Titus Burckhardt
Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam
I - La Realizzazione Spirituale
Il Rito
Il rito, è l'atto la cui forma
stessa deriva da una Rivelazione divina.
La perpetuazione del rito è dunque un
modo della Rivelazione, e questa è presente nel rito nel suo duplice aspetto
intellettuale ed ontologico; infatti, compiere un rito, non è soltanto
rappresentare un simbolo, ma anche partecipare ad un certo modo di essere,
almeno potenzialmente, che abbia un'estensione extra umana e universale. Il
significato del rito coincide con l'essenza ontologica della sua forma.
L'uomo moderno è generalmente
incline a vedere in un rito soltanto un ausilio per ·un atteggiamento etico, il
solo che gli sembri rendere efficace il rito, ammesso che riconosca a questo
una qualsiasi efficacia. Quello che non vede è la natura implicitamente
universale della forma qualitativa del rito; certo, un rito può essere proficuo
soltanto se viene compiuto con un'intenzione (niyah) conforme al suo
significato perché, secondo un detto del Profeta, «le azioni valgono solo per
le loro intenzioni»[1]; ma ciò non vuoi dire
evidentemente che l'intenzione sia indipendente dalla forma dell'azione.
Proprio perché l'atteggiamento interiore si conforma alla qualità formale del
rito, qualità che manifesta una realtà contemporaneamente ontologica ed
intellettuale, l'atto si libera dalla sfera psichica individuale.
La quintessenza dei riti
musulmani, il loro elemento «sacramentale», se cosi si può dire, è la parola
divina da essi trasmessa. Parola che del resto è contenuta nel Corano: la
recitazione del testo coranico costituisce già di per sé un rito. In alcuni
casi, questa recitazione si concentra su un'unica frase, che verrà ripetuta un
determinato numero di volte, al fine di attuarne la verità profonda e la grazia
particolare; questa pratica è tanto piu consueta nell'Islam, in quanto il
Corano è in gran parte composto da formule concise, dalla sonorità ritmica, che
si prestano alle litanie ed all'incantamento. Per l'exoterismo le giaculatorie
hanno soltanto un'importanza secondaria; non sono, del resto, mai usate
metodicamente se non dall'esoterismo che invece le adopera come un mezzo
fondamentale.
Ogni recitazione ripetuta
d'una formula o parola sacra, compiuta a voce alta o interiormente, viene indicata
con il termine generico dhikr; abbiamo già fatto notare che esso significa al tempo stesso
«menzione», «richiamo», «evocazione» e «ricordo». Il sufismo fa
dell'invocazione, il dhikr nel senso rigoroso e stretto della parola, un mezzo centrale del
proprio metodo; in questo è d'accordo con la maggior parte delle tradizioni
dell'attuale ciclo umano[2]. Per
capire l'importanza di questo mezzo, bisogna ricordare che, secondo
l'espressione rivelata, il mondo è stato creato dalla Parola (al-Amr,
al-Kalimah) di Dio, la qual
cosa indica un'analogia reale tra lo Spirito universale (ar-Rûh) e la parola.
Nell'invocazione, il carattere antologico dell'atto rituale si esprime nel modo
piu diretto: la sola enunciazione del Nome divino, analoga all'«enunciazione»
primordiale ed illimitata ddl'Essere, è qui il simbolo di uno stato o di una
conoscenza indi.fferenziati, superiori al semplice «conoscere» razionale.
Il Nome divino, rivelato da
Dio stesso, implica una Presenza divina che diventa operante nella misura in
cui il Nome s'insignorisce del mentale di colui che lo invoca. L'uomo non può concentrarsi
direttamente sull'Infinito, ma concentrandosi sul simbolo dell'Infinito,
raggiunge l'Infinito stesso: quando il soggetto individuale si è identificato
con il Nome, al punto che ogni proiezione mentale è stata assorbita dalla forma
del Nome, l'Essenza divina di questo si manifesta spontaneamente, poiché tale
forma sacra non tende a nulla che sia al di fuori di sé stessa; essa ha un
rapporto positivo solo con la sua Essenza, e i suoi limiti si dissolvono infine
in Questa. Cosi l'unione col Nome divino diventa l'Unione (al-wasl)
con Dio stesso.
Il significato di «ricordo»
insito nel vocabolo dhikr, definisce indirettamente lo stato normale di oblio e
d'incoscienza (ghaflah) dell'uomo: l'uomo ha dimenticato il proprio essere
pretemporale in Dio, e questo oblio innato causa altre dimenticanze e altre inconsapevolezze.
Secondo il detto del Profeta: «questo mondo è maledetto, e tutto ciò che
contiene è maledetto, fuorché l'invocazione [o il ricordo] di Dio (dhikr-
Ullâh)». Il Corano dice: «Certo la preghiera impedisce le
trasgressioni passionali e i gravi peccati, ma l'invocazione di Dio (dhikr-Ullâh)
è piu grande» (XXIX, 45); questo vuoi dire, secondo alcuni, che la
menzione - o il ricordo - di Dio costituisce la quintessenza della preghiera,
mentre, secondo altri, tale passo indica la superiorità dell'invocazione
rispetto alla preghiera.
Altri fondamenti scritturali
dell'invocazione del Nome - o dei Nomi - di Dio sono questi passi coranici:
«Ricordatevi di Me, Io Mi ricorderò di voi…» (o: «Nomina teMi, Io vi
nominerò…») (II, 152). - «Invocate il Signore vostro con umiltà ed in segreto…
e invocatelo con timore e desiderio; in verità, la Misericordia di Dio è vicina
a coloro che praticano le virtù» (al-muhsinîn,
coloro che praticano al-ihsân, cioè
l'approfondimento, per mezzo della «povertà», al-faqr, o della «sincerità», al-ikhlâs,
della «fede», al-imân, e della
«sottomissione» a Dio, al-islâm) (V,
55-56). La menzione che viene fatta, in questo passo, dell'«umiltà» (tadarru'), del «segreto» (khufyah), del «timore» (khawf) e del «desiderio» (tama') ha un'estrema importanza tecnica.
- «A Dio appartengono i piu bei Nomi; invocateLo con essi» (V , 180). – O voi
che credete! Quando incontrate una schiera [nemica] siate saldi e menzionate
molto Dio, affinché abbiate successo» (VIII, 45). Il senso esoterico della schiera
è l'«anima che incita al male» (an-nafs
al-ammârah); vi è dunque trasposizionte del senso letterale, che riguarda
la «guerra santa minore» (al-jihâd
al-asghar), sul piano della «guerra santa maggiore» (al-jihâd al-akbar). - «Quelli che credono e i cui cuori riposano
sicuri nel ricordo [l'invocazione] di Dio; non è forse nel ricordo di Dio che i
cuori riposano sicuri?» (XIII, 28). Qui, lo stato d'animo dell'uomo profano
viene paragonato implicitamente ad un turbamento o ad un'agitazione dovuta alla
sua dispersione nella molteplicità, che è agli antipodi dell'Unità divina. -
«Di': invocate Allah [sintesi di tutti i Nomi divini e, contemporaneamente,
trascendenza rispetto alla loro differenziazione] o invocate Ar-Rahmân [la Beatitudine-Misericordia,
o la Bellezza-Bontà intrinseca di Dio], comunque Lo invochiate, a Lui appartengono
i Nomi piu belli…» (XVII, 110). - «Avete nell'Inviato di Dio un esempio
eccellente di colui che spera in Dio e nell'Ultimo Giorno, e che invoca molto
Dio» (XXXIII, 21). - «Oh voi che credete, invocate Dio con invocazione
frequente» (dhikran kathirâ) (XXXIII,
41). - «E invocate Dio con un cuore puro [con una religione pura] (mukhlisîna lahu-d-dîn)…» (XL, 14). - «
Il vostro Signore ha detto: ChiamateMi, Io vi risponderò…» (XL, 60). - «Non è
forse tempo, per coloro che credono, di umiliare il loro cuore nel ricordo di
Dio?...» (LVII, 1.6) - «Invoca il [ricordati del] Nome del tuo Signore e
consacrati a Lui con [una perfetta] consacrazione» (LXXIII, 8). - «Beato colui
che si è purificato, che ha invocato il Nome del suo Signore e che ha pregato»
(LXXXVII, 14-15).
A questi passi coranici
bisogna aggiungere le parole del Profeta: «Devo morire o vivere pronunciando il
Tuo Nome». La relazione tra il Nome, la «morte» e la «vita» racchiude un significato
iniziatico molto importante. - «C'è un mezzo per forbire ogni cosa e che toglie
la ruggine; e ciò che forbisce il cuore è l'invocazione di Dio, e non c'è atto
che allontani tanto il castigo di Dio quanto questa invocazione[3]. I
Compagni dissero: La lotta agli infedeli è simile a ciò? Egli rispose: No,
perfino se si combatte fino a che la spada si spezzi». - «Mai degli uomini si riuniscono
per invocare [ricordarsi di] Dio, senza essere circondati dagli angeli ed
essere avvolti dal Favore divino e senza che la Pace (as-sakînah) non
discenda su di loro e Dio non Si ricordi di loro presso il Suo seguito». - «Un
Beduino andò dal Profeta e chiese: Chi è il migliore fra gli uomini? Il Profeta
rispose: Benedetta è la persona dalla lunga vita e dalle buone azioni. Il
Beduino disse: O Profeta! Qual è l'azione migliore, la piu premiata? Egli
rispose: La migliore azione è questa: che ti separi dal mondo, e che muoia mentre la tua lingua è umida nel ripetere
il Nome di Dio»[4]. - «Un uomo disse: O
Profeta di Dio, le leggi dell'Islam sono davvero numerose; dimmi una cosa per
cui io possa ottenere una ricompensa. Il Profeta rispose: Fa' che la tua lingua
sia sempre umida nel ricordo di Dio».
***
Il carattere universale
dell'invocazione è espresso indirettamente dalla semplicità della sua forma e
dalla sua capacità di assimilare tutte le manifestazioni vitali la cui natura
diretta ed elementare ha una somiglianza con l'aspetto «esistenziale» del rito.
Cosi, il dhikr padroneggia facilmente
la respirazione il cui duplice ritmo non compendia soltanto ogni manifestazione
di vita, ma anche, in modo simbolico, tutta l'esistenza.
Come il ritmo insito nella
parola sacra assimila il movimento della respirazione, così questo può
assimilare i movimenti di tutto il corpo; sta qui il principio della danza
sacra in uso nelle comunità sufiche[5].
Questa consuetudine è tanto piu notevole in quanto la religione musulmana come
tale è ostile alla danza ed alla musica, poiché l'identificazione, mediante un
ritmo cosmico, con una realtà spirituale o divina, non trova posto in una
prospettiva religiosa che afferma una distinzione rigorosa ed esclusiva fra il
Creatore e la creatura. Esistono del resto ragioni d'opportunità per bandire la
danza dal culto religioso: le concomitanze psichiche della danza sacra
comportano alcuni rischi di deviazione magica. Tuttavia, la danza ha un
sostegno spirituale troppo diretto e primordiale perché non si ritrovi -
regolarmente o incidentalmente nell'esoterismo delle religioni monoteistiche[6].
Si narra che i primi sufi
abbiano innestato il loro dhikr
danzato sulle danze dei guerrieri arabi; più tardi, alcuni ordini sufici
d'Oriente, come i Naqshabendîs, adattarono talune tecniche dell'hatha-yoga rendendo differenti le loro
forme di danza. Jalâ ad-din Rumî, fondatore dell'ordine dei Mewlewîs, si
ispirò, per il dhikr collettivo della
sua comunità alle danze e alla musica popolari dell'Asia Minore[7]. Se
citiamo le danze e la musica dei dervisci, è perché queste manifestazioni del
sufismo sono tra le piu conosciute; esse derivano tuttavia soltanto da un
aspetto collettivo e perciò abbastanza periferico del tasawwuf, e molti maestri si sono dichiarati contrari al loro uso
troppo generalizzato. In ogni modo, tali esercizi non devono mai prevalere
sulla pratica del dhikr in solitudine.
L'invocazione viene compiuta preferibilmente durante il ritiro (khalwâ), ma può anche conciliarsi con
ogni tipo di attività esteriore. Essa implica sempre l'autorizzazione (idhn) d'un maestro spirituale; senza
questa autorizzazione, il derviscio non fruirebbe dell'aiuto spirituale
trasmesso dalla catena (silsilah)
iniziatica; inoltre, la sua iniziativa puramente individuale rischierebbe di
essere in flagrante contraddizione con il carattere essenzialmente non-individuale
del simbolo, donde il pericolo di reazioni psichiche incalcolabili[8].
[1] Fanno eccezione i riti di consacrazione, perché la loro importanza è puramente oggettiva; basta che l'uomo sia qualificato per compierli e che osservi
le regole prescritte ed indispensabili.
[2] Questo ciclo inizia
all'incirca con il periodo chiamato «storico». L'analogia tra il dhikr musulmano e lo japa-yoga indù, ed anche con i metodi incantatori
del Cristianesimo esicasta e del Buddhismo amidico, è molto rilevante; sarebbe
tuttavia errato attribire al dhikr musulmano
un'origine non islamica, innanzirutto perché tale ipotesi non è per nulla
necessaria, poi perché è smentita dai fatti, ed infine perché le realtà
spirituali fondamentali non possono non manifestarsi all'interno di ogni
civiltà tradizionale.
[3] Secondo il Vishnu-Dharma-Uttara,
«l'acqua basta
a spegnere il
fuoco, il
sorgere del sole a (cacciare) le tenebre; nell'epoca Kali
la ripetizione del nome di Harì (Vishnu) basta a distruggere ogni errore. II nome di Hari,
proprio il Nome, questo Nome che è la mia vita, non c'è, non c'è sicuramente altra via». Citiamo anche un passo del Manava-Dharma-Shâstra: «Non v'è dubbio che un bramano ottiene buoni risultati soltanto grazie al japa (invocazione); compia o non compia altri riti, è un bramano perfetto». Parimenti, anche il Mahâbhârata insegna che «tra tutte le funzioni (dharmas), il japa (invocazione) è per rne la
funzione piu elevata», e: «Fra tutti i sacrifici Io
sono il
sacrificio
del japa».
[4] Kabir: «Come il pesce
ama l'acqua, l'avaro il denaro, la madre il suo bambino, cosi Bhagat ama il Nome. Gli occhi versano lacrime guardando il
cammino, il cuore è diventato una pustola nell'invocare continuamente il Nome».
[5] Secondo un hadîth,
«colui che non danza nel ricordo dell'Amico, non ha amico». Questa sentenza è uno dei fondamenti
scritturati della danza dei dervisci.
[6] Un Salmo dice: «Essi devono lodare il Suo Nome danzando in cerchio, con tamburi e arpe». Si sa che la danza sacra esiste nell'esoterismo giudaico; ha il suo modello nella danza del re David
davanti all'Arca dell'Alleanza. Il Vangelo apocrifo dell'Infanzia parla della danza della Vergine bambina sui gradini
dell'altare; certe consuetudini folcloristiche ci autorizzano a concludere che
questi modelli siano stati imitati dalla Cristianità medievale. S. Teresa
d'Avila e le sue monache hanno danzato al suono dei tamburelli. «Durante il samkîrtana («concerco spirituale»,
l'equivalente indù del samâ’ musulmano
o, piu precisamente, della hadrah o 'imarah), non prestate attenzione alla
danza e all'accompagnamento musicale, ma concentrate il vostro spirito sul Suo
Nome… Quando pronunciate il Nome di Dio, il vostro spirito comincia ad
apprezzare samkîrtana, e la sua
musica predispone lo spirito alla contemplazione delle cose divine. Come dovete
celebrare i pûjas e pregare, bisogna
anche partecipare ai samkîrtana». Ma
Ananda Moyî, Aux Sources de la Joie
(Adrien Maisonneuve).
[7] Una sensazione estetica può essere un sostegno dell'intuizione come un'idea dottrinale,
e nella misura in cui la bellezza di una
forma rivela una essenza intelletruale. Tuttavia l'efficacia propria di un mezzo come la musica sta nel fatto che essa si rivolge innanzitutto alla
sensibilità; la illumina e la sublima: la perfetta
armoria dell'intelligenza
attiva, la ragione, e dell'intelligenza passiva, la sensibilità, prcfigura lo staro spirituale (al-hâl).
[8] «Quando l'uomo acquista dimestichezza con il dhikr – afferma al-Ghazzâlî - si separa (interiormente) da ogni cosa. Al momento della morte, è separato da tutto ciò che non è Dio… Ciò che resta, è soltanto l'invocazione». «Se tale invocazione gli è abituale vi trova piacere e gioisce perché gli ostacoli che lo distoglievano
da essa sono stati allontanati, cosicché egli si trova, per dir cosi, solo con
il suo Diletto…». In un altro testo, al-Ghazzâlî si esprime cosi: «Occorre che tu sia da solo
in un ritiro… e che
stando seduto, concentri il tuo pensiero su Dio, senza
nessun'altra preoccupazione interiore. Farai questo pronunciando dapprima il Nome di Dio con la lingua, ripetendo continuamente: Allâh Allâh, senza
distogliere l'attenzione. Il risulrato sarà uno stato in cui sentirai, senza sforzo da
parte tua, il Nome nel movimento spontaneo della lingua» (Ihyâ 'ulûm ad-dîn). I metodi di
incantamento sono diversi come lo sono le possibilità
spirituali. Dobbiamo insistere anche qui sull'impossibilità di dedicarsi a
tali pratiche fuori del loro ambito tradizionale
e delle loro condizioni
normali.
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