"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

sabato 30 settembre 2017

Arturo Reghini, Il Santo Impero

Arturo ReghiniIl Santo Impero[1]

Conformemente alle prescrizioni dei rituali tradizionali massonici, le pareti di questo Tempio, che rappresenta l'Universo, sono adorne delle tre statue di Ercole, Minerva e Venere.
A queste tre divinità della nostra antica religione corrispondono tre attributi di cui esse sono come il simbolo e la personificazione: la forza, o meglio la potenza, la potestà, la virtù romanamente intesa; la Sapienza e l'Amore. Sono questi i simbolici pilastri dai quali secondo il catechismo muratorio è sorretta la loggia.
E queste tre stesse parole:
Fecemi la divina potestate,
La somma sapienza e il primo amore
vide Dante al sommo d'una porta, all'inizio di quel «cammino alto e silvestre», che dalla «selva selvaggia» e dalla «perduta gente» dovea condurlo all'iniziazione nel Paradiso terrestre prima e all'indiamento vero e proprio nel Paradiso poi. E poiché, secondo l'antico detto ermetico, quello che è in alto corrisponde a quello che è in basso e viceversa, sopra questi tre pilastri: amore, saggezza e potestà si regge non soltanto l'Universo, non soltanto il tempio massonico che ne è il simbolo, ma anche ogni impero ed ogni società ben costituita; ed un altro grande italiano, di cui si pubblica ora per la prima volta nel testo originale italiano un'importante opera, Fra Tommaso Campanella (Del senso delle cose e della Magia - Laterza, Bari, 1925) nella sua Città del Sole subito dopo lo stesso Capo supremo chiamato Metafizio pone tre Principi collaterali, Pon, Sin, Mor che vuol dire Potestà, Sapienza e Amore. La tradizione massonica ed i più grandi italiani con essa, afferman dunque la necessità a ben governare di unire alla Potenza la Saggezza e l'Amore.
E diciamo saggezza o sapienza e non scienza a ben indicare che il genere di conoscenza di cui la Potestà abbisogna non è già la scienza, o l'insieme delle scienze umane, ma la scienza delle cose sacre, la scienza sacerdotale, appannaggio dei veri sacerdoti e di quelle religioni in cui si tramanda e si perpetua non una semplice liturgia rituale, non una vuota erudizione teologale, ma una effettiva, piena conoscenza dei sacri misteri. In tal caso la sapienza religiosa e la sapienza filosofica concordano e si identificano: in caso diverso la religione si manifesta impari al suo compito e la funzione di soccorrere e scortare l'autorità imperiale spetta alla sola autorità filosofica.
Al tempo di Dante e secondo il giudizio di Dante, la gerarchia della Chiesa Romana non si trovava all'altezza di tale compito, avendo tralignato ed essendosi corrotta. Ecco come lo stesso San Pietro si esprime al riguardo:
Se io mi trascoloro,Non ti meravigliar; che, dicend'io,Vedrai trascolorar tutti costoro,Quegli che usurpa in terra il luogo mio,Il luogo mio, il luogo mio, che vacaNella presenza del Figliuol di Dio;Fatto ha del cimitero mio cloacaDel sangue e della puzza; onde il perversoChe cadde di quassù, laggiù si placa.(Par. XXVII, 19-28)
Conseguentemente il grande imperialista, perseguitato ed esiliato dalla parte guelfa, sosteneva l'Impero nel suo secolare e fatale conflitto con la Chiesa. Nel De Monarchia Dante, asserendo e dimostrando la necessità, la fatalità ed il diritto dell'Impero romano universale, si opponeva recisamente alle pretese di predominio ed anche di semplice ingerenza papale, affermando che l'autorità imperiale dipende direttamente da Dio (De Monarchia, III, 13, 16) e che i due luminari (il Sole e la Luna che figurano anche nei nostri Templi), non rappresentano il Papa e l'Imperatore, la Chiesa e l'Impero (e quindi non si può, con tal illegittimo paragone, fare brillare l'imperatore di luce riflessa), ma che, ad ogni modo pur ammettendolo, la Luna non dipende dal Sole (De Monarchia, III, 4), e che l'Imperatore deve al Papa reverenza filiale e non più (De Monarchia, III, 4, 16).
Per conseguenza l'autorità civile, imperiale, doveva essere assolutamente sovrana rispetto all'autorità religiosa, ed ogni partecipazione della Chiesa al potere temporale doveva essere assolutamente negata e distrutta. Perciò Dante malediva Costantino, a cui attribuiva la rovina del mondo, per avere con la sua maleagurata donazione (Dante non sapeva che si trattava di un falso storico per dare valore giuridico all'appropriazione indebita perpetrata) abbandonato Roma alla Chiesa (Par. XX, 60), e malediva la «confusione dei reggimenti» dannosa tanto all'autorità spirituale della Chiesa che al benessere dell'Impero. E per aver voluto, auspicato e profetato con tanta passione e tenacia la caduta del potere temporale dei Papi, bene è degno Dante che nell'anniversario del XX Settembre il pensiero degli italiani e specialmente dei massoni italiani si innalzi riconoscente verso di lui, profeta della nostra stirpe.
Ma non bastava a Dante togliere alla Chiesa il diretto dominio temporale. Egli mirava a sottrarre l'Impero da ogni ingerenza e dipendenza dall'autorità della Chiesa. Per lui l'Impero era il fme ultimo della civiltà umana, era necessario alla felicità del mondo, perché soltanto un governo universale ed unico poteva assicurare la pace universale come era avvenuto al tempo di Augusto, e se il popolo romano aveva conquistato l'impero ciò era avvenuto di pieno diritto, per volontà di Dio, perché per natura il popolo romano era destinato ad imperare. «Non da forza fu principalmente preso (l'Impero) per la Romana gente, ma da divina provvidenza che è sopra ogni ragione. E in ciò s'accorda Virgilio nel primo dell'Eneide, quando dice: in persona di Dio parlando: A costoro (cioè alli Romani) né termine di cose né di tempo pongo; a loro ho dato imperio senza fine. La forza dunque non fu cagion movente, siccome credea chi cavillava, ma fu cagione strumentale, siccome sono i colpi del martello cagione del coltello, e l'anima del fabbro è cagione efficiente e movente; e così non forza, ma ragione, e ancora divina, è stata cagione del Romano imperio.» (Il Convivio, IV, 4).
Per conseguenza l'autorità imperiale procede direttamente da Dio, e la Chiesa non ha il potere di conferire all'imperatore l'autorità che egli possiede, perché tale potere dovrebbe riceverlo «da Dio, o da se stessa, o da un altro imperatore o dall'universale assenso dei mortali» (De Mon. III, 14), tutte possibilità e pretese che Dante confuta, togliendo alla Chiesa il diritto e la possibilità di esercitare un'autorità sopra l'imperatore anche attraverso l'adescamento del suffragio popolare. Del resto, osserva Dante, lo stesso Gesù, lasciandosi condannare dal giudice imperiale ne riconobbe la legittima giurisdizione (De Mon. II, 13); come pure la Chiesa, accettando la donazione di Costantino, ammetteva implicitamente di essere a lui sottoposta.
Concludendo e rimandando il lettore che desideri saperne di più alle «opere minori» di Dante (che sono grandi nonostante l'epiteto che le designa), e specialmente al De Monarchia (che la Chiesa ha posto all'indice), possiamo con tutta sicurezza affermare che Dante voleva che l'autorità imperiale fosse assolutamente sovrana, immune ed indipendente da ogni influenza, ingerenza e consacrazione religiosa. E perciò la caduta del potere temporale dei Papi che oggi si commemora rappresenta solo l'inizio della attuazione di quella sovranità imperiale che Dante auspicava e profetava.
L'autorità imperiale, per quanto dipendente direttamente da Dio, per quanto rigorosamente separata da quella religiosa, nella concezione di Dante non veniva però abbandonata a se stessa. Essa doveva congiungersi alla autorità filosofica, affinché la Potestà assistita dalla Sapienza potesse felicemente governare. Ecco quanto scrive egli in proposito: «E non repugna [l'autorità filosofica] alla imperiale autoritade: ma quella sanza questa è pericolosa; e questa sanza quella è quasi debile, non per sé, ma per la disordinanza de la gente: si ché l'una coll'altra congiunta, utilissime e pienissime sono d'ogni vigore. E però si scrive in quello di Sapienza: Amate lo lume della Sapienza, voi tutti che siete dinanzi a' populi; cioè a dire: Congiungasi la filosofica autoritade con la imperiale, a bene e perfettamente reggere. Oh miseri che al presente reggete! e oh miserrimi che retti siete! ché nulla filosofica autoritade si congiunge con li vostri reggimenti, né per propio studio né per consiglio; sì ché a tutti si può dire quella parola de lo Ecclesiaste: Guai a te, terra, lo cui re è fanciullo, e li cui principi la domane mangiano; e a nulla terra si può dire quella che seguita: Beata la terra lo cui re è nobile e li cui principi cibano in suo tempo, a bisogno e non a lussuria! Ponetevi mente, nemici di Dio, a' fianchi, voi che le verghe de' reggimenti d'Italia prese avete; e dico a voi, Carlo e Federigo regi, e a voi altri principi e tiranni -; e guardate chi a lato vi siede per consiglio, e annumerate quante volte lo die di questo fine della umana vita (la vita felice) per li vostri consiglieri v'è additato! Meglio sarebbe a voi come rondine volare basso, che come nibbio altissime rote fare sopra le cose vilissime.» (Convivio, IV, 6. Dante stesso commenta questo passo più oltre, vedi: Convivio, IV, 16).
Quale sia la filosofica autorità che è necessario congiungasi alla imperiale a bene e perfettamente reggere è facile determinare e risulta dallo stesso Convivio; poiché Dante stesso dice: «Dico e affermo che la Donna di cui io innamorai appresso lo primo amore, fu la bellissima e onestissima figlia dello Imperadore dell'universo, alla quale Pittagora pose nome filosofia.» Ed altrove dice, riferendosi appunto alle parole ed al concetto di Pitagora che filosofia è «amistanza a sapienza».
E che dalla scuola italica, anche in questo, egli dovesse ispirarsi si poteva presumere ricordando che il suo iniziatore era il pitagorico Virgilio, il poeta imperiale, che lo aveva lasciato soltanto per affidarlo direttamente alla protezione di Beatrice, ossia dunque alla filosofia pitagoricamente intesa e che essendo la figlia dell'imperadore dell'universo, da cui il romano impero, per il fine della umana felicità, è voluto, merita evidentemente ed eminentemente il nome di Beatrice.
La concezione imperiale dantesca, come del resto ogni concezione monarchica e gerarchica tradizionale, si basa sopra la concezione monistica iniziatica dell'universo. Alla monade pitagorica corrisponde politicamente l'unicità e l'unità dell'autorità somma di governo, ossia la monarchia nel senso etimologico del termine. Questa concezione iniziatica, attuata in Occidente dal grande genio di Cesare, tanto esaltato da Dante, ed il cui nome designa ancor oggi, sin nelle lingue barbariche (Kaiser, Tsar) l'imperatore, minata eppoi distrutta dai barbari e dai cristiani, affiorante fatalmente nel Medio Evo, seguita e propugnata da tutte le associazioni e correnti iniziatiche dell'Occidente, sta alla base anche delle concezioni sociali della sapienza orientale ed estremo orientale. Il concetto musulmano del Califfato, quello hindu di Chakravarti, quello imperiale cinese e giapponese ne sono le più notevoli manifestazioni.
Nell'antica tradizione puramente muratoria questo concetto è adombrato nel simbolismo sociale del tempio della sapienza alla cui costruzione lavorano i Liberi Muratori. E per l'Impero e contro la Chiesa lavoravano e combattevano i Templari, istituiti per la liberazione del Tempio, distrutti dalla Chiesa Cattolica per questo motivo (e non per i pretesti addotti ad infamarli e renderli invisi), e di cui il 30∴ grado della gerarchia del Rito Scozzese Antico ed Accettato continua la tradizione rituale.
L'impero fu l'aspirazione e la meta anche dei Rosa-Croce. Nella famosa Confessio attribuita ad Andrea Valentino è detto che «un governo dovrà essere istituito in Europa come quello di Damear in Arabia, dove soltanto dei savii governano», concetto che, se non è preso dalla Generale Riforma dell'Universo dai Sette Savii della Grecia e da altri letterati pubblicato di ordine di Apollo contenuta nel Ragguaglio di Parnaso del Boccalini, è certo assai affine ad esso.
Ed anche oggi in varie di quelle organizzazioni che si riattaccano con più o meno genuino diritto e derivazione ai Rosa Croce il capo dell'Ordine è denominato: Imperator.
Nella Massoneria «scozzese» il concetto del «Santo Impero», oltre ad apparire nel modo su indicato nel 18∴ e nel 30∴ grado si trova anche al vertice della piramide (che ne è il simbolo muratorio) poiché sopra di esso si basano il 32∴ ed il 33∴ grado. I Principi del Real Segreto che formano il Concistoro del 32∴ grado dell'attuale gerarchia, e che prima del 1786 costituivano il 25∴ ed ultimo grado del Rito di Perfezione, rappresentano infatti la grande armata che deve scendere in campo per liberare il Tempio di Gerusalemme dalle mani degli infedeli, e per costituire il Santo Impero, che non è altro, secondo dicono antichi rituali, che il Regno della Ragione, della Verità e della Giustizia. E le Costituzioni del 1786, sulle quali si basano tutti i Supremi Consigli del mondo, sanciscono la tradizione scozzese del «Santo Impero» persino nella terminologia gerarchica denominando Sovrano Gran Commendatore (Commander) il Capo del Supremo Consiglio, Gran Ministro di Stato, Gran Segretario del Santo Impero, Gran Tesoriere del Santo Impero, i Sommi Dignitari ed Ufficiali.
Napoleone I, «nostro fratello e protettore dell'Ordine», come ci dicono i Rituali Scozzesi del primo Supremo Consiglio d'Italia (1805), riesumando le legioni e le aquile, ricostituendo l'Impero, infrenando sotto la sua autorità quella del Papa, dando al figlio il nome augurale di Re di Roma, facendo solennemente celebrare nel 1813 il centenario della distruzione dei Templari, mostrava la sua comprensione del compito da attuare, e parve quasi ispirarsi alla tradizione imperiale dantesca quando al momento della incoronazione, con gesto meditato tolse dalle mani del sacerdote officiante la corona ferrea e se la pose in capo con le sue stesse mani affermando che Dio (e non un'altra qualsiasi autorità) gliela aveva data. E si mostrava conscio del carattere del Rito Scozzese favorendone lo sviluppo e l'azione ed onorandone la filosofica autorità.
Se dobbiamo prestar fede a quanto racconta Samuel Paul Rosen (un ebreo polacco che dopo esser passato per tutti i gradi della Massoneria si ribellò contro di essa e fece traffico dei suoi secreti, autentici o no), la Massoneria non si sarebbe limitata ad una platonica aspirazione, ma avrebbe addirittura lavorato alla realizzazione dell'impero universale con capitale Roma. Ad ogni modo, a quanto dice il Rosen nel suo libro: L'Ennemie Sociale - Histoire documentée de la Franc-Maçonnerie de 1717 a 1890 en France, en Belgique et en Italie. Paris 1890, presta fede il gesuita Mgr. Léon Meurin, il quale nel suo libro: La Franc-Maçonnerie, Synagogue de Satan - Paris 1893 riporta e fa suo, come capo d'accusa contro la Massoneria, l'istruzione data al Generale Garibaldi, e quella data a S. A. R. il Principe di Galles.
Riportiamo testualmente anche noi dalla pagina 264 della versione italiana del libro del Meurin (La Frammassoneria, Sinagoga di Satana per Monsignore Leone Meurin S. /. Arcivescovo – Vescovo di Port-Louis, versione del Sac. Angelo Acquarone - Siena, presso l'Ufficio della "Biblioteca del Clero" - 1895, Costituisce il vol. VII della "Biblioteca del Clero"): «Dopo aver rovesciato il potere temporale del Papa, del nostro nemico infame e mortale coll'aiuto dell'Italia e della Francia, noi indeboliremo la Francia, sostegno del suo potere spirituale, coll'aiuto della nostra potenza e con quella dell'Allemagna.
E un giorno verrà cui dopo la divisione integrale dell'Europa in due Imperi, l'Alemanno d'occidente e il Russo d'Oriente, la Massoneria li unirà in un solo, con Roma a capitale dell'Universo intero». Questo il piano satanico della «setta» denunciato dal massone rinnegato Rosen e dall'autentico e fedel gesuita Meurin, cui dedicheremo una piccola parentesi.
Questo Mr. Meurin, è stato il più sapiente teorico della scuola antimassonica del Hièron, di Paray-le-Monial, secondo il quale College historique du Hièron, la Massoneria non è altro che della Cabala, ed uno strumento del semitismo. Uno studioso serio, l'ebraista Paul Vulliaud nel suo libro su La Kabbale Juive (1923), vol II, pag. 302-307, ha dimostrato che Mgr. Meurin, maestro e dottore dell'Hièron, e redattore del "Novissimum Organum" era una poderosissima bestia, nonostante che anche a lui spettassero le felicitazioni che il P. Dehon, consultore della Congregazione dell'Indice, aveva rivolto ai redattori dell'Hièron. A quanto dice il Vulliaud ci sarebbe molto da aggiungere. Questo per esempio: il Meurin riporta come genuina leggenda di Hiram (pure alterandola per meglio servirsene nella sua diffamazione) una variante della leggenda di Hiram che egli prende da un altro diffamatore clericale e cioè dal Saint-Albin (Alex. de) - Les Francs-Maçons, 1862, che ne tratta per una ventina di pagine dicendo di averla presa dalla massoneria di adozione, mentre invece essa non esiste né nella massoneria di adozione, né in quella ordinaria, essendo semplicemente contenuta in una novella di Gérard de Nerval, che essendo passato all'Oriente eterno alcuni anni prima non poteva dare del ladro e del bugiardo al cattolico diffamatore della Massoneria. Sull'interpretazione di questa leggenda spuria debitamente alterata dal Saint-Albin, e poi dal Meurin e dal Taxil (e male auguratamente riprodotta dal De Castro e dal Bacci senza farne la storia), poggia la requisitoria contro la massoneria dell'onesto e sapiente campione della Società di Gesù. Per chiudere questa parentesi diremo ancora che questo gesuita, e con lui tutti gli scrittori antimassonici della «setta» clericale, caccia le alte strida a proposito della interpretazione data in massoneria alla parola Tubalcain (possessio orbis), ignorando evidentemente che è esattamente quella che ne danno Sant'Isidoro e San Girolamo, come chiunque può immediatamente verificare consultando la Patrologia del Migne (Vol. 82 e Vol. 23). Dopodiché è lecito arguire che se gli altri volumi della "Biblioteca del Clero" sono di questa forza, si va piuttosto maluccio anche in fatto di semplice erudizione.
Chiusa la parentesi, e torniamo a noi.
Sia o non sia giustificata l'accusa d'imperialismo rivolta al nostro grande fratello Giuseppe Garibaldi, possiamo constatare che, pur volendo fare di Roma la Capitale d'Italia e forse di un governo unico che estendesse la sua autorità su tutto il mondo, sotto forma di Impero come Dante auspicava, o di Alleanza universale dei popoli o di confederazione europea, l'aspirazione verso una terza Roma, sede di un organismo statale universale, non andava certamente, in Dante, Mazzini e Garibaldi a scapito dell'amore di patria, che per la grandezza di Roma e d'Italia questi grandi Italiani soffersero, lavorarono e lottarono in modo così ardente e puro che pochi potranno avere eguagliato, sorpassato nessuno. E ci sia lecito affermare che anche noi sentiamo potentemente l'amore per la nostra patria, che non intendiamo sacrificare in nessuna maniera ed a nessuna autorità, pure sentendo che non si deve e non si può nel suo stesso interesse e per la sua stessa gloria astrarre dai bisogni e dai destini dell'intera umanità, che vorremmo vedere governata da un potere universale ed unico, savio e benefico, designato nella tradizione dello scozzesismo col nome di Santo Impero.
Non è per opportunità che seguiamo questa linea imperialistica, poiché se oggi da molti si parla di impero noi possiamo mostrare di avere precorso i tempi, ed i fratelli ben ricorderanno le nostre parole ed i nostri atti sino da molti anni or sono. Ma noi non pretendiamo ad alcuna originalità, parliamo come massoni scozzesi cui tocca in sorte oggi interpretare ed esporre la nostra tradizione, ed agire e parlare inspirandosi e subordinandosi ad essa, alla tradizione scozzese, che concorda perfettamente con la tradizione pitagorica, romana, dantesca.
La necessità di sostituire al Chaos europeo e mondiale un unico governo, che liberi l'Europa ed il mondo dalle spaventose conseguenze di una nuova conflagrazione, che può scaturire dalle competizioni dei varii stati in cui l'Europa è divisa, comincia ad essere universalmente sentita. L'Occidente aspira a ricostituire la sua unità, cui forse sono legate anche le sorti della sua civiltà. E poiché questa deriva dalla civiltà che l'impero romano estese nella sua universalità al mondo allora conosciuto, ed è in fondo ancora civiltà romana, sembra abbastanza giustificato di riportarsi a Roma da cui essa scaturì, e venne attuata e diffusa, come a suo centro e perno.
Naturalmente la nostra aspirazione tradizionale ed iniziatica al «Santo Impero» non ha nulla a che fare con le correnti di carattere universale, che poggiano sopra concezioni profane di natura prevalentemente economica, come il socialismo ed il bolscevismo ed altre correnti e movimenti sorti ed inspirati da paesi stranieri; ma in simil modo non ha nulla a che fare con i movimenti che vorrebbero instaurare un impero a beneficio di un determinato popolo, come la Germania ha tentato, e come dicesi sia voluto dai «Savi anziani di Sion», e non ha nulla a che fare con quegli imperialisti che sognano un impero limitato alla porzione cattolica dell'Occidente, per uso e consumo della Compagnia di Gesù. Pensare di ricostituire l'impero con l'aiuto di quelle correnti che lo distrussero, che lo vollero distruggere e della distruzione menarono e menan vanto, ci sembra un'assurdità. La Chiesa che secondo Machiavelli fu causa della mancata costituzione d'Italia a nazione, quando Francia, Inghilterra, Germania, Spagna a nazione si costituivano, e fu causa quindi della gravissima inferiorità nostra di fronte alle altre nazioni per il ritardo secolare della nostra costituzione a nazione unita ed indipendente, ritardo di cui anche oggi scontiamo amaramente le conseguenze, la Chiesa che ci ha avversato in tutti i modi durante tutto il periodo del nostro risorgimento, non può servire a costituire l'impero. Se lo facesse lo farebbe collo scopo di fare il suo interesse, e non il nostro. Ed in vero essa mira ad un impero puramente latino. Mentre noi massoni pensiamo a tutta la cristianità, a tutto l'Occidente, che occorre unificare, fortificare ed innalzare, ridando piena e libera manifestazione a tutte le antiche energie del suo genio, soffocate ma non distrutte con la caduta dell'impero romano.
Ed infine, ancora una volta ripetiamo con Dante che l'autorità imperiale deve essere sovrana, indipendente dall'autorità religiosa, e congiunta invece all'autorità filosofica, ossia alla sapienza che solo l'iniziazione può dare.


[1] Pubblicato nella rivista «Era Nuova», 1925.

Nessun commento:

Posta un commento