Pietro Mancuso
Ramana
Maharshi. Un
saggio dell’età dell’oro
Skandashram
I residenti erano diventati troppo
numerosi per la grotta di Virupaksha e poco tempo dopo Ramana e la sua “famiglia”
si trasferì a Skandashram.
Skandasramam venne chiamato così poiché l’Asramam era stato progettato e costruito
da un certo Kandaswami, un vecchio devoto, con grandi sacrifici, e inauditi sforzi
fisici.
Il vecchio discepolo aveva ispezionato
vari luoghi, sulla collina e nella foresta, per scegliere il sito adatto, ed alla fine suggerì il sito dove oggi sorge lo Skandasramam
che Bhagavan approvò. Kandaswami iniziò a trasformare la foresta di pruni selvatici
che si trovava sul pendio della montagna. Il risultato delle sue fatiche, senza
alcun aiuto di altri, fu l’asramam.
«È stato un miracolo che su questo
colle, quando necessario, sgorgò l’acqua dove prima non ce n’era e dove nessuno
l’avrebbe sospettato, e come, cessato il bisogno l’acqua
scomparisse nuovamente.
Non potete immaginare in che stato
si trovava originariamente il posto. Kandaswami lavorò con uno sforzo quasi sovrumano,
con le sue mani fece ciò che neanche quattro uomini messi insieme avrebbero potuto
fare. Tolse tutti gli alberi, rimosse le pietre e i massi dal terreno, appianò e
livellò il suolo, creò un giardino e eresse l’Asramam.
Ci donarono quattro palme da cocco da piantare e Kandaswami scavò grandi fosse quadrate, di circa dieci piedi di profondità. Ciò potrà darvi
un’idea della gran mole di lavoro che compì. Era un uomo forte e ben costruito (Giorno
per Giorno)»
L’arrivo di Alagammal porto a
un cambiamento nello stile di vita degli asceti si creò una cucina. Prima Ramana
e gli altri rinunciatari dovevano andare in città a mendicare il cibo a meno che qualche devoto si preoccupasse di portarglielo. Il
primo Ashram nacque, qualcuno dice, con
la creazione della cucina. Appena l’idea che a Skandashram si voleva impiantare
una cucina venne resa nota i necessari utensili vennero
portati dai devoti che risiedevano in città senza che peraltro essi venissero chiesti.
Chhaganlal Yogi (Living Whith the Master – Part III The Maharishi Marzo/Aprile
1994) racconta come la madre di Ramana quando aveva la necessità di qualche cosa
in cucina semplicemente andava dal figlio e gli diceva
« servirebbe un mestolo», e lui rispondeva «vedremo» senza chiedere o fare alcunché
per procurarlo dopo due giorni un devoto arrivava con mezza dozzina di mestoli e
li poneva ai piedi della madre, «abbiamo bisogno di un vassoio», «vedremo» e dopo
qualche ora veniva un discepolo con un vassoio dicendo « Ho pensato che vi sarebbe
potuto essere utile».. In questo modo, si racconta, sorse la cucina di Skandashram.
Della cucina se ne occupava Agammal,
Ramana tuttavia ben volentieri dava una mano. Un giorno la madre volle preparare
il poppadum, una specie di stiacciata fatta di farina di ceci neri e sfoglia fritta
e lo chiamò perché la aiutasse. Ramana in quell’occasione
invece di darle una mano compose il canto del poppadum.
«Non c’è bisogno di andarsene
per il mondo e sentirsi scoraggiati: fà il tuo poppadum
in casa secondo la lezione di tu sei quello, senza paragone; l’Unica parola,
mai proferita, senza parlare chiara parler. Intatto è il silenzio di Colui che è il saggio esperto, la grande apoteosi, col suo eterno
retaggio si Essere-Saggezza-Beatitudine. Fa il poppadun e quando è fatto friggilo mangialo, così i tuoi appetiti potrai soddisfare.
Il grano che è il raccolto di
ceci neri, il cosiddetto ego o sé, cresciuto nel corpo, il fertile campo delle cinque
guaine, mettilo dentro la macina di pietra del mulino, che è la ricerca della Saggezza, il “Chi sono ?”. Soltanto in questo
modo il Sé guadagnerà la libertà. Questo dovrà esser frantumato e ridotto in polvere
finissima come il non-sé; perciò dovremo distruggere i
nostri attaccamenti. Fa il poppadun e quando è fatto
friggilo mangialo, così i tuoi appetiti potrai soddisfare».
Successivamente alla piccola comunità si aggiunse anche il
fratello minore di Ramana Nagasundaram, rimasto vedovo, che in seguito divenne monaco
prendendo il nome di Niranjananda svami. Ramana fu all’inizio duro con la madre
poi pian piano la madre di Ramana inizio a cambiare e si
vestì di arancione, i colori della rinuncia, della samnyas e divenne la Madre di
tutto l’Ashram.
Nel 1922 la madre si ammalò per l’ultima volta
e tutte le attenzioni e cure furono inutili.
Bhagavan il 19 maggio del 1922 presentendo
che quello era il girono in cui la madre avrebbe esalato
l’ultimo respiro si sedette al suo fianco e gli pose una mano sul petto e l’altra
sulla testa. Disse a tutti di andare a mangiare perché, se lei moriva, sarebbe stato
considerato impuro, dalle persone ortodosse, mangiate in una casa
dove si era posata la morte. Alcuni andarono a mangiare, altri non vollero
lasciarlo per andare a mangiare.
Quando il suo passaggio sembrava imminente,
persone come Ganapati Muni, T.K. Sundaresa Iyer, e altri
decisero di recitare dai Veda. Sull’altro lato, Saranagati Ramaswami e un signore
del Punjab iniziarono a recitare Rama Japa . Poi tutti iniziarono a cantare la
canzone Aksharamanamalai e Arunachala Siva.
Fra i canti e la recitazione di sacre scritture,
la Madre, lasciò il corpo. Bhagavan continuò a tenere le sue mani sul suo cuore
e sulla testa. A chi si meravigliava che egli stesse ancora seduto
disse:
« Quando Palaniswami diede il suo ultimo respiro
feci la stessa cosa. Pensai, l’anima è calata nel cuore, e rimossi le mie mani.
Egli aprì gli occhi e la forza vitale uscì dagli occhi. Così questa volta, per essere
certo, ho lasciato le mani più di quanto fosse necessario».
Si alzò e andarono a mangiare e poi si riunirono
di nuovo vicino il corpo senza che provassero alcun senso di contaminazione.
Ganapati Muni sollevò la questione sulla possibilità
di una donna di raggiungere lo stato di Realizzazione. Bhagavan disse che lo stato
di realizzazione non è relato alla forma del corpo grossolano. Kunju svami che ha lasciato un racconto di questo evento ha scritto: «noi tutti,
ci sentimmo soddisfatti che la Madre aveva conseguito la liberazione e fummo felici.
Felicissimi, in verità, perché vedevamo la faccia e il corpo della Madre adesso
irradiare splendore e luce (IL MAHARSHI Giugno / Agosto
1991 Vol. 2 - No. 3) ».
Dal momento che Bhagavan aveva dato la mukti, e il
suo intero corpo e faccia splendevano, fu deciso che il corpo della Madre avrebbe
avuto una sepoltura cerimoniale, invece della consueta pira per le vedove brahmine.
Il corpo venen adornato con kumkum, malas e fiori. Si stabilì che corpo della Madre
sarebbe stato seppellito vicino Pali Tirtham. La morte
della Madre venne tenuta segreta perché si temeva che,
se si diffondeva, si sarebbe radunata una inimmaginabile folla al samadhi (funerale).
I parenti della amdre vennero avvertiti però con un telegramma.
Usando dei fusti di bambù legati insieme da
Skandasramam il corpo della Madre fu portato a Pali Tirtham.
Il corpo fu posto sotto un albero di Asavastha
e Bhagavan, a lungo, con altri devoti sedette vicino esso.
La mattina seguente arrivarono i parenti, da Tiruchuzhi e altri posti. Nel frattempo,
nonostante la riservatezza, la città intera seppe della morte della Madre e si recò
là. Molti negozianti arrivarono con scorte di banane, canfora, ecc., pandit recitavano le scritture e Bhagavan, maestosamente, sedeva accanto
al corpo. Sembrava di essere in un tempio.
C’erano molti cactus selvaggi in quel posto
e, mentre alcuni devoti li rimuovevano, Perumal Swami scavò la fossa e costruì dentro
essa il samadhi . Intorno le 10.30,
11.00 ogni cosa fu pronta. Bhagavan aveva indicato dei passaggi nel Tirumandir,
un testo scritto dal grande saggio Tiruvarul, spieganti come il corpo del jnani deve essere seppellito e non arso. Conformemente
il corpo della madre fu portato alla fossa del samadhi e ivi deposto, Bhagavan sparse
sul corpo un gran quantità di vibhuti. Altri continuarono
aggiungendo canfora, pasta di sandalo, ecc., seguendo in pieno le ingiunzioni del
santo Tiruvarul. Dopo il samadhi fu chiuso, delle pietre
furono poste sopra di esso e fu costruito un piccolo reliquiario.
Dopo la cerimonia Ramana e il suo seguito
si spostarono a Palakottu dove si organizzò per far mangiare circa 200 persone.
Alla testa della processione c’era un gruppo di musicisti con tamburi e corni. La
distanza per Palakottu era solo di duecento yarde, ma Bhagavan
camminava così lentamente che occorsero due ore per coprire il percorso.
Sulla tomba della madre fu costruito un tempio
e venne eretto un linga. Nirajanandi Svami andò
a risiedere lì, in un edificio dal tetto di paglia.
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