Svāmī Satcidānandendra
Sarasvatī Mahārāja
Commento a «Le
Cinque Gemme dell’Advaita»
di Śrī Śaṃkarācārya - 6/7
(Advaita Pañcaratnam)
4- Dissoluzione dell’illusione che la dualità
sia continua
Dubbio: Ad alcuni potrebbe sembrare che i due esempi summenzionati
della corda-serpente e del sogno non siano adatti a rappresentare l’illusorietà
delle cose grossolane non senzienti, perché anche dopo il raggiungimento della
conoscenza di Ātman il mondo della dualità continua ad apparire.
Invece,
nell’esempio della corda e del serpente, non appena la natura essenziale della
realtà della corda è conosciuta, il serpente scompare. Anche nell’esempio del
sogno, quando ci si sveglia, il mondo del sogno scompare. Se i vedāntin,
in base a questi due esempi, affermano che dopo il raggiungimento della
conoscenza dell’Ātman, il mondo della dualità scompare realmente, questo
non è affatto vero. Perché, se dal punto di vista di chi ha raggiunto la
conoscenza di Ātman non esistesse nessuno da lui diverso, costui non
potrebbe insegnare le verità spirituali ad altri, cioè ai suoi discepoli. In
quel caso le azioni empiriche tra maestro e discepoli sarebbero false.
Per risolvere questo dubbio citiamo
il seguente verso:
4. Oltre a me non esiste alcun reale mondo di
dualità. Qualunque cosa esista esternamente è pensata erroneamente o immaginata
a causa di māyā. Ciò appare nell’“Io” che non è duale, proprio come il riflesso
appare nello specchio. Perciò io sono Śiva.
Q) Oltre a me non esiste un mondo che sia reale
All’insegnamento vedāntico: “Ātman
è advitīya, cioè non duale” si solleva un’importante contestazione:
Obiezione: Se il mondo della dualità è chiaramente visibile e
percepibile, si può sostenere ragionevolmente che non esiste? Se esso esiste,
allora come si può affermare che Ātman è advitīya, cioè uno senza
secondo oltre a lui?
Risposta: Credere che assieme ad Ātman esista un mondo di
dualità è errato. Perché separatamente e indipendentemente da Ātman il
mondo non esiste affatto. Non c’è modo di concepire due entità (vastu)
enumerandole come segue: «Ātman è uno e il mondo è il secondo». Perché
questi due, cioè Ātman e il mondo, non sono due cose individuali o
separate appartenenti a uno stesso genere (jāti). A meno che non
appartengano alla stessa specie, non si può usare il numerale “due”. Per
esempio, se addizioniamo una sedia a un’altra sedia, possiamo dire due sedie.
Se a una sedia aggiungiamo una panca, allora dobbiamo dire “due mobili di
legno”. Ma se poniamo una domanda come: «Se sommiamo ad Ātman il mondo,
come chiameremo queste due cose?» A questa domanda non c’è alcuna risposta.
Obiezione: Perché dici che non c’è risposta? Sommando Ātman al
mondo possiamo senz’altro dire che ci sono due entità!
Risposta: Non si può affermare ciò. Perché Ātman non è un
oggetto o una sostanza. La parola padārtha connota quella cosa che è
descritta da una parola, ossia da un pada. Quella cosa che può essere
concepita dalla mente, o quel fenomeno che può essere descritto da un vocabolo
che lo connota, è l’oggetto definito, spiegato o specificato da una parola (pada).
Ma Ātman non può affatto essere oggettivato o concepito dalla mente.
Anzi è l’Ātman che illumina la mente. Perciò Ātman non è un
oggetto nominabile (padārtha). Per questa ragione l’affermazione che “Ātman
è Śiva” e altri termini che i vedāntin utilizzano, non è capita da
coloro che non sono abituati al linguaggio del Vedānta o non vi sono
iniziati. Per il fatto che Ātman non è artha, cioè non è un
oggetto connotato da una parola (pada), non si può concludere che Ātman
stesso non esista. Ātman manifesta se stesso come anubhava o
esperienza intuitiva; solamente in forza di questa Intuizione universale (sārvatrika)
e perfetta (pūrṇa) di Ātman noi conosciamo la mente e il resto
del mondo che dalla mente è concepito o percepito.
Obiezione: Va bene, ammettiamo pure che Ātman non sia un
oggetto nominabile (padārtha); ma comunque, quando in base
all’esperienza intuitiva si dice «Ātman e il mondo (prapañca)»
non si afferma che ci sono due cose?
Risposta: No, proprio per niente. Perché se li contassimo in
sequenza numerica (uno, due, tre...), dovrebbero necessariamente essere oggetti
esistenti in uno stesso luogo e in uno stesso periodo. Ma poiché non esistono
affatto nel tempo e nello spazio e nemmeno sono propriamente dei padārtha,
allora come potremmo enumerarli in serie, dicendo: «Ātman è uno, il
mondo è secondo»?
Obiezione: Se non ci sono due cose separate una dall’altra, com’è
possibile l’uso di quelle parole?
Risposta: Usiamo due parole per il fatto che una e medesima entità
può essere considerata in due modi diversi. Dal punto di vista di coloro che
hanno realizzato l’ultima realtà di Ātman (jñāni), l’essere vero
è Ātman. Ma la stessa entità è percepita come mondo dal punto di vista
degli ignoranti (ajñāni) che sono rivolti all’esteriore e che nella loro
visione sono materialisti. In verità quello che gli ajñāni chiamano
mondo duale (prapañca) o molteplicità, in realtà, per l’esperienza
intuitiva è solo Ātman.
Obiezione: Se l’unico Ātman appare in due modi, perché non
possiamo dire che entrambi sono reali (satya)?
Risposta: A questo abbiamo già risposto. Il mondo della dualità o
della diversità non esiste in senso assoluto: in verità esso è asatya,
ovvero irreale, falso, erroneamente sovrapposto dagli ignoranti ad Ātman,
la realtà ultima non duale.
Obiezione: Se prapañca è irreale, allora perché appare anche a
coloro che hanno conosciuto intuitivamente Ātman? Perché il mondo della
veglia (jāgrat prapañca) non svanisce, come succede al mondo del sogno (svapna
prapañca) che si dissolve come per magia (māyā) allorché ci
svegliamo?
Risposta: Quando realmente conosciamo, il mondo svanisce e si
dissolve davvero. O, per essere più esatti, invece di dire che esso in quel
momento svanisce, dobbiamo affermare che il mondo della dualità non è mai
esistito. Perciò il mondo che tu dici dovrebbe svanire o estinguersi, non è mai
assolutamente esistito.
Obiezione: Se è così, perché il mondo appare?
Risposta: Non è necessario portare una spiegazione alla domanda sul
perché appare[1]. È sufficiente discernere
che non è reale; è solo un’apparenza.
Obiezione: Ammettiamo che sia un’apparenza. Se fosse così, dopo che
la realtà è conosciuta, perché questa apparenza non dovrebbe svanire come un
sogno?
Risposta: Non c’è una regola per cui tutte le apparenze dovrebbero
per forza scomparire una volta che sia conosciuta la realtà che sta dietro[2].
Quando si riconosce che una cosa non è realmente tale, ma che semplicemente
appare come tale, svanisce solo l’apparenza di realtà che le abbiamo attribuito
a causa di una cognizione errata (bhrānti). È questa la regola generale
da applicare a ogni tipo d’apparenza.
Obiezione: Quando appaiono sia Ātman sia il mondo, quale
ragione esiste di stabilire la regola che solamente il mondo è un’apparenza,
mentre Ātman non lo è?
Risposta: Il mondo non appare separatamente da Ātman; ma Ātman
esiste indipendentemente e non è sempre vincolato al mondo. Per esempio Ātman
esiste immutato nel sonno profondo quando il mondo della dualità non esiste
minimamente. Perciò il mondo in se stesso non è reale preso separatamente da Ātman.
Si può dire che l’esistenza del mondo è basata solo sull’assoluta esistenza di Ātman.
E, mentre l’esistenza del mondo può essere rimossa, l’esistenza assoluta di Ātman
non è mai annullata in nessun tempo e spazio poiché ciò è impossibile.
Quindi Ātman è in verità assolutamente reale mentre il mondo è solo mera
apparenza.
Obiezione: Non appena ci svegliamo dal sonno il mondo appare
spontaneamente all’improvviso così com’era [prima d’addormentarsi]. Un mondo
che non esiste nel sonno profondo, come può di nuovo apparire? Quindi, nel
corso del sonno dovrebbe necessariamente esistere da qualche altra parte, non è
vero?
Risposta: Questa congettura non è esatta. Dove esiste il mondo
durante il sonno? In particolare, nel nostro sonno profondo, non esiste
affatto; se esistesse, allora dovrebbe apparire anche in quello [che è pura
esistenza]. Alcuni vedāntin moderni sono erroneamente arrivati a pensare
che nel sonno profondo il mondo continui a esistere sotto la forma di ignoranza
radicata (mūlāvidyā)[3]. Che
questo sia solo una immaginazione è chiaro se esaminiamo l’Intuizione del sonno
profondo com’è universalmente sperimentato. Questa teoria illogica e dogmatica
è confutata nel nostro trattato sanscrito intitolato Mūlāvidyānirāsa[4]. Perciò se
qualcuno afferma che il mondo potrebbe esistere da qualche parte fuori del
sonno profondo, noi risponderemo che “fuori del sonno” non ha alcun senso.
Obiezione: Perché non ha senso? Se una certa persona sta dormendo,
non vediamo che l’intero mondo continua a esistere intorno a lui? Allo stesso
modo, quando noi dormiamo, perché un’altra persona sveglia non può vedere il
mondo esterno? Da questo punto di vista è evidente che mentre noi stiamo
dormendo, il mondo da cui siamo assenti continua a esistere per conto suo.
Risposta: Non abbiamo alcuna esperienza che possa provare che
un’altra persona stia dormendo. Proprio come non possiamo sperimentare
direttamente il piacere (sukha) e il dolore (duḥkha) altrui, allo
stesso modo anche il sonno degli altri è al di fuori della nostra esperienza.
Nel nostro sogno possiamo vedere alcune persone che dormono; ma ora che siamo
svegli, non possiamo affatto affermare che essi fossero realmente in sonno.
Questa verità è ugualmente valida anche nella veglia; che essi stiano dormendo
è deciso solo dalla nostra immaginazione. La diretta esperienza intuitiva del
nostro sonno deve perciò per forza avvenire esclusivamente nel nostro sonno. Il
sonno altrui e perfino quegli stessi “altri” che ci appaiono mentre siamo
svegli, sono tutti fenomeni inclusi nel mondo della nostra veglia, e perciò
sarebbe irragionevole e illogico pensare che questi “altri” possano esistere
quando siamo fuori del nostro stato di veglia. Quando stiamo dormendo il nostro
mondo della veglia non esiste affatto. Perché se affermassimo che il nostro
mondo di veglia esiste durante il nostro sonno, sarebbe come dire che stiamo
dormendo e siamo svegli allo stesso tempo. Questa è una affermazione assurda,
perciò è corretta la conclusione che durante il nostro sonno il mondo della
veglia non esiste per niente.
R) Il mondo esterno è causato da māyā
Obiezione: In tal caso come avviene che il mondo esterno ci appare?
Questo mondo di dualità deve avere una particolare facoltà per la quale, appena
ci svegliamo dal sonno, esso appare immancabilmente come se di regola esistesse
sia nella veglia sia nel sogno. Qual è quella sua facoltà essenziale?
Risposta: La domanda di com’è che il mondo esterno ci appare, è mal
posta: dopo aver ripetutamente dimostrato che il mondo non è reale ed è solo
mera apparenza, interrogarsi su ciò è privo di senso. Poiché il mondo non può
mai apparire al di fuori di Ātman - quando invece Ātman può
esistere senza di lui - si stabilisce che il reale substrato di quella
apparenza è solo l’Ātman. In verità, lo stesso Ātman è la sua
essenza. Se ci si chiede com’è che in Ātman possa apparire questa strana
forma del mondo che non esiste, rispondiamo: «Ciò è causato da māyā».
Obiezione: Cosa intendi con māyā? Ogni volta che ci si domanda
come avvenga qualcosa, tiri fuori una nuova parola. Allora, questa parola cosa
significa?
Risposta: Māyā significa un fenomeno che appare [māyika]
senza alcuna logica; si tratta d’una apparenza considerata un oggetto solo per
errore. Ciò che abbiamo citato non è un nome vuoto. Il mondo della dualità è
causato o, meglio, proiettato dalla māyā; ciò significa che esso è
un’apparenza sovrapposta ad Ātman a causa dell’errore. A nostro parere
nessuno potrà mai spiegare con un ragionamento logico (yukti) come
avviene questo errore[5]. Le
seguenti quattro caratteristiche possono definire māyā: a) Il mondo è manifestato nella sua
molteplicità dall’Ātman non duale. b) Il mondo impuro della dualità appare nel puro Ātman. c) Il mondo, che è un effetto
transitorio (pariṇāmi), è causato dal Sé immutabile (kūṭastha Ātman).
d) Il mondo, composto di cose
finite e divisibili, che è confinato dal perfetto (paripūrṇa) e infinito
Ātman in uno stato di coscienza [jāgrat avasthā], è opposto a yukti
ovvero al ragionamento logico. Nessuno può arrivarci attenendosi a semplici
strumenti logici.
Obiezione: Poiché l’idea che il mondo sia causato da Ātman non
è in accordo con gli strumenti (pramāṇa) del ragionamento logico, perché
non si può affermare che il mondo non è creato da Ātman, ma esiste di
per sé esattamente come Lui stesso?
Risposta: Dopo aver esaminato l’esperienza dei tre stati di
coscienza, abbiamo dimostrato sulla base dell’Intuizione universale che Ātman
è privo del mondo della dualità (niśprapañca). In Lui questo mondo
della veglia soltanto appare. Qualsiasi prova logica, se è opposta
all’esperienza intuitiva (anubhava), non può in alcun modo prevalere né
invalidare tale esperienza. Perciò qualsiasi argomentazione logica - che ponga
dubbi o contraddica la verità delle esperienze intuitive usate dalle scritture
appositamente per istruire spiritualmente sull’Ātman - è in verità il
risultato dell’azione della mente (antaḥkāraṇa) che appare solamente
nella veglia. Così, noi dobbiamo basarci su ragionamenti intuitivi come, per
esempio: «Non si possono applicare ad Ātman, che è oltre i tre stati di
coscienza (trayāvasthāvasthā) queste argomentazioni logiche confinate
nello stato di veglia e operanti solo lì». Non possiamo, quindi, limitarci ad
affermare soltanto che l’idea che il mondo sia causato da Ātman non è in
accordo con la logica (yukti). Infatti, sulla base di questa
affermazione incompleta, si potrebbe arrivare a confutare l’esperienza
intuitiva universale (anubhava) e qualsiasi forma di ragionamento logico
in accordo con l’Intuizione stessa.
Obiezione: Ammettiamo pure che l’esistenza del mondo non sia uguale a
quella di Ātman. Anche se il mondo esiste eternamente assieme ad Ātman,
almeno nel suo proprio tempo, appare o no? In tale prospettiva, possiamo dire
che è reale oppure no?
Risposta: Se noi osserviamo del punto di vista metafisico (pāramārthika
dṛṣṭi), non è possibile affermare che il mondo sia reale. Perciò da dove e
come proverrebbe una sua esistenza diversa e separata? Se si sostiene che
un’esistenza che è sotto il dominio di Ātman ne sia differente, allora è
come affermare che la dolcezza dello zucchero è differente dalla dolcezza d’un
liquido a cui si è stato mescolato dello zucchero. Se osserviamo attentamente,
la dolcezza del liquido appare in esso a causa della presenza dello zucchero in
soluzione. Il fatto che provenga solamente dalla dolcezza dello zucchero e da
nient’altro, è cosa ben nota a tutti. Allo stesso modo è ragionevole concludere
che l’esistenza del mondo, che è sotto il dominio e che dipende da Ātman,
è in realtà soltanto quella dell’Ātman e di null’altro. Se proclamiamo
che la pura esistenza di Ātman è l’esistenza reale, non è in alcun modo
possibile sostenere che una esistenza inferiore a quella sia “esistenza”.
Perché se l’esistenza fosse, per così dire, contaminata, dovrebbe
necessariamente essere negata: non è mai possibile misurare o considerare
gradazioni di esistenza in termini di “mezza esistenza, un quarto d’esistenza”,
e così via [in quanto l’esistenza è unica].
Obiezione: Durante l’ordinaria esperienza di vita quotidiana, la
gente dice: «La casa esiste, il romitaggio (maṭha) esiste», non è vero?
Se il mondo non ha nessuna esistenza, com’è che, per la gente ordinaria, questi
fenomeni appaiano esistere in quelle cose?
Risposta: A questo abbiamo già risposto. Nell’affermazione “La casa
esiste” il fenomeno chiamato “casa” è una parte del mondo proiettata da māyā,
mentre il fenomeno espresso dal verbo “esiste” sta dalla parte di Ātman che
è l’esistenza assoluta (paramārtha satya). Nelle nostre azioni
quotidiane, la gente ordinaria confonde invariabilmente queste due parti e
allora afferma “La casa esiste”. Essi non conoscono la vera natura del Sé (Ātman
svarūpa), ragion per cui l’esistenza del mondo, che è di natura illusoria (māyika),
per loro diventa un’esistenza reale. Anche se l’esistenza del mondo non è
affatto esistenza, fin quando la reale natura della pura esistenza non sia
conosciuta, i cercatori della Conoscenza (jñāni) accettano
temporaneamente l’uso ordinario e convenzionale della formula “esistenza del
mondo”. I jñāni e gli śāstra hanno chiamato questa illusione
“esistenza empirica” (vyāvahārika satya), per usarla metodicamente come
sovrapposizione deliberata (adhyāropa).
Obiezione: Se l’intero mondo che appare nelle nostre azioni empiriche
quotidiane è irreale e falso, perché la gente ritiene che alcune cose in quel
mondo siano reali e altre irreali?
Risposta: Anche questo è dovuto a un punto di vista errato. Nel
gioco degli scacchi alcuni pezzi sono simboleggiati da elefanti [le torri] e
altri da cavalli; ma in realtà tutti quei pezzi sono fatti di legno. Allo
stesso modo la gente agisce considerando reali certe cose. Le cose
summenzionate sono dette realtà empiriche (vyāvahārika satya). La gente
compie anche azioni empiriche nei confronti di altre cose che sono false (asatya),
mere apparenze, la cui esistenza è chiamata esistenza illusoria ed erronea (prātibhāsika
satya). Nell’esempio della corda e del serpente, il serpente, che è stato
concepito come mera apparenza, è permeato di prātibhāsika satya, mentre
la corda, che è il supporto di questa apparenza, è vyāvahārika satya. Ma
se esaminiamo attentamente, entrambi sono una e una sola cosa. Entrambi hanno
la loro esistenza dall’Ātman, ma nelle loro rispettive forme, essi non
possiedono alcuna esistenza. Entrambi sono causati solo da māyā.
Obiezione: Nel nostro mondo quotidiano la distinzione tra reale e falso
dovrebbe essere considerata reale, e affermare che la gente la concepisce solo
nominalmente non è corretto. Se quello che ha concepito fosse vero, non sarebbe
possibile che una cosa reale per una persona non lo fosse anche per tutti e,
similmente, non sarebbe possibile che una cosa irreale per una persona non
fosse irreale per tutti!
Risposta: Quando ci si chiede se questo mondo pieno di gente sia
reale o irreale non c’è ragione per un’obiezione di questo tipo. Per questo si
può portare l’esempio del sogno. In un sogno una certa cosa pare reale a molta
gente; ma nella realtà della veglia tutta quella gente, le sue idee e quella
certa cosa sono state prodotte solo da māyā.
S) Il mondo appare nell’Ātman non duale come il
riflesso nello specchio
Obiezione: Se il pensiero del mondo è soltanto illusorio [māyika],
non appena insorge la conoscenza di Ātman dovrebbe sparire del tutto,
come nell’esempio della corda e del serpente.
Risposta: A questa domanda abbiamo già dato una risposta dal punto
di vista metafisico. Ora, se si afferma che il mondo esistente appare reale pur
essendo empirico, risponderemo così: un’apparenza che non ha alcuna reale
esistenza può continuare ad apparire in modo plausibile anche dopo che la reale
entità sia stata veramente conosciuta. Per esempio, pensa al riflesso d’un uomo
che appare in uno specchio: un bambino crede che il suo riflesso nello specchio
sia un altro bambino, ma quando cresce, riconosce la verità che quello è solo
un riflesso. Non c’è nessun altro bambino nello specchio. Non è forse vero che
anche quando è emersa la corretta cognizione, il riflesso continua ad apparire?
Così, anche dopo aver conosciuto che il mondo non ha nessuna esistenza distinta
e che la sua esistenza è solo l’esistenza di Ātman, il mondo continua ad
apparire.
Obiezione: Quando lo specchio è posto davanti alla persona appare il
riflesso, ma quando non è più lì davanti, il riflesso non appare. Non può
essere che allo stesso modo in Ātman ci siano due fenomeni per cui il
mondo appare e non appare?
Risposta: Sì, ci sono questi due aspetti. Nella veglia e nel sogno
il mondo appare, mentre nel sonno profondo no. Ma che il riflesso appaia o no,
come lo specchio rimane così com’è, allo stesso modo Ātman è solo uno,
non duale e senza altro da lui. Anche quando il riflesso appare nello specchio
e perfino quando non appare, lo specchio rimane nella sua pura forma
incontaminata. Allo stesso modo, che il mondo appaia o no, Ātman non è
contaminato da questi due avvenimenti ed esiste eternamente come Essere assoluto
e non duale.
Obiezione: Quando i differenti oggetti, come il corpo, i sensi, gli
spiriti vitali (prāṇa), la mente, l’intelletto, l’ego sono tutti
presenti e, di conseguenza, si conoscono gli oggetti esterni attraverso i
sensi, sperimentando così il piacere (sukha) e la sofferenza (duḥkha)
che ne derivano, anche allora l’Ātman è non duale?
Risposta: Tutti questi differenti oggetti fanno parte del riflesso
nello specchio. Perciò Ātman è unico e non duale. Anche se nel sogno
sembra che conosciamo una cosa, che compiamo un’azione e che sperimentiamo sukha
e duḥkha, in realtà in noi non avviene alcun cambiamento. Allo
stesso modo, anche quando appaiono in noi le triadi (tripuṭi) di
conoscitore, conosciuto, conoscenza (jñātṛ-jñeya-jñāna) e di fruitore,
fruito, fruizione (bhoktṛ-bhojña-bhoga), esse non esistono
affatto nella realtà assoluta dell’Ātman che è uno e non duale.
Obiezione: Allorché in uno stato si testimonia una dualità illusoria
[come in veglia o nel sogno] e in un altro stato non si testimonia tale dualità
[come nel sonno profondo], nell’Ātman non avviene per caso un qualche
cambiamento? In quelle contingenze, non si potrebbe affermare che almeno
all’interno di se stesso Ātman è la natura essenziale della dualità?
Risposta: No, perché anche l’affermazione che Ātman ha tre
stati di coscienza è possibile solo dal punto di vista vyāvahārika. Dal
punto di vista dell’esperienza intuitiva, invece, oltre all’Ātman, che è
il Testimone cosciente (Sākṣin caitanya), non esiste alcuno stato da lui
indipendente. Perfino queste avasthā, in quanto fenomeni, in senso
assoluto sono solo Ātman.
Obiezione: Nell’esempio che hai prodotto, lo specchio esiste oltre a
noi e in esso si proietta il nostro riflesso. Per l’Ātman che non
ammette altro da se stesso, in che cosa potrebbe apparire il suo riflesso?
Risposta: Lo specchio dell’esempio non è nessuna altra cosa. In
questo caso lo specchio è solo Ātman. In Ātman soltanto si
proietta il riflesso del mondo.
Obiezione: In quel caso, dal momento che Ātman è eterno (nitya),
allora anche l’illusione del mondo della dualità (prapañca bhrānti)
diventa eterna? Oppure, se è sempre esistente, perché non si può dire che non è
affatto illusoria (bhrānti)?
Risposta: Non è così. L’affermazione secondo la quale il mondo
appare sempre in Ātman è fatta dal punto di vista empirico (vyāvahārika
dṛṣṭi) che abbiamo solo nella veglia. Se invece osserviamo intuitivamente
dal punto di vista assoluto, trascendendo i tre stati di coscienza, allora
verifichiamo che non esiste affatto alcun riflesso di nessun mondo.
Nell’esempio dello specchio, gli
oggetti reali come il volto, la testa ecc. che vi si riflettono, sono sempre
esterni allo specchio. Ma in questa visione [metafisica pāramārtika dṛṣṭi],
al riflesso (bimba) di quell’apparenza chiamata mondo, non corrisponde
affatto un reale oggetto. Come appare nello specchio un riflesso che non esiste
realmente, così il mondo in Ātman appare solamente. Anche se i bambini
ritengono reale il riflesso che appare nello specchio, gli adulti lo
considerano solo una mera apparenza. Come questo mondo di diversità appare
reale agli ignoranti, così appare anche ai conoscitori (jñāni); ma essi
lo considerano una mera apparenza privo di alcun contenuto e di sostanza. Noi
pensiamo che si può fare un paragone tra il riflesso e il mondo soltanto se si
considerano questi numerosi aspetti e le loro implicazioni.
T) Perciò io sono Śiva
Perciò, sulla base di tutte le idee
sostenute fin qui, si può affermare che se osserviamo intuitivamente da una
prospettivaa conoscitiva (jñāna dṛṣṭi), allora noi siamo assolutamente
ed eternamente della natura della Coscienza non duale (advitīya caitanya
svarūpa) che è la Realtà eterna, pura e totale (nitya śuddhe pūrṇa
svarūpa). Sebbene, dal punto di vista relativo (vyāvahārika dṛṣṭi)
sia l’individualità (jīvatva) sia il mondo (jagat) appaiano
sovrapposti a questa nostra vera natura, nell’ultima realtà assoluta (pāramārthika
sattā) non esistono affatto.
Obiezione: Soltanto colui che ha conosciuto intuitivamente che egli
stesso è della natura essenziale della Coscienza non duale, dovrebbe insegnare
agli altri questa realtà non duale (advaita tattava) di Ātman; è
così, non è vero? Ma chi ha realizzato se stesso come non duale non può essere
ingannato da qualsiasi ipotetica realtà (satyatva buddhi) duale. Come
potrebbe dunque insegnare ad altri diversi da lui? Allora, se tale persona non
può esercitare il suo insegnamento spirituale, come potrebbero mantenersi la
trasmissione da maestro a discepolo (guruśiṣyaparaṃparā) e
l’insegnamento della dottrina Advaita?
Risposta: Questo dubbio sorge nelle menti di coloro che non sanno
discriminare tra i punti di vista empirico e metafisico. Perché anche dopo aver
riconosciuto la verità che la corda non può essere un serpente, si può pensare
che la corda può apparire come un serpente. Anche dopo essersi risvegliati si
può pensare che il sogno appariva come se si fosse svegli. Infine, anche dopo
che è stata cancellata l’illusione sulla realtà del riflesso nello specchio, ci
si può ricordare che da bambini il riflesso appariva reale. Allo stesso modo
anche dopo aver raggiunto la conoscenza non duale (advaita jñāna) può
sussistere la consapevolezza che alla gente comune il mondo appare reale.
Riassumendo in base agli esempi illustrati, colui che ha conosciuto la propria
realtà interiore (vastu svarūpa), ha discriminato in questo modo:
«Questa è una corda, non è un serpente»; «Sebbene il sogno appaia come se fosse
veglia, è senza contenuto e sostanza»; «Quello che appare nello specchio è
soltanto un riflesso e non un oggetto reale». Ebbene, costui può istruire gli
altri su quelle verità. A maggior ragione colui che conosce intuitivamente la
realtà di Ātman può ugualmente istruire la gente ignorante con questi
insegnamenti: «Tu sei della natura della Realtà, Conoscenza e Beatitudine (satya
jñāna ānanda svarūpa): in te non esistono né jīvatva (individualità)
né jagat (mondo della dualità)».
Tutto questo avviene solo dal punto
di vista empirico (vyāvahārika). Infatti, da questo punto di vista vyāvahārika
ci saranno sempre le distinzioni di insegnamento (śāstra), allievo (śiṣya)
e maestro (guru). Il guru śiṣya bhāva, ovvero i concetti di
maestro e discepolo, sono reali solo dal punto di vista vyāvahārika, ma
non da quello assoluto (pāramārtika). Se osserviamo intuitivamente da
questo ultimo punto di vista, poiché non esistono né individualità (jīvatva)
né mondo duale (jagat), nemmeno le distinzioni tra śāstra, śiṣya
e guru esistono affatto. Se diciamo: “Le corna della lepre”,
pronunciamo parole prive di senso. Allo stesso modo dal punto di vista pāramārtika
la distinzione tra guru e śiṣya è soltanto un concetto
errato. Nella visione metafisica, solo il Sé non duale (advitīya Ātman)
è la realtà assoluta.
Obiezione: I dualisti possono legittimamente ribattere agli advaitin
con la seguente argomentazione: «Per noi la dualità (dvaita) è
reale, quindi ti possiamo contrapporre un’obiezione; ma poiché per te la
dualità è irreale, non puoi dare una risposta a un altro diverso da te.»
Risposta: Lascia pure che sollevino questo dubbio, perché
da esso non viene alcuna minaccia all’insegnamento spirituale degli advaitin.
Infatti, a questa illogica obiezione si addice la seguente asserzione
vedāntica: «Dal punto di vista dvaita le obiezioni e le risposte sono
reali, ma dal punto di vista advaita esse sono tutte irreali». A questo
punto è evidente perché dopo aver fatto proprio l’Advaita non può
sorgere alcun dubbio. Perciò, il cercatore della Conoscenza (jijñāsu),
che si basa sull’intuizione dell’ultima Realtà, può affermare senza ombra di
dubbio d’essere l’unico Śiva, che è della natura della Realtà, Conoscenza e
Beatitudine (satya jñāna ānanda svarūpa).
[1] In realtà il serpente non compare mai né mai
scompare. È l’ignoranza che ci fa credere alla sua apparizione e scomparsa.
Riconosciuta la corda, si constata la totale assenza (usando l’anupalabdhi
parmāṇa) di qualsiasi apparizione o sparizione del serpente [N.d.T.].
[2] Per esempio quando si lascia lo stato di
veglia (jāgrat avasthā) per quello di sogno, l’apparente realtà della
veglia scompare. Quando si lascia lo stato di sogno (svapna avasthā) per
la veglia, l’apparente realtà del sogno scompare. Quando si lasciano gli stati
di veglia e di sogno per il sonno profondo (suṣupti avasthā), si
constata per anupalabdhi l’assenza delle loro apparizioni e scomparse.
La realtà che sta dietro a tutti i tre gli stati è il Testimone (Sākṣin)
simultaneamente presente in tutte e tre gli stati. Perciò, quando si riconosce
la propria identità con il Testimone, allora il sonno profondo non è più ciò
che appariva come uno stato (avasthā), come un terzo pāda di Ātman.
Con la Liberazione finale, come suṣupti non è più suṣupti, ma è Turīya,
il quarto pāda, così il Sākṣin non è più Sākṣin, ma è il
Supremo Paramātman non duale. Perciò non può esserci una regola che determini
l’apparente sovrapposizione di comparsa e scomparsa del sogno e della veglia
sulla pura Coscienza di Ātman: tale apparente sovrapposizione è
semplicemente inesistente (asat) [N. d. T.].
[3] Si tratta dell’errore metafisico che
considera eterna la mūlāvidyā, ossia l’ignoranza dovuta a nascite
pregresse. Ovviamente, se così fosse, l’avidyā non potrebbe essere
rimossa dalla conoscenza. Oltre a ciò, questa teoria assurdamente afferma
l’esistenza di due eternità, quella dell’avidyā e quella di Brahman
[N.d.T.].
[4] Svāmi Saccidānandendra Sarasvatī, Mūlāvidyānirāsaḥ
athavā Śrī Śaṃkarahṛdayam, Bangalore, APK, 2009 [N.d.T.].
[5] Vale a dire che è impossibile spiegarlo per mezzo dei
pramāṇa. L’unico modo per farlo è tramite l’Intuizione, considerata come
l’unico mezzo valido per la Conoscenza pāramārtika [N.d.T.].
Traduzione e note di Maitreyī
Da: www.vedavyasamandala.com
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