Le dodici fatiche d’Eracle
Dopo avere udito queste parole Eracle si recò a Tirinto per sottoporsi ai comandi di Euristeo. Come prima impresa costui gli ordinò di portargli la pelle del leone nemeo, che era una belva invulnerabile figlia di Tifone.
Partito alla volta del leone, giunse a Cleonea, dove venne ospitato da un pover uomo chiamato Molorco. Il giorno seguente, quando il suo ospite volle offrire un sacrificio, Eracle gli raccomandò di attendere trenta giorni: allora, se fosse ritornato salvo dalla caccia, si sarebbe fatto un sacrificio a Zeus Salvatore, mentre se fosse morto avrebbe dovuto versargli libagioni come si fa con un eroe.
Dopo avere udito queste parole Eracle si recò a Tirinto per sottoporsi ai comandi di Euristeo. Come prima impresa costui gli ordinò di portargli la pelle del leone nemeo, che era una belva invulnerabile figlia di Tifone.
Partito alla volta del leone, giunse a Cleonea, dove venne ospitato da un pover uomo chiamato Molorco. Il giorno seguente, quando il suo ospite volle offrire un sacrificio, Eracle gli raccomandò di attendere trenta giorni: allora, se fosse ritornato salvo dalla caccia, si sarebbe fatto un sacrificio a Zeus Salvatore, mentre se fosse morto avrebbe dovuto versargli libagioni come si fa con un eroe.
Giunto a Nemea andò alla ricerca del leone e dapprima gli scagliò una
freccia; quando però comprese che era invulnerabile afferrò la clava e
iniziò a incalzarlo. Il leone si rifugiò in una spelonca a due uscite;
allora Eracle ne sbarrò una e attraverso l’altra raggiunse l’animale:
gli circondò il collo con un braccio e strinse fino a soffocarlo. Poi lo
caricò sulle spalle e lo portò a Cleonea, dove trovò Molorco che
nell’ultimo dei giorni stabiliti stava per offrirgli libagioni come se
fosse morto; così, dopo avere sacrificato a Zeus Salvatore, portò il
leone a Micene.
Euristeo rimase sbigottito dal suo valore e per il futuro gli vietò
di entrare in città, imponendogli di esibire il frutto delle sue
imprese dall’esterno delle mura. Dicono anche che, terrorizzato, avesse
fatto costruire una giara di bronzo per nascondersi sotto terra e
avesse imposto ad Eracle le fatiche attraverso l’araldo Copreo, figlio
di Pelope di Elide, il quale si era rifugiato a Micene per avere ucciso
Ifito e aveva preso dimora in quel luogo dopo essere stato purificato da
Euristeo.
La seconda fatica che il re gli impose fu di uccidere l’Idra di
Lerna; questo mostro era cresciuto nella palude di Lerna e si aggirava
per la pianura massacrando le mandrie e devastando la regione. L’Idra
aveva un corpo immenso e nove teste: otto erano mortali, quella di mezzo
im-mortale. Ebbene, Eracle salì sul carro (Iolao ne teneva le redini) e
giunse a Lerna; scovò l’Idra sopra una collinetta nei pressi delle
Sorgenti di Amimone, dove essa aveva la tana. Bersagliandola con frecce
infuocate la snidò, e mentre quella usciva la ghermì e la tenne stretta;
l’Idra però si avvinghiò a uno dei suoi piedi. Eracle la percuoteva
sulle teste con la clava ma non riusciva ad averne la meglio, perché
ogni volta che una testa veniva frantumata ne crescevano due; inoltre in
aiuto all’Idra era accorso un enorme granchio che gli aveva
attanagliato un piede. Perciò Eracle lo uccise e a sua volta chiamò in
soccorso Iolao: questi appiccò il fuoco a una parte della selva vicina
e, bruciando con torce le teste a mano a mano che crescevano, impedì che
rinascessero. In questo modo Eracle riuscì a eliminare le teste che
rispuntavano; infine tagliò la testa immortale, la seppellì e vi pose
sopra un pesante macigno, lungo la strada che attraverso Lerna porta a
Eleunte. Poi squarciò il corpo dell’Idra e immerse le frecce nella sua
bile. Tuttavia Euristeo rifiutò di includere questa prova tra le dieci
perché Eracle non aveva sopraffatto l’Idra da solo ma con l’aiuto di
Iolao.
La terza fatica che il re gli impose fu di condurre a Micene, ancora
viva, la cerva di Cerinea. Questa cerva si trovava a Enoe, aveva corna
d’oro ed era consacrata ad Artemide. Poiché Eracle non voleva né
abbatterla né ferirla, la inseguì per un intero anno; quando infine
l’animale, spossato dalla caccia, si rifugiò sul monte chiamato
Artemisio e lì, presso il fiume Ladone, Eracle lo ferì con una freccia
nel momento in cui stava per guadare il corso d’acqua; così lo catturò,
se lo caricò in spalla e attraversò l’Arcadia. Ma Artemide e Apollo gli
sbarrarono il passo, e la dea cercò di togliergli la cerva
rimproverandolo perché aveva abbattuto il suo animale sacro: ma Eracle
rispose che aveva agito per necessità e attribuì la colpa a Euristeo. In
tal modo placò l’ira della dea e portò l’animale ancora vivente a
Euristeo.
Come quarta fatica il re gli impose di portargli vivo il cinghiale di
Erimanto. Questa belva devastava Psofi scendendo dal monte che chiamano
Erimanto. Ebbene, mentre Eracle stava attraversando Foloe fu ospitato
dal centauro Folo, figlio di Sileno e di una ninfa melia. Costui offrì a
Eracle carni cotte, mentre lui stesso le divorava crude; quando poi
Eracle gli chiese del vino, rispose che temeva di aprire la giara che
possedeva in comune con gli altri Centauri. Eracle gli fece coraggio e
così Folo la dissigillò, ma poco dopo, attirati dall’odore, presso la
grotta Folo accorsero i Centauri armati di pietre e bastoni. Eracle
volse in fuga, bersagliandoli con delle torce, i primi che osarono
penetrarvi, Anchio e Agrio, e inseguì gli altri a colpi di freccia sino
al Malea.
Di lì essi si rifugiarono presso Chirone, che era stato scacciato dai
Lapiti, e dal monte Pelio si era trasferito presso il Malea. Mentre i
Centauri erano raggruppati attorno a lui, Eracle scagliò contro di loro
una freccia, che dopo avere trapassato il braccio di Elato si conficcò
nel ginocchio di Chirone. Eracle addolorato si precipitò a estrarre il
dardo e applicò sulla ferita un farmaco che gli aveva porto Chirone. Ma
la piaga era inguaribile: allora Chirone si ritirò nel suo antro dove fu
preso dal desiderio di morire, ma non poteva poiché era immortale.
Prometeo allora offrì a Zeus di scambiare il suo destino con quello di
Chirone, che cedendo a lui la propria immortalità poté finalmente
morire.
Gli altri Centauri fuggirono disperdendosi: alcuni giunsero al monte
Malea; Eurizione a Foloe; Nesso al fiume Eveno. Poseidone diede asilo
agli altri celandoli in una montagna presso Eleusi. Quanto a Folo, dopo
avere estratto una freccia dal corpo di un morto, si meravigliò che un
oggetto così piccolo avesse ucciso tali nemici: ma essa, sfuggitagli di
mano, lo punse a un piede e lo uccise all’istante. Quando Eracle fece
ritorno a Foloe e vide Folo morto, lo seppellì e partì alla ricerca del
cinghiale; gridando lo stanò da una macchia e lo inseguì sino a sfinirlo
nella neve alta, lo intrappolò e lo condusse a Micene.
La quinta fatica che Euristeo gli impose fu di rimuovere in un solo
giorno il fimo delle mandrie di Augia. Augia era il re di Elide, figlio
secondo alcuni di Elio, secondo altri di Poseidone, oppure (secondo
altri ancora) di Forbo, e possedeva una grande quantità di bestiame.
Eracle si recò presso di lui e, senza nulla rivelargli degli ordini di
Euristeo, si offrì di rimuovere il fimo in un solo giorno purché il re
gli donasse la decima parte delle mandrie. Augia, pur essendo
incredulo, accettò; allora Eracle prese come testimone Fileo, figlio di
Augia, quindi aprì una breccia nelle fondamenta della stalla e vi fece
scorrere le acque mescolate dei fiumi Alfeo e Peneo, dei quali aveva
deviato il corso, avendo prima creato un’altra apertura perché l’acqua
vi defluisse. Quando Augia venne a sapere che quest’impresa era stata
compiuta per ordine di Euristeo, rifiutò di pagare la ricompensa e
aggiunse inoltre di non avere mai promesso alcun premio, dichiarandosi
anzi pronto ad affrontare un processo su questo argomento. Quando i
giudici si furono riuniti, Fileo venne convocato da Eracle e testimoniò
contro suo padre, ammettendo che aveva promesso una ricompensa; allora,
prima che la sentenza fosse emessa, Augia adirato bandì Eracle e Fileo
dall’Elide.
Fileo si trasferì a Dulichio, dove prese dimora; Eracle invece andò a
Oleno presso Dessameno e lo trovò in procinto di concedere in moglie,
contro la propria volontà, la figlia Mnesimache al centauro Eurizione.
Chiamato in soccorso dall’amico, Eracle, quando Eurizione si presentò
per condurre via la sposa, lo uccise. Euristeo però non volle computare
tra le dieci fatiche neppure questa, accampando il pretesto che era
stata compiuta dietro compenso.
Come sesta fatica gli impose di scacciare gli uccelli stinfalidi.
Presso Stinfalo, una città dell’Arcadia, si apriva infatti un lago
chiamato Stinfalo, ombreggiato da una fitta selva. Presso questo lago si
era rifugiato un numero sterminato di uccelli, che temevano di
diventare preda dei lupi. Eracle non sapeva come fare per scacciare gli
uccelli da quel bosco, quand’ecco che Atena gli donò dei crotali di
bronzo che aveva ricevuto da Efesto. Percuotendoli dalla cima di un
monte che sovrastava il lago spaventò gli uccelli, i quali non riuscendo
a sopportare il frastuono volarono via terrorizzati e in questo modo
Eracle poté abbatterli con l’arco.
La settima fatica che Euristeo gli impose fu di portargli il toro di
Creta, che (secondo Acusi-lao) era lo stesso che aveva trasportato per
mare Europa a Zeus; altri invece sostengono che si trattava di quello
che Poseidone aveva fatto uscire dalle acque quando Minosse aveva
promesso di sacrificargli ciò che fosse apparso dal mare: ma si dice che
davanti alla bellezza del toro lo mandò libero tra le mandrie e a
Poseidone offrì un altro sacrificio; perciò il dio si adirò e rese
selvatico il toro. Quando Eracle giunse a Creta per catturarlo, Minosse
rispose alla sua richiesta di aiuto dicendo che avrebbe dovuto
affrontarlo e domarlo da solo; allora Eracle lo catturò e lo condusse da
Euristeo, e, dopo averglielo mostrato, lo lasciò libero. E il toro,
dopo avere vagato per Sparta e per tutta l’Arcadia, attraversò l’Istmo e
giunse sino a Maratona, in Attica, dove tormentava gli abitanti.
Come ottava fatica il re gli comandò di portare a Micene le cavalle
del tracio Diomede: co-stui, che era figlio di Ares e Cirene, regnava in
Tracia sul bellicosissimo popolo dei Bistoni e possedeva cavalle
antropofaghe. Ebbene, dopo avere raggiunto per nave quella regione
assieme a un gruppo di volontari, Eracle sopraffece i guardiani che
custodivano i recinti delle cavalle e le condusse sino al mare. Quando i
Bistoni accorsero in armi, egli consegnò le cavalle ad Abdero perché le
custodisse; costui, un figlio di Ermes nato a Oponte in Locride, era il
giovane amante di Eracle: ma le cavalle lo uccisero facendolo a brani.
Eracle affrontò i Bistoni e uccise Diomede, costringendo gli altri
alla fuga; poi fondò la città di Abdera presso la tomba del defunto
Abdero, condusse le cavalle da Euristeo e gliele consegnò. Ma Euristeo
le lasciò libere ed esse arrivarono sino al monte chiamato Olimpo, dove
furono sbranate dalle bestie feroci.
La nona fatica che Euristeo impose a Eracle fu di portargli la
cintura di Ippolita, la regina delle Amazzoni che abitavano presso il
fiume Termodonte: un popolo possente in guerra. Esse erano dedite ad
attività guerriere e se mai si univano a un uomo e davano alla luce un
figlio allevavano solo le femmine, alle quali comprimevano il seno
destro perché non fossero impacciate nel lanciare il giavellotto, mentre
lasciavano crescere quello sinistro per l’allattamento. Ippolita,
dunque, possedeva la cintura di Ares, emblema del potere che esercitava
su tutte.
Eracle fu inviato alla conquista di questa cintura perché la figlia
di Euristeo, Admeta, desiderava possederla; così egli, dopo avere
arruolato dei volontari, con una sola nave si mise in mare. Giunse
quindi all’isola di Paro, in cui avevano dimora i figli di Minosse:
Eurimedonte, Crise, Nefalione e Filolao. Accadde però che due dei
naviganti, che erano sbarcati, fossero assassinati dai figli di Minosse.
Eracle, sdegnato da questo, subito li uccise; poi cinse d’assedio gli
altri isolani finché essi gli inviarono ambasciatori con la proposta
che in cambio dei morti egli conducesse con sé due persone a sua
scelta. Allora Eracle rinunciò all’assedio e dopo avere scelto Alceo e
Stenelo, i due figli di Androgeo, figlio di Minosse, giunse in Misia
presso Lico, figlio di Dascilo, dal quale fu ospitato. Quando Lico fu
assalito dal re dei Bebrici, Eracle venne in suo aiuto e uccise molti
nemici, tra i quali anche il re Migdone, fratello di Amico; così, dopo
avere confiscato una larga parte del territorio dei Bebrici, la consegnò
a Lico, che chiamò tutta quella regione Eraclea.
Infine approdò nel porto di Temiscira, dove ricevette la visita di
Ippolita, che gli chiese la ragione del suo arrivo e promise di
consegnargli la cintura. Ma Era assunse l’aspetto di un’amazzone e si
diede a circolare tra la folla dicendo che gli stranieri che erano
arrivati stavano rapendo la regina. Allora esse presero le armi e
corsero alla nave sui loro cavalli. Quando Eracle le vide giungere
armate, credette si trattasse di un tradimento: perciò uccise Ippolita e
la spogliò della cintura; poi tenne a bada le altre e salpò alla volta
di Troia.
In quell’epoca accadeva che la città soffrisse a causa dell’ira di
Apollo. Infatti Apollo e Poseidone, che volevano mettere alla prova
l’arroganza di Laomedonte, avevano assunto sembianze umane e promesso
di edificare le mura di Pergamo in cambio di un compenso; quando però
ebbero completato l’opera il re rifiutò di pagarli. Per questo motivo
Apollo inviò una pestilenza e Poseidone un mostro marino che usciva dal
riflusso della marea e rapiva gli uomini nella pianura. Gli oracoli
vaticinarono che le sciagure avrebbero avuto termine se Laomedonte
avesse offerto in pasto al mostro la figlia Esione; perciò egli la
espose, legata alle rocce che sorgevano sulla riva del mare. Vedendola
così esposta Eracle promise di salvarla, a condizione che Laomedonte
gli cedesse i cavalli che aveva ricevuto in dono da Zeus come
risarcimento per il ratto di Ganimede. Laomedonte promise e così Eracle
uccise il mostro e salvò Esione; ma il re rifiutò di consegnare il
compenso pattuito e pertanto Eracle salpò minacciando di muovere guerra
contro Troia.
Poi raggiunse Eno, dove fu ospitato da Poltide. Mentre stava
partendo, sulla costa di Eno uccise con un colpo di freccia Sarpedone,
figlio di Poseidone e fratello di Poltide, che era un uomo violento.
Giunto a Taso, soggiogò i Traci che la popolavano e consegnò l’isola ai
figli di Androgeo perché la abitassero. Partito da Taso raggiunse
Torone, dove uccise in una gara di lotta Poligono e Telegono, figli di
Proteo che era figlio di Poseidone, i quali l’avevano sfidato. Poi portò
la cintura a Micene e la consegnò a Euristeo.
Come decima fatica gli fu imposto di portare da Erizia le mandrie di
Gerione. Erizia era un’isola presso l’Oceano che ora è chiamata Gades;
in essa abitava Gerione, figlio di Crisaore e di Calliroe, figlia di
Oceano. Egli aveva un corpo triplice: sino all’altezza del ventre era
unico, ma a partire dai fianchi e dalle cosce si suddivideva in tre
busti di uomo. Gerione possedeva delle giovenche rosse, di cui era
mandriano Eurizione, custodite dal cane Orto, che aveva due teste ed era
nato da Echidna e Tifone.
Eracle dunque attraversò l’Europa alla volta delle mandrie di
Gerione, uccidendo molti animali selvaggi, e s’inoltrò in Libia; giunto
a Tartesso innalzò come segno del suo passaggio due colonne, una di
fronte all’altra, ai confini tra Europa e Libia. Lungo il percorso fu
arso dai raggi di Elio e tese l’arco contro il dio: questi allora,
ammirato per il suo valore, gli diede una coppa d’oro sulla quale Eracle
attraversò l’Oceano. Giunto a Erizia si accampò sopra il monte Abante.
Il cane si avvide di lui e lo assalì, ma Eracle lo abbatté con la clava e
uccise poi anche il bovaro Eurizione che era accorso in aiuto al cane.
Allora Menete, che pascolava in quel luogo le mandrie di Ade, riferì
l’accaduto a Gerione, il quale raggiunse Eracle mentre stava
traghettando i buoi presso il fiume Antemo e venne a battaglia con lui,
ma morì trafitto da una freccia. Eracle imbarcò la mandria sulla coppa e
dopo la traversata sino a Tartesso la restituì a Elio.
Dopo avere percorso l’Abderia, giunse in Liguria, dove Ialebione e
Dercino, figli di Poseidone, cercarono di rubargli la mandria, ma Eracle
li uccise e proseguì il suo viaggio attraverso la Tirrenia[2].
A Reggio un toro imbizzarrito si gettò in mare e giunse a nuoto fino in
Sicilia; dopo avere attraversato la regione vicina [che da lui fu
chiamata Italia (i Tirreni infatti chiamano ίταλόζ
il toro)], arrivò alla pianura di Erice, un figlio di Poseidone che
regnava sugli Elimi. Costui aggregò il toro alle proprie mandrie. Allora
Eracle affidò gli altri buoi a Efesto e si pose alla sua ricerca;
quando infine lo trovò tra le mandrie di Erice, questi affermò che non
l’avrebbe restituito se non fosse stato sconfitto nella lotta: così
l’eroe lo atterrò tre volte fino a ucciderlo e dopo avere unito il toro
al resto della mandria la condusse sulle rive del mare Ionio. Ma quando
Eracle giunse all’insenatura di quel mare, Era aizzò un tafano contro i
buoi cosicché le bestie si dispersero tra le falde dei monti di Tracia;
Eracle le inseguì e riuscì a catturarne alcune, che condusse fino
all’Ellesponto, mentre le altre, lasciate libere, s’inselvatichirono.
Dopo avere radunato il bestiame con grande fatica, Eracle incolpò
dell’accaduto il fiume Strimone e riempì di pietre il suo letto tanto da
renderlo inaccessibile alle imbarcazioni, mentre prima era navigabile;
infine consegnò le bestie a Euristeo che le sacrificò a Era.
Le fatiche furono compiute nello spazio di otto anni e un mese;
tuttavia Euristeo non volle riconoscere quelle del bestiame di Augia e
dell’Idra e gli impose come undicesima fatica di portargli i pomi d’oro
delle Esperidi. Essi non si trovavano (come alcuni hanno detto) in
Libia, ma sull’Atlante tra gli Iperborei, ed erano i doni che Gea aveva
fatto a Zeus quando aveva sposato Era: li custodiva un drago immortale,
figlio di Tifone ed Echidna, che aveva cento teste e sapeva parlare con
voci svariate. Assieme a lui custodivano i pomi le Esperidi: Egle,
Erizia, Esperia e Aretusa. Eracle dunque lungo il suo cammino giunse al
fiume Echedoro, dove Cicno, figlio di Ares e Pirene, lo sfidò a duello:
fu Ares, che lo difendeva, a sollecitare la sfida, ma un fulmine caduto
fra i combattenti fece cessare lo scontro.
Poi Eracle percorse a piedi l’Illiria e si affrettò a raggiungere
presso il fiume Eridano le ninfe figlie di Zeus e Temi, le quali gli
rivelarono il nascondiglio di Nereo; così Eracle lo sorprese
addormentato e lo legò benché quello assumesse forme diverse, e si
rifiutò di liberarlo prima che gli rivelasse dove si trovavano i pomi e
le Esperidi. Seguendo le sue informazioni percorse la Libia, dove allora
regnava Anteo, figlio di Poseidone, che costringeva gli stranieri a
lottare con lui e li uccideva. Anche Eracle fu obbligato a misurarsi con
lui e avendolo sollevato a mezz’aria stretto fra le braccia lo stritolò
e lo uccise: accadeva infatti che Anteo diventasse più forte ogni volta
che toccava terra, e questo è il motivo per cui alcuni lo dissero
figlio di Gea.
Dopo la Libia attraversò l’Egitto, dove regnava Busiride, che era
nato da Poseidone e Lisianassa, figlia di Epafo. Egli aveva l’abitudine
di sacrificare gli stranieri sopra l’altare di Zeus in obbedienza a un
oracolo: infatti quando una carestia novennale s’abbatté sull’Egitto,
giunse da Cipro Frasio, un esperto indovino, il quale disse che la
carestia sarebbe cessata se ogni anno essi avessero sacrificato a Zeus
uno straniero. Per primo Busiride sacrificò l’indovino; poi continuò con
gli stranieri che sopraggiungevano. Eracle dunque fu catturato e
trascinato presso l’altare, ma spezzò i legami e uccise Busiride insieme
a suo figlio Anfidamante.
Attraversando l’Asia giunse poi a Termidre, il porto di Lindo. Qui
sciolse dal carro di un bovaro uno dei due tori, lo sacrificò e si mise a
banchettare. Il bovaro non era in grado di difendersi; perciò si
rifugiò sulla cima di un monte e lo maledisse. Ecco il motivo per cui
anche oggi i Lindi, quando sacrificano a Eracle, lo fanno con
maledizioni.
Attraversando l’Arabia uccise Emazione, figlio di Titono; poi lungo
il percorso tra la Libia e il mare esterno ricevette da Elio la coppa.
Dopo essere passato nel continente antistante, sul Caucaso trafisse
l’aquila, figlia di Echidna e Tifone, che rodeva il fegato di Prometeo.
Così liberò Prometeo e scelse come propria catena una corona d’olivo
mentre a Zeus offrì come risarcimento Chirone, che accettò di morire
benché fosse immortale.
Prometeo aveva ammonito Eracle di non cogliere lui stesso i pomi ma
di inviare in sua vece Atlante, dopo avere preso sulle proprie spalle il
peso della sfera celeste; ed Eracle, quando giunse presso Atlante
nella terra degli Iperborei, seguì il consiglio e scambiò il ruolo con
Atlante. Questi allora colse dalle Esperidi tre pomi e ritornò da
Eracle, ma non era più disposto a riassumere sulle spalle il cielo e
disse che avrebbe portato lui stesso i pomi a Euristeo e pretese che
Eracle reggesse la volta celeste al posto suo. Eracle promise di farlo,
ma la restituì ad Atlante con un’astuzia. Seguendo il suggerimento di
Prometeo, pregò Atlante di sostenere il finché si fosse avvolto una
benda attorno al capo. A queste parole Atlante depose a terra le mele e
riprese sulle spalle la sfera celeste: così Eracle le raccolse e se ne
andò. Altri tuttavia dicono che Eracle non ebbe i pomi da Atlante, ma
che li colse egli stesso dopo avere ucciso il serpente che li
custodiva. In tal modo portò le mele a Euristeo e gliele consegnò: ma
questi, dopo averle avute, le donò a Eracle, dal quale le ebbe poi
Atena, che le riportò indietro: non era lecito, infatti, che esse
stessero altrove.
Come dodicesima fatica gli fu comandato di portare Cerbero dall’Ade.
Questi aveva tre teste di cane, una coda di drago e sul dorso teste di
serpenti di tutte le specie. Mentre dunque era sulla via per andarlo a
prendere, Eracle si recò a Eleusi presso Eumolpo con l’intenzione di
essere iniziato ai misteri. In quell’epoca però non era consentito che
uno straniero venisse iniziato; allora egli cercò di avere accesso al
rito facendosi adottare da Pilio, ma non poteva ancora assistere ai
misteri in quanto non era stato purificato per l’uccisione dei Centauri;
perciò fu purificato da Eumolpo e allora venne iniziato. Giunto quindi
al Tenaro, in Laconia, dove si trova l’imboccatura dell’Ade, vi entrò.
Quando le ombre dei morti lo videro si diedero alla fuga, ad
eccezione di Meleagro e della gorgone Medusa; contro la Gorgone come se
fosse viva Eracle snudò la spada, ma da Ermes apprese che si trattava
soltanto di un vano fantasma. Arrivato accanto alle porte dell’Ade
incontrò Teseo e Piritoo, che aveva osato corteggiare Persefone e per
questo era stato incatenato. Vedendo Eracle essi gli tesero le mani
sperando di essere restituiti alla vita grazie alla sua forza. Egli
afferrò Teseo per le mani e lo fece alzare, ma mentre cercava di
sollevare Piritoo la terra tremò, cosicché dovette lasciarlo; poi fece
rotolare via anche la pietra di Ascalafo. E poiché voleva procurare
alle anime del sangue sgozzò una delle giovenche di Ade; allora Menete,
custode delle mandrie e figlio di Ceutonimo, sfidò Eracle nella lotta,
ma l’eroe lo afferrò per la vita e gli stritolò i fianchi, fino a che,
per richiesta di Persefone, lo lasciò libero. Eracle allora chiese
Cerbero a Plutone, e Plutone volle che se ne impadronisse senza usare
le armi che portava; egli, difeso solo dalla corazza e dalla pelle di
leone, lo scovò presso le porte dell’Acheronte, lo afferrò con le mani
attorno alla testa e non smise di stringerlo e di soffocarlo finché
l’ebbe domato[3],
benché fosse morso dal drago che quello aveva per coda. Poi lo prese e
se ne andò risalendo da Trezene; quanto ad Ascalafo, Demetra lo
trasformò in allocco. Eracle, dopo avere mostrato Cerbero a Euristeo,
lo ricondusse nell’Ade.
***
Eracle (chiamato dai latini Hercules, Ercole) è un personaggio della mitologia greca conosciuto per la straordinaria forza, sulle cui origini vi sono tradizioni differenti. Secondo la versione più diffusa del mito (che si riassume nelle tradizioni tebane), Eracle era figlio di Zeus e di Alcmena, posseduta dal dio nell’aspetto del marito Anfitrione, e venne educato a Tebe in ogni disciplina da uno specialista mitico: da Eurito nell’arco, da Autolico nella lotta, nelle armi da Castore. L’episodio in cui Eracle uccise Lino, suo insegnante di scrittura e musica, lascia intravedere l’aspetto selvaggio insito della sua natura e come questo eroe rappresenti l’uomo combattuto tra virtù e vizio. Mandato per punizione sul Citerone a custodire le greggi, diede a 18 anni prova della sua forza uccidendo un leone che terrorizzava il paese governato da Tespio, padre di 50 figlie, con le quali Eracle giacque, generando un figlio da ciascuna.
Per ricompensa della guerra vinta, Eracle ottenne in moglie da Creonte re di Tebe la figlia Megara, dalla quale ebbe tre figli (o più secondo altre versioni). Quando Euristeo re di Tirinto (o Micene) lo chiamò al suo servizio, Eracle uccise i propri figli in un accesso d’ira causatogli dalla dea Era, sposa gelosa di Zeus.
Le dodici fatiche, compiute da Eracle al servizio d’Euristeo per la durata di dodici anni, gli furono imposte dall’oracolo di Delfi come espiazione per l’uccisione dei propri figli e ottenere l’immortalità. Le fatiche rappresentano le prove dell’anima che si libera progressivamente dai vizi, vince il destino e conquista l’eternità con la forza della virtù. Eracle è quindi simbolo della forza virile che va messa in atto in una via di purificazione per sopraffare i vizi e far trionfare la virtù[1].
Di seguito proponiamo il celebre racconto d’Apollodoro delle dodici fatiche d’Eracle.
***
***
[1]
Via di purificazione come quella massonica, dove Ercole presiede al
seggio del primo sorvegliante e dove «D’altra parte, è detto che, “nella
Loggia di san Giovanni, si elevano templi alla virtù e si scavano
prigioni per il vizio”; queste due idee d’“elevare” e di “scavare” si
riferiscono alle due “dimensioni” verticali, altezza e profondità,
calcolate secondo le due metà di uno stesso asse che va “dallo Zenith al
Nadir”, prese in senso inverso l’una all’altra; queste due direzioni
opposte corrispondono rispettivamente a sattwa e a tamas (l’espansione delle due “dimensioni” orizzontali corrisponde a rajas),
cioè alle due tendenze dell’essere verso i Cieli (il tempio) e verso
gli Inferi (la prigione), tendenze che sono qui “allegorizzate”,
piuttosto che simboleggiate, propriamente parlando, dalle nozioni di
“virtù” e di “vizio” esattamente come nel mito d’Ercole sopra
menzionato» (R. Guénon, Symboles fondamentaux de la Science sacrée, Gallimard, Paris, 1962, cap. XXXVII: Le symbolisme solsticial de Janus).
[2] Un’altra allusione al furto del toro di Gerione si trova nell’Inferno della Divina Commedia, canto XXV, 31-33, dove lo stesso viene attribuito a Caco, un centauro mostruoso ucciso a mazzate da Ercole:
«onde cessar le sue opere biece | sotto la mazza d’Ercule, che forse | gliene diè cento, e non sentì le diece.»
[3] Di questa lotta si parla nell’Inferno della Divina Commedia, canto IX, 98-100, citando Cerbero come esempio di chi s’oppone inutilmente e a sue spese al volere divino:
«Che giova ne le fata dar di cozzo? | Cerbero vostro, se ben vi ricorda, | ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo.»
Da: http://acpardes.com/letteraespirito
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