Svāmī Satcidānandendra
Sarasvatī Mahārāja
Commento a «Le
Cinque Gemme dell’Advaita»
di Śrī Śaṃkarācārya - 7/7
(Advaita Pañcaratnam)
5 - Il beneficio che proviene dal vedānta
jñāna
La conoscenza vedāntica può essere
considerata corretta dal punto di vista logico; ma a molti può sembrare che da
tale conoscenza non si possa trarre alcun vantaggio nella vita empirica.
Come
risposta a tali persone citiamo il quinto verso:
5. Io non sono mai nato, cresciuto e morto.
Queste qualità di Prakṛti, che sembrano essere in me, in verità appartengono al
corpo. Kartṛtva [il fatto di essere un agente], bhoktṛtva [il fatto di essere
un fruitore] ecc. appartengono solo ad ahaṃkāra e non a me che sono fatto di
pura Coscienza (cinmāyā). Io sono l’unico Śiva.
Commento: Coloro che si interrogano su quale vantaggio possa mai
provenire dalla conoscenza vedāntica (Vedānta jñāna), dovrebbero
anzitutto riflettere sul loro quesito e chiedersi che cosa potrebbero
aspettarsi da tale conoscenza. Coloro che ricercano soltanto cibi, vestiti,
ricchezze ecc., non dovrebbero mai pensare di potere ottenere dal Vedānta
jñāna benefici materiali senza muovere un dito, come nel mito di quel tale
Satrājita[1] che
possedeva un gioiello magico chiamato syamaṅtaka maṇi che magicamente lo
riforniva di lingotti d’oro. Il Vedānta jñāna non ha mai prodotto simili
vantaggi materiali. Invece da un altro punto di vista possiamo ben dire che il Vedānta
jñāna è proprio una sorta di gioiello prodigioso, una pietra filosofale (cintāmaṇi),
perché tutti i problemi e gli ostacoli (anartha) della vita, che
affliggono coloro che non posseggono questa conoscenza, sono rimossi
prodigiosamente dal Vedānta jñāna. La gente ordinaria crede fermamente
di esser nata in questo mondo da una precedente esistenza, d’essere cresciuta e
di morire, per rinascere e infine morire nuovamente e così via indifinitamente.
Come risultato di questa credenza essi sperimentano le sofferenze relative alla
nascita, alla crescita e l’inevitabile e supremo dolore paventato, la morte.
Essi cercano in vari modi di evitare queste miserie: la dolorosa nascita di un
bambino, dopo essere stato un feto nel grembo d’una donna; la penosa uscita da
una parte vile del suo corpo; le difficoltà subite durante la crescita di quel
corpo con l’aumento delle energie vitali, dei sensi, della mente e
dell’intelletto; infine, la temuta morte, culmine del processo di decadenza e
di dispersione dei soffi vitali (prāṇa). Quando i rimedi a queste cose
hanno successo, essi sono euforici; quando falliscono, si disperano. Ci sono
persone di un altro tipo che credono che queste miserie siano una parte del
nostro destino e che come tali non le si può evitare. Ci sono anche alcuni
sciocchi che accusano Īśvara, il Signore e Produttore del mondo, dicendo:
«Perché, o Dio, mi hai dato questa miserabile nascita umana?» Infine c’è un
certo numero di sconsiderati che pensa: «A parte alcuni difetti, siamo
fortunati per molte altre buone qualità proprie della nascita umana.» Questi
permettono alla loro mente di essere travolta da godimenti sensuali e da altri
piaceri, che sono come gocce d’ambrosia mescolate a veleno, in cui ci si
imbatte durante questa effimera esistenza umana. Costoro sono privi di
qualsiasi accortezza e si comportano freneticamente come piace loro.
In ogni modo, non c’è nessuno in
questo universo che non comprenda di dover nascere, crescere e morire. Tutte
queste sono veramente miserie.
Il vero e profondo vantaggio per
coloro che hanno raggiunto la Conoscenza intuitiva del Vedānta consiste
nel fatto che raggiungono la forte e incrollabile certezza che il loro Ātman
non è mai sottoposto a nascita, crescita e morte, né nel passato, né nel
presente e nemmeno in futuro.
U) Queste limitazioni connaturate[2], appartengono
solo al corpo
Nascita, crescita e morte
concernono soltanto il corpo grossolano. Non abbiamo mai assistito né alla
nostra nascita, né alla nostra crescita né alla nostra morte. Tutte le idee che
ci siamo fatti riguardo alla nascita, alla crescita e alla morte [che abbiamo
osservato nel mondo] appartengono solo ai corpi altrui che nascono ossia che
vengono a questa esistenza, crescono e muoiono, ovvero che escono da questa
vita. Anche l’idea che altri osservino la nostra nascita, crescita e morte, fa
parte del nostro punto di vista apparente. Perciò tutte queste caratteristiche
in realtà sono pertinenti ai corpi grossolani e non a noi stessi.
Obiezione: Anche il corpo è solo nostro, perciò la sua nascita,
crescita e morte appartengono solo a noi, non è vero?
Risposta: Se teniamo presente tutto ciò che abbiamo detto prima, non
c’è ragione di sollevare questa obiezione. Perché se ci appoggiamo
sull’Intuizione (anubhava), l’affermazione che esiste una relazione
particolare tra il nostro corpo e il nostro Sé non può essere sostenuta al di
là d’ogni dubbio. Oltre a questa considerazione, anche se abbiamo un solo corpo
[nel mondo della veglia], otteniamo centinaia di corpi in altrettanti sogni.
Con quale di questi corpi dovremmo identificarci affermando: «Solo questo è il
mio?» Qualora affermassimo che: «Poiché i corpi del sogno sono diversi, il
corpo della veglia, che è unico, è il nostro proprio.», anche questa
affermazione non può essere sostenuta perché, come abbiamo previamente
stabilito, dato che non esiste alcuna differenza tra il sogno e la veglia, non
può essere risolto con certezza il problema a chi appartenga il corpo della
veglia. Perciò da tutti questi ragionamenti si può stabilire che le
caratteristiche della nascita, crescita e morte si manifestano solo nei corpi
che sono mere apparenze; dunque non esiste alcuna relazione fra quel corpo
apparente e il nostro Sé. Si deduce, infine, che tutte le caratteristiche
limitanti connaturate appartengono solamente al corpo.
Prakṛti significa la sostanziale natura dell’ignoranza (ajñāna
svabhāva). Precedentemente l’abbiamo chiamata māyā. Tutti questi
cambiamenti che abbiamo erroneamente pensato a causa dell’ajñāna appartengono
solo a questo corpo illusorio (māyika śarīra) e non esistono realmente.
V) Kartṛtva, bhoktṛtva ecc. sono qualità di ahaṃkāra,
non di Ātman
Obiezione: Dire che non esiste alcuna relazione tra il corpo e il
nostro Sé non ci pare corretto. Perché tra il corpo e noi stessi esiste la
relazione che intercorre tra una proprietà e il suo proprietario. Cioè, il
corpo appartiene a noi e noi siamo i suoi signori. Utilizziamo il corpo, i
sensi ecc. e compiamo azioni (karma) e poi godiamo dei frutti che ne
risultano. Per godere dei frutti delle azioni compiute in nascite precedenti,
ci è stato dato proprio questo corpo; anche in futuro, allo stesso modo, ci
saranno dati altri corpi in altre nascite, non è forse vero?
Risposta: Dal punto di vista vyāvahārika sono ‘reali’ tutti
i seguenti concetti: 1) Abbiamo strumenti di conoscenza e azione come il corpo,
i sensi e la mente. 2) Usando questi strumenti compiamo varie azioni e ne
traiamo meriti (puṇya) o demeriti (pāpa). 3) A causa di questi
meriti o demeriti si producono future nascite.
Ma quello che stiamo seguendo ora
è il punto di vista metafisico (pāramārtika). Da questo punto di vista
sia il mondo della dualità (jagat) sia il corpo che in esso esiste sono
illusori (māyika). Non possiamo affermare che sia la nostra vera natura
essenziale ad avere qualche relazione con il corpo, perché nello stato di sogno
non abbiamo alcuna relazione con esso; e nel sonno profondo addirittura non
abbiamo alcun corpo. Inoltre, se continuamo a conservare questo punto di vista,
in verità non abbiamo nemmeno kartṛtva, ovvero, la qualità di essere un
agente, in quanto solo quando siamo associati all’ego (ahaṃkāra)
pensiamo di star compiendo tale o talaltra azione. Desiderare un oggetto e,
allo scopo di approprirsene, provare la volontà (saṃkalpa) e decisione (niścaya),
di compiere una azione (karma) volta ad acquisirlo, tutti questi
pensieri dipendono da ahaṃkāra e non possono essere attribuiti alla
nostra vera natura (svarūpa). Poiché nel sonno profondo e in altri stati
analoghi[3] non
abbiamo alcuna relazione con ahaṃkāra, il fatto d’essere un agente (kartṛtva)
non esiste, e ciò è stabilito sulla base dell’esperienza intuitiva.
Obiezione: In tal caso si può arrivare ad affermare che: 1) Non
siamo responsabili per le azioni che compiamo. 2) Non esistono né compiere
azioni, né ottenere i meriti e i demeriti che ne derivano, né godere dei loro
frutti. Che senso ha tutto ciò? Seguendo questo ragionamento si giungerebbe a
dire che non esistono per niente né la Liberazione (mukti), che deve
insorgere dallo studio del Vedānta né il legame (baṅdha) da cui
ci si deve liberare per mezzo di questa mukti. Tutte queste cose ti
vanno bene?
Risposta: Anche quest’obiezione sorge a causa della mancanza di
discriminazione dei punti di vista vyāvahārika e pāramārtika. Dal
punto di vista vyāvahārika, quando abbiamo una relazione con ahaṃkāra,
appare in noi l’illusione - che le è associata - di essere degli agenti (kartṛtva)
e dei fruitori (bhoktṛtva) delle azioni. Se osserviamo dall’angolatura
empirica, non è possibile affermare che i concetti di dharma e il suo
opposto adharma non esistano. Infatti nei nostri śāstra le
ingiunzioni (vidhi) e le proibizioni (niśedha) sono state imposte
solo allorché s’assume questo punto di vista. Ovvero, da questo punto di vista,
nessuno dei concetti, come merito (puṇya), demerito (pāpa) e
salvezza (svarga, cieli), è falso. Ma se osserviamo intuitivamente dal
punto di vista pāramārtika, allora noi non abbiamo alcuna relazione con ahaṃkāra;
e in noi non esiste nemmeno alcuna caratteristica agente (kartṛtva).
Quando tagliamo un albero con un’ascia, quest’ultima si muove su e giù senza
spostarsi. Infatti è la mano di colui che taglia a cambiare di posizione. Ma
non possiamo dire che usiamo l’ego (ahaṃkāra) per mezzo di kartṛtva,
come l’ascia dell’esempio. Perché quando compiamo un’azione, sebbene ci siano
alcuni mutamenti o cambiamenti in ahaṃkāra, nella nostra reale natura (svarūpa)
non avviene alcun cambiamento. In verità noi siamo la Coscienza-Testimone
(ossia stiamo oggettivando) sia dell’ahaṃkāra sia delle sue mutazioni.
Il fatto d’agire e di fruire di ahaṃkāra è erroneamente sovrapposto a
noi a causa dell’illusione (bhrānti), e non esiste realmente nella
nostra natura essenziale. Ora tutto diventa chiaro per quel che riguarda le
funzioni empiriche della limitazione (baṅdha) da cui ci si deve liberare
con il mokṣa. Come risultato della relazione fra ahaṃkāra e il
nostro vero Sé, provocato dall’ignoranza (avidyā), si sono prodotte le
diverse triadi del legame karmico, composto da azioni (kriyā), mezzi
dell’azione (kāraka) e risultati dell’azione (phala), e del
legame della conoscenza duale, composto da conoscitore (jñātṛ),
conoscenza (jñāna) e conosciuto (jñeya). Per questo motivo
l’insegnamento vedāntico per cui ci si deve liberare dall’ignoranza (ajñāna)
e raggiungere la Conoscenza (jñāna), per mezzo dell’ascolto della
dottrina (śrāvaṇa), riflessione su di essa (manana) e
contemplazione (nididhyāsana), al fine di sciogliere il legame (baṅdha),
è valido anche dal punto di vista empirico (vyāvahārika). Ma quando si
osserva intuitivamente dal punto di vista assoluto (pāramārtika), dato
che allora non si ha alcuna relazione con l’ego (ahaṃkāra), la
nostra vera natura essenziale non è limitata da alcun legame (baṅdha) né
è liberato da alcunché. Quindi, anche le distinzioni di limitazione (baṅdha),
iniziato (sādhaka), metodo (sādhana), Liberazione (mokṣa)
ecc. dal punto di vista pāramārtika non esistono affatto e proprio in
questo consiste il più elevato insegnamento vedāntico (paramsiddhānta).
Questo insegnamento così profondo è la cosa più desiderabile di tutte, perché
nella visione pāramārtika nessuna cosa desiderata (iṣṭa) o non
desiderata (aniṣṭa) esiste minimamente. Solo Paramātman esiste unico e
non duale nella sua suprema gloria.
Obiezione: Se dici che il fatto d’agire (kartṛtva) e di
fruire (bhoktṛtva) degli effetti prodotti, che esistono in ahaṃkāra,
sono di fatto sovrapposti ad Ātman, questo non ci induce a dire che ahaṃkāra
è cosciente e senziente?
Risposta: Se osserviamo attentamente, visto che Ātman è
eternamente libero (nityamukta), in lui non ci può mai essere alcun kartṛtva.
Analogamente, poiché ahaṃkāra è perennemente insenziente (nityajaḍa),
anche ahaṃkāra non ha alcun kartṛtva e bhoktṛtva. Ciò
nonostante, dal punto di vista vyāvahārika, compare la facoltà d’agire (kartṛtva),
in quanto in ahaṃkāra si producono cambiamenti, mentre in Ātman non
c’è mai alcun cambiamento. Allora, e soltanto dal punto di vista grossolano (sthūla
dṛṣṭi), ahaṃkāra stesso è considerato come fosse un soggetto agente
(kartṛ). Questo è quanto.
Obiezione: Non è vero che Ātman passa da uno stato a un
altro? E che quando va in sonno profondo egli rimuove ahaṃkāra e kartṛtva,
e quando torna alla veglia egli li riassume? In questo senso, non ti pare che
in lui ci sia kartṛtva?
Risposta: Ātman non va né viene da nessuna parte. Né assume
qualcosa, e nemmeno rimuove qualcosa. Proprio come in cielo, anche se le nuvole
vanno e vengono, lo spazio rimane immutato, puro e incontaminato, così egli
rimane completamente immutato, puro e immacolato nella sua natura di Coscienza
pura (caitanya svarūpa), benché ahaṃkāra e kartṛtva appaiano
illusoriamente sovrapposte ad Ātman a causa della sua māyā.
Abbiamo ripetutamente affermato che né i tre stati (trayāvasthā) né i
fenomeni come ahaṃkāra e kartṛtva, che appaiono in quegli stati
di coscienza, sono assolutamente reali. Se ricordiamo e facciamo nostra questa
verità suprema e profonda che emerge potentemente alla nostra mente e al nostro
intelletto, allora nessuna sovrapposizione o illusione d’essere un agente e un
fruitore dei risultati delle azioni kartṛtva e bhoktṛtva potrà
mai apparire reale nell’Ātman.
W) Perciò io sono Śiva
Quando consideriamo la somiglianza
tra i tre esempi della corda e il serpente, del sogno e del riflesso nello
specchio, e li associamo con Ātman, e osserviamo questa nostra
riflessione dal punto di vista dell’esperienza seconda del grado di fermezza di
questa cognizione, si radica in noi l’esperienza o coscienza intuitiva d’essere
in verità Paramśiva, eternamente puro (nitya śuddha), pienamente
completo (paripūrṇa) non duale (advitīya), che è la nostra natura
reale, cosciente e beata (saccidānanda svarūpa). Coloro che hanno
sostegno e forza da questa esperienza intuitiva, saranno liberi dalla paura e
saranno vibranti di coraggio. Rifuggendo da comportamenti licenziosi,
adotteranno spontaneamente una retta condotta; saranno liberi dall’incapacità
di discriminare e, in un certo senso, raddoppieranno la loro capacità di
discriminazione. Ingiustizie, colpe e demeriti scompariranno da loro e, invece,
diventeranno ornamento del loro cuore qualità pure come il senso della
giustizia, la compassione e la premura a procurare felicità a tutte le
creature. Ozio e indolenza si trasformeranno in zelo a favore degli altri. In
nessuna parte cui rivolgano la loro attenzione ci sarà sofferenza e ovunque
testimonieranno il gioco cosmico (līlā) di Parabrahman, che è per sua natura
Vero, Cosciente e Beato (satya jñānam ānanda svarūpa). Questa conoscenza
benefica e auspiciosa d’essere in verità Śiva, dovrebbe essere raggiunta da
tutti. E, allorquando non insorgesse immediatamente, dovremmo almeno cercare di
acquisire la corretta purificazione della mente per poi poter accedere a questa
beata Conoscenza del Sé.
OṂ TAT SAT
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