La realizzazione discendente degli ultimi tre gradi della Massoneria Scozzese - II
(Continua)
Per quanto concerne il simbolismo «discendente» di ciascuno dei tre gradi di cui ci occupiamo, bisogna dire innanzitutto che il triangolo con la punta in basso figura solo nel 33°[1].
Esso si trova nel gioiello di questo grado, dove, come d'altronde nell'emblema generale dell'Ordine, sovrasta «irradiando» l'aquila bicipite ed è così associato ai simboli della Vera Luce e dell'autorità suprema. Si riferisce talvolta che, nel gioiello, questo triangolo reca al proprio centro la iod ebraica «simbolo dell'esistenza».
Si tratta, più esattamente, del simbolo dell'Essere principiale, perché questa lettera, la prima del Tetragramma nonché del nome divino Iah, costituisce di per se stessa un nome divino, che foneticamente equivale al suono «i»[2]. Collocata in un triangolo rovesciato, questa lettera indica in maniera inequivocabile che si tratta allora di una «discesa divina». Si potrebbe osservare che, essendo un tale triangolo lo schema geometrico del cuore, tutto l'insieme diventa equivalente al «Cuore radioso» avente nel proprio centro quella «Piaga» che l'iconografia occidentale rappresenta talvolta sotto la forma di iod[3]; si può considerare che il significato «avatârico» di questo simbolo si trovi «interpretato» in maniera specifica da questa assimilazione, perché il «Cuore ferito» attesta il carattere «sacrificale» della «realizzazione discendente», tant'è vero che la dottrina cristiana fa derivare dal sacrificio cristico i sacramenti della Nuova Legge[4]. Nell'emblema ufficiale dell'Ordine, il triangolo rovesciato reca un «Occhio» al posto della iod. Questo Occhio deve essere allora considerato come l'Occhio divino che guarda la manifestazione; a tale proposito René Guénon notava che il nome di Avalokitêshvara viene ordinariamente interpretato come «il Signore che guarda in basso» e aggiungeva che, in questo caso, l'Occhio assume più nettamente il significato speciale di «Provvidenza»[5] (parola che nella sua etimologia rinvia all'idea di «vista» e anche di «sguardo protettore»). D'altra parte, in ragione dell'analogia tra il triangolo rovesciato e il cuore, questo Occhio può essere considerato anche come un simbolo dell'Occhio divino nel cuore, e ciò presenta allora una «teosi» del noto simbolo dell’«Occhio del Cuore»[6], nonché, sotto il rapporto della discesa principiale, una figurazione dell'Occhio divino nel cuore dell'Avatâra, col quale si identifica, attraverso il grado di realizzazione richiesto dalla sua funzione, il capo del centro spirituale, vale a dire il Polo della tradizione, che l'esoterismo islamico qualifica come “Sostegno dello sguardo di Allâh nella Creazione”. Inoltre, poiché il centro spirituale della tradizione è esoterico, la sede del capo della sua gerarchia è simbolicamente situata nella Caverna, della quale il triangolo rovesciato è pure lo schema; ne risulta che il medesimo simbolo appare come la figura del «luogo nascosto» da cui il Polo, in conformità con la sua natura essenzialmente solare, irradia universalmente e «vede tutto», rimanendo lui stesso invisibile agli sguardi del mondo.
Per quanto concerne il simbolismo «discendente» di ciascuno dei tre gradi di cui ci occupiamo, bisogna dire innanzitutto che il triangolo con la punta in basso figura solo nel 33°[1].
Esso si trova nel gioiello di questo grado, dove, come d'altronde nell'emblema generale dell'Ordine, sovrasta «irradiando» l'aquila bicipite ed è così associato ai simboli della Vera Luce e dell'autorità suprema. Si riferisce talvolta che, nel gioiello, questo triangolo reca al proprio centro la iod ebraica «simbolo dell'esistenza».
Si tratta, più esattamente, del simbolo dell'Essere principiale, perché questa lettera, la prima del Tetragramma nonché del nome divino Iah, costituisce di per se stessa un nome divino, che foneticamente equivale al suono «i»[2]. Collocata in un triangolo rovesciato, questa lettera indica in maniera inequivocabile che si tratta allora di una «discesa divina». Si potrebbe osservare che, essendo un tale triangolo lo schema geometrico del cuore, tutto l'insieme diventa equivalente al «Cuore radioso» avente nel proprio centro quella «Piaga» che l'iconografia occidentale rappresenta talvolta sotto la forma di iod[3]; si può considerare che il significato «avatârico» di questo simbolo si trovi «interpretato» in maniera specifica da questa assimilazione, perché il «Cuore ferito» attesta il carattere «sacrificale» della «realizzazione discendente», tant'è vero che la dottrina cristiana fa derivare dal sacrificio cristico i sacramenti della Nuova Legge[4]. Nell'emblema ufficiale dell'Ordine, il triangolo rovesciato reca un «Occhio» al posto della iod. Questo Occhio deve essere allora considerato come l'Occhio divino che guarda la manifestazione; a tale proposito René Guénon notava che il nome di Avalokitêshvara viene ordinariamente interpretato come «il Signore che guarda in basso» e aggiungeva che, in questo caso, l'Occhio assume più nettamente il significato speciale di «Provvidenza»[5] (parola che nella sua etimologia rinvia all'idea di «vista» e anche di «sguardo protettore»). D'altra parte, in ragione dell'analogia tra il triangolo rovesciato e il cuore, questo Occhio può essere considerato anche come un simbolo dell'Occhio divino nel cuore, e ciò presenta allora una «teosi» del noto simbolo dell’«Occhio del Cuore»[6], nonché, sotto il rapporto della discesa principiale, una figurazione dell'Occhio divino nel cuore dell'Avatâra, col quale si identifica, attraverso il grado di realizzazione richiesto dalla sua funzione, il capo del centro spirituale, vale a dire il Polo della tradizione, che l'esoterismo islamico qualifica come “Sostegno dello sguardo di Allâh nella Creazione”. Inoltre, poiché il centro spirituale della tradizione è esoterico, la sede del capo della sua gerarchia è simbolicamente situata nella Caverna, della quale il triangolo rovesciato è pure lo schema; ne risulta che il medesimo simbolo appare come la figura del «luogo nascosto» da cui il Polo, in conformità con la sua natura essenzialmente solare, irradia universalmente e «vede tutto», rimanendo lui stesso invisibile agli sguardi del mondo.
Ma qui la presenza della iod ha per noi
un'altra importanza. Se questa lettera costituisce di per se stessa un nome
divino, noi sappiamo che d'altra parte la «I» latina che le corrisponde foneticamente
è, in Dante il «primo nome di Dio» e sembra essere anche stato il Suo «nome
segreto» presso i Fedeli d'Amore[7].
Infine aggiungeremo che la sua equivalente araba, la yâ, è nello Shaykh al-Akbar uno dei vocaboli dell'incantazione metafisica: si
tratta, in tal caso; del Pronome divino della prima persona singolare, aggiunto
come suffisso a un'altra parola (ad esempio: inni composto di innî + y = “in verità Io”), Pronome che l'invocatore deve
pronunciare “in quanto sostituto di Allah” o “in Allâh” (bi-llah)[8].
Ora, quando noi constatiamo
questa funzione della iod e delle lettere che le equivalgono negli esoterismi
giudaico, cristiano e islamico, non sarebbe logico pensare che dovrebbe essere
la stessa cosa nella Massoneria, o almeno nelle organizzazioni da cui essa procede,
per la parte che presenta questo simbolo? Precisiamo che non si tratta di
considerare questo «nome segreto» come la «Parola Perduta» stessa, perché nel
suo significato autentico, che consiste nel possesso effettivo della conoscenza
rappresentata da una «Parola» nonché nella potenza della trasmissione tecnica,
essa non può essere un semplice vocabolo, qualunque esso sia. Tuttavia l'identificazione
di un mezzo iniziatico di carattere metafisica avrebbe qui, adesso,
un'importanza non contestabile. Aggiungeremo che bisogna considerare questo
nome più specificamente come un mezzo incantatorio, un mantra, perché il fatto
che la «I» è raffigurata come un
sostegno visivo di adorazione nel Tractatus
Amoris di Francesco da Barberino e
la iod nel triangolo rovesciato è una rappresentazione parimenti visiva del nome
divino potrebbe far credere che si tratti solamente di uno yantra. A tale proposito potremmo aggiungere che il vocabolo «i» poteva ricevere una applicazione speciale nell'invocazione in vista di
una realizzazione più diretta
dell’«apertura» del cuore (in arabo, fathu-l-qalb)
ovvero del dischiudersi dell’«Occhio del Cuore». L'articolazione di questa
lettera si presta in maniera naturale a un'orientazione spirituale verso il
basso (in arabo la declinazione in «i»
è chiamata khafd, «abbassamento», e
il segno vocalico «i» è detto kasrah, «rottura»), più precisamente
dalla gola verso il cuore, secondo un asse che nella scrittura latina è raffigurato
dalla forma della «I», e ciò evocherà
pure l’affine simbolismo della «lancia» e della «coppa» o del cuore stesso nel
vulnerario del Cristo, e nei misteri del Graal in particolare[9].
Quanto all'aquila bicefala, il suo simbolismo è
parimenti assai complesso. In genere, l'aquila può rivestire un significato
nell'ordine puramente spirituale quanto nell'ordine temporale. Presso gli Indû
essa è Garuda, veicolo celeste di
Vishnu, ed è anche la sua arma udla lotta contro i serpenti. Nell'antichità classica
si trova tra gli attributi di Zeus o
Juppiter, così come il fulmine, cui è ordinariamente associata. Nel
cristianesimo rappresenta San Giovanni Evangelista, che d'altronde è chiamato «Figlio
del Tuono»: qui, come d'altra parte nell'Uccello-Tuono dei Pellirosse,
ritroviamo uniti i due attributi di Juppiter. Quello che potrà chiarire meglio
il senso di tutto ciò, è che nel simbolismo islamico l’Aquila (al-‘Uqâb) rappresenta lo Spirito divino
(ar-Rûhu-l-ilâhî) o l’Intelletto Primo
(al-'Aqlu-1-Awwal), in ragione del
fatto che essa risiede sulle vette dei monti, vola ad altezze elevate, ha una
vista potente (le si attribuisce la facoltà di guardare il sole senza abbassare
le palpebre), piomba fulmineamente sulla preda e, dopo averla posata per un
istante a terra, si innalza di nuovo rapidamente[10]:
essa ha così un rapporto preciso col «ratto essenziale» (al-jadhbatu-l-ilahiyyah) del Taçawwuf,
idea che la mitologia greca esprimeva da parte sua con il ratto di Ganimede,
portato dall'aquila fino al trono divino, dove Zeus lo fece proprio coppiere.
Infine, nella sua accezione di simbolo del potere temporale, essa è un
attributo dell'Impero. Sulle insegne romane, essa era raffigurata con le ali aperte
e col fulmine tra gli artigli, e fu così l'emblema dell'Impero romano prima di
essere quello del Santo Impero; è anche l'uccello più frequente negli stemmi araldici.
Quando l'aquila ha due teste, può essere
contemporaneamente riferita alla conoscenza e all'azione, quindi alla Saggezza; essa rappresenta
così il principio comune del sacerdozio e della regalità, come, ad esempio,
nella tradizione egizia[11].
Ma può anche limitarsi al solo dominio del potere imperiale. Nel Cristianesimo;
essa designava il diritto degli imperatori sull'Oriente e l'Occidente e, prima
che Ottone IV usasse questo simbolo per il proprio sigillo, fu Costantino, secondo
gli antichi araldisti, a introdurlo nell’emblema dell'impero[12].
Nell'emblema dellOrdine massonico l'aquila bicefala reca del resto una «corona regale»
e tiene fra gli artigli una sciabola o una spada sguainata, sostituto terreno
della folgore celeste[13].
Questi caratteri regali sono ulteriormente sottolineati dal motto Deus meumque jus, iscritto nel cartiglio
che si dispiega tra le due estremità della spada; questo motto, che è quello di
tutto quanto l'Ordine, costituisce evidentemente la traduzione latina del motto
di Riccardo Cuor di Leone, "Dieu et
mon droit". Infine, per quanto un simbolo conservi sempre in sé la
possibilità di una accezione superiore, i caratteri contingenti che vi si
possono ricollegare testimoniano tuttavia che la sua funzione è praticamente
specializzata e limitata ad un ordine meno elevato[14].
Infine, per concludere questa disamina, si può notare
che nell'emblema dell'Ordine si trovano riuniti in quest'aquila attributi relativi ai caratteri da noi
già identificati come appartenenti ai tre gradi supremi della gerarchia
scozzese: la corona per il carattere «monarchico», la sciabola o la spada per
quello «militare» e, in ragione della menzione del «diritto», il motto Deus meumque jus per quello «giudiziario»,
caratteri che corrispondono a tre domini della funzione imperiale. Il fatto che
questo complesso simbolico sia sovrastato dal triangolo avatârico radioso
potrebbe indicare che questa funzione deve essere concepita qui come procedente
da un mandato propriamente divino.
Se si esaminano i rituali dell 33° grado, si trovano alcuni
elementi che si riferiscono esplicitamente alla funzione di un centro tradizionale, ma ancora con
questo carattere imperiale. Così, secondo una delle redazioni, nel rito di
apertura d'un Supremo Consiglio, allorché il Presidente, il Potentissimo
Sovrano Gran Commendatore, domanda al Potente sovrano Luogotenente Gran
Commendatore: “Quale è la nostra missione?” - quest'ultimo risponde: “Discutere
e promulgare le leggi che la Ragione e il Progresso rendono necessarie per la
felicità dei popoli e deliberare sui mezzi più efficaci da usare per combattere
e vincere i nemici dell'Umanità”[15].
Se si lasciano da parte le menzioni introdotte evidentemente nei tempi moderni,
come quelle del Progresso e dell'Umanità (perché la Ragione, se non altro,
potrebbe trovarsi normalmente in un tale contesto, qualora la si intendesse in
un senso diverso da quello che essa ha nella concezione moderna), allora si
vede bene che la funzione tradizionale cui si riferiscono i lavori di questo
grado era d'ordine «legiferante». Nel ciclo tradizionale post-muhammadiano, in
ogni modo, ciò non può evidentemente concernere una legislazione di carattere «profetico»
e, siccome in effetti il testo parla di una legislazione d'ordine politico e
sociale, ciò di cui si tratta può essere realmente compreso soltanto nel quadro
di una civiltà nella quale questo attributo viene esercitato da un'autorità
diversa da quella propriamente religiosa. La fonte di una tale legislazione è
allora l'ispirazione intellettuale, che può intervenire anche al di fuori del
dominio della pura conoscenza. Vi sono così delle legislazioni politiche e
sociali, ma tradizionali, che debbono essere ascritte a quello che abbiamo chiamato
il tipo tradizionale «sapienzale»; un esempio facile da individuare è quello
del diritto romano, che ha pure questo di significativo: che dovette sussistere
come elemento indispensabile per il costituirsi di una civiltà cristiana,
poiché il cristianesimo, nella sua forma «profetica», non aveva altro quadro
giuridico e, in generale, exoterico, se non quello del giudaismo, sicché, per
potersi estendere al mondo dei gentili, dovette appoggiarsi agli elementi che
potevano supplire all'exoterismo giudaico, e in accordo con tali elementi dovette
realizzare un adattamento d'insieme, come d'altronde si può vedere nella forma
dottrinale[16].
Perciò la civiltà cristia comportò, in una certa
misura, il sussistere del potere legiferante; ora, tenuto conto della
costituzione tradizionale del mondo occidentale, quello che è detto nel rituale
massonico citato più sopra può riferirsi in maniera regolare sol tanto alla funzione
del Santo Impero. Il seguito del testo precisa d'altronde che il dovere dei
membri è di “difendere gl'immortali principi dell'Ordine e di propagarli instancabilmente
su tutta la superficie del globo”[17].
La Massoneria moderna ha assunto così a proprio carico, insieme con le vestigia
di una gerarchia esoterica, il ruolo di legislatrice del mondo, e si sa con
quale successo.
Non è meno vero che nelle formule massoniche questo
attributo monarchico e legiferante si presenta con delle caratteristiche che
evocano le forme governative e parlamentari del mondo esteriore, e vi è allora una
qualche difficoltà ad accordare ciò con l'idea che ci si può fare della
costituzione d'un centro spirituale, anche qualora si concedesse che la
Massoneria ne riproduce di molto lontanamente la figura. Il fatto è, in verità,
che bisogna anche fare i conti con tutte le alterazioni e gl'interventi operati
successivamente nei riguardi delle vestigia provenienti da un tale centro; ed
effettivamente, da quando l'organizzazione massonica è apparsa sul piano
visibile della storia, vi sono parecchie prove delle frequenti modifiche intervenute
sia nei rituali sia nella forma organica. Ma dobbiamo anche dire che i
cambiamenti più importanti dovettero precedere l'epoca della costituzione massonica
moderna, e ciò all'interno delle organizzazioni stesse di cui la Massoneria ha
raccolto direttamente o indirettamente l'eredità. In tali condizioni è
concepibile che l'immagine del centro tradizionale di cui parliamo sia stata,
alla fin fine, deformata. Comunque, certe altre cose contenute nel simbolismo massonico
non possono essere spiegate al di fuori della concezione che abbiamo proposta
fin da principio.
Così, nel rito d'iniziazione di questo grado il
recipiendario è “ammesso a ricevere la splendida
luce del Supremo Consiglio perché possa rifletterne i raggi sullo spirito di
coloro che sono nelle tenebre”, e gli si dice tra l'altro; “Il Delta d'oro che
brilla sul vostro petto manda fulgidi raggi: essi rappresentano i bagliori massonici
che siete tenuto a diffondere largamente sulle intelligenze dei massoni e dei
profani che non hanno, come voi, la felicità ineguagliata di poter contemplare la Verità Suprema faccia a
faccia e senza velo”[18].
Qui si tratta dunque di conoscenza dell'ordine più elevato (e ci si può
domandare che cosa ne debbano pensare gli iniziatori e i recipiendari moderni,
gli uni pronunciando e gli altri ascoltando dichiarazioni così formidabili e
definitive); contemporaneamente, si trova indicata in maniera chiara la funzione
illuminatrice che rivestivano gli iniziati effettivi corrispondenti a questo
grado. Dopo tutto quello che abbiamo detto della natura e delle condizioni della
realizzazione discendente, non è possibile vedere qui se non un'immagine remota
e materializzata di realtà appartenenti all'ordine più trascendente, realtà che
però un centro spirituale poteva normalmente riflettere a un grado o ad un
altro, i simboli delle quali, nella forma massonica, sono divenuti a poco a
poco moneta corrente.
Ma in ragione di quanto abbiamo detto dalla realizzazione
discendente e malgrado tutto quello che si può ammettere come alterazione di
forme dell'organizzazione che la Massoneria ci presenta ci si può domandare
perché l’iniziazione a questo grado, come del resto a tutti gli altri gradi,
venga qui presentata come l'ammissione in un «tempio» e perché il lavoro
iniziatico comporti la partecipazione ai lavori d'una «assemblea» d'iniziati
aventi tutti naturalmente il medesimo grado, che qui è il 33°, e organizzati
essi stessi in una gerarchia specifica dalle molteplici funzioni. La sola
nozione generale di un centro spirituale con una gerarchia di funzioni
principiali non basta certamente a spiegare la situazione e, d'altra parte, è
difficile pensare che non vi sia una ragione più profonda per giustificare
questa forma di organizzazione il cui simbolismo testimonia un evidente
carattere sacro. Inoltre, in corrispondenza degli altri gradi
dell'organizzazione massonica vi sono parimenti delle assemblee organizzate in
maniera più o meno analoga, sicché abbiamo una gerarchia di assemblee corrispondente
in sostanza alla gerarchia dei gradi. Per renderei conto di questa situazione,
dobbiamo fare appello a nozioni concernenti l'organizzazione delle categorie
iniziatiche nell'esoterismo islarnico. A tale proposito occorre precisare
innanzitutto che, in ogni forma tradizionale, le funzioni esoteriche si raggruppano
generalmente in due ordini che corrispondono a due domìni iniziatici: uno di
tali domìni è quello della realizzazione spirituale propriamente detta, l'altro
è quello dell'organizzazione e della direzione esoterica del cosmo e della
comunità tradizionale. Nell'Islam, il primo dominio è quello delle funzioni del
Sulûk, cioè del «cammino iniziatico»
concepito in vista della pura realizzazione personale, mentre il secondo è
quello del Taçarruf, cioè del governo
esoteterico degli affari del mondo.
Di questi due ordini di gerarchie, i cui attributi e caratteri possono
essere tuttavia cumulati, a un grado o ad un altro, dai medesimi iniziati, è
soprattutto il secondo quello che comporta delle categorie esoteriche speciali
secondo i settori d'attività esistenti, con forme d'organizzazione e con mezzi
piuttosto vari. È così che, al di fuori di una gerarchia generale che riunisce
l'Assemblea dei Santi (Dîwânu-l-Awliyâ), ci sono delle
gerarchie speciali con «assemblee» corrispondenti per ciascuno dei gruppi o delle
categorie esoteriche che l'organizzazione del mondo comporta. Siccome tra i
diversi livelli e settori in cui si situano funzionalmente questi gruppi e
queste categorie iniziatiche c'è una gerarchia naturale, queste assemblee si
trovano tra loro in un certo ordine, col quale potrebbe appunto essere
confrontata la gerarchia dei gradi massonici, sempre tenendo conto che si
tratta di cose appartenenti a forme tradizionali alquanto diverse l'una
dall'altra. È appena il caso di precisare che le gerarchie esoteriche reali non
assumono forme esteriori e materializzate come quelle che presenta
un'organizzazione iniziatica ordinaria, soprattutto quando questa si basa su un
sistema di gradi simbolici e possiede una costituzione più o meno
amministrativa, come è nel caso della Massoneria. Allo stesso modo, le «localizzazioni»
che talvolta vengono assegnate a queste assemblee esoteriche non possono essere
prese alla lettera, anche se è possibile tener conto di certe corrispondenze d'ordine
spaziale. Per quanto riguarda il Dîwânu-l-Awliyâ, se si dice che esso si tiene nella
Caverna Hirrâ, dove il Profeta faceva
i suoi ritiri spirituali, non bisogna dimenticare che questo Dîwân
è un equivalente del «Tempio dello Spirito Santo che è dappertutto»,
ma è soprattutto nel «Cuore del Conoscente», esso stesso Caverna iniziatica e
Trono del Signore. Diciamo anche che il Dîwân è presieduto dal Polo, la
cui realtà appare allora come una vera e propria teofania. Coloro i quali
compongono l'assemblea, i cui gradi di realizzazione possono essere alquanto
diversi, vedono in lui, in un certo senso, nonché in «similitudini» corrispondenti
a diversi gradi di sottigliezza, la Verità faccia a faccia (benché d'altra
parte sia detto che gli sguardi non possono sostenere l'irradiamento folgorante
del viso del Polo, la qual cosa si riferisce soltanto a un certo aspetto della
sua natura e a un effetto condizionale della sua presenza). È solo questo a
potere rendere conto del suddetto testo del rituale che parla della «felicità»
di “poter contemplare la Verità faccia a faccia e senza velo", «felicità» dell'iniziato
ammesso al Supremo Consiglio; ed è questo, inoltre, a mostrare come non occorra
considerare in questo caso la questione della realizzazione discendente, perché
non tutti i membri del Dîwân sono esseri pervenuti
all'Identità Suprema. La questione della realizzazione discendente si pone, in realtà,
soltanto nell'ordine della realizzazione personale, e la teofania che essa
comporta è innanzitutto d'ordine interiore. Le teofanie dell'ordine
relativamente «esteriore», come quelle che hanno luogo nel Dîwân o in ogni
centro spirituale, ne sono solo un'immagine; ed è per questo che, quando in
un'organizzazione l'iniziazione assume le forme simboliche dell'ammissione al
centro spirituale supremo, non si tratta, nemmeno in tal caso, di una
iniziazione alla realizzazione discendente.
Infine, nel rituale di chiusura, allorché il
Presidente domanda al suo Luogotenente l'ora simbolica dei lavori, quest'ultimo
risponde: “Il Sole del mattino illumina il Consiglio...”, e il Presidente dice:
“Poiché il Sole si è alzato per illuminare il mondo, alziamoci, Illustri Sovrani
Grandi Ispettori Generali, miei Fratelli, per andare a spandere i raggi della
Luce nello spirito di quanti si trovano nelle tenebre e per andare a compiere
la nostra sublime missione di vincere o di morire per il Bene, la Virtù e la
Verità”. Ciò si riferisce, ancora, al ruolo essenzialmente solare di un centro
spirituale. Ma ciò che riveste ancora un interesse particolare, è il fatto che
in una delle redazioni di questo rituale di chiusura[19]
il Presidente, levando le mani, fa un'invocazione al “glorioso ed eterno Dio, Padre
della luce e della vita, misericordioso e supremo regolatore del Cielo e della
Terra”, e conclude: “Possano il Santo Enoch d'Israele e l'Altissimo e
Onnipotente Dio d'Abramo, d'Isacco e Giacobbe arricchirci delle loro
benedizioni, adesso e sempre!”
Si può così constatare che l'autorità spirituale che
presiede ai lavori del Supremo Consiglio Scozzese è quel medesimo profeta
vivente che l'Islam chiama Idrîs e che abbiamo visto menzionato nel quaternario
delle funzioni costituenti la gerarchia suprema del Centro del mondo. Ciò ci
consente di tornare sulla questione della gerarchia costituita dai quattro
Profeti viventi e di fornire una precisazione che avevamo tenuta in serbo fino
a questo momento. Abbiamo già detto, Enoch-Idrîs è situato nel cielo del Sole,
cielo che è il «Cuore del mondo» e il «Cuore dei Cieli». Diremo adesso che lo
Shaykh al-Akbar talvolta designa questo rasûl
mediante l'epiteto di «Polo degli spiriti umani» (cfr. Futûhât, cap. 198, par. 24, cfr. par. 31) e che d'altronde egli
qualifica il maqâm spirituale a lui
corrispondente come maqâm qutbî («stazione polare») (cfr. Tarjumânu-l-ashwâq, 2); ora, tali
qualifiche egli non le usa per nessuno dei profeti che, «vivi» o «morti»,
presiedono agli altri cieli planetari, per quanto ciascuno di questi sia il «Polo»
del cielo corrispondente. Ne risulta che, malgrado le assimilazioni e i
rapporti di stretta affinità che abbiamo segnalati tra i quattro profeti
viventi, è Idrîs quello che, tra loro, può essere considerato come il Polo; e
questo fatto ha il suo interesse, se ci si vuole rendere conto un po' meglio
del rapporto di questo medesimo Profeta coi lavori del Supremo Consiglio della
Massoneria Scozzese: questi ultimi si pongono sotto la giurisdizione del Re del
Mondo e costituiscono dunque un indizio evidente del vincolo che unì la società
del Medio Evo al Centro del mondo, nonché della presenza dei rappresentanti
dell'Occidente in tale Centro; tutto ciò implica un grado di realizzazione al livello
dei piccoli misteri.(Fine)
[1] È curioso che né il Tuileur di Delannay né
quello di Vuillaume, come neanche Ragon, facciano menzione di questo triangolo
rovesciato. Esso è invece chiaramente indicato dal Tuileur di Losanna così come
dai documenti pubblicati nella Maçonnerie pratique. Lo si trova pure
nell'emblema ufficiale dell'Ordine che esamineremo più avanti.
[2] Cfr. René Guénon, La Grande Triade, cap. XXV.
[3] Cfr. René Guénon, Le coeur rayonnant et le coeur enflammé, “Etudes Traditionnelles”,
giugno-luglio 1946; L'Oeil qui voit tout,
ivi, aprile-maggio 1948.
[4] Potremmo anche osservare che la Piaga della
salvezza, che coincide col simbolo dell'essere divino, fa risaltare la presenza
reale di questo Essere nel sacrificio compiuto così come nei sacramenti che vi
si riconnettono. Inoltre, siccome il triangolo avatârico è radioso, vi si
potrebbe anche scorgere un simbolo che riunisce, identificandoli, il Cristo
sofferente e il Cristo glorioso.
[5] René Guénon, L'Oeil qui voit tout, “Etudes Traditionnelles”, aprile-maggio 1948.
[6] Ciò può rammentare la «correzione» implicita
apportata dallo Shaykh al-Akbar a un celebre verso di Al Hallâj. Quest'ultimo
aveva detto: “Ho visto il mio Signore con l'Occhio del mio cuore”. Quegli si
espresse così: “Ho visto il mio Signore con l'Occhio del mio Signore”.
[7] Ci
si può naturalmente domandare come si può giustificare dal punto di vista
specificamente cristiano questo uso della «I». A tale proposito possiamo osservare
che questa lettera è, in greco come in latino, l'iniziale del nome di Gesù (che
in ebraico si scrive con la iod)
e che nel cristianesimo è il nome di
Gesù a costituire il mezzo di
invocazione per eccellenza, come vediamo soprattutto nei testi esicasti, dove
esso in particolare si trova in rapporto con la «preghiera del cuore». La «I»
iniziale poté dunque, analogamente alla iod del Tetragramma,
rappresentare da sola il nome di Gesù (o del Principio manifestato), che venne
da essa ridotto a espressione puramente principiale e identificato con l'Essere
Primo.
[8] Lo
Shaykh al-Akbar dichiara che il dhikr
con la yâ è, presso i Sâlikîn (quelli che camminano sulla Via) , «più alto» di quello con pronome Huwa, «Lui», anche se quest'ultimo conserva il proprio rango supremo presso gli
'Arifîn (i Conoscenti).
[9] Inoltre, in latino la lettera «i» è anche l'imperativo del verbo ire, «andare», e significa «va!». Intesa
in tale significato (che era fin troppo naturale per quanti usavano le risorse
simboliche del latino), questa lettera riceveva un valore propulsivo verso il
cuore. Potremmo sostenere la validità di questa tecnica con alcuni esempi che
si trovano nel Taçawwuf, ma citeremo solo il seguente: in una certa invocazione
che comincia con le parole Allahumma innî,
«Allahumma, in verità io…» (segue la richiesta), si insegna che l'invocatore
deve concepire il nome divino come composto di Allah e umma e che
quest'ultimo vocabolo deve essere inteso come l'imperativo del verbo amma,
«dirigersi
verso», «camminare alla testa», «aprire la
marcia», di modo che il nome divino così analizzato significa: «Allah,
dirigiTi» (apri la marcia) «verso». La «direzione» assegnata così al nome Allâh è verso la inniyyab
(la realtà intima) dell'essere, rappresentata nel testo dalla parola seguente,
inni, la quale, iniziando e terminando con la «i», è essa stessa
particolarmente adatta per una discesa verso il cuore; viene pure suggerito di
compiere un movimento fisico che si riferisce a tale discesa.
[10] Nel medesimo simbolismo, l'Anima Universale
(an-Nafsu-1-kulliyyah) è
rappresentata dalla Colomba (al-Warqa'),
la Hyle (al-Hayûla) dalla Fenice (al-'Anqâ)
e il Corpo Totale (al-Jismu-1-Kullî) dal Corvo (al-Ghurâb).
[11] La stessa idea è espressa dalla tradizione
secondo cui Zeus inviò da oriente e da occidente due aquile che si incontrarono
presso la Pietra bianca di Delfi, la quale contrassegnò in tal modo l’«ombelico
della terra», vale a dire un'immagine del centro del mondo.
[12] A questo simbolo può essere accostata la
tradizione classica secondo la quale nella città di Pella due aquile rimasero
per tutta la giornata sul fastigio del palazzo in cui la regina madre diede
alla luce il futuro Alessandro Magno, fatto che venne interpretato come un
presagio del duplice impero che questo monarca avrebbe esercitato sull'Oriente
e l'Occidente riuniti.
[13] Faremo notare che noi sottolineiamo in tal
modo quello che i simboli esprimono mediante la loro forma immediata, perché
altrimenti la spada, come è noto, si riferisce al Verbo divino.
[14] Nella Massoneria moderna capita anche che i
simboli siano allontanati da ogni significato normale e che siano loro
attribuiti dei sensi propriamente antitradizionali. È così che in uno dei
documenti conosciuti (Maçonnerie Pratique, Il, p. 50;
cfr. pp. 15-21) si dice dell'aquila bicipite, riconosciuta come «simbolo egizio
della Saggezza», che “una delle sue teste rappresenta l'Ordine, l'altra il
Progresso e, siccome le due teste le consentono di volgere tutt'intorno, cioè
dappertutto, i suoi vigili sguardi, questo emblema significa che la Vera
Saggezza consiste nell'Ordine e nel Progresso”.
[15] Maçonnerie
Pratique, Il, p. 23.
[16]
Quello che abbiamo detto è in rapporto
con la questione assai complicata delle due fonti «legislative», l'una di
carattere «profetico», l'altra di carattere «sapienziale», della civiltà cristiana,
e anche della tradizione cristiana in senso specificamente religioso. Ma per
poter trattare tale questione sarebbe necessaria un'occasione diversa da quella
presente: tuttavia certe osservazioni che dovremo fare più oltre consentiranno
di fornire qualche altra precisazione.
[17]
Maçonnerie Pratique, II, p. 23.
[18]
Maçonnerie
Pratique, II, pp. 34 e 42.
Complimenti chiunque voi siate. State facendo un lavoro straordinario che si pone come utile punto di riferimento per chiunque voglia affrontare seriamente il tema del Sacro.
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