"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

domenica 25 dicembre 2016

Al-Balyânî, Il Trattato dell’Identità Suprema (Ar-Risâlatu-l-Ahadiyah) - Analisi del Trattato (di Michel Vâlsan)

Al-Balyânî
Il Trattato dell’Identità Suprema (Ar-Risâlatu-l-Ahadiyah)

Attribuito a Muhyiddîn Ibn 'Arabî, con il titolo «Il trattato dell'Unità» già pubblicato in altra edizione in questo blog «Scienza Sacra»

Analisi del Trattato (di Michel Vâlsan)

Prima di affrontare lo hadith di cui si deve fare il commento, l’opera inizia con una esposizione delle idee fondamentali che devono intervenire nell’esame del tema, secondo l’abituale modalità dossologica della khutbah.
Si ha così l’affermazione dell’Unicità (al-Wahdaniyyah) e della Singolarità (al-Fardâniyyah) divine, concepite come escludenti non soltanto l’alterità, ma ogni distinzione reale, ogni coesistenza e ogni processo: identità perfetta tra il Nome e il Nominato, così tra le posizioni intelligibili rappresentate da coppie di Nomi divini opposti e complementari, come il Primo (al-Awwal) e l’Ultimo (al-Âhir), l’Esteriore (al-Zahir) e l’Interiore (al-Batin), identità anche tra la Preesistenza e l’Adesso. Il divenire è inesistente, racchiudere Dio nei limiti dell’incarnazione (hulûl) è impossibile, il tutto risiede in una identità immutabile da tutta l’eternità e per tutta l’eternità. La conoscenza di Allâh non è possibile che al di fuori di ogni facoltà particolare e al di fuori di ogni “mezzo”. Non vi è che Lui-Stesso che Si conosce, e ciò significa sia una trascendenza assoluta sia una identità universale. Le Sue rivelazioni e i Suoi messaggi profetici sono degli svelamenti di Se-Stesso a Se-Stesso e per mezzo di Se-Stesso: l’Autore del Messaggio, il Messaggio stesso, il Messaggero e il Destinatario sono una Ipseità unica che senza alcuna distinzione, e al di fuori di ogni processo reale, agisce ineffabilmente in Se-Stessa.

L’introduzione (nell’argomento) si fa con la citazione dello hadith. La verità della formula {Colui che conosce se stesso conosce il suo Signore} è presentata come una conseguenza immediata dell’Unicità dell’Esistenza, e una illustrazione delle verità enunciate nel prologo. L’accezione nel senso dell’Identità Suprema è sostenuta con l’aiuto di un secondo hadith: {Ho conosciuto il mio Signore per mezzo del mio Signore}. Questo verifica e interpreta in qualche modo il primo. La legge d’identità universale e assoluta, esige che non vi siano dei “mezzi” adeguati della Conoscenza vera se non il Fine stesso. L’“anima”, il “se-stesso” che sembrerebbe essere uno strumento o un intermediario della conoscenza non può avere alcuna realtà in sé stessa. Non può trattarsi che di Lui-stesso. La dimostrazione arriva dunque all’affermazione dell’inesistenza assoluta dell’“io” o dell’essere distintivo, e nello stesso tempo, per una conversione immediata, all’affermazione dell’Identità assoluta: Tu sei Lui e Lui è Te. Tu non esisti perché Tu sei Lui. È così che si trova la “crisi” razionale del principio logico di contraddizione.
In seguito sono tratte alcune conseguenze che aprono delle prospettive operative sul metodo afferente l’Identità Suprema: le nozioni iniziatiche abituali di fanâ’ al-wujûd (“l’estinzione dell’esistenza”, dell’“io” o dell’“essere”) e di fanâ’ al-fanâ’ (l’estinzione di questa prima estinzione per quanto questa possa significare un processo effettivo) sono inadeguate, inconcepibili, assurde. Esse costituiscono dal punto di vista metafisico il “peccato” del širk, l’associazione di un’altra esistenza all’Esistenza Unica Perfetta e Immutabile. L’affermazione dell’esistenza di un’altra realtà foss’anche di grado inferiore precedente l’Esistenza per eccellenza è falsa; la pretesa di sopprimerla dopo averla affermata come esistente è contraddittoria: ciò che è è, e ciò che è non può non essere. Di conseguenza affinché la conoscenza dell’anima sia la Conoscenza di Allâh, l’anima deve essere compresa come non avente in se stessa alcun rapporto con l’esistenza o con la cessazione dell’esistenza! Il vero stato dell’anima è quello di Non-Cosa, e questo stato è immutabile dal Senza Inizio (al-Azal) fino al Senza Fine (al-Abad) dall’Eternità, in un Eterno Presente (al-Ân). L’anima risiede inalterata in questo Istante eterno e Allâh è Lui-Stesso questo Istante. L’altro non esiste. L’Alterità non è ammessa in alcuna delle modalità speculative correnti: nella metafisica islamica vi è un modo speciale d’espressione delle relazioni supreme immediate con preposizioni come bi = “per mezzo”, fi = “nel” o “in”, min = “di” (= “procedente da”), ma’a = “con”, ecc. così si hanno comunemente le nozioni di esistenza “per Allâh”, in “Allâh”, “procedente da Allâh”, e non si ammette mai che ci sia qualcosa “con Allâh”. Nel nostro trattato le nozioni di “per Allâh”, “proveniente da Allâh” e anche “in Allâh”, sono, sotto il rapporto dell’esistenza, denunciate tutte come implicanti la coesistenza “con Allâh” e per conseguenza proscritte e abolite. La nozione che nega essenzialmente la dottrina del nostro trattato è dunque quella della “coesistenza” rappresentata dall’idea e dell’espressione “con Allâh”, perché questo costituisce metafisicamente e ontologicamente l’affermazione di una dualità, un širk. Anche quando si tratta di sapere quale sia la via della conoscenza si ha necessariamente l’enunciato di una regola contemplativa di Esistenza pura, di Non-Dualità e d’Identità: Allâh era, e nessuna Cosa con Lui. Egli è Ora tale quale Era. Così questa formula si analizza in una enunciazione dell’Esistenza: Allâh era (nel senso assoluto di “è” perché il termine kâna = “era” esprime in realtà nella grammatica araba uno stato di compimento perfetto), una condizione di Non-Dualità: Nessuna Cosa con Lui, e una affermazione d’Identità: Egli è Ora tale quale Era.
Con ciò si potrebbe dire che la sostanza dottrinale del soggetto è completa. Le difficoltà di comprensione o delle obiezioni presentate sotto forma di domande possibili sorgono in seguito. L’autore le risolverà successivamente stabilendo ogni volta più esplicitamente e più fermamente la sua tesi assoluta. La dissertazione continua così in una sorta d’incantazione intellettuale che si avvolge senza posa su se stessa, sempre la stessa e ogni volta rinnovata, in una inalterabile trascendenza. Ogni nuova nozione introdotta da una obiezione o una difficoltà è immediatamente presa in questo movimento e istantaneamente convertita come prova e illustrazione della stessa verità. Questo metodo dialettico è così esso stesso una espressione immediata dell’evidenza intellettuale dell’Identità universale.
Se qualcuno dice di vedere la sua anima “altra che Allâh” e non crede che Allâh sia la sua anima, la risposta sopprime l’anima conosciuta: attraverso l’“anima” bisogna comprendere l’essere puro, l’esistenza in senso assoluto, al-wujûd, la verità essenziale dell’essere, al-haqiqah. Così intesa l’“anima” è allora per opportunità metodica, secondariamente assimilata alle “cose”, a tutto ciò che si enuncia come “altro che Allâh”.
Non è che per girare immediatamente con l’insieme di queste analogie sul perno dell’Unicità. Ciò con l’aiuto di un hadith dove il Profeta chiede ad Allâh di fargli vedere «le cose come esse sono». Allâh, avendogli fatto vedere che le cose non hanno alcuna esistenza, egli le vede come nient’altro che l’Essenza di Allâh. Ma la nozione di “cose” include quella dell’“anima” stessa. Conoscendo le “cose”, il Profeta conosce anche la sua “anima”, e conoscendo l’anima egli conosce il Signore. La conclusione affascina: «ciò che tu t’immagini essere “altro che Allâh” non è altro che Lui-Stesso. Tu stesso non sei altro che Lui: Tu sei il tuo proprio fine, sei Te stesso quello che cerchi. Tu non hai bisogno di alcuna estinzione, tu sei da tutta l’eternità e rimarrai per tutta l’eternità identico a te stesso. Tu vedi così che i tuoi attributi e la tua essenza sono i Suoi Attributi e la Sua Essenza senza alcun divenire in te-stesso e senza alcun processo di trasformazione dall’uno all’altro, {Ogni cosa è caduca salvo il Suo Volto} dice il Corano[1], e il Volto di Allâh è la Sua Essenza provvista di tutti gli Attributi identici a Essa-Stessa. E la conoscenza dell’Identità non implica alcun processo di trasformazione, di sostituzione, d’aggiunta o d’interpenetrazione tra l’ignorante iniziale e il conoscitore finale, ma la semplice sparizione dell’ignoranza. Pensare che ci si debba estinguere è credere che si è velo d’Allâh, allorché il Velo di Allâh non è che la sua Unicità e la Sua Singolarità, Lui-Stesso dunque. [Un tale “velo” non è d’altronde qualche cosa che debba né possa essere rimosso; meglio ancora questo velo, lo si deve “conoscere”, non “rimuovere”.] Ragion per cui colui che constati questa identità può legittimamente dire «Io sono il Vero-divino» o «Gloria a Me! Perché io sono Magnifico». Delle nuove prove tradizionali arrivano a rafforzare la tesi che ciò che pare “altro che Allâh” è Allâh Stesso: {non maledite il Tempo perché il Tempo è Allâh}. Il malato, l’affamato e il mendicante sono Allâh Stesso sotto l’apparenza della creatura, dice un hadith divino. Così tutte le cose esistenti, e tu stesso con loro, sono Lui. Quando in un solo punto dell’universo questo segreto fondamentale dell’esistenza unica, è scoperto, da tutti i punti, da tutti gli atomi, e in tutti i mondi, lo stesso segreto emerge nel modo più manifesto. Colui che veda ciò, vede che la creazione non è stata un atto isolato, e una volta per tutte, ma che essa è un’Opera eterna e unanime perché {Egli è ogni giorno intento a un’Opera}[2] o all’“Opera per eccellenza” che è incessante e simultanea attività di manifestazione e d’occultamento di Se-Stesso e in Se-Stesso. Infine, così come la non-esistenza di un altro che Lui in quanto “altro” è necessaria, al punto che l’altro-che-Lui è Lui-Stesso e non un “altro”. Colui che è così è Infinito. La morte iniziatica suprema dell’essere è come una resurrezione in quanto Dio. È là il senso e lo scopo dell’ingiunzione del Profeta: {Morite prima di morire!}. Se vuole sapere inoltre come appare questa Trasfigurazione suprema nell’essere? Allâh dice: {Il servitore non cessa di avvicinarsi a Me con le sue opere surerogatorie fintanto che Io l’amo, e quando Io lo amo sono io che sono il suo udito, la sua vista, la sua mano, il suo piede…}, ecc. E l’autore, per dissipare l’impressione, che potrebbe risultare da queste formule, di un processo operativo qualunque, riporta le cose alla sua tesi immutabile: Allâh ha indicato così che colui che conosce la propria anima vede tutta la sua esistenza come se fosse l’Esistenza di Allâh senza alcun cambiamento d’essenza o di attributi! Esso comprende solamente che è stato ignorante di quel che era.
Di conseguenza «la dottrina della conoscenza di sé esige che tu sappia e realizzi che la tua esistenza non è né esistenziata né annientata, che tu non sei qualche cosa che è, che tu non sei mai stato e non sarai mai». Bisogna dire che affinché questa conoscenza sia positiva è necessario che si colleghi in modo immediato alla sola Esistenza necessaria, quella di Allâh. L’autore non lo dice qui in termini diretti, ma la cosa risulta dalle parole che aggiunge: «Da ciò ti apparirà il senso della formula sacra di Testimonianza: Lâ ilâha illa-Llâh = “Nessuna divinità se non la Divinità (Allâh)”, vale a dire non c’è divinità altra che Lui, che l’altro-che-Lui non ha esistenza, che non vi è “altro” se non è Lui-stesso questo Altro, che non vi è divinità se non Lui-Stesso». In questa conoscenza dunque l’essere si realizza e si conosce come inesistente in quanto “altro” ma Esistente in quanto Lui. Questi sono i termini della tesi nell’esoterismo islamico.
Con ciò anche noi rimaniamo davanti a tutti i rischi dell’intelligenza e della fede. Una obiezione si eleva inquieta: Ma tu lo separi dalla Sua Signoria, tu l’usurpi! Questo maestro sconcertante e salutare risponde: Io non potrei dividerLo! Aggiungo al contrario alla Sua gloria tutto ciò che si può affermare di apparentemente in difetto! Poiché Egli non cessa di rimanere Signore di Gloria dato che Egli è anche il servitore che glorifica. Egli non cessa di essere e Creatore universale e ogni sua creatura che proclama la realtà unica del Suo potere e del Suo atto creatore. Egli è Ora tale quale Era. Vale a dire che Egli è nella sua creazione tale quale è da tutta l’eternità perché questa creazione non è nient’altro che la Sua qualità eterna preesistenziale di Creatore. Il momento della creazione è identico all’Eternità senza esserne stato mai distinto, poiché l’Eternità risiede in un ‘attimo’ immutabile che è dotato di tutti gli aspetti eterni ed esistenziali. Il Tutto è Unico e l’Unico è Tutto. La Sua Opera creatrice è la Sua Opera Senza Inizio né Fine {Ogni giorno Egli è intento a un’Opera} dice un versetto coranico. Si tratta di un Giorno che non è un “giorno” e di un’Opera che non è un “opera”. Questo Giorno è l’Eternità stessa e questa Opera l’Universalità immutabile in permanente attualità. L’esistenza delle cose create o la loro non-esistenza è tutt’uno aggiunge l’autore per rendere vana ogni resistenza. Se non fosse così bisognerebbe ammettere che la creazione accresce l’esistenza e che la perfezione dell’Unicità non è. Dopo aver messo il suo contraddittore di fronte alla sua vera responsabilità, e averlo legato al rispetto della Verità tradizionale dell’Unicità, il maestro conclude: conosci la tua anima senza il peccato di associazione. Allâh ti conosce in quanto sei Allâh! Non vi è alcuna empietà, perché l’empietà è di astenersi da questo omaggio supremo dovuto all’Unicità Universale che è quello di vedere l’Identità di tutte le cose con Lui. Ed ecco il balsamo di questa grazia d’incorruttibilità formulata in termini di straordinario rigore sia nell’affermazione sia nella negazione: «sappi che la tua esistenza non è né la tua esistenza né altro che la tua esistenza, che tu non sei né esistente né annientato, né altro che esistente né altro che annientato. La tua esistenza e il tuo nulla sono la Sua Esistenza, senza esistenza e senza nulla. Vale a dire non nel senso che sono la tua esistenza e il tuo nulla stessi a costituire la Sua Esistenza, né che la Sua Esistenza sia la stessa della tua esistenza e del tuo nulla». Con ciò sembra che abbiamo rimosso l’ostacolo della fede imperfetta per arrivare a questa Fede assoluta che procede da una Scienza incrollabile. Tradizionalmente viene tradotta come una “fede procedente da una scienza” (‘imâm ‘an ilm) ed essendo qui nel dominio della Scienza Suprema, la Fede che vi corrisponde è la Fede Perfetta. Ora, incontreremo delle questioni e delle obiezioni che hanno piuttosto un carattere tecnico. Si tratta di sapere come giustificare in rapporto a questa verità acquisita nozioni iniziatiche utilizzate dall’autore e che sembrano implicare delle modalità operative e distintive.
Di primo acchito come ammettere l’idea di una Unione o di un Arrivo (Wisâl) dal momento che non vi è che un Unico nell’esistenza? L’interrogato si accontenterà di rispondere con i termini di unione o giunzione (wasl) e di separazione (fasl), di allontanamento (bu’d) e di prossimità (qurb) che sono delle espressioni che non devono essere prese nella loro accezione ordinaria. In realtà non vi è che un Unico, l’Unione è senza “unione”, la Prossimità senza “prossimità” e l’Allontanamento senza “allontanamento”.
Da tutto questo l’idea di unione senza “unione” appare come la più debole da ammettere, ma che dire della Prossimità senza “prossimità” e dell’Allontanamento senza “allontanamento” dato che queste idee vanno manifestamente contro la tesi dell’Unicità? È ciò che richiederà una domanda successiva. Qui la risposta sarà un po’ più precisa e più sostenuta. Nelle condizioni dette di “prossimità” e di “allontanamento” tu non sei mai altro che Allâh, ma non te rendi conto: ci sono dunque degli errori di conoscenza che si traducono in modi di dire. Nel momento in cui acquisissi la Conoscenza vedresti che sei allo stesso tempo Lui e Altro-che-Lui. Allora constati anche di aver conosciuto Allâh “attraverso Allâh” non “per mezzo della tua anima”. Qui si presenta una analogia curiosa ma assai espressiva. Supponiamo che il tuo nome è Mahmûd e che sei anche chiamato Mahmûd, perché il nome e l’appellativo sono identici. Ma potresti immaginare che il tuo nome sia Muhammad, e renderti conto in seguito di essere Mahmûd e non Muhammad che conosce se stesso tramite se stesso, e neanche Muhammad che non è mai esistito: una cosa che è non può essere grazie a qualcosa che non è. Ed è così che bisogna comprendere che con la Conoscenza si conosce Allâh “per Allâh” non per “l’anima” o per “altro che lui” che non esistono. Il conoscitore e il Conosciuto sono lo Stesso. Allo stesso modo Colui che Arriva e Colui a cui si arriva, il Vedente e il Visto. Una prospettiva secondaria è proposta qui immediatamente: il Conoscitore è la Sua Qualità o il Suo Attributo (al-Sifah) e il Conosciuto è la Sua Essenza (al-dhât). Stessa corrispondenza per le altre coppie di nozioni. Ora la Qualità e il Qualificato sono identici. Tale è la spiegazione, dice l’autore, del hadith “Colui che conosce se stesso conosce il Suo Signore”. Ed è così che ci si libera dal peccato associazionista. Risulta dunque che l’anima è una Qualità del Signore Qualificato come Essenza dell’anima. Con questo abbiamo una importante sfumatura nella formulazione della dottrina dell’Identità, perché la relazione così stabilita non è più reversibile. In seguito l’autore ritorna ancora sull’errore metafisico di coloro che parlano di “negazione dell’esistenza” o di “estinzione dell’esistenza”, di “cancellazione” e di “soppressione”. È per introdurre un’opera in versi, di una bella cadenza in arabo, dove è riassunta tutta la dottrina del Tu e del Lui, e che termina con l’avvertimento di non associare niente ad Allâh, né se stessi né altra cosa, allo scopo di evitare l’avvilimento dell’abbandono dell’Identità per riconoscersi soltanto nell’Alterità dell’Associazione.
Un’altra domanda vuole tuttavia verificare l’esistenza apparentemente distinta del conoscitore: Tu insegni che la tua conoscenza di te stesso è la conoscenza di Allâh. Ma la conoscenza dell’anima è altra da quella di Allâh. Come ciò che è altro da Allâh può conoscere Allâh e unirsi a Lui? La risposta ribadisce ancora questa posizione: Colui che conosce la sua anima sa che la sua esistenza non è la sua ma quella di Allâh. E ancora una volta, senza divenire, senza penetrazione o uscita, senza coesistenza o dimora in Lui. Egli vede la sua esistenza tale quale era prima che essa fosse. Dopo questa nuova trascendenza nell’incondizionatamente assoluto, comprendiamo che è così dimostrato che la conoscenza che il Conoscitore ha della sua anima è la stessa cosa che la Conoscenza che Allâh ha della Sua Anima, perché la Sua Anima non è che Lui-Stesso», e noi siamo istruiti anche che il Profeta designa per l’Anima l’Esistenza pura (al-Wujûd)”. Quindi il soggetto della conoscenza è in realtà Allâh: è là dunque la risposta alla questione sollevata. Ma constatiamo allora, inoltre, che Allâh conoscendo l’anima conosce la Sua propria Anima, che è una col Suo Essere. Non è dunque che un modo di parlare quello di enunciare la tua conoscenza dell’anima, o di te stesso. Eppure l’autore si esprime ancora una volta senza cambiamento nei termini abituali: «Colui che realizza questo maqâm…»; così iniziaticamente “Allâh” è un “maqâm”, il Maqâm per eccellenza, quello dell’Unicità Assoluta. In rapporto a questo maqâm impersonale, si può allora a seconda dei casi parlare della tua conoscenza di te o della Sua conoscenza di te, della tua conoscenza di Lui o della Sua conoscenza di te come identica a Lui, della tua conoscenza della Tua anima che è identica alla Sua Anima, della Sua conoscenza dell’Anima che sei tu in Lui perché è Lui la tua Anima, della tua esistenza, della sua Esistenza, dell’Esistenza pura, di niente perché l’anima è nulla, di Tutto poiché Tutto ha l’Esistenza Assoluta, della Conoscenza dell’Unico che è ad un tempo il Soggetto e l’Oggetto della Conoscenza senza sdoppiamento e senza alcuna distinzione reale, d’una immutabile Identità esistenziale, di una Conoscenza che è Esistenza pura, di una Esistenza che si conosce perché è e non perché in corso di realizzazione, di un’anima-qualità che non è distinta dal Sé-Qualificato, d’una Essenza dai molteplici Attributi coesistente e identica a Sé-Stessa, d’uno “Stato” o d’un “È” di una Eternità o di un Istante unico. Ma ritorniamo al testo: «Colui che realizza questo maqâm vede che la sua esistenza non è differente dall’Esistenza di Allâh né quanto all’interiorità né quanto all’esteriorità. La Sua esistenza è l’Esistenza stessa di Allâh, la sua parola la Parola di Allâh, il suo atto l’Atto divino per eccellenza. La sua pretesa di possedere la Conoscenza di Allâh è la Sua pretesa di conoscere Se stesso». Ad un altro egli sembrerà differente da Allâh, ma è quest’altro ad essere ignorante. Allora l’autore cita un hadith: “il credente è lo specchio del credente”. Come segnalato nelle note della traduzione, considerato che il “credente” (al-Mu’min) è inoltre uno dei nomi di Allâh, si hanno quattro forme di lezione e di trascrizione con l’aiuto della maiuscola:

1. “Il credente è lo specchio del credente”. Questo si applica a due “anime”. Ognuna non potrà vedere nell’altra se non ciò che essa è, la sua immagine dunque, riflessa dall’altra. Nel nostro trattato ciò si riferisce al fatto che l’ignorante vede se stesso, creatura, in colui che dice «Io sono Allâh», e non vede chi è Colui che pronuncia realmente queste parole
2. “Il credente è lo specchio del Credente”. L’anima è lo specchio di Allâh che vi si specchia e fa apparire la Sua propria Immagine nell’esistenza dell’anima di cui Egli costituisce tutta la realtà.
3. “Il Credente è lo specchio del credente”. Allâh è lo specchio dell’anima che nel guardarsi vede se stessa.
4. “Il Credente è lo specchio del Credente”. Allâh l’Unico è Se Stesso in Se Stesso, e non vede altro che la Sua Sola Immagine.

L’autore lascia le cose nell’indeterminazione, e il seguito immediato del suo testo può essere letto in funzione di queste differenti prospettive. Se abbiamo optato per la 2a, altro non è perché dovendo scegliere, quella ci sembrava essere, in un certo senso più naturale nell’insieme: «Egli è dunque Lui stesso, per mezzo del Suo Occhio, vale a dire col Suo Sguardo, perché il suo occhio è l’occhio di Allâh, il suo sguardo lo Sguardo di Allâh, al di fuori di ogni idea che si ci potrebbe fare: egli non è Lui grazie al tuo occhio, la tua scienza, la tua comprensione, la tua estinzione, la tua opinione o la tua vista; egli è identico a Lui, egli è Lui Stesso (huwa-Huwa) tramite il Suo Occhio, la Sua Scienza e la Sua Vista. Se egli dice: “Io sono Allâh!” ascoltale bene perché è Allâh stesso che proclama queste parole, non lui». In seguito l’autore ricorda e riassume: l’Esistenza delle cose è la Sua Esistenza, senza la loro esistenza. Ma non bisogna dedurne che Allâh sia un essere creato. Ciò sarebbe ancora più falso visto che una certa tradizione dice che «il Sufi non è creato». Ci sono cose che sono comprese solo da colui la cui comprensione supera le dimensioni dei due mondi e sta nell’immensità dell’Unicità Assoluta, là dove il Vedente e il Visto, Colui che trova e il Trovato, il Conoscitore e il Conosciuto, l’Esistenziatore e il Glorificatore, Colui che Intuisce e l’Intuíto, sono uno Solo, in una Esistenza-Conoscenza unica che supera ogni forma di qualificazione.
Ma ecco una domanda che evidenzia un certo imbarazzo nell’accettare la concezione dell’identità. Ci sono nell’esistenza anche cose ripugnanti a fianco di altre gradevoli. Si può dire per esempio che un rifiuto o un maiale siano Allâh? Questa questione sembra un po’ tardiva, ma tiene conto degli scrupoli che i teologi che confondono la teoria dell’Identità suprema con il “panteismo”, hanno sovente formulato. Qui il maestro trascendendo immediatamente nella Sublimità e la Santità di Allâh risponde: «Non parliamo con colui che vede una carogna come una carogna, un’immondizia come un’immondizia. Noi parliamo a colui che possiede la vera vista non al cieco». Non è un sotterfugio, poiché qui non si è mai trattato di un’identità concreta e materiale che sarebbe errato rendere omogenea, parificando l’Assoluto e il relativo, l’Eterno e il creato sullo stesso piano del relativo e del creato o di un termine medio d’identità essenziale secondo la verità ultima e unica. All’idea di una unicità nell’ordine dell’Esistenza che è quella della Wahdah al-Wujûd, deve corrispondere quella d’una unicità di sguardo o di visione contemplativa, la Wahdah al-Suhûd. Questo sguardo è uno sguardo di santità assoluta che brucia non solo l’impurità ordinaria, ma anche qualsiasi molteplicità, per non lasciare che il gioiello illuminante dell’Essenza unica. E questa visione non è affatto una questione “soggettiva” individuale ciò che corrisponderebbe ad un accecamento, ma la visione secondo la realtà unica dell’Occhio e delle Cose. La santità incorrutibile delle cose non potrebbe essere che una attraverso l’Occhio santo che libera questa realtà dalle tenebre dell’errore come è lui stesso al di fuori dagli effetti illusori della soggettività. È per questo che il maestro dice che non potrebbe indirizzarsi che a colui che, aspirando alla Conoscenza di Allâh, sorvegli in tutta la sua freschezza e la sua purezza, la Forma della Bellezza della Ricerca. Questa “forma di bellezza” (sûrah) è una nozione nuova nel nostro trattato. Il maestro non la spiega in altro modo, ma si può comprendere che si tratta della delicatezza, della sottilità, della perfetta trasparenza dell’anima santa, nella quale solo la luce della Verità può penetrare senza ostacolo, affinché questa luce sia quella per la quale l’essere vede in seguito le cose e le riconosca identiche a Lui. Questa Forma di Bellezza non può essere in fondo che la Forma divina secondo la quale Adamo è stato creato, poiché un hadith dice che “Allâh ha creato questi secondo la Sua Forma”, e un altro hadith dice che Adamo fu creato secondo la Forma del Tutto-Misericordioso (al-Rahmân). È solo in questa Forma che Allâh ha il Suo riflesso perfetto secondo l’altro hadith che dice che “il credente è lo specchio del Credente”. Praticamente e tecnicamente nella realizzazione iniziatica ciò si traduce con “la forma di convenienza spirituale” (al-adab) nel rapporto con Allâh, forma enunciata da tutta la Legge rivelata. “Allâh è Bello e ama la Bellezza (Allâh Jamil yuhibb al-Jamâl)” dice un hadith. La bellezza (al-Jamâl) tra le qualificazioni divine designa l’Essenza pura la cui vista sopprime l’essere distintivo. Tutto ciò che è bello lo è perché è questa Essenza Unica e Unificante. La bruttura comincia con l’alterità che è “alterazione”. Sotto questo rapporto le cose ripugnanti non esistono dunque in se stesse, ma nello sguardo dello spettatore.
Ma a proposito di questa questione dello sguardo viene sollevata una obiezione: Allâh dice che “gli sguardi non Lo raggiungono, ma che è Lui che coglie gli sguardi[3], ora tu affermi qualche cosa di contrario. Qual è il senso di quel che dici? E il maestro risponde: Tutto ciò che abbiamo detto fin qui ritorna a questa stessa verità “che gli sguardi non possono Raggiungerlo”, perché non c’è nessuno, né sguardo, al di fuori di Lui. L’altro-che-Lui non è un altro che Lui, è Lui stesso. Gli sguardi non lo raggiungono come delle facoltà distinte da Lui, perché non sono in realtà che la Sua propria Esistenza. È inadeguato rispondere a una tale questione dicendo che gli sguardi non possono raggiungerlo perché essi sono creati e il creato non può giungere all’increato. Non si devono considerare tali distinzioni: non c’è cosa, né sguardo, che non sia Lui. È Lui Stesso che percepisce la Sua Esistenza senza che la percezione esista di per sé in qualche modo. Il passaggio finisce con un nuovo componimento in versi il cui inizio dice: «Ho conosciuto il Signore tramite il Signore» e la fine: «Io non ho dovuto per questo estinguere la mia anima poiché non è mai esistita, e neanche Lui, il Signore della dissoluzione, ha dovuto occuparsene».
Un’ultima questione è posta: «Tu affermi l’Esistenza Unica di Allâh e neghi l’esistenza di ogni altra cosa. Che ne è allora delle cose che vediamo?» questa domanda riassume in somma tutte le difficoltà e da loro una forma immediata corrispondente a ciò che si potrebbe dire il “buon senso”. Anche la risposta è riassuntiva e tranciante: «Parliamo solo con colui che non vede nient’altro che Allâh. Non abbiamo niente a che fare con chi vede altre cose. Abbiamo detto molto per chi sa comprendere, quanto a colui che non ha compreso niente fin qui, non potrebbe avanzare se continuassimo a parlarne. All’“Uomo di Unione” (al-Wâsil) è sufficiente una piccola indicazione, all’altro niente gli potrà servire. E il maestro conclude la sua esposizione con un augurio propiziatorio per lui e per tutti.
Ma con l’ultima risposta siamo arrivati ad un empasse. Questa posizione assoluta si richiude su se stessa. Certo il maestro rimane coerente con se stesso, ma la questione che si pone è di sapere a cosa può servire un tale insegnamento se non ci sono coloro che sono nell’istanza dell’Unione che possono comprendere? Ora, deve pur servire a qualche cosa poiché si parla di un profitto che trae effettivamente chi lo comprende. Il panorama intellettuale aperto dalla dissertazione deve avere così un’efficacia certa, tanto più che ha fondato un “metodo” di concezione e di conoscenza. Soltanto la sua negazione di ogni idea di divenire e di processo effettivo esige una realizzazione nell’istantaneità, e senza nessun altro mezzo che lo “spettacolo” stesso dell’assoluto. È così che questo insegnamento non potrebbe indirizzarsi se non a coloro che per qualificazione naturale siano dei metafisici intuitivi. A costoro un potente stimolo intellettuale come quello appena appreso, è capace di orientare l’ essere intero verso una intuizione sintetica e totale al di là delle limitazioni e delle contraddizioni formali del piano logico. Siamo ai confini dell’assurdo che non potrebbe superare se non il miracolo, quel miracolo che è indissolubilmente legato allo stato della conoscenza. Questo scritto non potrebbe che indirizzarsi a coloro che sono capaci, o anche costretti dalla loro natura, di non vedere che l’Assoluto, e per i quali tutti gli aspetti della loro esistenza non sono altro che universalmente questo stesso sguardo.

[1] Corano, 28, 88.
[2] Corano, 55, 29.
[3] Corano, sura 6, versetto 103.

Da: «Oriente e Occidente» n° 2
Qui su Scienza Sacra nella traduzione di Abdul-Hadi:
https://scienzasacra.blogspot.com/2014/01/ibn-arabi-il-trattato-dellunita_6.html

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