"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

venerdì 30 marzo 2018

Guénon René, Considerazioni sull'Iniziazione - XXXVIII - Rosa-Croce e Rosacrociani

René Guénon
Considerazioni sull'Iniziazione

XXXVIII - Rosa-Croce e Rosacrociani

Giacché siamo venuti a parlare dei Rosa-Croce, non sarà forse inutile, benché questo argomento si riferisca più a un caso particolare che all’iniziazione in generale, aggiungere qualche precisazione su di esso, tenuto conto che della denominazione di Rosa-Croce ai giorni nostri ci si serve in modo vago e sovente abusivo, applicandola indistintamente ai personaggi più diversi, fra i quali senza dubbio ben pochi ne avrebbero realmente diritto. 

Per evitare tutte queste confusioni ci pare che la miglior cosa sia stabilire una netta distinzione tra Rosa-Croce e Rosacrociani, il secondo di questi due termini prestandosi senza inconvenienti a una più ampia estensione del primo; ed è probabile che la maggior parte di coloro che si pretendono essere Rosa-Croce, e sono comunemente indicati come tali, non siano stati veramente se non dei Rosacrociani. Per capire l’utilità e l’importanza di una simile distinzione occorre innanzi tutto ricordare che, come abbiamo detto poco fa, i veri Rosa-Croce non hanno mai costituito un’organizzazione con forme esteriori definite, mentre ci furono, per lo meno a partire dall’inizio del secolo XVII, numerose associazioni che possono essere denominate rosacrociane[1], il che non vuole affatto dire che i loro membri siano stati dei Rosa-Croce; anzi, si può esser certi che non lo fossero, e ciò per il solo fatto che facevano parte di tali associazioni, cosa che può sembrare paradossale e perfino contraddittoria a prima vista, ma è tuttavia facilmente comprensibile se si tiene conto delle considerazioni che abbiamo esposto in precedenza.
La distinzione che indichiamo è lungi dal ridursi a una semplice questione di terminologia; essa si riferisce in realtà a qualcosa che è di un ordine molto più profondo, giacché il termine Rosa-Croce, come abbiamo spiegato, è propriamente la denominazione di un grado iniziatico effettivo, vale a dire di un certo stato spirituale il cui possesso, evidentemente, non è legato in modo necessario al fatto di appartenere a una certa organizzazione definita. Ciò che esso rappresenta è quella che si può chiamare la perfezione dello stato umano, poiché il simbolo stesso della Rosa-Croce raffigura, con i due elementi di cui è composto, la reintegrazione dell’essere nel centro di questo stato e la piena espansione delle sue possibilità individuali a partire da tale centro; questo simbolo indica perciò in modo esattissimo la restaurazione dello «stato primordiale», o, che è la stessa cosa, il compimento dell’iniziazione ai «piccoli misteri». D’altro canto, dal punto di vista che può esser chiamato «storico», occorre tener conto del fatto che la denominazione Rosa-Croce, legata espressamente all’impiego di un certo simbolismo, è stata usata soltanto in certe circostanze definite di tempo e di luogo, fuori delle quali sarebbe illegittimo applicarla; si potrebbe dire che coloro che possedevano il grado in questione sono apparsi come Rosa-Croce soltanto in queste circostanze e per ragioni contingenti, mentre hanno potuto, in altre circostanze, apparire sotto altri nomi e sotto altri aspetti. Questo, beninteso, non vuol dire che il simbolo a cui tale nome si riferisce non possa essere molto più antico dell’uso che ne è stato fatto in questo modo, e, come accade per ogni simbolo veramente tradizionale, sarebbe senza dubbio addirittura vano ricercare di esso un’origine definita. Quel che intendiamo dire è soltanto che il nome tratto dal simbolo è stato applicato a un grado iniziatico solo a partire dal secolo XIV, e, per di più, unicamente nel mondo occidentale; esso è perciò applicabile soltanto con riferimento a una certa forma tradizionale, che è quella dell’esoterismo cristiano, o, ancor più precisamente, dell’ermetismo cristiano; su ciò che bisogna intendere esattamente con il termine «ermetismo» ritorneremo più avanti.
Quel che abbiamo testé detto è indicato nella «leggenda» stessa di Christian Rosenkreutz, il cui nome è del resto puramente simbolico, e nel quale è fortemente dubbio che sia da riconoscere un personaggio storico, checché ne possa aver detto qualcuno, ma appare invece come la rappresentazione di quella che può essere chiamata una «entità collettiva»[2]. Il senso generale della «leggenda» di questo supposto fondatore, e in particolare dei viaggi che gli vengono attribuiti[3], sembra essere che, dopo la distruzione dell’ordine del Tempio, gli iniziati all’esoterismo cristiano si riorganizzarono, d’accordo con gli iniziati all’esoterismo islamico, per mantener vivo, nella misura del possibile, il legame che era stato apparentemente rotto con questa distruzione; una tale riorganizzazione dovette effettuarsi in una maniera più nascosta, in qualche modo invisibile, e senza assumere appoggio in una istituzione conosciuta esteriormente, la quale, in quanto tale, avrebbe potuto essere un’altra volta distrutta[4]. Gli ispiratori di questa organizzazione furono propriamente i veri Rosa-Croce, o, se si vuole, furono i possessori del grado iniziatico di cui abbiamo parlato, considerati particolarmente in quanto ebbero questo ruolo, ruolo che si protrasse fino al momento in cui, in seguito ad altri avvenimenti storici, il legame tradizionale in questione fu rotto definitivamente per il mondo occidentale, cosa che ebbe luogo nel corso del secolo XVII[5]. È detto che i Rosa-Croce si ritirarono allora in Oriente, il che significa che non ci fu più ormai in Occidente nessuna iniziazione che permettesse di giungere effettivamente a questo grado, e inoltre che l’azione che si era esercitata fino ad allora in esso per la conservazione dell’insegnamento tradizionale corrispondente cessò di manifestarsi. per lo meno in modo regolare e normale[6].
Quanto a sapere chi furono i veri Rosa-Croce, e a dire con certezza se questo o quel personaggio fu uno di loro, questa appare una cosa del tutto impossibile, per il fatto stesso che si tratta essenzialmente di uno stato spirituale, di conseguenza puramente interiore, del quale sarebbe molto imprudente voler giudicare da segni esteriori qualsivogliano. Per di più, a causa della natura del loro ruolo, i Rosa-Croce non hanno potuto, in quanto tali, lasciare nessuna traccia visibile nella storia profana, cosicché, quand’anche i loro nomi potessero essere conosciuti, essi non direbbero indubbiamente nulla a nessuno; a questo proposito, rimanderemo a quanto abbiamo già detto dei cambiamenti di nome, che spiega a sufficienza quale sia la realtà delle cose. Per quanto riguarda i personaggi i cui nomi sono conosciuti, in particolare come autori di questi o di quegli scritti, e che sono comunemente indicati come Rosa-Croce, la cosa più probabile è che, in molti casi, essi fossero influenzati o ispirati più o meno direttamente dai Rosa-Croce, al quali servirono in qualche modo da porta parola[7], cosa che esprimeremo dicendo che furono soltanto dei Rosacrociani, abbiano essi o no fatto parte di qualcuno dei raggruppamenti ai quali si può attribuire la stessa denominazione. Per contro, se è accaduto eccezionalmente che un vero Rosa-Croce abbia avuto una parte negli avvenimenti esteriori, questo sarà avvenuto in qualche modo nonostante la sua qualità piuttosto che a causa di essa, e allora gli storici possono essere ben distanti dal sospettare tale qualità, talmente le due cose appartengono ad ambiti diversi. Certo che tutto ciò è poco soddisfacente per i curiosi, ma questi devono pur rassegnarsi; molte sono del resto le cose che sfuggono in tal modo ai mezzi di investigazione della storia profana, i quali necessariamente, per la loro natura stessa, non permettono di percepire nulla più di quel che possiamo chiamare l’«esterno» degli avvenimenti.
C’è da aggiungere ancora un’altra ragione per cui i veri Rosa-Croce dovettero restare sempre sconosciuti, ed è che nessuno di essi può mai affermarsi tale, così come, nell’iniziazione islamica, nessun Sûfî autentico può attribuirsi questo titolo. Si tratta anzi di una similitudine che è particolarmente interessante far notare, anche se, a dire il vero, tra le due denominazioni non c’è equivalenza, giacché ciò che è implicito nel nome Sûfî è in realtà di un ordine più elevato di quel che indica quello di Rosa-Croce e si riferisce a possibilità che oltrepassano quelle dello stato umano, anche se inteso nella sua perfezione; a rigor di termini esso dovrebbe essere riservato esclusivamente all’essere che sia pervenuto alla realizzazione dell’«Identità Suprema», vale a dire al fine ultimo di ogni iniziazione[8]; ma è implicito che un essere simile possiede a fortiori il grado che rende tale il Rosa-Croce e può, se è necessario, adempiere le funzioni corrispondenti. Del nome Sûfî si fa del resto comunemente lo stesso abuso di quello di Rosa-Croce, fino ad attribuirlo talvolta a coloro che sono soltanto sulla via che porta all’iniziazione effettiva, anche se non hanno ancora neppure raggiunto i primi gradi di quest’ultima; a tal proposito si può osservare che una simile estensione illegittima viene data non meno abitualmente alla parola Yogi per quel che riguarda la tradizione indù, talché questo termine, il quale indica anch’esso in modo proprio colui che ha raggiunto la meta suprema, ed è perciò l’equivalente esatto di Sûfî, accade che sia applicato a coloro che sono ancora soltanto agli stadi preliminari e addirittura alla preparazione più esteriore. Non soltanto in un caso simile, ma anche in quello di chi sia giunto ai gradi più elevati senza tuttavia esser pervenuto al termine finale, la denominazione che si adatta veramente è quella di mutaçawwuf; e dal momento che il Sûfî vero e proprio non è caratterizzato da nessuna distinzione esteriore, questa stessa denominazione sarà la sola che egli potrà assumere o accettare, e non per considerazioni puramente umane come la prudenza o l’umiltà, ma perché il suo stato spirituale costituisce veramente un segreto incomunicabile[9]. Una distinzione analoga, in un ambito più ristretto (poiché non oltrepassa i confini dello stato umano), è quella che si può esprimere mediante i due termini Rosa-Croce e Rosacrociano, il secondo dei quali può indicare qualsiasi aspirante allo stato di Rosa-Croce, qualunque sia il grado a cui è effettivamente arrivato, e anche se ha ancora soltanto ricevuto un’iniziazione semplicemente virtuale nella forma a cui tale denominazione di fatto si applica propriamente. Da un altro punto di vista, si può estrarre da quanto abbiamo detto una sorta di criterio negativo, nel senso che, se qualcuno si è autodichiarato Rosa-Croce o Sûfî, si può con ciò stesso affermare, senza neppure aver bisogno di esaminare più a fondo le cose, che egli non lo era certamente nella realtà.
Un altro criterio negativo deriva dal fatto che i Rosa-Croce non si legarono mai ad alcuna organizzazione esteriore; se qualcuno è conosciuto come membro di un’organizzazione del genere, si potrà nuovamente affermare che, per lo meno finché ne fece attivamente parte, non fu un vero Rosa-Croce. Si può segnalare inoltre che le organizzazioni di questo tipo non portarono il titolo di Rosa-Croce se non molto tardivamente, poiché le si videro apparire in tale forma, come dicevamo in precedenza, solo all’inizio del secolo XVII, vale a dire poco prima del momento in cui i veri Rosa-Croce si ritirarono dall’Occidente; ed è anche visibile, da molti indizi, che quelle che si fecero allora conoscere con questo titolo erano già più o meno deviate, o in tutti i casi molto lontane dalla fonte originaria. A maggior ragione ciò accadde per le organizzazioni che si costituirono ancora più tardi sotto lo stesso vocabolo, e di cui la maggior parte non avrebbero senza dubbio potuto vantare nessuna filiazione autentica e regolare dai Rosa-Croce, per quanto indiretta potesse essere quest’ultima[10]; e non parliamo neppure, beninteso, delle molteplici formazioni pseudo-iniziatiche contemporanee, che di rosacrociano non hanno se non il nome usurpato, non possedendo alcuna traccia di una qualsiasi dottrina tradizionale e avendo semplicemente adottato, per un’iniziativa del tutto individuale dei loro fondatori, un simbolo che ciascuno interpreta secondo la propria fantasia, a difetto della conoscenza del suo vero senso, il quale sfugge a questi pretesi Rosacrociani come al primo profano venuto.
C’è ancora un punto su cui dobbiamo tornare per maggior precisione: abbiamo detto che all’origine del Rosacrocianesimo dovette verificarsi una collaborazione tra iniziati ai due esoterismi cristiano e islamico; tale collaborazione dovette protrarsi anche in seguito, poiché si trattava precisamente di conservare il legame tra le iniziazioni d’Oriente e d’Occidente. Ci spingeremo anche più lontano: gli stessi personaggi, siano essi venuti dal Cristianesimo o dall’Islamismo, hanno potuto, se sono vissuti in Oriente e in Occidente (e le allusioni costanti ai loro viaggi, ogni questione di simbolismo a parte, fanno pensare che si trattò di molti fra di loro), essere sia Rosa-Croce sia Sûfî (o mutaçawwufin dei gradi superiori), lo stato spirituale che avevano raggiunto implicando che essi erano al di là delle differenze esistenti tra le forme esteriori, le quali non inficiano in nulla l’unità essenziale e fondamentale della dottrina tradizionale. È tuttavia sottinteso che va mantenuta, tra Taçawwuf e Rosacrocianesimo, la distinzione che è quella di due forme differenti di insegnamento tradizionale; e i Rosacrociani, discepoli più o meno diretti dei Rosa-Croce, sono unicamente coloro che seguono la via speciale dell’ermetismo cristiano; ma non può esserci nessuna organizzazione iniziatica pienamente degna di questo nome e in possesso della coscienza effettiva del suo scopo, che non abbia, al vertice della sua gerarchia, degli esseri che siano andati al di là della diversità delle apparenze formali. Costoro potranno, secondo le circostanze, apparire come Rosacrociani, come mutaçawwufin, o anche sotto altri aspetti; essi sono veramente il legame vivente tra tutte le tradizioni, perché, in virtù della loro coscienza dell’unità, partecipano effettivamente alla grande Tradizione primordiale, da cui tutte le altre sono derivate per adattamento ai tempi e ai luoghi, ed è una come la Verità stessa.






[1] In particolare, è a una organizzazione di questo genere che Leibnitz appartenne; abbiamo già trattato in altra sede dell’ispirazione manifestamente rosacrociana di alcune delle sue concezioni, ma abbiamo anche mostrato come non sia possibile pensare che egli abbia ricevuto più di una iniziazione semplicemente virtuale, incompleta, per di più, anche sotto il profilo teorico (si veda: Les Principes du Calcul infinitésimal).
[2] Tutto ben considerato questa «leggenda» è dello stesso tipo delle altre «leggende» iniziatiche a cui abbiamo già in precedenza fatto allusione.
[3] Ricorderemo qui l’allusione da noi precedentemente fatta al simbolismo iniziatico del viaggio; esistono inoltre, soprattutto in connessione con l’ermetismo, molti altri viaggi, come quelli, ad esempio, di Nicolas Flamel, i quali sembrano avere prima di tutto un significato simbolico.
[4] Di qui il nome di «Collegio degli Invisibili» dato talvolta alla collettività dei Rosa-Croce.
[5] La data precisa di questa rottura è indicata, nella storia esteriore dell’Europa, dalla conclusione dei trattati di Westfalia, i quali misero fine a quel che ancora sussisteva della «cristianità» medioevale per sostituirvi un’organizzazione puramente «politica» nel senso moderno e profano della parola.
[6] Sarebbe del tutto inutile cercare di determinare «geograficamente» il luogo di ritiro dei Rosa-Croce; di tutte le ipotesi che sono state emesse su questo argomento, la più vera è certamente quella secondo cui essi si ritirarono nel «regno del prete Gianni», intendendo quest’ultimo, come da noi spiegato in altra sede (Il Re del Mondo, Adelphi., pp. 17-21), come nient’altro che una rappresentazione del centro spirituale supremo, nel quale sono in effetti conservate allo stato latente, fino alla fine del ciclo attuale, tutte le forme tradizionali che, per una ragione o per l’altra, hanno cessato di manifestarsi all’esterno.
[7] È fortemente dubbio che un Rosa-Croce abbia mai scritto di persona un qualsiasi documento, e, in tutti i casi, quando anche ciò sia avvenuto, la forma non potrà essere stata che rigorosamente anonima, poiché la sua stessa qualità gli impediva di presentarsi come un semplice individuo che parlasse in suo proprio nome.
[8] Non è privo di interesse indicare che la parola Sûfî, per il valore delle lettere che la compongono, equivale numericamente a el-hikmah el-ilahiyah, vale a dire «la saggezza divina». La differenza tra il Rosa-Croce e il Sûfî corrisponde esattamente a quella esistente, nel Taoismo, tra l’«uomo vero» e l’«uomo trascendente».
[9] È d’altronde questo, in arabo, uno dei significati della parola sirr, «segreto», nel particolare uso che se ne fa nella terminologia «tecnica» dell’esoterismo.
[10] Così accadde verosimilmente, nel secolo XVIII, per organizzazioni come quella conosciuta sotto il nome di «Rosa-Croce d’Oro».

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