Apologhi sulla volontà*
I. Lao-Tzeu
Cap. 17. C. Quanto delicato fu
il tatto degli antichi sovrani. Mentre tutto prosperava grazie alla loro
amministrazione, il loro popolo s’immaginava d’aver fatto in tutto la propria
volontà.
Cap. 33. A. Conoscere gli altri, è
saggezza; ma conoscere se stessi, è saggezza superiore (la propria natura
essendo quel che vi è di più profondo e di più
nascosto). – Imporre la propria volontà agli altri, è forza; ma imporla a
se stessi, è forza superiore (le proprie passioni essendo quel
che vi è di più difficile da domare). – Accontentarsi (essere contenti di
ciò che il destino ha dato) è la vera ricchezza; controllarsi (piegarsi a quel
che il destino ha disposto) è il vero carattere.
Cap. 49. A. Il Saggio non ha una volontà determinata; si adatta alla volontà del popolo. Tratta altrettanto bene i buoni e i
malvagi, ciò che è la vera bontà pratica. Ha ugualmente fiducia nei sinceri e
negli insinceri; ciò che è la vera fiducia pratica.
II. Lie-Tzeu
Cap. 5. H. […] Tchan-ho pescava con una lenza fatta d’un solo
filamento di seta naturale, un ago ricurvo come amo, una canna da pesca, mezzo
chicco di grano come esca. Con questo strumento rudimentale, traeva enormi
pesci da un profondo abisso, senza che la sua lenza si rompesse, senza che il
suo ago si raddrizzasse, senza che la sua bacchetta si piegasse. Avendolo saputo, il re di Tch’u gli chiese spiegazioni. Tchan-ho
gli disse: «Un tempo il famoso arciere P’u-ts’ie-tzeu,
con un arco debolissimo e una freccia dotata d’un semplice filo, colpiva le gru
grigie nelle nuvole, grazie alla sua applicazione mentale che stabiliva il
continuo (la continuità) tra la sua mano e l’oggetto. Io mi sono applicato per
cinque anni per ottenere lo stesso risultato nella pesca con la lenza. Quando
butto il mio amo, il mio spirito, interamente vuoto di ogni altro pensiero, va
dritto al pesce, attraverso la mia mano e il mio strumento, stabilendo
continuità, e il pesce è preso senza diffidenza o resistenza. E se voi, o re,
applicaste lo stesso procedimento al governo del vostro regno, il risultato
sarebbe lo stesso». «Grazie!» disse il re di Tch’u.
Quindi la volontà realizza il continuo, tra lo spirito
e il suo oggetto.
Cap. 5. O. Un altro esempio dell’efficacia della volontà. Tsao-fou
apprese da T’ai-teu l’arte di
condurre un carro. Quando entrò presso il suo maestro come discepolo, cominciò
a servirlo molto umilmente. Per tre anni, T’ai-teu
non gli rivolse la parola. Tsao-fou raddoppiò la sua sottomissione.
Infine T’ai-teu gli disse: «Secondo
un antico adagio, l’apprendista arciere dev’essere flessibile come un salice, e
l’apprendista fonditore morbido come una pelliccia. Tu hai ora su per giù
quello che ci vuole. Osserva quel che ti faccio vedere. Quando saprai fare lo
stesso, sarai in grado di tenere le redini d’un carro
a sei cavalli». – «Bene», disse Tsao-fou. Allora T’ai-teu, posizionata orizzontalmente
un’asta appena spessa da poterci posare i piedi, cominciò a camminare passo
dopo passo, lentamente, da un’estremità dell’asta all’altra, andando e tornando
senza fare un solo passo falso. – Tre giorni più tardi, Tsao-fou
fece altrettanto. Sorpreso, T’ai-teu
gli disse: «Come siete abile! Come siete riuscito
rapidamente! Ora possedete il segreto per condurre un carro. La concentrazione
delle vostre facoltà interiori sul movimento dei vostri piedi, vi ha permesso
di camminare sull’asta, con la sicurezza che manifestate. Concentrate allo
stesso modo con intensità le vostre facoltà sulle redini del vostro tiro. Che,
attraverso la vostra mano, il vostro spirito agisca sui morsi dei vostri
cavalli, e la vostra volontà sulla loro. Allora potrete descrivere delle
circonferenze e disegnare degli angoli retti perfetti, condurre il vostro tiro
senza sfinirlo. Ancora una volta, che il vostro spirito faccia uno con le
redini e i morsi; è questo tutto il segreto. Ottenuto questo
non avrete bisogno d’usare, né gli occhi, né la frusta. Il tiro sarà
interamente in vostro potere, i ventiquattro zoccoli dei vostri dei cavalli si
poseranno ritmicamente, e le loro evoluzioni saranno matematicamente precise;
passerete con sicurezza, là ove il cammino avrà appena la larghezza dello
scartamento delle vostre ruote, là ove il sentiero basterà appena ai piedi dei
vostri cavalli. Non ho più nulla da insegnarvi; voi ne sapete ora quanto me.
III. Tchoang-Tzeu
Cap. 3. B. Il macellaio Principe Hoei
di Leang sezionava un bue. Senza sforzo, metodicamente, come
misurasse, il suo coltello staccava la pelle, tranciava le carni, separava le
articolazioni. – «Siete davvero abile», gli
disse il principe, che lo guardava fare. – «Tutta
la mia arte, rispose il macellaio, consiste nel considerare solo il principio
del sezionamento. Quando iniziai, pensavo al bue. Dopo tre anni di
pratica, cominciai a dimenticare l’oggetto. Ora quando seziono, non ho in animo
che il principio. I miei sensi non agiscono più; solo la mia volontà è attiva.
Seguendo le linee naturali del bue, il mio coltello penetra e divide,
tagliando le carni morbide, contornando le ossa, facendo alla bisogna come
naturalmente e senza sforzo. E questo, senza usurarsi, perché non affronta
le parti dure. Un principiante consuma un coltello al
mese. Un macellaio mediocre, consuma un coltello
all’anno. Lo stesso coltello mi serve da diciannove anni. Ha sezionato
parecchie migliaia di buoi, senza provare alcuna usura. Perché io non lo faccio
passare, che là dove può passare». – «Grazie,
disse il principe Hoei al macellaio; mi avete appena insegnato come
far durare la vita, ponendola al servizio solo di quel che non l’usura».
Cap. 23. B. Nan-jung-tchu
(uomo già di una certa età, che s’era messo a scuola
di Keng-sang-tch’u), assunta la posizione più rispettosa, gli domandò:
«Alla mia età, che dovrei fare per diventare un uomo superiore?». – Keng-sang-tch’u
gli disse: «Vegliate affinché il vostro corpo ben sano imprigioni ermeticamente
il vostro spirito vitale; non lasciate che pensieri e immagini ronzino nel
vostro interiore; se fate questo per tre anni interi, otterrete quel che
desiderate». – Nan-jung-tchu rispose: «Gli occhi sembrano tutti
identici, ma quelli dei ciechi non vedono. Le orecchie sembrano tutte
identiche, ma quelle dei sordi non odono. I cuori sembrano tutti identici, e
tuttavia i folli non capiscono. Di corpo, io sono fatto come voi, ma il mio
spirito deve essere diverso dal vostro. Non colgo il senso delle parole che mi avete appena detto». – «Dev’essere per la mia
incapacità a esprimermi, disse Keng-sang-tch’u. Un moscerino non può
nulla per una grossa sfinge[1]. Una piccola gallina di Ue non può covare un uovo
d’oca. Non ho evidentemente quel che occorre per condurvi al termine. Perché
non andate a sud, a consultare Lao-Tzeu?».
Cap. 23. C. Seguendo il consiglio
di Keng-sang-tch’u, Nan-jung-tchu
si munì delle provviste necessarie, marciò per sette giorni e sette notti, e
arrivò nel luogo dove viveva Lao-Tzeu. «È Keng-sang-tch’u
che vi manda?» domandò questi. – «Sì», disse Nan-jung-tchu.
«Perché, domandò Lao-tzeu, avete portato un
seguito tanto considerevole (di pregiudizi, attaccamenti, passioni, illusioni,
errori)?». Nan-jung-tchu guardò dietro di sé,
tutto sbigottito. – «Non avete capito la mia
domanda», disse Lao-Tzeu. Pieno di vergogna, Nan-jung-tchu
abbassò la testa, risollevatala, sospirò e disse: «Perché non ho saputo capire
la vostra domanda, mi proibite di dirvi quel che mi ha condotto qui?». «No,
fece Lao-tzeu, dite!». – Allora Nan-jung-tchu disse:
«Se resto ignaro, gli uomini mi disprezzeranno; se divento sapiente, sarà
usurando il mio corpo. Se resto malvagio, farò del male agli altri; se divento
buono, occorrerà affatichi la mia persona. Se non pratico l’equità, ferirò gli
altri; se la pratico, lederò me stesso. Questi tre
dubbi mi tormentano. Che devo fare? Oppure non fare? Keng-sang-tch’u m’ha inviato per chiedervi consiglio». – Lao-tzeu
disse: «Ho ben letto nei vostri occhi, al primo colpo d’occhio, che avete perso
la testa. Assomigliate a un uomo che sta cercando di trarre dal fondo del mare
i suoi genitori inabissati. Ho pietà di voi». – Ottenuto d’essere ammesso
presso Lao-tzeu come pensionante, Nan-jung-tchu
iniziò un trattamento morale. Si esercitò dapprima a fissare le sue qualità ed
eliminare i suoi vizi. Dopo dieci giorni di questo esercizio che trovò duro,
rivide Lao-tzeu. «Progredisce la vostra opera
di purificazione? Gli domandò questi. Mi sembra non
essere ancora perfetta. I turbamenti d’origine esterna (entrati attraverso i
sensi) non possono essere scacciati che opponendo una barriera interna (il
raccoglimento). I turbamenti d’origine interna (provenienti dalla ragione) non
possono essere scacciati che mediante una barriera esterna (la contrizione di
sé). Questi due tipi d’emozioni, anche coloro che sono
avanzati nella scienza del Principio, ne sperimentano occasionalmente gli
attacchi, e devono ancora premunirsi contro di loro; quanto più coloro che
come voi hanno vissuto a lungo senza conoscere il Principio, e sono poco
avanzati». – «Ohimè! Disse Nan-jung-tchu
scoraggiato, quando un contadino cade malato, racconta del suo male a un altro,
e si trova, se non guarito, per lo meno sollevato. Mentre io, ogni volta che
interrogo sul grande Principio, il male che tormenta il mio cuore aumenta, come
se avessi preso un medicamento contrario al mio male. È troppo forte per me.
Vogliate darmi la ricetta per far durare la mia vita;
mi accontenterò di quella». «E voi credete, disse Lao-Tzeu, che questo
si ottiene così, di mano in mano? Far durare la vita, suppone molte cose. Siete
capace di conservare la vostra integrità fisica, di non comprometterla? Saprete
sempre distinguere il favorevole dal funesto? Saprete fermarvi, e astenervi, al limite? Potrete disinteressarvi degli altri, per
concentrarvi in voi stesso? Arriverete a conservare il vostro spirito libero e
raccolto? Potrete tornare allo stato della vostra prima infanzia? Il neonato
vagisce giorno e notte senza arrochirsi, tanto la sua nuova natura è solida.
Non molla quel che ha afferrato, tanto la sua volontà è concentrata. Osserva a
lungo senza battere le palpebre, nulla lo emoziona. Cammina senza meta e s’arresta senza motivo, andando spontaneamente, senza
riflettere. Essere indifferente e seguire la natura, ecco la formula per far
durare la propria vita». – «Tutta qua la
formula?» domandò Nan-jung-tchu. Lao-tzeu riprese: «Quello è l’inizio del cammino dell’uomo superiore, quel che
chiamo lo scongelamento, il disgelo, dopodiché il fiume inizia a prendere il
suo corso. L’uomo superiore vive, come gli altri uomini,
dei frutti della terra, dei benefici del cielo. Ma non
si affeziona, né all’uomo, né alle cose. Non si formalizza di nulla, non
gioisce di nulla. Aleggia, concentrato in se stesso.
Ecco la formula per far durare la propria vita». – «Tutta
qua la formula?» domandò Nan-jung-tchu. Lao-tzeu riprese: «Ho detto che occorreva ridiventare bambino. Muovendosi,
agendo, il bambino non ha scopo, né intenzione. Il suo corpo è indifferente
come un legno secco; il suo cuore è inerte come della cenere spenta. Per lui,
né felicità, né disgrazia. Quale male possono fare gli uomini, a colui che è al di sopra di queste due grandi vicissitudini
del destino? L’uomo stabilito così in alto nell’indifferenza, ecco l’uomo
superiore».
* Estratti da Léon Wieger, Les pères du système taoïste,
Cathasia, Parigi, 1950, I. Lao-Tzeu. II. Lie-Tzeu.
III. Tchoang-Tzeu. Nella
traduzione rispettiamo la terminologia di P. Wieger, anche se talvolta
impropria; pure nella trascrizione dei nomi propri seguiamo la lettura francese
dell’originale.
Tratto da: https://letteraespirito.wordpress.com
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