vita, come molti moderni vorrebbero, una sorta di principio assoluto; l’espressione di un’idea in modo vitale non è dopo tutto se non un simbolo come gli altri, allo stesso titolo a cui lo è, ad esempio, la sua traduzione in modo spaziale, la quale costituisce un simbolo geometrico o un ideogramma; sennonché essa è, si potrebbe dire, un simbolo che, per la sua natura particolare, è capace di penetrare più immediatamente d’ogni altro all’interno dell’individualità umana. In fondo, se ogni processo di iniziazione presenta nelle sue diverse fasi una corrispondenza sia con la vita umana individuale, sia addirittura con l’insieme della vita terrestre, la ragione ne è che lo sviluppo della manifestazione vitale stessa, particolare o generale, «microcosmica» o «macrocosmica», si effettua secondo un piano analogo a quello che l’iniziato deve realizzare in se stesso, per realizzare se stesso nell’espansione completa di tutte le potenzialità del suo essere. Si tratta sempre e dappertutto di piani corrispondenti a una stessa concezione sintetica, per modo che essi sono principialmente identici, e quantunque tutti differenti l’uno dall’altro e variati in modo indefinito nella loro realizzazione, essi procedono da un «archetipo» unico, piano universale tracciato dalla Volontà suprema che è simbolicamente indicata come il «Grande Architetto dell’Universo».
Conseguentemente, ogni essere tende, in modo cosciente o no, a realizzare, con mezzi appropriati alla sua particolare natura, quello che le forme iniziatiche occidentali, fondandosi sul simbolismo «costruttivo», chiamano il «piano del Grande Architetto dell’Universo»[6], e a concorrere con ciò, secondo la funzione che gli si addice nell’insieme cosmico, alla realizzazione totale di questo stesso piano, realizzazione che altro non è, tutto sommato, se non l’universalizzazione della sua propria realizzazione personale. È nel punto preciso del suo sviluppo in cui un essere prende realmente coscienza di tale finalità che incomincia per lui l’iniziazione effettiva, la quale dovrà condurlo per gradi, e secondo la sua via personale, a quella realizzazione integrale che si compie, non attraverso lo sviluppo isolato di determinate facoltà speciali, ma mediante lo sviluppo completo, armonico e gerarchico, di tutte le possibilità implicate nell’essenza di quest’essere. D’altronde, poiché la fine è necessariamente la stessa per tutto ciò che ha uno stesso principio, è nei mezzi impiegati per arrivarvi che risiede esclusivamente quel che è proprio a ciascun essere, considerato entro i limiti della speciale funzione che è determinata per lui dalla sua natura individuale e che, quale essa sia, deve essere vista come un elemento necessario dell’ordine universale e totale; e, per la stessa natura delle cose, simile diversità delle vie particolari persiste finché non sia effettivamente oltrepassato l’ambito delle possibilità individuali.
Di conseguenza, l’istruzione iniziatica, intesa nella sua universalità, deve comprendere, a guisa di altrettante applicazioni, in varietà indefinita, di uno stesso principio trascendente, tutte le vie di realizzazione che sono proprie, non soltanto di ciascuna categoria di esseri, ma altresì di ciascun essere individuale preso in particolare; e, comprendendole in tal modo tutte in se stessa, essa le totalizza e le sintetizza nell’unità assoluta della Via universale[7]. Per cui, se i principi dell’iniziazione sono immutabili, le sue modalità possono, e devono, variare in modo da adattarsi alle condizioni molteplici e relative dell’esistenza manifestata, condizioni la cui diversità fa sì che, in qualche modo matematicamente, non possano esserci due cose identiche in tutto l’universo, come già abbiamo spiegato in altre occasioni[8]. Si può perciò dire che è impossibile che ci siano, per due individui diversi, due iniziazioni esattamente simili, financo dal punto di vista esteriore e rituale, e a maggior ragione dal punto di vista del lavoro interiore dell’iniziato; l’unità e l’immutabilità del principio non esigono affatto una uniformità e una immobilità che del resto sono di fatto irrealizzabili, e che, in realtà, non rappresentano se non il loro riflesso «invertito» al grado più basso della manifestazione; e la verità è che l’insegnamento iniziatico, implicando un adattamento alla diversità indefinita delle nature individuali, si oppone con ciò all’uniformità che l’insegnamento profano considera al contrario come suo «ideale». Le modificazioni di cui si tratta si limitano del resto, beninteso, alla traduzione esteriore della conoscenza iniziatica e alla sua assimilazione da parte di questa o di quell’individualità, perché, nella misura in cui una simile traduzione è possibile, essa deve necessariamente tener conto delle relatività e delle contingenze, mentre ciò che essa esprime ne è indipendente nell’universalità della sua essenza principiale, giacché comprende tutte le possibilità nella simultaneità di un’unica sintesi.
L’insegnamento iniziatico, esteriore e trasmissibile in forme, in realtà non è, e non può essere – l’abbiamo già detto e vi insistiamo nuovamente –, se non una preparazione dell’individuo ad acquisire la vera conoscenza iniziatica per effetto del suo lavoro personale. Si potrà così indicargli la via da seguire, il piano da realizzare, e disporlo ad assumere l’atteggiamento mentale e intellettuale necessari per arrivare a una comprensione effettiva e non semplicemente teorica; si potrà inoltre assisterlo e guidarlo controllandone il lavoro in modo costante, ma questo è tutto, perché nessun altro, foss’anche un «Maestro» nell’accezione più completa della parola[9], può fare questo lavoro per lui. Quel che l’iniziato deve necessariamente acquisire da sé, perché né nessuno né nulla di esterno a lui possono comunicarglielo, è in definitiva il possesso effettivo del segreto iniziatico propriamente detto; perché possa riuscire a realizzare questo possesso in tutta la sua estensione e con tutto ciò che essa implica, occorre che l’insegnamento che serve in qualche modo come base e come supporto per il suo lavoro personale sia costituito in modo tale da aprirsi su possibilità realmente illimitate, e gli permetta così di estendere indefinitamente le sue concezioni, insieme in larghezza e in profondità, invece di circoscriverle, come fa ogni punto di vista profano, entro i limiti più o meno ristretti di una teoria sistematica o di una formula verbale qualunque.
XXXI - Sull’insegnamento iniziatico
Dobbiamo tornare nuovamente sui caratteri che sono propri dell’insegnamento iniziatico, caratteri secondo i quali esso si distingue profondamente da qualsiasi insegnamento profano; si tratterà qui di quella che può esser detta l’esteriorità di tale insegnamento, ovverosia dei mezzi d’espressione attraverso i quali esso può venir trasmesso in una certa misura e fino a un certo punto, a titolo di preparazione al lavoro puramente interiore in grazia del quale l’iniziazione, da virtuale che era alla sua partenza, diventerà più o meno completamente effettiva.
Molta gente, che non si rende conto di quel che dev’essere realmente l’insegnamento iniziatico, non vede in esso nulla più, quale particolarità degna di nota, dell’uso del simbolismo; se è verissimo che quest’ultimo riveste in essa una funzione essenziale, occorre però sapere perché le cose stiano così; ora, costoro, esaminandole in modo del tutto superficiale e fermandosi alle apparenze e alle forme esteriori non comprendono assolutamente la ragion d’essere e ‑ si potrebbe dire ‑ financo la necessità del simbolismo, simbolismo che, in tali condizioni, non possono che trovare strano e per lo meno inutile. Essi pensano in effetti che la dottrina iniziatica non sia altro, in fondo, se non una filosofia come le altre, forse un po’ diversa, certo, nei suoi metodi, ma a ogni buon conto niente di più, giacché la loro mentalità è siffatta da renderli incapaci di concepire null’altro; ora, per le ragioni che abbiamo esposto in precedenza, è ben certo che la filosofia non ha nulla a che vedere con il simbolismo, e in un certo qual senso gli si oppone addirittura. Quelli stessi che, nonostante questo abbaglio, acconsentiranno comunque a riconoscere all’insegnamento di una dottrina simile un qualche valore sotto questo o quel profilo, e per motivi qualsiasi, che abitualmente di iniziatico non hanno nulla, anche loro non potranno mai riuscire se non a pensarlo al massimo come una specie di prolungamento dell’insegnamento profano, una sorta di complemento dell’«educazione» ordinaria, a uso di una élite relativa[1]. Ora, forse è ancor meglio che si neghi totalmente il suo valore ‑ cosa che equivale in fondo a ignorarlo in modo puro e semplice ‑ piuttosto che lo si sminuisca in questo modo, e troppo spesso si presenti sotto il suo nome e in suo luogo l’espressione di modi di vedere qualsivogliano, più o meno coordinati, su ogni sorta di cose che, in realtà, non sono iniziatiche né in se stesse, né per il modo in cui vengono trattate; tutto ciò costituisce quella deviazione del lavoro «speculativo» alla quale abbiamo già fatto allusione.
Esiste anche un’altra maniera di intendere l’insegnamento iniziatico, maniera che è non meno falsa della precedente, anche se in apparenza esattamente opposta: è quella che consiste nel volerlo contrapporre all’insegnamento profano, quasi che esso si situasse in certo qual modo allo stesso livello, attribuendogli come oggetto una certa scienza particolare, più o meno vagamente definita, in tutte le occasioni posta in contraddizione e in conflitto con le altre scienze, anche se sempre dichiarata superiore a queste ultime per ipotesi e senza che le ragioni ne siano mai nettamente messe in chiaro. Questo modo di vedere è soprattutto quello degli occultisti e di altri pseudo-iniziati, i quali però sono in realtà lontani dal dispregiare l’insegnamento profano tanto quanto dicono, giacché da esso prendono non pochi imprestiti più o meno mascherati, e per di più, tale loro atteggiamento di opposizione non va molto d’accordo con la costante preoccupazione che mettono in mostra, sotto un altro riguardo, di trovare dei punti di accordo tra la dottrina tradizionale ‑ o di quella che ritengono sia tale ‑ e le scienze moderne; in fondo, quel che è vero è che opposizione e confronto presuppongono che si tratti di cose della stessa natura. Qui siamo di fronte a un duplice errore: da un lato, è la confusione della conoscenza iniziatica con lo studio di una scienza tradizionale più o meno secondaria (sia essa la magia o qualunque altra cosa di tal genere), e, dall’altro, l’ignoranza di quel che costituisce la differenza essenziale tra il punto di vista delle scienze tradizionali e quello delle scienze profane; sennonché, dopo tutto quel che abbiamo già detto, non è il caso di insistere ulteriormente su questo argomento.
Ora, se l’insegnamento iniziatico non è né il prolungamento dell’insegnamento profano, come vorrebbero gli uni, né la sua antitesi, come sostengono gli altri, se non costituisce né un sistema filosofico né una scienza speciale, la ragione ne è che esso in realtà ha una natura del tutto diversa; non è però il caso di cercare di fornirne una definizione in modo proprio, perché questo equivarrebbe nuovamente a deformarlo in modo inevitabile. L’uso costante del simbolismo nella trasmissione di questo insegnamento può già bastare per fare intravedere che le cose stanno così quando si ammetta, com’è semplicemente logico fare senza eppure andare più a fondo nella questione, che un modo di espressione del tutto differente dal linguaggio comune deve esser fatto per esprimere idee anch’esse diverse da quelle che esprime quest’ultimo, e concezioni che non si lasciano tradurre integralmente da parole, concezioni per le quali occorre un linguaggio meno circoscritto, più universale, in quanto sono anch’esse di un genere più universale. Bisogna inoltre aggiungere che, se le concezioni iniziatiche sono essenzialmente diverse alle concezioni profane, è per il fatto che procedono innanzi tutto da una mentalità diversa da quella da cui discendono queste ultime[2], dalle quali differiscono più per il punto di vista dal quale prendono in considerazione il loro oggetto che dall’oggetto esaminato; d’altronde così è necessariamente dal momento che questo oggetto non può essere «specialistico», perché se fosse tale ciò equivarrebbe a pretendere di imporre alla conoscenza iniziatica una limitazione che è incompatibile con la sua stessa natura.
È di conseguenza facile ammettere che, da un lato, tutto quel che può essere preso in considerazione dal punto di vista profano può esserlo anche ‑ ma allora in modo totalmente diverso e con un’altra comprensione ‑ dal punto di vista iniziatico (giacché, come spesso abbiamo detto, in realtà non esiste una sfera profana alla quale per loro natura propria appartengano certe cose, ma solo un punto di vista profano, punto di vista che in fondo non è che un modo illegittimo e deviato di vedere le cose)[3], mentre, da un altro lato, ci sono cose che sfuggono totalmente a ogni punto di vista profano[4] e sono esclusivamente proprie al solo ambito iniziatico.
Che il simbolismo ‑ il quale è in qualche modo la forma sensibile di ogni insegnamento iniziatico ‑ sia in effetti realmente un linguaggio più universale che non i linguaggi comuni, è cosa che abbiamo già spiegato in precedenza, e non ha luogo di dubitarne un solo istante se si pensa soltanto che ogni simbolo è capace di interpretazioni multiple, che non entrano minimamente in conflitto tra di loro, ma si completano al contrario le une con le altre, e sono tutte ugualmente vere quantunque discendano da punti di vista differenti; e se le cose così stanno, è evidentemente perché il simbolo è meno l’espressione di un’idea precisamente definita e delimitata (al modo delle idee «chiare e distinte» della filosofia cartesiana, ritenute integralmente esprimibili da parole) di quanto non sia la rappresentazione sintetica e schematica di tutto un insieme di idee e concezioni che ciascuno potrà afferrare secondo le sue proprie attitudini intellettuali e nella misura in cui sia preparato alla loro comprensione. Di conseguenza, il simbolo, a chi riuscirà a penetrare il suo significato profondo, potrà far concepire incomparabilmente di più di tutto quel che è possibile esprimere direttamente; è per questa ragione che esso è il solo mezzo adatto a trasmettere ‑ per quanto si possa ‑ tutto quell’inesprimibile che costituisce l’ambito vero e proprio dell’iniziazione, o meglio, per parlare più rigorosamente, a deporre le concezioni di quest’ordine, in germe, nell’intelletto dell’iniziato, il quale dovrà poi farle passare dalla potenza all’atto, e svilupparle ed elaborarle con il suo lavoro personale, giacché nessuno può fare null’altro che non sia prepararlo a tale lavoro, tracciando per lui, con formule appropriate, il piano che competerà a lui di realizzare in se stesso per giungere al possesso effettivo di quell’iniziazione che dall’esterno ha ricevuto solo virtualmente. E non bisogna dimenticare, inoltre, che se l’iniziazione simbolica, la quale non è che la base e il supporto dell’iniziazione effettiva, è necessariamente la sola che possa venir conferita esteriormente, essa può essere almeno conservata e trasmessa anche da chi non ne comprenda né il significato né la portata; è sufficiente che i simboli siano conservati inalterati perché siano sempre capaci di risvegliare, in colui che ne è atto, tutte le concezioni di cui raffigurano la sintesi. È in ciò ‑ lo ricordiamo ancora una volta ‑ che risiede il vero segreto iniziatico, che è per sua natura inviolabile e si difende da solo contro la curiosità dei profani, e del quale il segreto relativo di certi segni esteriori è solamente una raffigurazione simbolica; tale segreto ciascuno potrà penetrarlo di più o di meno secondo l’ampiezza del suo orizzonte intellettuale, ma quand’anche l’abbia penetrato integralmente non potrà mai comunicare effettivamente a un altro quel che ne avrà compreso egli stesso; potrà al massimo aiutare a giungere a tale comprensione quei soli che ne sono attualmente capaci.
Questo non impedisce assolutamente che le forme sensibili che sono in uso per la trasmissione dell’iniziazione esteriore e simbolica abbiano ‑ anche al di fuori della loro funzione essenziale di supporto e veicolo dell’influenza spirituale ‑ il loro valore proprio in quanto mezzo di insegnamento; a tal riguardo, può esser rilevato (e ciò ci riconduce alla connessione intima che c’è tra il simbolo e il rito) che esse traducono i simboli fondamentali in gesti, assumendo tale parola nel senso più ampio, come da noi fatto precedentemente, e che ‑ in tal modo ‑ esse fanno in certa qual maniera «vivere» all’iniziato l’insegnamento che gli è proposto[5], che è il modo più adeguato e il più generalmente applicabile di preparargliene l’assimilazione, giacché tutte le manifestazioni dell’individualità umana si traducono necessariamente, nelle sue attuali condizioni di esistenza, in modi diversi dell’attività vitale. Non è però il caso, con questo, che si pretenda di fare della vita, come molti moderni vorrebbero, una sorta di principio assoluto; l’espressione di un’idea in modo vitale non è dopo tutto se non un simbolo come gli altri, allo stesso titolo a cui lo è, ad esempio, la sua traduzione in modo spaziale, la quale costituisce un simbolo geometrico o un ideogramma; sennonché essa è, si potrebbe dire, un simbolo che, per la sua natura particolare, è capace di penetrare più immediatamente d’ogni altro all’interno dell’individualità umana. In fondo, se ogni processo di iniziazione presenta nelle sue diverse fasi una corrispondenza sia con la vita umana individuale, sia addirittura con l’insieme della vita terrestre, la ragione ne è che lo sviluppo della manifestazione vitale stessa, particolare o generale, «microcosmica» o «macrocosmica», si effettua secondo un piano analogo a quello che l’iniziato deve realizzare in se stesso, per realizzare se stesso nell’espansione completa di tutte le potenzialità del suo essere. Si tratta sempre e dappertutto di piani corrispondenti a una stessa concezione sintetica, per modo che essi sono principialmente identici, e quantunque tutti differenti l’uno dall’altro e variati in modo indefinito nella loro realizzazione, essi procedono da un «archetipo» unico, piano universale tracciato dalla Volontà suprema che è simbolicamente indicata come il «Grande Architetto dell’Universo».
Conseguentemente, ogni essere tende, in modo cosciente o no, a realizzare, con mezzi appropriati alla sua particolare natura, quello che le forme iniziatiche occidentali, fondandosi sul simbolismo «costruttivo», chiamano il «piano del Grande Architetto dell’Universo»[6], e a concorrere con ciò, secondo la funzione che gli si addice nell’insieme cosmico, alla realizzazione totale di questo stesso piano, realizzazione che altro non è, tutto sommato, se non l’universalizzazione della sua propria realizzazione personale. È nel punto preciso del suo sviluppo in cui un essere prende realmente coscienza di tale finalità che incomincia per lui l’iniziazione effettiva, la quale dovrà condurlo per gradi, e secondo la sua via personale, a quella realizzazione integrale che si compie, non attraverso lo sviluppo isolato di determinate facoltà speciali, ma mediante lo sviluppo completo, armonico e gerarchico, di tutte le possibilità implicate nell’essenza di quest’essere. D’altronde, poiché la fine è necessariamente la stessa per tutto ciò che ha uno stesso principio, è nei mezzi impiegati per arrivarvi che risiede esclusivamente quel che è proprio a ciascun essere, considerato entro i limiti della speciale funzione che è determinata per lui dalla sua natura individuale e che, quale essa sia, deve essere vista come un elemento necessario dell’ordine universale e totale; e, per la stessa natura delle cose, simile diversità delle vie particolari persiste finché non sia effettivamente oltrepassato l’ambito delle possibilità individuali.
Di conseguenza, l’istruzione iniziatica, intesa nella sua universalità, deve comprendere, a guisa di altrettante applicazioni, in varietà indefinita, di uno stesso principio trascendente, tutte le vie di realizzazione che sono proprie, non soltanto di ciascuna categoria di esseri, ma altresì di ciascun essere individuale preso in particolare; e, comprendendole in tal modo tutte in se stessa, essa le totalizza e le sintetizza nell’unità assoluta della Via universale[7]. Per cui, se i principi dell’iniziazione sono immutabili, le sue modalità possono, e devono, variare in modo da adattarsi alle condizioni molteplici e relative dell’esistenza manifestata, condizioni la cui diversità fa sì che, in qualche modo matematicamente, non possano esserci due cose identiche in tutto l’universo, come già abbiamo spiegato in altre occasioni[8]. Si può perciò dire che è impossibile che ci siano, per due individui diversi, due iniziazioni esattamente simili, financo dal punto di vista esteriore e rituale, e a maggior ragione dal punto di vista del lavoro interiore dell’iniziato; l’unità e l’immutabilità del principio non esigono affatto una uniformità e una immobilità che del resto sono di fatto irrealizzabili, e che, in realtà, non rappresentano se non il loro riflesso «invertito» al grado più basso della manifestazione; e la verità è che l’insegnamento iniziatico, implicando un adattamento alla diversità indefinita delle nature individuali, si oppone con ciò all’uniformità che l’insegnamento profano considera al contrario come suo «ideale». Le modificazioni di cui si tratta si limitano del resto, beninteso, alla traduzione esteriore della conoscenza iniziatica e alla sua assimilazione da parte di questa o di quell’individualità, perché, nella misura in cui una simile traduzione è possibile, essa deve necessariamente tener conto delle relatività e delle contingenze, mentre ciò che essa esprime ne è indipendente nell’universalità della sua essenza principiale, giacché comprende tutte le possibilità nella simultaneità di un’unica sintesi.
L’insegnamento iniziatico, esteriore e trasmissibile in forme, in realtà non è, e non può essere – l’abbiamo già detto e vi insistiamo nuovamente –, se non una preparazione dell’individuo ad acquisire la vera conoscenza iniziatica per effetto del suo lavoro personale. Si potrà così indicargli la via da seguire, il piano da realizzare, e disporlo ad assumere l’atteggiamento mentale e intellettuale necessari per arrivare a una comprensione effettiva e non semplicemente teorica; si potrà inoltre assisterlo e guidarlo controllandone il lavoro in modo costante, ma questo è tutto, perché nessun altro, foss’anche un «Maestro» nell’accezione più completa della parola[9], può fare questo lavoro per lui. Quel che l’iniziato deve necessariamente acquisire da sé, perché né nessuno né nulla di esterno a lui possono comunicarglielo, è in definitiva il possesso effettivo del segreto iniziatico propriamente detto; perché possa riuscire a realizzare questo possesso in tutta la sua estensione e con tutto ciò che essa implica, occorre che l’insegnamento che serve in qualche modo come base e come supporto per il suo lavoro personale sia costituito in modo tale da aprirsi su possibilità realmente illimitate, e gli permetta così di estendere indefinitamente le sue concezioni, insieme in larghezza e in profondità, invece di circoscriverle, come fa ogni punto di vista profano, entro i limiti più o meno ristretti di una teoria sistematica o di una formula verbale qualunque.
[1] Ovviamente, coloro che sono qui in causa sono parimenti incapaci di concepire
cosa sia l’élite nell’unico vero
senso della parola, senso che ha anche un valore propriamente iniziatico, come
spiegheremo più avanti.
[2] In realtà, come vedremo più avanti, a tale proposito il termine «mentalità» è
insufficiente, ma non bisogna dimenticare che al presente si tratta soltanto di
uno stadio preparatorio alla vera conoscenza iniziatica, e nel quale ‑ di
conseguenza ‑ non è ancora possibile far diretto ricorso all’intelletto
trascendente.
[3] Quel che diciamo qui potrebbe applicarsi tanto al punto di vista tradizionale
in generale quanto al punto di vista propriamente iniziatico; dal momento che
si tratta soltanto di distinguerli dal punto di vista profano non c’è in fondo
da fare tra l’uno e l’altro nessuna differenza sotto questo riguardo.
[4] E anche ‑ occorre aggiungere ‑ dal punto di vista tradizionale exoterico, il
quale è, tutto sommato, il modo legittimo e normale di intendere quel che è
deformato dal punto di vista profano, per cui entrambi si rivolgono in qualche
modo a uno stesso ambito, cosa che non diminuisce affatto la loro differenza
profonda; sennonché, al di là di questo ambito, che può esser detto exoterico,
poiché coinvolge allo stesso tempo e indistintamente tutti gli uomini, c’è
l’ambito esoterico e propriamente iniziatico, il quale può soltanto essere
ignorato da coloro che si contengono nella sfera exoterica.
[5] Da qui quella che abbiamo chiamato la «messa in azione» delle «leggende»
iniziatiche; ci si potrà anche riferire a quel che abbiamo detto sul simbolismo
del teatro.
[6] Tale simbolismo non è del resto esclusivamente proprio delle sole forme
occidentali; il Vishwakarma della
tradizione indù, in particolare, è esattamente la stessa cosa del «Grande
Architetto dell’Universo».
[7] Questa Via universale è il Tao della
tradizione estremo-orientale.
[8] Cfr. in particolare Il Regno della
Quantità e i Segni dei Tempi, cap. VII.
[9] Intendiamo riferirci con queste parole a quello che la tradizione indù chiama Guru, e la tradizione islamica Sheikh, che non hanno nulla in comune
con le fantasiose idee che di essi si hanno in certi ambienti pseudo-iniziatici
occidentali.
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