Pietro Mancuso
Ramana
Maharshi. Un
saggio dell’età dell’oro
Atiasrami
Ramana Ashramam all’inizio era
solo qualche capannuccia costruita attorno al samadhi della madre, lo stabilirsi
di Ramana a Pali Tirtham, sul luogo dove il corpo della Madre era stato seppellito,
porto a uno sviluppo dell’insediamento.
Alla data del 1993 l’Ashramam
copriva 14 acri di terreno. Il tempio a Mathrubhutheswara
e la hall del samadhi erano circondate da case per
gli ospiti c’erano anche due dormitori, un dispensario, una scuola vedica, una stalla,
uffici, una libreria, una grande cucina e una sala da pranzo. L’Ashram contava tutta una serie di altre strutture
e oltre ad avere la custodia di Skandashram si era pure acquisita la proprietà della
grotta di Virupaksha.
È singolare come attorno a queste
figure di rinunciatari poi sorgano, sotto la pressione dei devoti, delle strutture
così variegate che poi presentano anche notevoli aspetti di complessità gestionale amministrativa e contabile. Un Ashram è una struttura complessa e la sua
gestione richiede anche una certa organizzazione logistica.
Una volta che l’Ashram divenne anche un centro di interessi economici, inevitabilmente, sorsero delle liti perché
qualcuno più intraprendente degli altri pensò bene di impossessarsene, questo successe
quando ancora Ramana era vivo. Un suo vecchio devoto, Perumal Swami, avanzò la pretesa
che l’ashramam fosse di sua proprietà e dichiarò di essere l’unico amministratore
legale, questo a dispetto dello stesso Saggio attorno cui
e per cui era sorto l’Ashram. Tale questione
finì in tribunale e la causa si protrasse per venti anni
prima di essere risolta. Perumal basò le sue pretese su queste considerazioni:
«Ramana essendo un samnyas non
poteva legalmente possedere terreni né altre proprietà. Non possedendo nulla egli
non poteva designare come amministratore suo fratello. Essendo stato lui l’indiscusso
amministratore di Skandashram e non avendo Ramana per le ragioni, su citate, la
possibilità di rimuoverlo egli era anche l’amministratore di Ramashram».
Ramana fu chiamato in un cross
examination, cioè fu interrogato dai due avvocati, quello che tutelava gli interessi dell’Ashram e quello di Perumal. La lite legale verteva sulla proprietà dell’università
di beni che costituiva Ramanashramam.
«Domanda.: Avete lasciato casa
in giovane età perché non avevate attaccamento per casa e proprietà. Ma qui si dibatte sulla proprietà dell’Ashram. Come si spiega?
Maharshi: Io non la cerco. Le
proprietà sono cadute su di me. Io né le amo né le odio.
Domanda: Sono state date a voi?
Maharshi: Sono state date allo
Svami, chiunque egli potesse essere. Ma il corpo è considerato
lo svami nel mondo, quel corpo è questo. Esso riduce sé
stesso a me stesso …
Domanda: Come avete potuto approvare
la costruzione di Skandasramam sulla Collina che era terra per tempio senza aver
preventivamente ottenuto il permesso dalle autorità?
Maharshi: Guidato dallo stesso
Potere che mi fece venire qui e risiedere sulla Collina.
Domanda: Voi non toccate soldi ne altre offerte, credo.
Maharshi La gente qualche volta
pone dei frutti nelle mie mani. Io li tocco.
Domanda: Se ricevete qualche specie
di offerta, perché non ricevete anche soldi?
Maharshi: Non posso mangiare i
soldi. Che ci potrei fare con essi? Perché dovrei prendere ciò di cui non so che
farmene?
La corte dovette esaminare la
questione di basilare importanza per il proseguio del processo e cioè a quale ashrama
appartenesse Ramana, in quanto, come già detto, per la legislazione indiana chi
abbraccia formalmente la rinuncia ed entra in un ordine tradizionale di samnyas
può considerarsi come legalmente morto e i suoi beni confluiscono ai suoi eredi.
Ramana non ha mai espresso la
sua rinuncia al mondo in modo formale. Consapevole che è stato chiamato dalla corte
perché si attestasse l’ashrama di appartenenza egli inizia
la sua deposizione con il ricordo delle circostanze che lo portarono a Tiruvannamalai
e del momento cruciale per il processo quello della rinuncia.
«Sono di nascita bramino.
Quando venni in questo luogo avevo diciassette anni. La
mia upanayana (la cerimonia del cordone brahmino) era stata fatta
prima che venissi qui. Prima di venire qui vivevo fra gente che era nell’ashrama grihastha. Entro
un’ora da quando venni in questa città io abbandonai il
mio cordone e ebbi la mia testa lavata. Avevo più o meno
tre rupie gettai anche quel denaro (David Godman (http://davidgodman.org) Bhagavan the Atiasrami The Mountain Path, 1991)».
Gettare via il cordone significava
gettare via il segno visibile del suo appartenere alla casta dei brahmini,
lavarsi la testa e gettare le monete significava che egli
aveva rinunciato ai possedimenti terreni e abbracciava la vita del samnyas senza
però dare adesione formale a un ordine di samnyas tradizionale. Ramana abbracciò
quindi a diciassette anni la vita del sadhu. Quaranta anni dopo il suo arrivo
a Tiruvannamalai, fra novembre e dicembre del 1936, di fronte a una Corte di giustizia,
venne chiamato in una lite civile che aveva ad oggetto
delle proprietà proprio colui che a diciassette anni aveva gettato via tutto ciò
che gli apparteneva per rimanere nudo e solo con il Solo. Lui che da allora aveva
indossato solo un pezzetto di stoffa per coprire le parti intime per rispetto dell’altrui
pudore.
Gli fu domandato a quale asrama
appartenesse. La risposta di Ramana fu sorprendente in quanto
non disse di essere come ci si aspettava un samnyas ma neanche disse di appartenere
agli altri tre ashrama. Disse di appartenere all’ atiasrama.
Gli si chiese che cosa fosse l’atiasrama e lui rispose che è aldilà dei quattro
asrama comunemente conosciuti. L’interrogante chiese se quello che diceva
avesse un fondamento negli shastra, Ramana rispose affermativamente.
Su questo punto, cruciale, che
vedeva crollare il fondamento delle pretese della parte avversa, Ramana venne dall’avvocato
di Perumal interrogato a fondo.
Domanda: Avete parolato di atiasrama
l’altro giorno. C’è una autorità per esso è menzionato
da qualche parte?
Bhagavan: Si,
nelle Upanishad, la Suta Samhita [dello Skanda Purana], Bhagavata, Barata e altre
opere.
D. Ci sono restrizioni
o discipline per questo stato?
B. Ci sono delle caratteristiche di esso menzionate.
D. C’è un Guru per ciascun
asrama. C’è un Guru per un atiasrama?
B. Si.
D. Ma voi non ammettete un Guru.
B. C’è un Guru
per ciascuno. Io ammetto un guru anche per me.
D. Chi è il vostro
Guru?
B. Il Sé.
D. Per chi?
B. Per
me stesso. Il Guru può essere interno o esterno. Egli può rivelare sé stesso internamente o esternamente.
D. Può l’atiasrami avere
proprietà?
B. Non ci sono
restrizioni per loro. Essi possono fare ciò che ad
essi piace. Suka è detto essere sposato e aver avuto figli anche.
D. Un atiasrami è come
un capofamiglia in quel caso.
B. Ho appena
detto che egli è sopra i quattro riconosciuti asrama.
D. Se possono sposarsi, avere
proprietà ecc. essi sono solo grihastas.
B. Questa può essere la vostra
visione.
D. Possono avere proprietà e
trasferirla ad altri?
B. Essi possono o
non possono. Dipende dal loro prarabdha (destino).
D. Ci sono Karma (regole) per
loro?
B. La loro
condotta non è regolata secondo regole o codici (Talks
with Sri Ramana Maharshi, talk no. 281).
In seguito a questa vicenda
il gruppo dei discepoli anziani fece presente a Bhagavan che persino mentre lui
era presente erano stati tormentati e che erano preoccupati di quel che sarebbe
potuto accadere una volta che lui fosse morto. Ramana disse che cosa suggerite
di fare dunque e loro proposero la nomina di un gruppo di amministratori.
«Degli amministratori
potrebbero non avere un reale interesse nella gestione dell’Ashramam e usarlo
solo come una vacca da latte per i propri scopi. È meglio che quelli che gli
sono legati per sangue e sentimento abbiano permanentemente l’amministrazione».
Fu così deciso che la miglior
cosa da farsi fosse un testamento. Della stesura della bozza del
testamento fu incaricato Sundaram Chetty un giudice non più in servizio
dell’alta corte di Salem. La bozza venne letta
clausola dopo clausola a Ramana alla presenza di mezza dozzina di devoti di un
certo grado sociale come testimoni. Ramana approvò apportando poche correzioni.
Fu chiesto a Ramana se avesse ben inteso il senso della clausola e se la
accettasse espresso il suo consenso si passava alla
successiva. Bhagavan aveva una calligrafia perfetta, alcune suoi scritti in
Tamil sembrano delle stampe e denotano una pulizia e precisione del tratto
notevole eppure appose come segno distintivo una x ad
ogni pagina come consenso alle singole clausole e alla fine un tratto come
firma ad approvazione generale del testamento. La linea
seguiva la seguente dichiarazione “In segno della mia esecuzione di questo
documento io appongo il mio marchio e anche autorizzo G. Sambasiva Rao a
segnare per me in mia presenza perché io non ho abitudine ad apporre la mia
firma. I testimoni apposero a loro volta la firma e l’atto fu
registrato.
«Io non appartengo a nessun ordine di Sannyas, ma se
un nome deve essere dato al mio stato, io sono un atyasramita. Nel corso
del tempo diversi contribuzioni di danaro vennero
fatte come un dono a me, e con quel danaro, sale, magazzini e altri edifici
furono costruiti, così come pozzi, serbatoi e altre amenità vennero
all’esistenza. Tutte le proprietà qui sotto descritte e comprese in quel che vien chiamato “Sri Ramanashramam” (e gli accrescimenti a
ciò) sono dedicati da me all’idolo attualmente installato e consacrato in esso,
cioè, Sri Mathrubhutheswara Swami e anche all’idolo o statua come mio simbolo
che sarà installata e consacrata dopo il mio decesso sul mio samadhi in un
posto appropriato nello stesso Ashram.
Io indico mio fratello, Nirajananda svami, come il solo amministratore. Dopo lui, T.N. Venkatarama Iyer, sarà il solo amministratore.
Questo diritto di amministrazione o curatela investirà, come un diritto
ereditario, l’ultimo familiare e si devolverà secondo la linea maschile di
discendenza di generazione in generazione. Per rendere
quanto più possibile Sri Ramanashramam un centro per la diffusione della
conoscenza spirituale e un posto di santità che renda possibile la
realizzazione degli obiettivi relati all’avanzamento della spiritualità. Dopo aver fatto fronte alle spese necessarie dell’Ashram cioè la Pooja, il Naivedyam, ecc.
degli Idoli, l’amministratore potrà prendere,
dall’eccedenza delle entrate, ciò che è necessario per il mantenimento di sé
stesso e della sua famiglia (The Maharshi maggio/giugno 1993 vol 3
– n.3».
Dopo il mahanirvana di
Ramana ci furono diversi tentativi legali di contestare ai familiari di Ramana
l’amministrazione dell’ashramam e delle sue proprietà e il testamento giocò, in
queste cause, un importantissimo ruolo.
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